Lunedì 15 gennaio 2018 alle ore 20,45 Vittorio Robbiati Bendaud, della comunità ebraica di Milano, e il vescovo di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada, hanno presentato insieme il Libro delle lamentazioni nel salone Bevilacqua (via Pace 10).
L’occasione dell’incontro è stata offerta dalla 29° giornata di approfondimento e sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Questa iniziativa promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana prosegue da anni con l’appoggio dell’Assemblea Rabbinica Italiana.
Vittorio Robiati Bendaud è studioso e membro del consiglio direttivo dell’Amicizia Ebraico-Cristiana di Milano “Carlo Maria Martini”. Ha collaborato per anni con il Prof. Rav Giuseppe Laras, coordina le attività della Fondazione Maimonide e del Tribunale Rabbinico. Docente presso la Facoltà di Teologia di Lugano, è impegnato da circa un decennio e a più livelli nel dialogo ebraico-cristiano.
Per leggere il Sussidio integrale della giornata, si rimanda a questo link:https://ecumenismo.chiesacattolica.it/2017/11/24/il-libro-delle-lamentazioni-dalle-cinque-meghillot/
“Il 31 agosto 2017 papa Francesco ha ricevuto una delegazione di Rabbini Ortodossi provenienti dall’Europa (Conference of European Rabbis), dagli USA (Rabbinical Council of America) e da Israele (Chief Rabbinate of Israel), che gli hanno consegnato un documento, “Between Jerusalem and Rome. Reflections on 50 years of Nostra Aetate”, che recepisce il cammino fatto dalla Chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II fino ad oggi. È la prima volta che un gruppo così rappresentativo di rabbini ortodossi scrive un documento di questo genere, in cui riflettono su quanto la nostra Chiesa ha fatto in questi ormai più di 50 anni. Infatti il Concilio con la Dichiarazione Nostra Aetate ha messo in moto un processo di comprensione nuova dell’ebraismo da parte della Chiesa. Al n.4 della Dichiarazione conciliare si riconosce la comune paternità abramitica, il valore perenne delle Sacre Scritture ebraiche per la nostra fede, e soprattutto che “gli ebrei, a causa dei Padri, rimangono ancora amati da Dio, i cui doni e la cui chiamata sono irrevocabili”. È quanto ripeterà Giovanni Paolo II nel 1982 nella Sinagoga di Mainz, quando parlerà dell’“alleanza mai revocata” di Dio con Israele, affermazione ormai recepita come fondamentale nella riflessione della nostra Chiesa sull’ebraismo. Dopo la Nostra Aetate diversi documenti ufficiali della Chiesa cattolica hanno approfondito quanto affermato dalla Dichiarazione conciliare, che rimane comunque un testo in cui la Chiesa riflette sulla sua relazione con le diverse religioni, sebbene originariamente il documento avesse in programma di parlare solo del rapporto ebraico-cristiano. Ricordo, ad opera della Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, i “Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell’ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica” del 1985, “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah” del 1998. La Pontificia Commissione Biblica pubblica nel 2001 un testo interessante (“Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana”), ancora poco conosciuto e utilizzato anche da esegeti e teologi, in cui viene rivisitata la lettura cristiana delle Scritture Ebraiche, superando quell’idea di “sostituzione” ancora così comune. Infine, nel 2015, ancora la Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo dà alla luce un testo che vuole in qualche modo presentare il processo di ricomprensione del rapporto ebraico cristiano avvenuto nella nostra Chiesa dalla Nostra Aetate ad oggi: “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50° anniversario della Nostra Aetate (N. 4)”. Non si possono certo dimenticare le visite e i gesti dei pontefici, a cominciare dalla storica visita di Giovanni Paolo II al Tempio Maggiore di Roma del 1986, poi seguita da quelle di Benedetto XVI e di Francesco, oltre ai pellegrinaggi in Terra Santa con la visita al Muro occidentale e a Yad vaShem. La dichiarazione presentata a papa Francesco assume un valore del tutto particolare e in qualche modo rappresenta una svolta storica, soprattutto perché elaborata da rabbini ortodossi. Essa si articola in tre parti, introdotte da un “Preambolo”, in cui non poteva mancare un riferimento alla storia di opposizione, persecuzione, antisemitismo, con la terribile tragedia della Shoà. Senza memoria del passato, quando gli ebrei erano accusati di deicidio, perché a loro si attribuiva la causa della morte di Gesù, e quindi disprezzati e perseguitati, non si può capire né la storia degli ebrei né la riflessione che la Chiesa cattolica ha compiuto in questi anni. La seconda parte (Turnaround-Nostra Aetate), ripercorre il cammino che la Chiesa ha compiuto verso l’ebraismo, da Giovanni XXIII a Francesco, attraverso documenti e gesti che hanno rivoluzionato il rapporto dei cattolici con gli ebrei. Nelle terza parte (Evaluation and Reevaluation) si accenna alla fatica per l’ebraismo ortodosso a comprendere il cambiamento avvenuto nell’atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei, ma insieme si accenna ai dialoghi ufficiali già in corso tra organismi ebraici e cattolici (IJCIC), alla commissione bilaterale Santa Sede-Gran Rabbinato di Israele e all’apertura delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato di Israele. Non si nascondono le differenze profonde a livello teologico, tanto da affermare che un dialogo teologico non è possibile. Ma queste differenze dottrinali “non impediscono una pacifica collaborazione per il bene del mondo che condividiamo e la vita dei figli di Noè”. L’ultima parte offre alcune prospettive (The road forward). Si ricorda come uno dei compiti di ebrei e cristiani è garantire la libertà religiosa, combattere l’antisemitismo, come ogni forma di violenza in nome della religione (si menzionano i cristiani perseguitati e il terrorismo di matrice islamica). Infine, il testo afferma: “Nonostante le profonde differenze teologiche, cattolici ed ebrei condividono una fede comune nell’origine divina della Torà e in una redenzione finale, e ora, anche, nell’affermazione che le religioni debbano usare il comportamento morale e l’educazione spirituale – senza ricorso alla guerra, alla coercizione e alle pressioni indebite – per influenzare ed ispirare”. Concludo con due osservazioni. L’ebraismo ortodosso con questa dichiarazione si impegna, in qualche modo ufficialmente, a far conoscere al suo interno il nuovo atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei. D’altra parte i cattolici dovrebbero riflettere in quale misura sono a conoscenza dei documenti che la Chiesa nel suo magistero ha prodotto perché l’antisemitismo e l’antisionismo fossero definitivamente archiviati nella sua teologia, nel suo insegnamento, nella preghiera, e anche nella vita quotidiana e nel linguaggio dei suoi membri. Ancora oggi dobbiamo assistere a commenti, espressioni, atteggiamenti, anche di cristiani, che non vanno nella direzione su cui il magistero cattolico ci ha posti definitivamente. L’auspicio è che tutti, dagli esegeti ai teologi, dai catechisti agli insegnanti di religione cattolica, dai sacerdoti ai singoli fedeli laici, promuovano una conoscenza maggiore di quanto la Chiesa cattolica ci ha offerto in questi cinquant’anni, perché senza mutua conoscenza non ci può essere dialogo, e senza dialogo la convivenza diventa difficile, se non impossibile. Solo il dialogo è via alla pace”.
Ambrogio Spreafico, Presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo
L’iniziativa è stata promossa dall’Ufficio diocesano per l’ecumenismo, dai Padri della Pace e dalla Cooperativa cattolico-democratica di cultura