Corriere della Sera, 9 maggio 2013
Pubblichiamo di seguito un estratto dal terzo capitolo («Difficile eredità») del volume «Concilio Vaticano II tra speranza e realtà», libro-intervista di Annachiara Valle a monsignor Giacomo Canobbio (Editrice La Scuola).
Giustizia nel mondo, progresso dei popoli, povertà. Nel Concilio e nel post Concilio si è posta anche la questione di una Chiesa per i poveri o di una Chiesa povera. Oggi sembra che questo sia un dibattito non più attuale. E così?
«La questione di una Chiesa per i poveri ha perduto la sua valenza teorica in questo ultimo periodo perché di fatto in tutte le nazioni se c’è una istituzione che si preoccupa ancora dei poveri questa è la Chiesa. Se in Italia non ci fosse la Caritas, penso che la situazione sodale di molte famiglie, non solo degli immigrati, sarebbe insostenibile. Questo produce però qualche problema: lo Stato, le istituzioni civili m qualche modo scaricano sulla Chiesa il compito di assistere i poveri. Più seria l’altra questione: una Chiesa povera. Nel n. 8 della Lumen gentium c’è un passaggio rivoluzionario: «La Chiesa, benché abbia bisogno di mezzi per svolgere la sua missione, segue la via di Cristo che è quella della umiltà e della abnegazione». È il Concilio che lo dice, non un teologo fuori di testa. Cosa vuoi dire umiltà e abnegazione? Esattamente il contrario della ricerca della visibilità. Purtroppo la sensazione che si ha oggi da parte di alcuni critici è che la Chiesa voglia farsi riconoscere con le grandi manifestazioni pubbliche. Bisognerebbe verificare se questa tendenza corrisponda a quello che il Vaticano Ð ha indicato. Pare vi sia la tendenza a cavalcare la visibilità perché questa permetterebbe alle persone di percepire che la Chiesa c’è.
E sulla capacità dei poveri di convertire la Chiesa?
«Direi che i poveri sono quelli che stanno ancora oggi costruendo la Chiesa. La riflessione di Jon Sobrino in Salvador, pur con alcuni estremismi, andrebbe ripresa. Si tratta di una riflessione condivisa con il confratello Ignacio Ellacuria, il gesuita ammazzato a Salvador. A loro parere i poveri sono i veri protagonisti della Chiesa. Georges Bernanos, nel 1942, in piena guerra, diceva che i poveri sono quelli che custodiscono la speranza come le donne di Bruges custodiscono i segreti dei merletti che fabbricano, perché sono i poveri che insegnano a sperare, in quanto nella loro situazione di necessità sanno guardare al Salvatore, m ultima analisi, una Chiesa trionfalistica non fa sperare nel Salvatore e difficilmente riesce a penetrare nella vita delle persone povere. Non è un caso che una delle critiche fondamentali che ancora oggi si rivolgono alla Chiesa è quella della ricchezza. Forse non è vero, ma è ciò che molti, troppi, ancora percepiscono».