Claudio Baroni: Per arginare il coronavirus abbiamo messo in quarantena una buona parte delle nostre libertà personali. Lo stiamo facendo nel nome di un bene superiore, ne siamo convinti, ma forse vale la pena di non farlo senza essersi interrogati sui valori che stanno dietro le nostre scelte. Tra le riflessioni che la CCDC sta offrendo in questi giorni di clausura forzata, oggi ne proponiamo una che riguarda un tema di fondo: democrazia ed emergenza. La questione viene quasi sempre posta come contrapposizione, come alternativa tra lo stato di pericolo e le regole che solitamente governano le società liberali. Come se non fosse possibile una gestione democratica, rispettosa delle libertà e dei diritti dei cittadini, quando per ragioni belliche, per disgrazie, per emergenze o per epidemie, come in questo caso, una comunità si trova di fronte ad una situazione eccezionale. Si dà quasi per scontato che al pericolo si possa far fronte solo con una scelta autoritaria, anche se viene presa magari solo per un periodo limitato e ristretto. Avviene una sorta di deriva schizofrenica: da una parte si invoca la partecipazione compatta e solidale di tutti i singoli cittadini, dall’altra si tende ad affidare ogni decisione a un gruppo ristretto di persone, magari una persona sola alla quale affidare tutti i poteri. Sta avvenendo questo anche di fronte alla pandemia del Covid-19. Basta pensare all’imposizione rigidissima della Cina, che in alcuni casi è addirittura ricorsa alla pena di morte, basta pensare a Trump, che prima minimizza e poi avoca a sé i poteri che sono riservati al presidente degli Stati Uniti in caso di guerra, poi tutti i leader occidentali hanno messo in pratica quello che le Costituzioni dei singoli Paesi hanno previsto per i casi di emergenza: in Italia si è assistito ad una vivace discussione a proposito di Parlamento chiuso Parlamento aperto, forze politiche che potessero dire la loro rispetto ai decreti del Presidente del Consiglio. Se si vuole, l’emergenza diventa una cartina di tornasole della salute delle democrazie nel mondo e fa emergere le tendenze autoritarie, laddove queste siano già annidate. È in questo contesto che diventa emblematico il caso dell’Ungheria, perché la settimana scorsa Viktor Orbán si è fatto assegnare dal Parlamento di Budapest i pieni poteri, senza che venisse posto alcun limite né di tempo né di discrezionalità a questi poteri. Ed è una scelta che va ben oltre lo stato di emergenza e che riguarda anche noi e che riguarda non solo il rapporto tra democrazia e d’emergenza, ma le condizioni della democrazia e dei governi all’interno dell’Unione Europea, perché l’Ungheria fa parte dell’Unione Europea. È per questo che vogliamo parlare oggi con Gabor Kiricsi, giornalista della testata online della rivista HGV, tra quelle nate a Budapest proprio per sfuggire alla mano pesante di Orban contro la libertà di stampa. Il Covid-19 in Ungheria com’è? Come è la situazione rispetto all’epidemia?
Gábor Kiricsi: La situazione, rispetto a quella italiana, è molto più tranquilla. Non c’è panico e anche l’andamento dell’epidemia è molto più lento, non è avvenuto ancora uno scoppio, non ci sono focolai oppure interi paesi focolai come in Italia. Ci sono poco più di 800 contagiati, più di 47 deceduti, dati per fortuna non confrontabili con quelli italiani.
Claudio Baroni: Però, Orban ha chiesto i pieni poteri proprio con la motivazione dell’emergenza del Covid-19. Perché ha chiesto i pieni poteri e, concretamente, che cosa significa per Orban avere i pieni poteri?
Gábor Kiricsi: L’11 marzo il governo ha decretato lo stato di emergenza ungherese e poi ha ordinato delle misure anche comprensibili: i negozi devono chiudere alle 15 e così via. E poi ha chiesto che venisse approvata una legge, dicendo che era essenziale per estendere l’effetto del decreto dell’11 marzo. È una legge che permetterà al governo di adottare qualsiasi misura che dichiari essere legata all’emergenza. Io penso che non ci fosse bisogno di una legge del genere, perché lo stato di emergenza sarà comunque in vigore, potendo essere rinnovato estesi ogni 15 giorni. Il governo ungherese, naturalmente, potrebbe governare tramite decreti come tutti gli altri governi in Europa. Si può credere che il governo volesse solo un’autorizzazione più ampia da parte del Parlamento ma, sinceramente, la politica di Orban è sempre la stessa: lanciare una proposta che suscita proteste, che suscita preoccupazioni nei confronti della politica ungherese sia all’interno che all’estero, e poi scagliarsi contro le reazioni isteriche vogliono togliere la sovranità. È un modo di governare, di fare politica alla Orban.
Claudio Baroni: Sostanzialmente, provoca perché dalla reazione alla sua provocazione poi ha la giustificazione per poter agire con le mani libere?
Gábor Kiricsi: Io penso di sì. Per Orban si deve creare un nemico da additare al popolo che poi va vinto. E questo nemico è l’Unione Europea, la burocrazia che cerca di impedire di fare quello che di cui c’è bisogno.
Claudio Baroni: I primi atti che vi ha fatto, in base a questi problemi di poteri, quali sono?
Gábor Kiricsi: Sabato scorso il governo ha annunciato di creare un fondo finanziario per la difesa contro il Coronavirus, in cui verranno versate le risorse che i partiti parlamentari ricevono dallo Stato come un sostegno alla loro attività. Ma i partiti vivono di questi appannaggi: il governo ne toglie una parte dicendo che questo serve per una cooperare tutti all’unità del Paese. Ci sono poi altre misure: saranno imposte delle tasse alle multinazionali e alle banche. Queste sono state le prime misure. Sono stati poi presi dei decreti, durante scorsa la settimana, che non hanno nulla a che fare con il decreto dell’emergenza, ma che sono stati assunti proprio adesso perché l’epidemia distoglie l’attenzione. Per esempio, la costruzione ferroviaria tra Serbia e Ungheria, che è un investimento cinese.
Claudio Baroni: Quindi, il tentativo è quello di utilizzare lo strumento dell’emergenza, ma per fare delle politiche che con il coronavirus, con l’emergenza sanitaria, non hanno nulla a che vedere?
Gábor Kiricsi: È proprio così. È forse l’unico primo ministro in Europa a cui viene in mente di fare politica così.
Claudio Baroni: Questo è uno dei temi che ci stanno a cuore. Quali rischi ci sono che altre Nazioni, soprattutto del patto di Visegrad, seguano l’esempio di Orban?
Gábor Kiricsi: Questo sinceramente non lo so. Perché ci sono questi politici che tendono a fare una politica autocratica, che spesso imparano uno dall’altro, ma non in tutto. Orban, in diverse questioni, è più onesto per esempio di Borsonaro e più intelligente di Trump. Dunque, non so oltre a quale limite andranno gli altri.
Claudio Baroni: L’opinione pubblica, rispetto a queste scelte, a queste decisioni, che atteggiamento ha, che cosa pensa? E quelli che non sono d’accordo che cosa che possono fare?
Gábor Kiricsi: A dir la verità, sondaggi affidabili sulla legge del potere senza limiti non sono stati ancora condotti in Ungheria, ma suppongo che gli elettori dell’opposizione siano completamente contrari. Noto che molti provano ansia, perché semplicemente non hanno fiducia nel governo e non credono che le intenzioni del governo siano giuste. L’opposizione, naturalmente, ha già organizzato una manifestazione contro la legge, ma in questi tempi le assemblee sono vietate. Dunque, ripeto che si tratta di una specie di provocazione. Chi non è d’accordo può protestare via internet, via facebook, ma c’è il pericolo che la protesta sarà persa. Ci sono, però, sondaggi sulla gestione della crisi, sulla gestione dell’epidemia, dai quali risulta che la maggioranza è soddisfatta.
Claudio Baroni: La libertà di stampa: rispetto a questo contesto, quali spazi avete per poter dire la vostra per poter, in qualche modo, informare?
Gábor Kiricsi: La stampa indipendente, e in molti casi anche quella governativa, lavora con molta responsabilità adesso. Siamo molto attenti a non cercare gli scandali e a dare informazioni ai lettori veramente in modo più responsabile. Bisogna dire che, dalla dichiarazione dell’emergenza in poi, le conferenze stampa vengono tenute online. Forse a causa delle distanze, è comprensibile. Tuttavia, adesso, possiamo pubblicare le domande solo se le mandiamo due ore in anticipo e loro scelgono quelle a cui rispondere. Vi è poi una ulteriore restrizione per noi: se volessi fare un’altra domanda che riprenda la risposta che mi è stata data, non potrei farlo. Voglio ricordare che il partito governativo è da sempre diffidente nei confronti della stampa indipendente, quindi, non è una novità di questi giorni. Ci sono piccoli attacchi da parte dei media pro-governo, pro-Orban: ad esempio, alla televisione pubblica, nei Tg, ci sono delle notizie che parlano delle fake news, che cercano di sottolineare quanto dannose siano le fake news, ma, per dimostrare questo, ogni tanto prendono come esempio notizie della stampa indipendente, che, in realtà, non sono assolutamente false. Anche noi siamo già stati citati come produttori di fake news, solo perché abbiamo scritto nel titolo il riassunto delle frasi del presidente Ader Janos. Dunque si cerca di screditare i media indipendenti.
Claudio Baroni: Uno dei temi che ci stanno a cuore è il rapporto dell’Ungheria con l’Unione Europea. Di fatto, l’Unione Europea, rispetto a questa proclamazione dei pieni poteri di Orban, non è intervenuta, non ha fatto nulla. Solo qualche reazione, qualche timida critica, ma poi ha lasciato correre. Perché la Commissione europea, il Parlamento europeo, nei confronti del progressivo autoritarismo di Orban, non intervengono?
Gábor Kiricsi: Forse, prima di tutto, perché tutti si occupano di loro stessi in questi tempi. Ma è vero che la situazione creata da Orban è molto delicata, perché, come dicevo, è una trappola sia per l’opposizione sia per l’Unione Europea. Ogni critica formulata da parte dell’Unione viene tradotta in Ungheria, nell’opinione pubblica ungherese, come una spigolosità burocratica. La diplomazia di Orban è la diplomazia dei troll: ad esempio, settimana scorsa alcuni governi europei hanno scritto una lettera in cui hanno espresso le loro preoccupazioni o perplessità per alcune delle misure adottate in certi Paesi europei. E, il giorno dopo, il governo ungherese ha annunciato di aver firmato la lettera, dicendo, naturalmente, di essere d’accordo sul fatto che una legge non dovrebbe violare i diritti e, implicitamente, sostenendo che le misure adottate in Ungheria vanno in questa direzione. Cosa si può fare con questo trollismo? Probabilmente Orban ha una posizione abbastanza stabile, visto che l’industria tedesca è molto forte in Ungheria. Molti ungheresi pensano che Orban debba essere punito dall’Unione Europea, dai partiti europei, come se questo portasse a cambiamenti nella sua politica. È meglio Orban nell’Unione Europea che fuori, perché è meglio un Ungheria dentro che fuori e, probabilmente, è meglio un Orban nel partito popolare che fuori, perché anche se non si riesce ad “addomesticarlo”, ma c’è una forza civilizzatrice che può aiutare a moderare la sua politica.
Claudio Baroni: Quando termineranno i pieni poteri?
Gábor Kiricsi: Questo non si sa. Io vorrei credere che la legge sarà in vigore solo fino a quando serve e che sarà abrogata dopo l’emergenza da contagio. Ma è difficile sperare, perché per esempio un altro stato d’emergenza in vigore, quello per l’immigrazione clandestina, è stato proclamato nel 2016 e viene esteso ogni sei mesi, anche se in Ungheria, praticamente, non ci sono immigrati, o comunque, sono pochissimi quelli che provano ad attraversare il Paese. L’autunno scorso, alle elezioni regionali, l’opposizione ha sconfitto Orban. Sembrava che avessero trovato la formula contro Orban candidando presentando candidati comuni. Da allora in poi, Orban e il governo hanno cercato la possibilità di una rivincita, hanno cercato i temi su cui si potesse creare un caso politico. Nei primi due mesi di quest’anno, questi temi erano le compensazioni, secondo loro ingiuste, che i detenuti, che ricevono per le situazioni delle prigioni, poi hanno cercato di suscitare emozioni contro i rom, i quali hanno ricevuto riconoscimenti economici per essere stati segregati nella scuola. E adesso hanno trovato il nuovo tema su cui fare politica: la battaglia tra l’Ungheria e l’Unione Europea.
Claudio Baroni: La ringrazio moltissimo di avere risposto alle nostre domande. Io credo che l’esperienza ungherese sia un segnale preoccupante per l’evoluzione del rapporto fra la democrazia e l’emergenza, soprattutto se si abbassa la guardia sui diritti. Perché sta passando in maniera incredibile questa idea per cui, per avere più sicurezza, bisogna rinunciare a un po’ di libertà e credo che, invece, questo non sia assolutamente automatico.