Corriere della Sera, 21 novembre 2012
Vorrei poter dire al Papa … un sogno: che senza indugio, oggi segua l’esempio di S. Pietro, lasciandosi alle spalle il carcere della Curia; segua l’insegnamento di San Paolo che condannava la prudenza dei prudenti; mandi due discepoli dal presidente Gauck a requisire un piccolo aereo, e il card. Ravasi a convocare un giovane pilota come de St Exupery, per affacciarsi con lui al lago di Genezaret e sentirsi dire dal suo Maestro: non aver paura, testimonia ai due popoli che la pace nasce dalla vittoria sulla paura.
Lo so, per consentirgli di governare la Chiesa, i suoi collaboratori non possono immergerlo nei sogni e sommergerlo di carte. Ma non gli nascondono certo l’eccezionalità degli eventi – i missili di Hamas su Tel Aviv, i bombardamenti di Israele su Gaza – a fronte dei quali non bastano discorsi a qualche migliaio di fedeli in piazza S. Pietro.
Si fronteggiano due popoli reciprocamente terrorizzati. La Provvidenza ha affidato la sede di Pietro a un uomo che il terrore l’ha conosciuto: terrore per il sistematico annichilirsi di popoli, persone, coscienze da parte del nazismo, terrore per le distruzioni di massa da parte dei bombardamenti tedeschi e alleati: quest’esperienza gli ha certo insegnato che il terrore paralizza anche le coscienze più forti; il terrore è l’arma dei serpenti per paralizzare la preda, e il terrore, ben sa papa Ratzinger, ha paralizzato per anni la patria di Kant, di Beethoven, di Goethe, di Lutero.
Un artista tedesco, consapevole che il sonno della memoria genera mostri ha voluto che nel loro cammino quotidiano i suoi compatrioti inciampino in quel ricordo ponendo piccole pietre davanti alle case degli eroi annientati nei lager: Brescia ripete in questi giorni l’iniziativa.
Ebbene, questo vorrei dire al Papa, che i suoi collaboratori non sanno: ho conosciuto alcuni di quegli uomini che oggi si dipingono come eroi, ed eroi non erano né volevano essere, perché vivevano nel terrore, Ma un giorno alcuni di loro hanno provato vergogna della loro paura, vergogna di loro pur legittimi interessi, perfino di affetti familiari. Che serve all’eroica cavalleria polacca andar contro i carri armati tedeschi, avevano detto molti nel ‘39; serve, ha risposto Varsavia quattro anni dopo, a salvar l’anima e la dignità del nostro Paese. Così, in diversa misura, ma con lo stesso spirito nel nostro Paese, nella nostra città, nella nostra Chiesa, vorrei dire al Papa.
E’ il problema di oggi: quattro anni fa il Papa non aveva potuto – perché, dissero i suoi collaboratori, bisogna aver prudenza – correre alla striscia di Gaza, come pur aveva preannunciato ricordando che Pio XII era uscito nel ‘44 dal Vaticano, sfidando la paura sua e dei suoi collaboratori per accorrere alla Chiesa di S.Lorenzo colpita da un feroce bombardamento.
Oggi, lo so, è forse più temerario che imprudente; lo so, è possibile, forse addirittura probabile che i falchi delle due parti, come Erode e Pilato, si accordino per abbatterlo, crocifisso su una nuvola: ma il Papa ben conosce i primi tre risultati della Passione: non il trionfo della luce, perché a mezzogiorno il sole si è oscurato, non quindi della prudenza e della ragione; non un successo del tempio, perché la terra tremando ne ha squarciato il velo. Ma un duraturo accordo tra Erode e Pilato, ma il pentimento di Pietro per la paura non vinta, ma la canonizzazione del buon ladrone.
Parta quindi, o anima cristiana, sostenuto da chi è partito per i lager, dica ai suoi collaboratori di riservare la prudenza agli affari terreni, e non si preoccupi della continuità della Chiesa: nell’affollato sacro collegio non mancano uomini di buona volontà pronti a succedergli.