Bresciaoggi, 1 ottobre 2013
Stasera alle 20.45 nella Sala Bevilacqua in via Pace, 10 in città viene presentata “La Bibbia nella letteratura italiana”, ed. Morcelliana. Intervengono Pietro Gibellini, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Venezia, ideatore e curatore dell’opera e Carlo Carena, saggista e traduttore di classici greci e latini. L’incontro è promosso da CCDC, Morcelliana e Padri della Pace. Della poderosa opera dall’impianto corale, che ha coinvolto un folto gruppo di studiosi, sono già stati pubblicati quattro volumi; altri due sono in preparazione. Non si tratta di una storia della letteratura religiosa, ma di una storia religiosa della letteratura. Concepire e realizzare un disegno simile significa scalzare un pregiudizio laicista per risalire alle radici profonde della civiltà occidentale che non possono essere lette prescindendo dalla tradizione biblica e dalla religione cristiana; significa, inoltre, colmare l’aporìa tra verticalità divina e orizzontalità creaturale. Quando le belle favole antiche della mitologia si rivelarono inconsistenti, la religione cominciò a ispirare la letteratura. Ignorare l’incidenza e la frequenza di figure e di temi e religiosi nella nostra letteratura significa menomarla.
Il “Cantico” di Frate Francesco non è da leggersi forse come l’affermazione delle care creature contro l’eresia catara? I primi due capolavori della letteratura italiana sono il “Cantico” di Francesco e la lauda di Jacopone da Todi, il salmo volgare e il dramma-preghiera. La “Commedia” dantesca è intrisa di teologia. Le ragioni della fede spesso si accordano con le istanze sociali: non si può ignorare che l’idea del Purgatorio sia una grande conquista umanistica, oltre che cristiana: la facoltà di purificarsi per ascendere al bene è un buon viatico anche per la vita terrena. Il chierico Petrarca si dibatte tra le splendide vanitates – l’amore per Laura e la poesia – e la «Vergine bella», variante della dantesca «Vergine madre». Boccaccio si cimenta nella distinzione tra corruzione della Curia e verità di fede. L’antimedievalismo degli umanisti non è anticristiano: Pico esalta la dignità della persona umana, fatta a immagine di Dio. Il Rinascimento è anche età di un riaffermato impegno morale: Vittoria Colonna e Michelangelo avviano la spiritualizzazione delle “Rime” che culmina con Tasso; ma anche Machiavelli nel finale del “Principe” invoca il libero arbitrio come dote essenziale per il liberatore dell’Italia. Marino, apparentemente votato alla mitologia, in pieno Barocco compone le “Dicerie sacre sulla sacra Sindone” e la “Strage degli innocenti”. Metastasio compendia in quattro settenari una teologia tomistica e agostiniana: “Ovunque il guardo giro, / immenso Dio ti vedo, / nell’opre tue t’ammiro, / ti riconosco in me”. E Foscolo appoggia la Bibbia al capezzale di Jacopo Ortis.
Il Romanticismo italiano pervaso dalla fede coltiva con trasporto i temi sacri: pensiamo a Tommaseo, a Cesare Arici; a Manzoni soprattutto, autore degli “Inni sacri”.
Nemmeno nel secolo del nichilismo la vena del sacro si affievolisce: spogliata di ogni retorica, acquista nuova tensione e nuova intensità: si pensi a Betocchi, a Cristina Campo, a Luzi. Non esiste antinomia tra poesia e preghiera. La poesia è spesso già preghiera, in Dante come in Luzi.
Una poesia che non esaurisca la propria ispirazione entro l’orizzonte della quotidianità non può non riguardare il sacro.
L’attrice Giusi Turra leggerà alcuni testi.