Giornale di Brescia, 9 dicembre 2021
In occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, domani, alle ore 18,30, nella sala Bevilacqua in via Pace n.10, si terrà l’incontro «Libertà e cultura in Russia: il caso Daniel’-Sinjavskij e l’oggi». Lo storico Marcello Flores dialogherà con Ezio Mauro, giornalista e scrittore, autore di «Lo scrittore senza nome. Mosca 1966: processo alla letteratura» (Feltrinelli). L’incontro è promosso dalla Cooperativa cattolico-democratica di cultura e da Memorial Italia. L’accesso alla conferenza sarà possibile solo previa esibizione del Green Pass e con mascherina.
C’è una fotografia emblematica alla fine del libro di Ezio Mauro: Julij Daniel’ e Andreij Sinjavskij sorreggono la bara del Premio Nobel Boris Pasternak, l’autore del Dottor Zivago morto il 30 maggio 1960, e secondo l’usanza russa lo portano a piedi al cimitero, contro le indicazioni del KGB che aveva portato il furgone fin sulla porta di casa per effettuare un procedimento il più sbrigativo possibile. Si trova iconicamente rappresentata l’amicizia tra i due intellettuali, l’amore per la letteratura, il coraggio di fronte al potere.
La vicenda umana di Julij Daniel’, il meno conosciuto dei due personaggi, che ha dovuto confrontarsi per tutta la vita con un potere anonimo e totale, è ricostruita da Ezio Mauro con una straordinaria quantità di materiali in quello che lui definisce un “romanzo giornalistico”. Il racconto avvince il lettore fin dalle prime pagine, proprio per il carattere “romanzesco” delle vite raccontate, ma nel contempo è supportato da una documentazione imponente che l’autore ha raccolto in 33 anni di ricerche (“è stata la mia ossessione”), tra cui i 45 verbali inediti degli interrogatori del KGB.
Se é abbastanza conosciuto il processo Daniel’-Sinjavskij, il primo in Unione Sovietica in cui gli imputati si rifiutano di dichiararsi colpevoli rivendicando la libertà di espressione artistica, poco o nulla si sapeva della vita di Julij negli anni successivi. Eppure merita di essere conosciuta perché è un’indagine sul potere che riguarda tutti, sebbene abbia la tragica coloritura di un totalitarismo spietato, che vuole annullare chi dissente, cancellandone persino l’identità. E così Julij Daniel’, dopo aver scontato la pena, per poter lavorare come traduttore dovrà usare uno pseudonimo in modo che siano cancellate tutte le sue tracce, anche le più innocenti. Per tutta la vita viene seguito, controllato, sono interrogati coloro che lo vanno a trovare. Fino a quando “il lager presenta il conto” il 30 dicembre 1988, a 63 anni. Alla sua morte nemmeno due righe sulla stampa: ciononostante dietro la bara si riunisce una piccola folla a rendere omaggio ad un uomo libero che non ha abbassato la testa.
Il figlio Sanja, che ha tenacemente mantenuto viva la memoria del padre, è stato tra i fondatori di Memorial, l’associazione con sede a Mosca che in questi trent’anni ha raccolto documenti e mantenuto vivo il ricordo delle vittime del totalitarismo comunista. Il 15 dicembre prossimo la Corte Suprema russa deciderà probabilmente la cancellazione di Memorial, nonostante gli appelli dei Nobel per la pace Gorbaciov e Muratov. Il problema della libertà della cultura ritorna drammaticamente ad essere attuale in Russia, come se il passato fosse trascorso invano.