Intervento di Bernhard Hauer, Console Generale Aggiunto del Consolato di Germania a Milano, davanti all’abitazione di Andrea Trebeschi.
Autorità tutte, signore e signori
Partecipare alla posa di queste prime pietre d’inciampo a Brescia è per me un momento paricolarmente commovente. Mi commuove in quanto rappresentante della Germania, Paese responsabile (insieme al regime fascista italiano) della politica criminosa di cui furono vittime Andrea Trebeschi ed i suoi concittadini, che onoriamo oggi. Ma mi commuove forse di più come persona: nipote di due zii deceduti ad Auschwitz e di nonni miracolosamente sopravvissuti, conosco di prima mano l’orrore della deportazione e dei campi di sterminio; e sono cosciente che fuori dal cerchio stretto dei familiari le vittime vengono ricordate, se mai, come collettivo anonimo, non come persone.
Restituire a loro, con la memoria, anche l’individualità perduta, è lo scopo del progetto “pietre d’inciampo”, che conta già più di 30.000 adesioni in tutta Europa. Nondimeno confesso che ho esitato un istante prima di accettare l’invito a presenziare questa cerimonia:
Come forse sapete, l’iniziativa di Gunter Demnig non è incontestata. Non parlo di coloro che vorrebbero che l’atrocità di quei tempi sparisse al più presto nell’oblìo. Parlo piuttosto di coloro, che – come Charlotte Knobloch, presidente della comunità ebraica di Monaco – dubitano del fatto che una piastra messa sul marciapiede, dove viene calpestata dai passanti ed imbrattata dai cani, sia veramente il miglior modo di onorare le vittime della barbarie.
Dopo una matura riflessione, penso che prevalgano comunque gli argomenti a favore: Non basta commemorare i deportati deponendo corone funebri su monumenti di marmo una volta all’anno. Essi furono strappati dalle loro case, dalla vita quotidiana, in piena città, al cospetto di vicini e passanti, che troppo spesso, per indifferenza o paura, fecero finta di niente. Ormai, grazie alle pietre d’inciampo, i vicini ed i passanti di oggi potranno prendere coscienza che il cammino ad Auschwitz è cominciato qui e che potrebbe ricominciare dovunque.
Perché la vernice della civiltà e dell’umanità è sottilissima e, quando si spezza, si aprono abissi. Nella mia ultima sede diplomatica, nella ex-Jugoslavia, ho visto con quale facilità pacifici cittadini possono trasformarsi in carnefici dei loro vicini – ma anche in eroi e salvatori.
E questo mi porta a pensare che l’iniziativa di Gunter Demnig meriterebbe un complemento: Le vittime sono tante, ma sarebbero molte di più se non fosse per quelli, che a volte hanno rischiato la propria vita per avvertire, proteggere o nascondere i loro concittadini minacciati.
Per loro, a Yad va-Shem, è stato allestito il Giardino dei Giusti. Mi auguro che qualcuno in futuro li ricordi anche nel loro contesto quotidiano, a Brescia e altrove, per dare alle nuove generazioni un messaggio di umanità e di speranza.
Grazie!