Giornale di Brescia, 9 aprile 2013
Jean-Paul Sartre Fateo «insicuro» che cercava una morale Jean-Paul Sartre (1905-1980), l’esistenzialista ateo sostenitore della libertà assoluta, può essere letto come colui che più di tanti, inseriti in orizzonti eticistici, ha cercato di scorgere i fondamenti di una moralesenza Dio. È la tesi sostenuta da Giovanni Invitto, docente di Filosofia teoretica all’Università del Salento, nella prima delle «Lezioni di filosofìa» proposte dalla Cede sul tema «II problema di Dio nella filosofia del Novecento», con il coordinamento di Luca Ghisleri; oggi alle 18 nella sala di via Pace 10, in città, la lezione di Francesco Miaño (Università di Roma Tor Vergata) su «II problema di Dio in Karl Jaspers». «L’ateismo, che è fede, cioè certezza indimostrabile razionalmente, rendeva ancora più urgente e doverosa la costruzione di una morale» osserva Invitto (assente per malattia, il suo testo è stato letto dal prof. Mauro Lovatti del liceo Copernico) . La fede «è una passione, non una costruzione razionale». Ma l’uomo «non può fare a meno di pensare “come se Dio esistesse”, perché la natura del Dio creduto è la stessa natura dell’uomo, che, però, è specificata dalla contingenza e dalla penuria». Invitto ripercorre le tappe della tentata rimozione da parte di Sartre dell’eredità cristiana. Lo stesso filosofo nell’opera autobiografica «Le parole» scrive: «Avevo bisogno di Dio, mi fu dato, lo ricevetti senza capire che lo cercavo… Senza quel malinteso, quell’incidente che ci separò, avrebbe potuto esserci qualcosa fra noi». «La sua filosofia – rileva Invitto – non ha fatto i conti con Dio una volta per tutte, e sul tema è tornata più volte. Nel 1961 aveva dichiarato, rifacendosi a MerleauPonty: “Si crede di credere ma non si crede”. Nel 1974, in dialogo con Simone de Beauvoir, la riflessione si apre sul problema della morale. In “L’esistenzialismo è un umanismo” si legge che alcuni filosofi laicisti ed atei hanno voluto togliere di mezzo Dio “con la minima spesa”. Invero l’uomo è “condannato alla libertà” perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa». La questione-Dio continua ad essere presente in molti scritti sartriani, da «L’Essere e il Nulla» al «11 diavolo e il buon Dio» («stupenda allegoria dell’ateismo militante»), ai «Quaderni per una morale»; perfino nella pièce «Bariona» scritta nel 1940 in campo di concentramento. Nel 1946, m un’intervista alla rivista II Politecnico spiega che anche l’ateismo è un rapporto con Dio, «inutile e dannoso: inutile perché non produce salvezza, dannoso perché comporta il sacrificio della libertà umana». In altri testi, Sartre si sofferma sui problemi dell’immortalità e sul paradosso kierkegaardiano della storicità e transistoricità di Cristo. «Siamo – sottolinea Invitto – davanti ad un ateismo non trionfante e glorioso, ma squilibrato ed insicuro». Le ultime discusse interviste concesse da Sartre a Le Nouvel Observateur costituiscono la continuità di un pensiero. «Potrà sorprendere – commenta Invitto – che l’ultimo Sartre riprenda categorie della tradizione cristiana come solidarietà e fraternità, ma questi temi sono reperibili lungo tutto il percorso teoretico sartriano. L’ateismo crea un vuoto che bisogna colmare: quello di una nuova etica “soggettiva” (non “individualistica”) nella quale i valori forti del singolo e della comunità siano fondati in un universo dove l’illusione trascendentale di essere “creatu re” di un Dio, pur nella sua ineliminabile erroneità, lascia in eredità all’uomo il compito di portare nella “histoire” una morale efficace».