Località Basse, Mocasina, Calvagese della Riviera, Via Ugo de Zinis
QUI ABITAVA
ASSALONNE NATAN
NATO 1891
ARRESTATO 12.12.1943
DEPORTATO
AUSCHWITZ
ASSASSINATO
____
QUI ABITAVA
RAOUL ELIA NATAN
NATO 1904
ARRESTATO 12.12.1943
DEPORTATO
AUSCHWITZ
ASSASSINATO 16.5.1944
Isaia 56,5
«Io darò loro, nella mia casa e tra le mie mura, un monumento (yad) e un nome (shem) più che se fossero figli e figlie; io darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato».
La ricostruzione della biografia dei fratelli Natan acquista un significato speciale: la vicenda infatti non si chiude con l’arrivo del trasporto al campo di sterminio e il percorso del singolo verso l’abisso dei sommersi. A distanza di settantacinque anni dagli eventi è stato possibile scoprire che alcuni membri della famiglia si sono salvati, che la vita con i suoi imprevedibili e accidentati percorsi è continuata e che in questo caso il progetto di distruzione è in parte fallito.
Due cugini delle vittime, Gilbert e Daniel Natan, che risiedono in Belgio, hanno ricostruito l’albero genealogico dei Natan e l’hanno messo a nostra disposizione. “La storia inizia a Roma, scrive Gilbert, al principio del XIX secolo […]. Un Natan fa fortuna attraverso i commerci con la Turchia ottomana […],decide di emigrare a Costantinopoli, dove già si trova una numerosa comunità italiana come pure una comunità ebraica, in maggioranza sefardita […],e così gestisce più da vicino la sua attività di tessitura localizzata in Anatolia. Di lui non si sa nulla di più se non che avrà un figlio chiamato Israel Natan “il Vecchio”. Israel Natan ha quattro figli: Jacob, Aaron, Vitalis – Abramo (il padre di Assalonne e Raoul) e Raphael. Jacob rimane in Turchia, gli altri si trasferiscono prima in Libia e successivamente in Belgio.
Dal Belgio, nel 1940 invaso dai nazisti che immediatamente vi applicano una dura politica antiebraica, provengono i fratelli Assalonne, Raoul Natan e la famiglia di quest’ultimo. Assalonne Natan, di nazionalità italiana, nasce a Costantinopoli l’11 giugno 1891. Si sposa due volte in Belgio. Il fratello Raoul Elia Natan nasce a Mons il 15 dicembre 1904. È coniugato con Rachele Nauhm (Costantinopoli 9 aprile 1907) e dal matrimonio nasce il 13 ottobre 1933 Raymonde Régine.
Il 14 maggio 1940 i Natan lasciano il Belgio e passano nella Francia del sud occupata dalle forze italiane. Giungono a Nizza nella speranza di entrare in Italia grazie alle loro origini italiane. Ottenuti finalmente i documenti, il 5 gennaio 1942 arrivano a Milano, dove affittano un appartamento in via Pistrucci 5. Raoul trova lavoro come contabile in un’azienda di tessuti sintetici di proprietà dei signori Fracchia. Nell’agosto del 1943, per sottrarsi ai bombardamenti sempre più pesanti, la famiglia Natan si trasferisce a Calvagese dove affitta delle stanze di proprietà del signor Oscar Redaelli, locale commissario prefettizio. Risulta come sfollata da Milano.
Nel 1940 il fascismo nei confronti degli ebrei italiani attuava “solo” la politica di persecuzione dei diritti vigente dal 1938. Con la nascita della Repubblica Sociale tutto precipita: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”(14 novembre 1943, Carta di Verona, punto 7). Il 30 novembre 1943 entra in vigore la circolare di polizia n. 5: “Tutti gli ebrei […]debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della RSI […]”. È l’inizio della persecuzione delle persone.
Il mattinale della questura del 13 dicembre 1943 comunica che il 12 dicembre 1943 “alle ore 12 è avvenuto il fermo da parte dei carabinieri della stazione di Bedizzole di Natan Raoul […], nato a Mons (Belgio) il 10 dicembre 1904, residente a Milano, via Pistrucci 5, sfollato a Calvagese della Riviera, ebreo, e di Natan Assalonne, fratello del precedente, nato a Istanbul (Turchia) l’11 giugno 1891”.Il prof. Ugo Redaelli de Zinis (a quell’epoca bambino) ricorda che i fascisti già alcuni giorni prima si erano recati in località Basse per catturare i Natan, ma grazie a una “soffiata” i due fratelli erano riusciti a nascondersi nelle stalle sotto alcuni cumuli di fieno. Rachele, non sentendosi più sicura, torna precipitosamente a Milano con la figlia Raymonde e trova rifugio presso Matilde Fracchia, la figlia del datore di lavoro di Raoul, che la nasconderà fino alla fine della guerra. Nonna Régine invece si nasconde in un convento.
I due fratelli, catturati vicino alla riva del Chiese il 12 dicembre, sono portati nelle carceri di Canton Mombello dove il 13 dicembre l’ufficio matricola li registra con i seguenti numeri: “4379 Natan Raoul [di] Abramo e Jacar Malvina, 10/12/1904 Mons […], impiegato […] e 4380 Natan Assalonne [di] Abramo e Jacar Malvina, 11/6/1891Istanbul […], impiegato”. Il primo inventario dei beni dei Natan è redatto a mano, a matita su carta di riutilizzo e senza data; poi, il 20 dicembre, Bianchini Battista, funzionario del comune, redige una “descrizione dei beni” dattiloscritta di tre pagine. Vi sono elencati con precisione gli oggetti relativi alla vita quotidiana della famiglia che vengono affidati al signor Michele Detoni, “agente agricolo del signor Oscar Redaelli” che ne assume la custodia.
Il 23 dicembre i Carabinieri di Bedizzole tornano per attuare il sequestro. Il verbale indirizzato alla Questura precisa che il Comune di Calvagese aveva già proceduto alla stesura dell’inventario, mentre il danaro contante trovato addosso ai due fratelli al momento dell’arresto (4428 lire) era stato sequestrato da agenti dell’OVRA, mentre “non erano stati trovati valori o gioielli”.Il Capo della Provincia (5 gennaio 1944) emette il decreto di sequestro, cui seguirà il 10 maggio 1944 la confisca. La preoccupazione degli apparati burocratici è totalmente assorbita dalle procedure relative a sequestro, confisca, nomina sequestratario, stima degli oggetti, loro affidamento ad EGELI che richiede ai sequestratari una rendicontazione periodica.
Intanto il 3 gennaio 1944 il questore Candrilli, frustrato dalla notizia che parte della famiglia fosse sfuggita all’arresto, chiede al Comune di Calvagese di redigere con “la massima urgenza” un elenco degli ebrei residenti dall’1 dicembre 1943. La risposta del commissario prefettizio Redaelli del 7 gennaio assicura che “in questo comune non ci sono ebrei residenti” e che Raoul Natan “non si era dichiarato ebreo presso questo ufficio” e che, in aggiunta, la sua famiglia era tornata a Milano la settimana precedente all’arresto. La componente femminile dei Natan quindi si salva, ma scompare totalmente dalla documentazione d’archivio fino ai giorni successivi alla Liberazione.
I fratelli Natan vengono trasferiti al campo di transito di Fossoli nei giorni precedenti il “trasporto”. È ancora il prof. Ugo Redaelli de Zinis a ricordare che Virginio Stroppa, un contadino alle loro dipendenze, venne inviato in bicicletta a Fossoli per portare ai fratelli indumenti e beni di conforto. La testimonianza è supportata da un biglietto e da un telegramma inviati da Raoul a Renata Redaelli, madre di Ugo. Sappiamo anche dalla testimonianza del signor Giovanni Ribelli che suo padre custodì alcuni beni personali dei Natan nella propria casa in contrada Terzago. La famiglia Ribelli rimase poi in contatto con i superstiti della famiglia Natan fino alla metà degli anni Cinquanta.
Assalonne e Raoul vengono deportati da Fossoli il 22 febbraio 1944. Il convoglio su cui viaggiano (n. 08, lo stesso su cui si trovano Primo Levi e Alberto Dalla Volta) arriva ad Auschwitz il 26. Assalonne non supera la selezione e viene destinato immediatamente al gas; la sua immatricolazione è dubbia e risulta “deceduto in luogo ignoto in data ignota”. Il fratello Raoul viene invece immatricolato con il numero 174535. Risulta deceduto in luogo ignoto il 16 maggio 1944. (Fonte 1b convoglio 08).
Le due vite vengono quindi distrutte tra febbraio e maggio del 1944. Continua invece la questione relativa ai beni sequestrati e al loro possibile utilizzo. Ciò che colpisce è l’interesse che gli oggetti sequestrati scatenano non solo tra “profughi, sfollati e sinistrati”, ma addirittura presso il comando tedesco presente sul territorio. Testimoniano infatti di come si vivesse nella penuria e nella precarietà. Ma non solo: la tragedia personale della famiglia viene piegata e sfruttata a fini propagandistici; e allora anche una certa quantità di sale, di legna da ardere, di carbone o gli “effetti letterecci” dei Natan diventano “oggetti del desiderio” .
Il 24 aprile 1944 il segretario comunale di Calvagese e sequestratario Antonio Scotti scrive alla Prefettura: “Fra gli oggetti sequestrati alle persone di cui sopra [fratelli Natan] vi sono anche quattro chili di sale, 150 kg di carbone e kg 100 di legna. Siccome che [sic]per far posto ad altri sfollati si deve accatastare tutti i beni dei Fratelli Natan in una unica stanza e gli oggetti di cui sopra sono ingombranti mentre farebbero comodo agli sfollati (e sinistrati) che andranno ad occupare le stanze già occupate dai fratelli Natan, con la presente chiedo l’autorizzazione a vendere a detti sinistrati …”. Perfino il commando tedesco si mostrerà interessato ai mobili della famiglia. Le ultime carte del faldone illustrano la richiesta (datata il 10 ottobre 1944) del Maresciallo Napoli Ilario della Squadra aerosiluranti di assegnazione “di una camera mobiliata di proprietà dell’ebreo del luogo attualmente precettata da codesto Comune”. In tutti questi casi la domanda di “utilizzo” dovrà essere rivolta ad EGELI per ottenere l’autorizzazione.Fitta risulta anche la corrispondenza fra Scotti ed EGELI; dopo la confisca dei beni il segretario chiederà all’ente il pagamento delle proprie spettanze, ma solo il 21 ottobre 1944 otterrà la liquidazione del compenso.
Dall’analisi di questi carteggi emerge la certezza dei corrispondenti che i fratelli Natan non sarebbero più tornati. Si conosceva quindi la soluzione finale e l’orribile segreto delle camere a gas.Ma c’è dell’altro che ci chiama a riflettere anche sul presente e sulla nostra responsabilità di cittadini di fronte alla banalità del male. Nessuno dei funzionari che a livello locale ha firmato i documenti si è macchiato di violenze. Tutti si sono limitati ad applicare la legge vigente: tanti modesti, zelanti e volenterosi hanno eseguito gli ordini, applicato procedure, compilato elenchi; e così hanno preso parte al meccanismo dello sterminio. L’azione e la responsabilità del singolo riguardano solo una piccola parte del progetto complessivo, ma il risultato è la somma di tanti piccoli gesti individuali di cui l’individuo deve essere consapevole.
Nelle settimane successive alla Liberazione la comunità ebraica di Milano alla quale la famiglia Natan era iscritta raccoglie e aggiorna via via la conta dei superstiti: Nahoum Rachele in Natan e la piccola Raymonde sono tra i presenti coi numeri 483 e 484. Il loro domicilio di Milano non corrisponde più a quello di via Pistrucci; l’ultima lettera proveniente da Calvagese (13 ottobre 1945) e indirizzata a Rachele registra come indirizzo via Ludovico il Moro 149.
Le ultime carte d’Archivio descrivono il faticoso e umiliante percorso della restituzione dei beni. Il 5 giugno 1945 Régine Natan si presenta al municipio di Calvagese chiedendo la restituzione dei propri averi. Una settimana dopo il prefetto Bulloni firma la revoca del decreto di confisca che il 15 giugno è immediatamente eseguibile. Il 19 giugno un funzionario della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde di Lonato a una richiesta scritta del sindaco di Calvagese dichiara che la restituzione della somma depositata sul libretto speciale deve essere effettuata presso la banca depositaria di Desenzano. Ma in data 13 ottobre 1945 si ha una risposta del segretario comunale di Calvagese a una istanza di Rachele Natan che non è ancora riuscita a rientrare in possesso dei suoi bene. La lettera è indirizzata a Milano al nuovo indirizzo. Ecco la trascrizione del contenuto:“Mi spiace nel sentire che si trova in difficoltà nella riscossione del denaro depositato sul libretto di risparmio. Purtroppo io non posso fare nulla in suo favore perché io sono solo un semplice consegnatario che ha poi dovuto consegnare la somma in conformità degli ordini ricevuti. Credo però che lei potrà venire in possesso di quanto le spetta dimostrando il grado di parentela coi Sigg. Fratelli Natan. La pratica deve essere fatta esclusivamente verso la cassa di risparmio. Coi migliori saluti mi creda. Il segretario comunale”. Questa lettera è l’ultima del carteggio presente a Calvagese. Per la prima e unica volta possiamo riscontrare delle tracce di pietà nel freddo linguaggio burocratico.
È infine dal Belgio che, nel novembre 2018, giunge la testimonianza del marito di Raymonde Natan, il signor Jean Paul Vanderborgh. La figlia Valérie ci ha inviato il racconto che è stata utilizzato per documentare le date della fuga dal Belgio e del soggiorno a Nizza. Anche la vicenda di Rachele e Raymonde è conservata nelle carte fatteci pervenire dalla famiglia. Possiamo solo immaginare quanto la memoria dell’offesa abbia pesato sull’esistenza di queste donne. La loro storia rappresenta la vittoria del bene, certo, ma a quale prezzo!
Accanto a chi ha denunciato per delazione, a chi è rimasto nella zona grigia, c’è stato anche chi si è assunto le proprie responsabilità e ha avuto il coraggio di dire di no. Sono i Giusti, che hanno permesso alla vita di continuare, impedendo il dilagare completo del progetto di distruzione. La famiglia Fracchia, con il padre Matteo che ha procurato un lavoro a Raoul, la figlia Matilde che nella casa all’estrema periferia di Milano ha accolto, nascosto, nutrito e consolato Rachele e Raymonde durante i terribili mesi della Repubblica Sociale Italiana, sono dei Giusti.
Régine, Rachele e Raymonde furono rimpatriate alla fine del 1945 dal ministro degli Esteri belga Spaak. Continuarono a tenersi in contatto con i Fracchia, ai quali rimasero legate da profonda amicizia. E noi li ricordiamo con Raoul e Assalonne.
Prassede Gnecchi