Bresciaoggi, 9 maggio 2013
Un libro-intervista (“II Concilio Vaticano II tra speranza e realtà”, Editrice La Scuola, 2013) formato da sessantasette domande che la giornalista Annachiara Valle pone al teologo monsignor Giacomo Canobbio per spiegare il Concilio Vaticano II. E da altrettante risposte per aiutare la generazione venuta dopo a capire. Quattordici domande sono poste per ripercorrere l’origine del Concilio; diciotto per raccontare il travaglio che l’ha accompagnato; trentacinque per scandagliare la difficile eredità che due papi – Giovanni XXIII e Paolo VI – hanno consegnato a tutti gli uomini di buona volontà affinchè l’attuassero e la distribuissero, facendo nuova la Chiesa. La prima domanda si riferisce al «dove conviene partire», che l’intervistato stabilisce nello stupore suscitato dall’annuncio di un nuovo Concilio quando per molti – ecclesiastici e non – era evidente che, stabilita l’infallibilità pontifìcia (luglio 1871), non vi era più bisogno di indirne un altro, dato che il Papa poteva decidere tutto da sé; l’ultima è dedicata alla capacità dei poveri di convertire la Chiesa, a cui segue una risposta inquieta- «ipoveri sono quelli che stanno ancora oggi costruendo la Chiesa» -, che a sua volta interroga ed esige risposte convincenti. Il libro, che sarà presentato oggi alle 18.30 nella libreria San Paolo di via Gabriele Rosa dagli autori e dal vescovo della Diocesi di Brescia monsignor Luciano Monari, cinquant’anni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II, rilegge quei giorni e li illumina di nuovo sapere.
Monsignor Canobbio risponde alle domande sollecitandone a sua volta tante altre (non formulate, quindi affidate ad un “divenire”); chiarisce gli antefatti ed esamina i fatti che lo hanno permesso, circondato e seguito; rafforza l’idea di Giovanni XXIII (contenuta nel discorso pronunciato l’undici ottobre 1962, giorno dell’apertura del Concilio) secondo la quale «il compito dei sinodali non sarà quello di definire qualche particolare dottrina, ma di rendere comprensibile all’uomo contemporaneo la dottrina di sempre»; invita, se si vuole dare dignità e cittadinanza a ciò che è stato celebrato, «a vincere la paura, tornare ad aprire le finestre, come si fece allora»; conferma che «l’esperienza del Concilio Vaticano II è stata l’esperienza di un’autentica ricerca comune della Verità». Canobbio esamina prima tutto ciò che spinge Giovanni XXIII a pensare, proporre, indire e celebrare il Concilio, poi tutto quello che Paolo VI fa per portarlo a compimento. Emergono così gli scogli a cui s’aggrappano i “progressisti”, che vengono rimossi grazie al dialogo, il metodo che qualifica e domina l’intero Concilio, di cui i Padri convenuti a Roma danno prova giorno dopo giorno. Domande e risposte riprendono temi per molti versi non ancora del tutto chiariti. Ad esempio, quello racchiuso nella Conferenza di Medellin (che per molti significò il principio della “teologia della liberazione”), aperta dallo stesso Paolo VI nel 1968, da lui indicata non come «applicazione del Concilio all’America latina», piuttosto come «applicazione a quel Continente del metodo che i loro vescovi avevano imparato in Concilio»; oppure l’altro, che ipotizzando la sua presunta incompiutezza, dimentica che nessun Concilio, in particolare il Vaticano II, va ingessato, «semmai, si deve alimentare la discussione sulla recezione del Concilio, che non può essere sganciata dal Concilio come avvenimento. Il Vaticano II spiega monsignor Canobbio ha delineato un orientamento; la recezione del Concilio è un tirocinio mai finito».
Su ciò che del Concilio è rimasto «inattuato», il teologo dice che «non è inattuabile, si ha piuttosto paura di attuarlo». Il rischio, spiega Canobbio, «è di rimanere arroccati in “piccole fortezze” quando invece il Concilio offre l’immagine di una Chiesa capace di stare dentro la società per farla lievitare, per farla maturare, senza costruire barriere, restando città aperta». Chi può, allora, interpretare autenticamente il Concilio? «La Chiesa nel suo insieme», risponde monsignor Canobbio. E siccome la Chiesa siamo anche noi, a ciascuno è chiesto di raccontare il Concilio e di attualizzarlo imparando ad agire nella «corresponsabilità», sostituendo ai personalismi un proficuo «camminare insieme», arricchendo il dialogo e favorendo occasioni di confronto. Infine, le questioni irrisolte: quella della partecipazione delle donne alla vita della Chiesa; quella dei modelli a cui fare riferimento (Chiesa-sacramento, Chiesa-popolo di Dio, Chiesa-comunione); quella dei rapporti con gli ebrei; quella del dialogo (con tutti, con tutte le altre religioni); quella della povertà («sono i poveri i veri protagonisti della Chiesa e sono loro che insegnano a sperare») e della ricchezza («una delle critiche fondamentali che ancora oggi si rivolgono alla Chiesa è quella di essere ricca: forse non è vero, ma è ciò che molti, troppi, ancora percepiscono»).
Che cosa dirà il vescovo Monari a proposito di tutto questo? Qualche tempo fa, inaugurando il tempo delle unità pastorali, monsignor Luciano ha chiesto alla Diocesi di avere «il coraggio di camminare insieme condividendo il tanto e il poco posseduto, spezzando insieme il pane, affrontando insieme le difficoltà, rivestendosi di sobrietà e di speranza, distribuendo misericordia, vivendo il Vangelo». Il Concilio Vaticano II, che di tutto ciò si è alimentato, continua.