GHEDI, VIA XX SETTEMBRE 130 – PRESSO LA SEDE DELL’ASSOCIAZIONE NAZ. CARABINIERI
QUI ABITAVA
SANTO BORGHETTI
NATO NEL 1917
INTERNATO MILITARE A BERLINO
ASSASSINATO IL 23.04.1945
Sono Santo Borghetti e sono nato il 24 gennaio 1917. Come ogni bambino della mia età andavo a scuola, aiutavo il babbo nei campi e giocavo con le mie sorelle Lucia ed Erminia: avevo anche un fratello maggiore di nome Secondo. Giocavamo sempre insieme, finché un giorno non arrivò anche per lui l’età della chiamata alle armi. Combatté a Gela contro gli Americani, durante lo sbarco in Sicilia. Io, arruolato presso la guardia alla frontiera, seguivo il notiziario alla radio. A un certo punto sentii questa notizia: “A Gela i servitori della patria si sono battuti senza risparmio d’energia, contro forze più modernamente equipaggiate e appoggiate da una forza aerea e da una flotta così potente e numerosa che toglie il respiro solo a guardarla”. Pochi giorni dopo appresi che mio fratello Secondo era morto l’11 luglio 1943. Poi arrivò anche per me l’ora della cattura: fui internato in Germania.
Ovunque urla, spari e trambusto. È tutto così strano, confuso, ovunque riecheggiano le grida, gli insulti, le bestemmie e le minacce. Il sangue scorre velocemente nelle vene, il cuore batte a mille, cosa mi succederà?
Tutta la vita mi passa davanti: l’infanzia, la giovinezza, i primi amori e la chiamata alle armi. Mi imposero una scelta: giurare fedeltà al regime e tornare a casa o rimanere nel lager. A quel tempo, le pressioni per entrare nella Repubblica erano continue, io avevo un’idea ben precisa e davanti a tutti dichiarai: “Non aderisco all’idea dell’Italia repubblicana fascista e non mi dichiaro pronto a combattere nel nuovo esercito italiano del Duce. La guerra è inutile, uno spreco di vite umane.”
Il gelido vento orientale ghiacciava sulla pelle quelle squallide divise e le scarpe ormai sfondate. Quella moltitudine di uomini, ormai simili spettri, attendevano il Natale tra le miserie, il fango e la morsa della fame. Ma con una speranza nuova e diversa… Preparammo un albero di Natale: cartone, stracci, bastoni, lamiere, ogni cosa era utile. Ognuno di noi ricevette poi dei regali scritti su cartellini. A me ne toccò una tazza di latte e miele. Arrivò la sera della Vigilia e immaginavo la mia famiglia radunata attorno al tavolo, ma una sedia, la mia, era rimasta vuota. Caterina e Gaetano, i miei genitori, guardavano pensierosi quel posto vuoto, tutto era immobile nella stanza, anche l’orologio aveva interrotto il suo ticchettio e la fiamma del camino era congelata.
Improvvisamente ritornai alla realtà del lager. Ero a pochi metri dai miei compagni, mi stavo riparando ai piedi di un albero. Non sentivo più spari, si erano interrotti: uscii dal mio riparo e cercai di raggiungere i miei compagni. Gli scoppi delle granate ricominciarono e si avvicinavano velocemente fino a che… Un fischio lancinante mi risuonò nella testa e un dolore atroce mi trapassò il petto: fui colpito da una scheggia di granata. Vidi tutto nero, caddi a terra. Era il 23 aprile 1945. Il mio corpo fu portato nel cimitero militare d’onore di Berlino, per poi essere ricondotto in Italia, nel camposanto di Leno. La pace è un bellissimo sogno, ma non esiste il bene senza il male, la luce senza
l’oscurità e di conseguenza la pace senza la guerra.
A cura degli alunni delle classi 3 I e 3 A della scuola secondaria di primo grado di Ghedi