Il mio intervento parte dall’esperienza di chiese che hanno da decenni un ministero femminile della Parola e da una sguardo storico su come le donne nel protestantesimo hanno cercato di avere spazi di predicazione, di lasciarsi interpellare dalla Scrittura e di interrogarla.
La figura biblica da cui vorrei partire è narrata in Giov 4: la Samaritana, tanto per cambiare nel Nuovo Testamento una donna senza nome. Eppure lei ci si presenta come persona che passa dall’essere muta ed emarginata al divenire pienamente autrice della storia: un’apostola. Il suo incontro con Gesù ricalca i passi di altri apostoli: l’incontro in cui viene detta una verità su di lei che la svela a se stessa – la conversione e la consapevolezza di sé – la testimonianza – la scomparsa per lasciar spazio a Cristo, come avviene anche con Filippo di fronte all’eunuco etiope in Atti 8.
Cosa la fa passare dal margine in cui è umiliata e muta a divenire un soggetto la cui parola è testimonianza efficace? Secondo alcuni teologi del Nuovo Testamento in questo cap. 4 di Giovanni abbiamo le tracce della prima apertura della chiesa fuori dai confini di Israele, in terra samaritana, con il ricordo della predicazione di una donna.
Questa donna incontra Gesù, che porta su di lei uno sguardo non giudicante, e questo le permette di vedere la sua realtà. Gesù infatti prende atto della realtà, si indigna, non contro le persone ma contro le ingiustizie sociali, contro l’emarginazione di cui lei è vittima. Tanto i discepoli quanto l’evangelista Giovanni hanno dei tratti di pregiudizio (il linguaggio impostato sul noi/voi, il silenzio giudicante dei discepoli di fronte al mettersi in gioco di Gesù con una straniera).
Gesù invece invita la donna e noi a cercare la propria fonte interiore, quella verità su di sé che sgorga nel rapporto con il divino.
Interessante per noi questo invito a cercare dentro di noi e non nella tradizione dei padri – nel pozzo di Giacobbe – in un contesto in cui manca alle donne un passato a cui far riferimento, o è stato cancellato, o è così interno al patriarcato da non poter essere usato (per es. la figura di Debora che guida un esercito in guerra: figura di autorità che possiamo riprendere solo con un forte sguardo critico dettato da una opzione non violenta che rivendichiamo come scelta politica).
Vi sono state predicatrici durante la Riforma protestante, che hanno cercato di rifarsi a modelli biblici, ma si sono trovate di fronte a un muro data l’ingiunzione al silenzio che si trova nelle lettere del Nuovo Testamento. Caterina Zell, di Strasburgo, afferma infatti a un certo punto che piuttosto che tacere vorrà essere come l’asina di Balaam, a cui Dio stesso dà la parola.
Ma ciò che ha cambiato le chiese e la teologia sono stati, insieme alla parola, i corpi e la presenza delle donne. Dato che le vite che le donne hanno arrischiato nelle chiese protestanti non rientravano più nei modelli biblici si è sviluppata una ricerca silenziosa di altre ‘madri’, anche di quelle trasgressive e cancellate.
Nelle chiese poi, anche dopo l’accesso delle donne ai ministeri, si è sempre esposte al rischio dell’essenzialismo, di essere richiuse o di rinchiudersi da sole dentro gli stereotipi femminili: cura, famiglia, nutrimento – immagini del ministero pastorale delle donne, e non attribuite agli uomini.
Al contrario un’analisi di genere ci spinge a cercare di vedere come le definizioni e gli stereotipi sono utilizzati per ridistribuire il potere.
Fin dall’inizio della Riforma si è capito che non ci sono ragioni bibliche o teologiche per rifiutare il ministero femminile della Parola o l’amministrazione dei sacramenti da parte delle donne. Eppure le prime donne che predicavano sono state ignorate e spinte nel silenzio e si è dovuti arrivare al 1800 per avere i primi accessi di donne al pastorato.
La Samaritana non ha un nome, ma lascia una traccia forte nella trasformazione del mondo, nella conversione di una intera regione, e quel dono della parola sulla fonte d’acqua viva. Come spesso accade nell’incontro fra Gesù e una donna il loro incontro si risolve nell’apertura dei confini e dei limiti del movimento intorno a Gesù. Allo stesso modo il ministero femminile ha rotto ogni sorta di confine nelle chiese e ha spinto a ridefinire anche il senso dell’appartenenza religiosa per l’oggi. (testo della conversazione tenuta a Brescia il 24.2.2013 su invito della Ccdc)