Corriere della Sera, 3 marzo 2022
Dibattito in sala Bevilacqua con Laura Palazzani e Alberto Giannini Lo choc pandemico e il sistema da ricostruire Adue anni dall’inizio di un evento epocale come quello pandemico, sono-numerosi i quesiti aperti non solo in ambito sanitario, economico, ma anche etico ed antropologico, in prospettiva di un futuro ancor più globalizzato che metterà nuovamente di fronte al contagio. Come gestire la mancanza di risorse in situazioni emergenziali? Quando la libertà del singolo si ripercuote sulla collettività? Ne discuteranno domani alle 18.3o nella sala Bevilacqua di via Pace, Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, ordinaria alla LUMSA di Roma e autrice di «Bioetica e pandemia» (Scholé, pp. 224), e Alberto Giannini, Direttore della U.O. di Anestesia e Rianimazione Pediatrica dell’Ospedale dei Bambini degli Spedali Civili di Brescia, membro della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva. Un incontro promosso da Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Ordine dei Medici della provincia di Brescia, Morcelliana editrice e Padri della Pace, introdotto dal Presidente dell’Ordine Ottavio di Stefano. Dottor Giannini, la prima ondata pandemica è stata caratterizzata dalla scarsa disponibilità di risorse sanitarie e dalla difficoltà di accesso alle cure; l’ultima dallo scetticismo nei confronti della scienza e della cura di chi aveva rifiutato il vaccino. «il 2020 ha posto il Servizio sanitario nazionale davanti all’«inaudito», all’«impensabile», a uno scenario che non si poteva immaginare nel ricco Occidente, mentre in altre parti del mondo la scelta di chi trattare è pressoché quotidiana. Non potendo garantire a tutti risorse e cure, ci siamo dovuti chiedere a chi fosse meglio darle. L’allocazione delle risorse limitate non era ordinaria per noi: pensiamo alle mascherine e ai ventilatori introvabili, o ai letti di Terapia Intensiva che abbiamo dovuto raddoppiare. Con gli strumenti di prevenzione e contenimento dei rischi la situazione è cambiata radicalmente e l’impatto è stato ridotto. Abbiamo però riscontrato un atteggiamento sociale diverso dalla prima ondata, di ostilità nei confronti della scienza e dei medici, di rifiuto Verso i vaccini e le evidenze scientifiche. Tre quarti delle persone ricoverate in Terapia Intensiva non erano vaccinate. Abbiamo incontrato un’opposizione irrazionale e di carattere ideologico alle terapie e alla possibilità di salvare vite. Non possiamo scordare che l’agire del singolo ha forti ripercussioni sulla collettività: è questione di responsabilità sociale». Quali lezioni abbiamo appreso da questo fenomeno? «La pandemia ci ha portato a confrontarci con la morte che avevamo allontanato dal nostro orizzonte. La nostra medicina è forte ma non onnipotente. Come per l’HIV abbiamo assistito evento molto raro all’esordio di una nuova malattia, e abbiamo ottenuto un bagaglio enorme di informazioni e competenze in tempo molto breve. Lo scambio internazionale di informazioni è stato diretto, sinergico e solidale. Il SSN non va solo restaurato, ma ricostruito, ripensato. E un’occasione che non deve essere sprecata».