Alle origini della Resistenza bresciana (settembre 1943 – gennaio 1944)[1]
Un giornale scompare, un altro ne nasce.
La piccola redazione di Brescia Libera chiude i battenti e passa le consegne.
Momento di bilancio, di sosta prima del nuovo slancio […]
I nostri martiri chiudono un’epoca. Quella della speranze immediate, quella del primo entusiasmo. Quando si vide veramente (o forse solo ci parve?) la città nostra andare a più sana vita […], ergersi a baluardo di dignità e libertà. Quando a tutti sembrava (o forse noi soli fummo a illuderci?) unica la meta e fraterna la lotta.
Oggi noi, i superstiti, nel nome dei morti più vivi dei vivi, gridiamo la nostra volontà di lotta, affermiamo la nostra esistenza, proclamiamo l’inesorabile e vitale necessità della nostra rivolta.
(Dal ribelle n. 2 26 marzo 1944)
Inizio con questo testo tratto dal n. 2 del ribelle del 26 marzo1944 che si pone alla fine di una grave crisi del movimento bresciano e pagata duramente, dalla quale partirà una storia diversa.
Parto da una breve premessa per poi, in sintesi, delineare le caratteristiche della Resistenza bresciana dal suo sorgere fino marzo del 1944, ricorrendo anche alla documentazione di parte tedesca e fascista, particolarmente importante a questo riguardo.
Premessa
Olivelli non si ferma a Brescia che per pochissimo tempo, dall’11 al 22 novembre del 1943, per poi recarsi a Milano, da dove ha il compito di tenere i contatti con Brescia e Cremona in un’attività incessante, di collegamento che dura fino al suo arresto.
Così ne scrive sui suoi “Diari” don Carlo Comensoli:
Vengono due dalla Valle di Corteno ma non sono di Corteno- mi mostrano le immagini di riconoscimento (la pietà). Uno è il generale Masini (Fiori) e l’altro è Teresio Olivelli- Portano stampa. Olivelli ha un occhio di intelligenza, bontà e purezza, mi raccomanda assai la diffusione delle idee sociali cristiane.
Si informano sulla situazione della Valle- esortano a sperare e a continuare. Ripartono in bicicletta- risalgono la Valle- faranno il Tonale- la valle del Sole, di Non per portarsi a Trento. Io li ammiro e li accompagno con auguri e preghiere. (p. 111 14.3.44)
Il rapporto con gli esponenti delle Fiamme Verdi (Claudio Sartori, Alberto Caracciolo, Romeo Crippa, Enzo Petrini, Astolfo Lunardi, tra gli altri) che collaboreranno con lui nella fondazione del ribelle e ne proseguiranno la pubblicazione va letto in una duplice interazione: da un lato il ruolo intellettuale di Olivelli, che influenza i bresciani, e dall’altro la presenza di un mondo cattolico già pronto alla resistenza nelle forme che si manifesteranno.
Per parlare delle origini della Resistenza bresciana ricorro ad alcune parole chiave.
1. Precocità
Le forme di resistenza iniziano molto presto (le ragioni che ora posso solo sintetizzare stanno in molte particolarità del mondo cattolico bresciano e nella forza dei circoli e degli oratori che, nonostante la loro chiusura nel 1931, nei modi più diversi non abbandonarono l’educazione civile e morale dei giovani), ma con difficoltà, infatti organizzare il movimento è estremamente complesso. In quei primi momenti l’attività svolta fu non raramente casuale, caratterizzata da molta generosità e desiderio di azione, ma anche da pericolosa improvvisazione e inesperienza. Insomma la prima impressione sul nascente movimento partigiano che emerge ad un’analisi generale è quella di un fermento attivo, ma confuso e disordinato, spontaneistico, tale che non poteva, di lì a poco che essere soggetto a una dura repressione.
Nel corso del settembre 1943 il numero dei “ribelli”, come si definivano, o di “banditi”, come erano più comunemente apostrofati dalla stampa e dalla propaganda fascista, che si erano radunati nei vari gruppi non era irrilevante, ma non raggiungeva le migliaia di unità di cui favoleggiavano alcune relazioni dei fascisti:
A seguito dell’occupazione germanica della provincia, e di quelle limitrofe, circa dieci-dodici mila ex militari che sono quasi tutti armati si sono dati alla macchia sulle montagne che circondano la città di Brescia; a questi sono da aggiungersi alcune centinaia di ex prigionieri britannici (soldati e graduati) fuggiti dal campo di concentramento di Vestone, e serbi (ufficiali) fuggiti da quello di Bogliaco, in comune di Gargnano. Infine, si sono uniti ai predetti molti degli elementi antifascisti, antinazionali, fuggiti per paura di rappresaglie e di cattura da parte di autorità germaniche.
Di queste prime formazioni tra l’altro (sia perché si spostavano molto di frequente da una località all’altra, sia perché altrettanto di frequente si dividevano tra loro e costituivano nuovi nuclei, sia perché infine si scioglievano) non è sempre agevole seguire le vicende. La documentazione è infatti assai scarsa e la produzione memorialistica (questa invece assai abbondante) è quasi sempre generica, imprecisa e dunque poco affidabile.
2. Popolazione
Il 10 ottobre 1943, il Comando militare tedesco stese in questi termini la prima di numerose altre relazioni intorno agli orientamenti dell’opinione pubblica bresciana:
Le leggi e gli ordini del nuovo governo italiano qui non sono ancora noti. Il partito fascista non gode di un significativo prestigio fra il popolo ed ha poca iniziativa […] Sul territorio si trova un certo numero di ex soldati italiani e di prigionieri di guerra inglesi evasi. In parte si fermano nei villaggi, in parte vanno girovagando […]
Una banda forte di 30 uomini ha circondato una fabbrica d’armi della provincia di Brescia ed ha avuto la meglio sulle guardie, portando via un certo numero di armi. La guardia era fatta dai carabinieri. Dei carabinieri in generale ci si deve fidare poco”.
Quale rapporto si stabilisce tra ribelli e popolazione?
Si tratta certamente di un rapporto molto complesso, non leggibile solo attraverso le categorie dell’indifferenza o dell’appoggio senza alcun cedimento, esso invece è poco lineare, molto variabile, fu invece un rapporto dinamico, non acquisito e determinato una volta per tutte, sia nel senso della collaborazione che in quello dell’estraneità e caratterizzato dalle difficoltà di una gerra civile molto dura. Gli atteggiamenti, infatti, cambiarono, e di molto, col cambiare del contesto in cui certe vicende si svolsero; non solo, cambiarono persino a seconda dei tempi in cui esse accaddero.
3. I cattolici e gli altri
La massiccia presenza dei cattolici nella Resistenza costituisce la peculiarità del movimento di liberazione bresciano. Lo si vede in primo luogo nell’alto numero di presenze nelle formazioni partigiane.
Il vero e proprio inizio dell’attività organizzata risale all’ottobre del 1943, quando furono avviati i primi contatti per costituire una formazione ampia e unitaria che comprendesse tutti i gruppi che erano dispersi nel territorio bresciano.
Il processo fu relativamente breve, ma non fu unitario. Le “Fiamme Verdi” (il cui nome faceva riferimento alle mostrine, verdi appunto, degli alpini) non divennero infatti le formazioni di tutti i partigiani bresciani, come era intenzioni dei promotori. Solo alla fine di novembre e dopo molte riunioni venne steso un regolamento. Esso va giudicato più che uno strumento normativo e disciplinare come una sintesi delle convinzioni che le FF.VV. sentivano come proprie.
Rispetto al diffondersi delle formazioni FF.VV., a cui aderirono i cattolici, le formazioni organizzate dal Pci ebbero nella nostra provincia una nascita più difficile. Così come le forze antifasciste “intermedie”, se così si possono definire rispetto a quelle cattoliche e comuniste, riuscirono con fatica, soprattutto nei primi mesi, a trovare spazi e uomini per la loro azione. Così fu per il vecchio Partito socialista, che pure aveva alle spalle una lunga tradizione di lotta politica, oppure per il nuovo Partito d’Azione che, in contesti diversi da quello bresciano, si era ampiamente sviluppato e aveva dato origine alle formazioni GL.
4. Vicende
In primo luogo un’attività apparentemente semplice, cioè quella del trasferimento di gruppi di ex prigionieri in Svizzera, richiedeva invece la collaborazione attiva di molte persone, ad esempio di guide fidate che conoscevano gli itinerari e i pericoli del cammino. Attraverso questo lavoro, che proseguì anche dopo l’autunno e l’inverno del 1943, centinaia di inglesi, americani, slavi, provenienti dai campi di prigionia che si trovavano sul lago di Garda, a Vestone, in Valsabbia, furono condotti al sicuro in Svizzera. Se per loro questo viaggio significava la liberazione, ai partigiani delle montagne bresciane consentiva di eliminare una delle possibili cause di rastrellamenti nelle località in cui gli ex prigionieri si erano rifugiati e in cui non passavano inosservati.
Mi soffermo brevemente su tre vicende per così dire significative per le loro modalità che caratterizzarono la guerra partigiana: il rastrellamento, la rappresaglia, lo scontro armato.
a) Nei paesi montani più frequente è stato il passaggio, dopo l’8 settembre, di sbandati e di ex prigionieri di guerra. Esattamente al Passo del Gasso (a destra di Zone) è venuto accentrandosi nell’ottobre dell’anno scorso un assiduo [sic] numero di sbandati e di comunisti, che hanno formato una banda consistente di circa 400 o 500 uomini. Il dominio della valle sembrava incontrastato: infatti i partigiani scendevano a Marone, a Vello, a Sale Marasino compiendo atti di tutti i generi.
Il rastrellamento, che si svolse il 9 novembre 1943 nella zona di croce di Marone nei pressi del monte Guglielmo, divenne inevitabile e, nelle intenzioni di fascisti e tedeschi avrebbe dovuto troncare sul nascere il nascente movimento partigiano bresciano.
b) La rappresaglia di Piazza Rovetta a Brescia
Inseguito ad un attentato che avvenne il 12 novembre presso una caserma della Mvsn e causò un morto, ci fu una vera e propria rappresaglia in città. Tre persone, Arnaldo Dall’Angelo, Guglielmo Perinelli, Rolando Pezzagno, del tutto estranee a quanto era avvenuto furono uccise a sangue freddo.
c) La battaglia di Pratolungo
Nel dicembre del 1943 un gruppo di giovani al comando del col. Ferruccio Lorenzini si installò in alcune cascine, sopra Boario in Valcamonica. L’8 dicembre alcuni reparti della Gnr, probabilmente avvertiti da informatori, circondarono la zona e lo sorpresero. Nel combattimento che ne seguì cinque partigiani furono uccisi (Ivan e Stefano, russi, Alessandro Cavalli, Mario Voltolini e Enrico Stefani), tutti gli altri furono arrestati e imprigionati.
5. Stampa
L’attività propagandistica, che iniziò si può dire lo stesso giorno dell’armistizio, trovò un punto fermo con la pubblicazione del primo giornale clandestino bresciano, Brescia libera, stampato il 19 novembre 1943.
Nelle prime settimane dell’occupazione predominarono la produzione di fogli volanti, dattiloscritti o, più di sovente, ciclostilati, a causa della maggiore facilità di stesura e di distribuzione. In genere essi erano, naturalmente, intesi più a diffondere parole d’ordine e slogan piuttosto che a proporre riflessioni su temi generali e complessi.
Ciò non significa che i volantini non assumessero talvolta un particolare rilievo. Ne cito solo due, entrambi preparati a Brescia e firmati dal Cln, acquistano una particolare importanza.
Il primo, preparato per la ricorrenza del 4 novembre, insisteva su un comune convincimento: i patrioti avevano di fronte due nemici da combattere, vale a dire i tedeschi e i fascisti.
Il secondo conteneva l’invito ai giovani delle classi 1923, 1924 e 1925 perché non rispondessero al bando di richiamo alle armi emanato il 9 novembre
6. Violenza
Una tra le prime e più gravi questioni che si pose ai cattolici, ma non solo a loro, fu quella dell’uso delle armi in una guerra di cui era relativamente facile capire le motivazioni, ma assai più difficile in nome di queste combattere contro delle persone concrete. La scelta era rivoluzionaria: si trattava non solo di rifiutare l’obbedienza ad un’autorità di fatto e non certo di diritto come quella fascista, ma anche di impugnare contro di essa le armi. Non c’è da stupirsi se vi furono esitazioni e ripensamenti.
Su questi scottanti argomenti intervenne il giornale clandestino Brescia libera. In un breve articolo dal titolo Processo alla violenza, il 15 gennaio 1944, l’anonimo redattore non eluse il problema, ma lo affrontò di petto:
Ci può essere ancora qualcuno che non consideri come dolorosa, ma giusta e necessaria reazione, per legittima difesa, la punizione pubblica, per la strada di tutti, di qualcuno di coloro che hanno la responsabilità di avere gettato gran parte d’Italia in balìa dell’arbitrio e della violenza?
Questa riflessione certamente non poteva chiudere una discussione di portata tanto ampia, ma poneva con chiarezza i termini precisi della questione.
7. Donne
“Staffetta” è il termine più diffuso, quando si tratta di definire l’attività delle donne nella Resistenza. I documenti ufficiali (ad esempio le schede compilate dalle “Commissioni per il riconoscimento delle qualifiche partigiane”) ricorrono solo a quella dizione.
Cosa significa esattamente questo termine? Essere staffette significa molto di più che portare messaggi e tenere i collegamenti tra i vari gruppi o tra i partigiani e la città. Significa anche trasportare i viveri, le armi, le munizioni, il denaro, la stampa clandestina, i documenti falsi, la posta e nei modi più diversi: in treno, in bicicletta, a piedi, sotto i bombardamenti e i mitragliamenti. Significa anche accompagnare nel gruppo coloro che vogliono aderire al movimento partigiano.
I dati relativi all’attività delle donne nella Resistenza.
Ad esempio, di 275 donne bresciane impegnate nel lavoro clandestino, e riconosciute dalle apposite commissioni istituite nel dopoguerra (in realtà il loro numero fu assai più grande), ben 79 furono incarcerate. Si tratta di una percentuale altissima, oltre il 28%, che costituisce una prova dell’intensità e della pericolosità dell’impegno profuso.
8. Crisi e gli arresti del gennaio e del febbraio 1944
Il mese di gennaio fu uno dei più duri di tutto il periodo della Resistenza bresciana. Infatti i numerosi arresti e le fucilazioni che li seguirono riuscirono per un certo tempo a mettere in crisi l’intera organizzazione del movimento di liberazione.
Una prima ondata di arresti venne effettuata in città tra il 4 e il 6 gennaio 1944. Nel giro di quei pochi giorni furono catturati numerosi esponenti di primo piano della Resistenza bresciana (padre Carlo Manziana, Andrea Trebeschi, Astolfo Lunardi, Ermanno Margheriti e numerosi altri).
Il 6 gennaio furono fucilati Umberto Bonsi, Francesco Franchi, catturato nel rastrellamento di Croce di Marone, e Nadir Gambetti.
Il mese di gennaio si concluse con la condanna e la fucilazione di Francesco Cinelli, uno degli organizzatori del movimento garibaldino della Valtrompia.
La sorte non fu uguale per tutti gli arrestati del gennaio. Alcuni, come padre Carlo Manziana e Andrea Trebeschi, furono deportati nei lager tedeschi; altri tenuti in carcere, altri processati e condannati.
Il primo di questi processi venne celebrato il 5 febbraio 1944. Comparvero in giudizio Astolfo Lunardi ed alcuni suoi collaboratori. La sentenza fu assai dura: pena di morte per Lunardi e Ermanno Margheriti. Le condanne furono eseguite nel Poligono di Mompiano il mattino del 6 febbraio.
Il 14 febbraio 1944 si svolse il processo contro Giacomo Perlasca e Mario Bettinzoli, organizzatori della Resistenza valsabbina e fucilati il mattino del 24 febbraio 1944.
Infine il 29 febbraio, alla periferia di Verona venne fucilato anche Giuseppe Pelosi.
Certamente un’offensiva così efficace contro il movimento partigiano (che dovette affrontare una crisi molto grave e ne uscì, ad esclusione della Valcamonica, fortemente ridimensionato) fu favorita da errori e ingenuità, determinati sia dalla sottovalutazione dei pericoli sia dalla scarsa esperienza nella lotta clandestina, proprie di un’organizzazione ancora in fase di formazione.
Conclusione
Lascio la conclusione ad un importante e lungo documento, la relazione che il questore di Brescia Manlio Candrilli in cui sintetizzò l’attività politica e annonaria della Questura di Brscia dal 14 novembre ad oggi. La relazione porta la data del 27 marzo 1944. L’articolo del ribelle letto all’inizio era sul numero datato 26 marzo. È quindi improbabile che il Questore l’abbia potuto leggere.
Così scrive:
Tengo a far rilevare che al mio giungere in Brescia i partiti sovversivi svolgevano liberamente attivissima propaganda a mezzo di volantini e manifestini, che ogni mattina venivano raccolti in rilevante numero, infestavano e imperavano nelle valli Trompia, Camonica e Sabbia, commettendo rapine e aggressioni.
[…] Oggi, con mio orgoglio e soddisfazione, si può constatare che dopo l’azione decisa e energica svolta dalla Questura e dagli altri organi di polizia […] la situazione di Brescia è completamente capovolta; la propaganda è quasi nulla, i ribelli, ridotti a un solo nucleo in quantità irrilevante, si sono portati in lontane zone montane; gli atti terroristici sporadici.
L’analisi era corretta da un lato, ma scorretta da un altro.
Nell’articolo che il Questore non aveva letto vi erano già i sentimenti se non quelle precise parole che furono alla base della crescita del movimento partigiano a partire dalla primavera del 1944.
[1] Testo, non rivisto dall’Autore, della relazione tenuta il 27.10.2018 al convegno “Teresio Olivelli, ribelle per amore”, organizzato dall’Associazione “Fiamme Verdi” di Brescia, dalla Federazione Italiana Volontari della Libertà, dall’Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’Età contemporanea dell’Università Cattolica e dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.