Venerdì 12 febbraio 1982 alle ore 20,30 al Centro Paolo VI di via Gezio Calini n.30 a Brescia il Vescovo di Udine mons. Alfredo Battisti ha parlato sul tema: “Una chiesa profetica per la pace nel mondo”.
L’iniziativa è stata promossa da CCDC, Acli, Agesci, Azione Cattolica, CL, Fuci, Gioventù Aclista, Lega democratica, Meic, Movimento Popolare, Pax Christi, Università Lunardi, Ufficio Missionario.
Alfredo Battisti. «Desidero che fin dal primo giorno il mio episcopato sia radicato nella chiesa udinese: che se il mio essere nato cristiano è avvenuto lontano, questo rinascere come pastore del popolo di Dio, è giusto che avvenga là dove la mia chiamata episcopale si realizza come servizio». Così mons. Alfredo Battisti motivò la sua ordinazione a vescovo nel duomo cattedrale di Udine, lo stesso giorno dell’ingresso in arcidiocesi. Mons. Battisti nacque a Masi in provincia di Padova il 17 gennaio 1925. Venne ordinato sacerdote nel settembre 1947. Si laureò in diritto canonico a Roma nel 1951, avendo come relatore della tesi il friulano mons. Pio Paschini; successivamente ricoprì prima il ruolo di cancelliere e poi di vicario generale nella curia di Padova fino al 1972. Negli anni padovani fu assistente del movimento laureati cattolici, un’esperienza che si sarebbe rivelata importante, una volta ad Udine, quando si trattò di operare, attraverso contatti accademici padovani, per la creazione dell’Università di Udine, prima “creatura” della ricostruzione post terremoto. E, come nessuno dimentica, mons. Battisti è stato chiamato il “vescovo della ricostruzione”. Divenne arcivescovo di Udine il 13 dicembre 1972; entrò nel febbraio 1973. «Egli incrocia ed accompagna in modo chiaro e decisivo la storia recente del Friuli – dice di lui Silvio Brusaferro, docente universitario e componente del Consiglio superiore della sanità, che con Battisti ha collaborato –, operando costantemente per una continua crescita sociale e morale di questa terra, promuovendo la cultura e la lingua friulana, indirizzando molti suoi interventi verso i temi del lavoro, della pace e del progresso, cercando di far convivere proficuamente le molteplici culture esistenti in Friuli e in Europa». Gli anni dell’episcopato di Battisti sono stati di grande lavoro, non solo dopo il terremoto, ma anche prima, perché pure la chiesa friulana era attraversata, come tutta la Chiesa di allora, dalla novità del Concilio Vaticano II. L’attenzione e l’impegno verso i giovani e il mondo del lavoro lo fecero nominare membro della Commissione della Conferenza episcopale italiana per i problemi sociali e del mondo del lavoro, di cui diviene presidente dal 1979 al 1982. Il 28 ottobre 2000 venne accettata dalla S. Sede la rinuncia all’arcidiocesi di Udine e, dopo un breve periodo come amministratore apostolico (fino al 7 gennaio 2001), divenne arcivescovo emerito continuando ad operare attivamente fino agli ultimi mesi. Battisti ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Udine nel 2001; il Premio Epifania nel 2005 e la cittadinanza onoraria di Gemona del Friuli il 5 maggio 2006 (a trent’anni dal terremoto). A lui si devono numerose pubblicazioni; era fra l’altro iscritto all’albo dei giornalisti. Ha scritto ben 13 lettere pastorali rivolte ai suoi preti e alla sua gente e molti libri tra cui: Luce della speranza, Padova 1982; Realismo delle beatitudini: una proposta non solo ascetica ma sociale, Bologna 1984; Valori e Diritti Umani (assieme ad altri autori), Roma 1990; La Chiesa del grembiule: sulle orme di don Tonino Bello, Padova 1999; Il paradosso delle beatitudini. La felicità secondo Gesù, Brescia 2006.
Battisti è stato un protagonista della vita e della storia del Friuli non solo sul piano spirituale e pastorale ma anche su quello sociale e culturale. Ha colto nella lingua un elemento essenziale e fin da subito si sforzò di farla propria e di utilizzarla nella comunicazione: quella interpersonale e quella ufficiale. Si diceva della promozione dell’università friulana, ma mons. Battisti si è battuto anche per il raddoppio della ferrovia, l’apertura dell’autostrada, la riduzione delle servitù militari, la promozione della lingua e della cultura. Marino Tremonti, in veste di presidente del Comitato per l’Università, ha scritto di lui: «l’arcivescovo Battisti fu davvero lungimirante, sempre attento alle necessità del suo popolo, e con questa sicurezza la sottoscrizione della proposta potè partire». «Nel primo giro di ispezione della sua Diocesi – scrisse anche il fondatore numero uno dell’università, Tarcisio Petracco –, aveva constatato, specialmente nelle condizioni sociali della Carnia, quanto giusta fosse una lotta per la elevazione della gente friulana mediante il principale strumento della cultura».Mons. Battisti pose una attenzione particolare alla lingua friulana anche operando per darle una veste istituzionale. Si fece infatti promotore e sostenitore di una azione, assieme alle diocesi di Gorizia e Concordia-Pordenone, affinché diventasse lingua liturgica. A coronamento di questi sforzi,nel novembre 1997, la Conferenza episcopale italiana approvò il testo della Bibbia tradotto in friulano e, successivamente, nel gennaio 2001 venne approvato dalla Santa Sede il “Lezionari pes domeniis e pes fiestis”(lezionario per le domeniche e le festività) dove, accanto a quelle in italiano, vengono riportate le sequenze della Chiesa madre di Aquileia per le grandi festività, tratte dal “Missale Aquileyensis Ecclesiae”.
Negli anni del terremoto e della ricostruzione mons. Battisti prese posizioni chiare e forti assieme alla Chiesa friulana rispetto al modello di ricostruzione, alle priorità da dare, alla necessità di una rinascita anche culturale, oltre che economica e materiale.Padre Bartolomeo Sorge nella prefazione al libro “Profezia di Vescovo”, edito in occasione dei 20 anni del suo episcopato, lo tratteggia come “il Vescovo del restauro” individuando tre grandi capitoli: il restauro materiale, quello morale e quello socio politico. In ognuno di questi la sua azione non si limita ad interventi e richiami verbali, per quanto autorevoli, ma si traduce in un concreto impegno della sua Chiesa.Emblematico fu il gesto del 4 settembre 1976, davanti alla caserma Goi di Gemona, in occasione della visita dell’allora presidente del Consiglio dei ministri Giulio Andreotti – ricorda mons. Duilio Corgnali, all’epoca uno dei coordinatori dei Comitati di tendopoli. Il Vescovo scelse di rimanere fuori dai cancelli Università degli Studi di Udine insieme alla popolazione terremotata. Divenne un gesto simbolico della scelta di una Chiesa e del suo vescovo, che valeva più di mille prediche”.Nel suo intervento Difendiamo un popolo del 1976, in occasione dell’annuncio della prima Assemblea dei cristiani, Battisti definì in modo inequivocabile il suo stile e il suo agire: “«»Molti occhi sono puntati oggi sulla Chiesa Udinese, cosa deve fare?, cosa farà per il Friuli dopo questo tragico sisma? Certo il primo compito cui è chiamata è evangelizzare(…) ma non è l’unico. La Chiesa Udinese è chiamata in causa nella ricostruzione. Non si tratta di rifare solo le case, ma di ricostruire il Friuli. Il volto del Friuli ricostruito non potrà essere materialmente identico a quello del passato: sarà nuovo. Ma non dovrà essere stravolto o contraffatto, dovrà salvare e riesprimere in forma moderna i grandi valori etnici, culturali, spirituali e morali, che sono il più prezioso patrimonio di questa terra.. È necessario che il popolo friulano assuma in proprio la gestione della ricostruzione; non la può, non la deve delegare solo ad alcuni amministratori eletti a rappresentarlo. Soltanto allora la ricostruzione del Friuli sarà autentica promozione umana, perché opera di tutto un popolo che diventa soggetto attivo della sua storia ed artefice del suo futuro”.
Gli stessi anni sono anche caratterizzati dal fermento ecclesiale e sociale conseguente al Concilio Vaticano II e mons. Battisti, dopo l’avvio della ricostruzione materiale, indisse il Sinodo diocesano udinese V, celebrato Università degli Studi di Udine negli anni 1983-1988, nelle cui costituzioni spiccano capitoli ed indicazioni importanti sulla cultura e sulla vita sociale e pubblica. La sua azione è stata anche orientata a formare le coscienze dei cittadini all’impegno sociale e politico e mons. Battisti investe se stesso e la sua Chiesa nello sforzo di sensibilizzare e formare rispetto ai grandi temi della pace e dell’attenzione al bene comune. Ne sono testimonianza la presidenza della commissione per i problemi sociali e del mondo del lavoro della Conferenza episcopale italiana negli anni 1979-1982, gli scritti e le conferenze sui tema della pace, della promozione umana e della dimensione socio-politica dove, dialogando senza pregiudizi, è animato dall’ansia di alzare la voce laddove ci sono ingiustizia e oppressione. L’urgenza di un’attenzione alla politica lo porta a dare avvio a molteplici iniziative tra le quali spicca l’istituzione di una scuola socio-politica nel 1989. “In occasione dell’apertura della scuola, Battisti ricorda – ne fa memoria uno dei partecipanti, Silvio Brusaferro – che “una nuova era esige una nuova etica” e invita le comunità cristiane ad interrogarsi: “sul diritto dovere di lavorare, con dignità e competenza, assolvendo i propri compiti con fedeltà e spirito di servizio; sull’evasione fiscale come mancata assunzione di responsabilità nei confronti del bene comune; sull’uso egoistico ed individualistico dei beni; sulle rivendicazioni corporative; sulla capitalizzazione del lavoro non necessario; sull’organizzazione dei servizi e delle strutture pubbliche spesso realizzate per tutelare più gli interessi degli operatori interni che degli utenti; sul tenore di vita, sul consumismo e sulla necessità della sobrietà; sulla esigenza di essere solidali, senza pregiudizi, con coloro che vivono in situazioni di ingiustizia; sulla necessità di impegnare energie personali e capitali per dare risposta ai problemi di chi è senza casa, senza lavoro”.
Mons. Battisti era innamorato della sua terra, in particolare di Aquileia. “Terra di incontro e porta di accesso tra oriente ed occidente – sono parole sue –, il Friuli è il frutto del concorso delle tre principali culture che stanno alle radici dell’Europa: la latina, la germanica e la slava. Il popolo friulano e la sua civiltà sono il prodotto storico di un lungo processo che… ha fuso in una comune identità culturale le popolazioni che successivamente hanno preso dimora in questo crocevia d’Europa”. “Un contributo singolarissimo della Chiesa di Aquileia alla storia del Friuli, dal tempo dei longobardi fino a quello del patriarcato ed oltre è il suo ruolo di coesione tra i diversi gruppi etnici che convivono nel territorio friulano, aprendoli a respiro europeo”. (istitutopiopaschini.org – 2023)