Corriere della Sera, 9 dicembre 2014.
Se non vogliamo leggere il diario esclusivamente come opera letteraria, né come un documento di rilevanza storica, allora la domanda è: quale senso possiamo dare alle sue parole settant’anni dopo? Proporrei una risposta tra le molte possibili.
Etty Hillesum afferma il suo credo negli uomini, nonostante tutte le atrocità da loro commesse durante quegli anni di guerra, anche. Non si stancò mai di ripetere che le persone non avrebbero dovuto odiarsi a vicenda ma, al contrario, si sarebbe dovuto lavorare per eliminare l’odio nel mondo o, almeno, per tentare di mitigarlo. Questa convinzione irenica suscitò delle reazioni negative già durante la sua vita ma anche oggi, dopo la pubblicazione dei suoi diari, rimane per alcuni lettori un aspetto difficilmente comprensibile.
Etty Hillesum si oppose alla coltivazione di un immagine del nemico, di cui intuiva le importanti conseguenze. L’idea che vede nel singolo individuo il nemico del suo simile sta alla base di ogni conflitto armato. La guerra in Bosnia ne è un esempio straziante. Fino al 1992, i diversi gruppi etnici che formavano l’insieme della popolazione (croati cattolici, serbi ortodossi, bosniaci musulmani ed ebrei), avevano vissuto in pace. Dopo la disintegrazione della Jugoslavia le popolazioni si sono trovate coinvolte in una spirale di violenza, odio e terrore, il tutto basato sulla convinzione della reciproca ostilità. E ora, finita la guerra, quelle stesse popolazioni sono chiamate a collaborare per ricostruire la propria vita e il proprio paese.
Rinunciare all’animosità non significa certamente rinunciare a combattere il male con tutti i mezzi. Ma è il sistema, e non l’individuo, che va combattuto. Pensando a quanto l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 abbia risvegliato l’ostilità dell’Occidente, è interessante notare come la pagina del diario del 23 settembre 1942 sia tornata a essere estremamente attuale. Per me questo passo è particolarmente significativo perché è indirizzato a mio padre, con il quale condivido il nome:
Klaas, volevo solo dire questo: abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi. E non ci siamo nemmeno quando dico che esistono carnefici e persone malvagie anche tra noi. In fondo, non credo affatto nelle cosiddette «persone malvagie». Vorrei poter raggiungere le paure di quell’uomo e scoprirne la causa, vorrei ricacciarlo nei suoi territori interiori, Klaas, è l’unica cosa che possiamo fare di questi tempi.
Allora Klaas ha fatto un gesto stanco e scoraggiato e ha detto: Ma quel che vuoi tu richiede tanto tempo, e ce l’abbiamo forse?
Ho risposto: Ma a quel che vuoi tu si lavora da duemila anni della nostra era cristiana, senza contare le molte migliaia di anni in cui esisteva già un’umanità – e che cosa pensi del risultato, se è lecito chiedertelo? …. Convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo a questo mondo lo rende ancora più inospitale.
E Klaas, vecchio e indomabile militante di classe, ha replicato sorpreso e sconcertato insieme: Sì, ma… ma questo sarebbe di nuovo cristianesimo!
E io, divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma: Certo, cristianesimo – e perché no poi?
Ma come possiamo eliminare l’odio dai nostri cuori, avendo tanti motivi per odiare? L’unica soluzione individuata da Etty Hillesum stava nel cercare la risposta nell’amore, come indica il passo che proponiamo qui, che sembra tratto da un libro dei nostri giorni avente per argomento la gestione di un modo di vivere ma che, invece, fu scritto nella notte del 20 giugno 1942, alle dodici e mezzo:
Per umiliare qualcuno si dev’essere in due: colui che umilia e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione capace di angosciare l’anima. Si deve insegnarlo agli Ebrei. Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano di percorrere le strade verso la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento ma a privarci delle nostre forze migliori, col nostro atteggiamento sbagliato, siamo noi stessi: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo, ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: a derubarci da soli siamo soprattutto noi stessi. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. … Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dell’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. Eppure è l’unica soluzione possibile.
“Credo in Dio e negli uomini.” Questo è il risultato finale della ricerca spirituale intrapresa da Etty Hillesum durante gli anni della guerra. Un credo che dimostra come la sua spiritualità non costituisse solo un cammino verso la propria interiorità più profonda ma come la fede in Dio segua anche il percorso inverso, dall’interiorità al mondo esterno. Il rivolgersi verso il sé diventa in tal modo un impegno nei confronti del prossimo. L’incontro con Dio, per lei, era indissolubilmente legato alla ricerca di Dio nei suoi simili, negli individui, malgrado le nostre scelte privilegino sovente l’odio sull’amore, la guerra sulla pace.
Nonostante ciò che visse quotidianamente, la Hillesum non venne meno al suo credo: in Dio e negli uomini. Un credo che, avendo costei affidato i suoi diari a mio padre, Klaas Smelik, è ormai da decenni a disposizione dei lettori di tutto il mondo. E ciò soddisfa il suo desiderio di diventare utile ai posteri:
Mi piacerebbe vivere a lungo per riuscire a spiegarlo, e se questo non mi sarà concesso, bene, qualcun altro lo spiegherà al posto mio, e colui continuerà a vivere la mia vita dove è rimasta interrotta e perciò debbo viverla meglio, in ogni suo aspetto e con la massima convinzione sino all’ultimo respiro, in maniera che quanti mi succederanno non dovranno più ricominciare tutto daccapo né superare le mie stesse difficoltà. Non è qualcosa fatto per i posteri anche questo?
Questo tema basta per sottolineare come questa donna ebrea seppe dare forma alla sua dignità e identitità,in un’epoca in cui si fece di tutto per eliminarli. Ed è per questo motivo che le generazioni dopo di lei si ispirano alla sua opera e al suo pensiero.