Vivo e lavoro a Bruxelles da 24 anni dunque lontano da Brescia da molto tempo, il vostro invito è il segno che nonostante la distanza ed il tempo, il legame e l’amicizia sono rimasti forti e di questo ringrazio di cuore gli organizzatori.
Premetto anche che non parlerò di Brescia, ma cercherò di portare la mia lettura ed i miei commenti alla nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, sulla base della mia esperienza di lavoro all’interno degli organismi europei delle cooperative.
Lo farò con un commento sull’importanza della nota e successivamente sviluppando brevemente alcune riflessione su tre punti:
· La crisi non è solo finanziaria ma anche etica e della mentalità;
· L’attenzione allo strumento cooperativo che giunge dalle organizzazioni internazionali;
· La possibile risposta alla crisi che potrà venire dalla costruzione di regole condivise a partire dall’Europa.
Ed infine qualche riflessione conclusiva.
1 – Alcune caratteristiche interessanti della nota
È interessante mettere in evidenza la tempistica della nota, che è stata diffusa a qualche giorno dall’incontro del G20 di Cannes del 3-4 novembre 2011. Questo ha dimostrato che la Chiesa , nelle sue più alte istanze è in grado di prendere parte attiva ai dibattiti importanti del momento e offrire il suo particolare contributo.
In secondo luogo non si tratta di un documento di circostanza, ma di un arricchimento sostanziale dell’insegnamento sociale della Chiesa, che integra e completa, sugli aspetti propriamente finanziari dell’economia moderna, quanto è presente nelle encicliche sociali.
La nota si esprime chiaramente sugli effetti devastanti delle dottrine liberali, senza regole e senza controlli, che hanno dominato gli ultimi 20 anni del secolo scorso, fa un forte richiamo all’obiettivo del bene comune e dell’esigenza della solidarietà, che sono compiti propri della politica e che esige che le attività finanziarie siano regolate.
Vengono proposte anche tre misure concrete:
-una tassazione sulle transazioni finanziarie;
-la ricapitalizzazione della banche che non può avvenire senza condizioni;
-il ristabilimento della distinzione tra le banche di credito ordinario a famiglie e imprese dalle banche di investimento.
Queste sono tutte misure che sono dibattute dagli esperti e dai movimenti sociali da diverso tempo, un esempio su tutti è quello della tassazione delle transazioni finanziarie, che ha visto in particolare l’organizzazione ATTAC (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l’aiuto ai cittadini) lanciata nel dicembre 1997 da Ignacio Ramonet, direttore di “Le Monde diplomatique” in un editoriale pubblicato dal mensile francese e intitolato “Disarmare i mercati”, [1] oltre che numerose associazioni cattoliche.
L’idea che sembrava “utopia altermondialista” della tassazione sulle transazioni finanziarie oggi è sostenuta anche dalla Merkel, in effetti 11 paesi dell’UE hanno approvato nel gennaio 2013 un progetto che va in questo senso.
Probabilmente la novità più interessante è che il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace fa suo e prende parte ad un dibattito che è nel pieno di vivaci scambi e prese di posizione. Questo può aver creato stupore a chi immagina che la Chiesa debba sostenere solo posizioni consensuali o quelle di cui ha la paternità.[2]
Infine un’altro elemento di forte interesse è quanto richiamato anche nel titolo e che spesso è un aspetto non conosciuto della Dottrina Sociale della Chiesa, il richiamo ad “un’autorità pubblica a competenza universale”, mentre è già stato formulato da Giovanni XXIII dal 1963nella Pacem in Terris[3], molto prima che si parlasse di mondializzazione, e poi ripreso dal Concilio Vaticano II e da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate[4]. Si invoca un’ “autorità sopranazionale che deve essere strutturata in modo realistico e resa operativa progressivamente” nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Si rifiuta di ridurre questo obiettivo al rango di pura utopia, considerando anche che l’attuale crisi finanziaria gli dà una nuova rilevanza e pertinenza e che il “governo della globalizzazione “dovrebbe passare, prima o poi, attraverso la creazione di un’istanza di governance finanziaria internazionale, che dovrà darsi come strumento una” banca centrale mondiale”.
Nel contesto attuale, segnato da forti tentazioni di ripiegamento su egoismi di categoria e dalla recrudescenza delle ideologie nazionaliste o anche xenofobe, è bene che la Chiesa ripeta ai cristiani come “il bene comune universale”, quello dell’intera “famiglia umana” deve sempre prevalere sugli interessi individuali o nazionali.
Fissare lo sguardo sull’orizzonte ancora distante dell’ ”autorità pubblica a competenza universale”, è dare una prospettiva al dibattito –alle sfide –che siamo chiamati a prendere sul serio, giorno dopo giorno, è quanto esige la pace e la giustizia.
Nel frattempo sembrano dimenticati i motivi e le responsabilità dell’innesco della crisi. Serve ancora molta vigilanza perché pare che la lezione, pur con tutte le pesantissime conseguenze per le nostre società, non sia bastata a far cambiare il paradigma. Non si può ammettere che passata la tempesta si torni a fare “business as usual”.
2 – La crisi finanziaria ha rivelato anche una profonda crisi etica, aggiungerei anche spirituale, si è stabilita una errata gerarchia di valori. C’è stata anche una finanziarizzazione delle mentalità, la finanza ha occupato le menti, gli spiriti.
A fianco dello sviluppo della finanza – visibile e misurabile c’è in effetti un altro cambiamento, più diffuso e dunque più difficile da definire e percepire, che ha toccato la mentalità ed i valori.
È difficile stabilire delle causalità forti tra queste due dinamiche:tangibile e quantificabile la prima; più diffusa e qualitativa la seconda, ma che si completano in un unico e solo percorso che ha portato alla finanziarizzazione.
Penso sia utile e urgente interrogarsi sulla dimensione antropologica ed etica di questa evoluzione. Anche la nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace si esprime chiaramente sugli effetti devastanti che hanno dominato l’ultimo scorcio del XX secolo e l’inizio dell’attuale. Periodo nel quale il pensiero unico economico, la visione capitalistica e finanziaria dell’impresa ha occupato la cultura dominante del mondo occidentale e non solo. Ha occupato le università ed i luoghi della formazione, dove si insegna quasi esclusivamente finanza e management dell’impresa capitalistica e si fa ricerca solo su di essa.
I media trattano con costanza di finanza speculativa, la borsa sembra il centro del mondo,i governi, le organizzazioni economiche internazionali, l’opinione pubblica sembrano soggiogati da questa visione. C’è dunque un enorme problema di cultura, di educazione, di formazione.
3 – Ma va sottolineato anche che in questo contesto vi è un recente elemento di attualità che ha portato una considerazione più attenta al tema della biodiversità imprenditoriale.
Faccio riferimento all’anno 2012 che ha visto il movimento cooperativo al centro dell’attenzione internazionale, impegnato a celebrare l’anno che l’Organizzazione delle Nazioni Unite gli ha dedicato.
L’ONU che anche nella nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace viene identificato come logico punto di riferimento per un processo di riforma per la costituzione di una Autorità pubblica a competenza universale.
“La decisione di dedicare il 2012 alle cooperative è stata presa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2009, quando la crisi economica globale stava cominciando a dispiegare i propri effetti. La scelta dell’ONU esprime anche la consapevolezza che a entrare in crisi è stato il modello di sviluppo economico basato sulla logica della massimizzazione del profitto, e che dunque è urgente trovare alternative più equilibrate che sappiano conciliare economia e società.”[5]
L’elemento che è emerso con forza in questi anni a livello globale è la capacità delle cooperative di fronteggiare la crisi economica, la loro resilienza . Essa è attestata da ricerche dell’Organizzazione internazionale del lavoro [6]e da documenti delle istituzioni europee [7]oltre che da studi del movimento cooperativo stesso. [8]
Secondo Felice Scalvini[9] le motivazioni di questa resilienza sono «sostanzialmente tre, tra loro connesse e interdipendenti: una struttura proprietaria non fondata sul capitale, ma sul fatto di essere di volta in volta clienti, lavoratori, fornitori, utenti della cooperativa; la governance democratica e partecipata che ne discende; la vocazione a mettere in campo, strutturalmente, meccanismi di solidarietà dentro l’impresa e tra le imprese»[10].
Nel nostro Paese un riconoscimento importante è giunto dal primo rapporto CENSIS sulle cooperative italiane, nel quale, in consonanza con quanto afferma la letteratura internazionale sul tema della resilienza delle cooperative, si legge: «quello che in un momento critico di passaggio come l’attuale appare il tratto davvero distintivo della cooperazione italiana è la capacità che questa ha mostrato negli ultimi anni non solo di garantire la tenuta occupazionale ma di continuare a costituire un bacino prezioso e per certi versi unico di nuove opportunità di lavoro» [11].
I dati sul sistema delle cooperative dimostrano una straordinaria capacità di tenuta di fronte alla crisi e indicano come l’esperienza cooperativa possa rappresentare, per l’Italia e non solo, una risorsa in vista della ripresa e soprattutto dell’elaborazione di un modello economico e sociale alternativo a quello che ha generato la crisi. I dati e le ricerche indicano anche che questa risorsa resta fragile e quindi ha bisogno di tutela per dispiegare tutte le potenzialità di cui è portatrice.
4 – Nella nota è richiamata anche la necessità di un “corpus minimo” di regole condivise.
In effetti oggi percepiamo una sorta di perenne instabilità che crea incertezze e paure, anche perché alimenta la preoccupazione che il mondo proceda senza regole, in una globalizzazione priva di governance.
Le strutture di controllo globale organizzate sotto la leadership indiscussa degli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale sono ormai indebolite ed hanno perso potere e credibilità. Parliamo dell’Onu, di quel che fu Bretton Woods, della Nato, cioè delle tre colonne portanti dello sviluppo del dopoguerra, ma anche delle organizzazioni internazionali, dal G7 al G8 al G20 e di quelle, non sufficientemente efficienti, relative al clima, alla salute e al commercio.
Poi c’è l’Europa. Debole, instabile, incerta sulla rotta da intraprendere. Ma se è vero che l’Europa, come unione politica, è da completare, è anche indubbio che in questo momento essa costituisca l’unica realtà del mondo globalizzato nella quale esistono regole e strutture di un ordinamento giuridico. E se è altresì vero che il rigore finora imposto – l’austerità – ha aumentato le diseguaglianze, è solo dall’Europa che oggi può venire un cambiamento verso una politica di stimolo alla crescita e di lotta alle diseguaglianze. È dall’Europa che può prendere avvio la globalizzazione regolamentata.
Ed in Europa si stanno già scrivendo anche le regole della nuova finanza. Le norme di Basilea 3 dal primo gennaio di quest’anno sono una realtà. È opportuno ricordare a questo proposito un inedito e efficace lavoro di squadra di ABI, Confindustria, Alleanza delle Cooperative Italiane, Reteimprese Italia,che ha ottenuto l’inserimento di un coefficiente correttivo che eviti alle PMI di essere penalizzate per la concessione di prestiti quando si trovano in situazioni di capitalizzazione inferiore a quanto richiesto dalle nuove regole.
Si è praticamente concluso un passaggio epocale con l’approvazione dei tre pilastri dell’Unione Bancaria (vigilanza consolidata, sistema di risoluzione delle crisi e sistema di protezione dei depositi) e che ora si stanno rapidamente stabilizzando.
A questo riguardo, va sottolineato che c’è stato un intenso lavoro della rappresentanza delle Banche di Credito Cooperativo per proporre alcuni temi ai regolatori. In primo luogo un tema di proporzionalità: le regole, per essere eque, non debbono essere uguali. Perché fare misure uguali per soggetti diversi è, all’opposto, iniquità. È stato posto poi anche un problema di opportunità e gradualità, perché deve esserci un rapporto costo-beneficio anche relativo alle normative.
Nonostante alcuni imprescindibili presidi di rispetto della proporzionalità inseriti nella Direttiva proposta dalla Commissione grazie al lavoro del Parlamento Europeo, sembra prevalere sempre la logica della “taglia unica” (one size fits all), sottoponendo tutti gli operatori alle stesse regole senza alcuna considerazione della loro dimensione, «come se un piccolo impianto fotovoltaico dovesse avere le stesse misure di sicurezza di una centrale nucleare solo perché ambedue producono energia»[12].
Il rischio è che la legislazione comunitaria perda di vista il valore della “biodiversità” nel settore del credito e che proprio quegli istituti che si sono rivelati più resistenti nella crisi, che disponevano di schemi di protezione istituzionali della propria stabilità e che hanno continuato a concedere credito a famiglie e piccole e medie imprese, siano penalizzati da una normativa pensata per limitare le rischiose attività delle grandi banche “sistemiche”.
È importante lavorare per un’Europa che sia veramente più vicina ai cittadini, più che cha a delle strutture. E poiché l’uscita da questa crisi passerà necessariamente per l’Europa dobbiamo contrastare con convinzione le provocazioni antieuropee dietro gli scetticismi nei confronti dell’Ue e della moneta unica. Sono tentazioni figlie di un vuoto populismo e di un distruttivo cinismo.
5 – La crisi ci ha insegnato una lezione fondamentale che la finanza deve essere uno strumento. Come tale, essa può essere indirizzata bene o male. C’è un “cattivo utilizzo” della finanza che danneggia l’economia reale e c’è un buon utilizzo che ne fa strumento “per la miglior produzione della ricchezza e dello sviluppo”, in questa seconda accezione la finanza può svolgere un ruolo fondamentale a servizio dell’attività economica, del bene comune della società e nella costruzione di un futuro plurale e partecipato.
Ma non esistono mercati senza regole, l’assenza di un autentico governo della finanza e dell’economia mondiale a causa dell’indebolimento delle strutture finanziarie internazionali, il rischio fortissimo di un ritorno “alle vecchie abitudini”, mantengono di grande attualità la nota del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, anche per la necessità
anche per la necessità di ritrovare il primato dello spirituale e dell’etica e, nello stesso tempo della politica – responsabile del bene comune – sull’economia e la finanza.
E questo ce l’ha ricordato molto chiaramente anche papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium: “No all’economia dell’esclusione, No alla nuova idolatria del denaro, No a un denaro che governa invece di servire, No all’iniquità che genera violenza”.
NOTA: testo, rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 10.5.2014 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e altre realtà. Per le note vedere il formato in PDF.