Prendere la parola a un’assemblea come questa per me è come ritrovarmi a casa mia, perché il mio mestiere è stato quello di insegnare e per tutta la vita sono stato in mezzo a giovani come voi; nè ho smesso di pensare ai giovani e di lavorare per loro quando ho lasciato la scuola
Non è certo un caso che il tema di questo incontro ponga significativamente al centro della vostra attenzione i cinque studenti che costituiscono il gruppo «La Rosa Bianca» e un professore di filosofia, Kurt Huber, che non era loro docente e che si unì ad essi nel tratto finale, condividendone le aspirazioni e la tragica sorte.
Io svolgerò qualche riflessione introduttiva che serva a richiamare alla memoria sia l’abisso di orrore in cui l’Europa era stata gettata tra il 1940 e il ’45, sia la dimensione europea della resistenza e il suo carattere più alto, per cui essa non fu solo un fatto d’arme e di scelta politica, ma anche una grande e nobile «rivolta morale».
Nella primavera del 1940 l’exploit delle armate naziste fece sì che dall’estremo nord della Norvegia al Golfo di Biscaglia, da Oslo a Parigi, ad Amsterdam, a Copenaghen, a Bruxelles ovunque sventolasse la bandiera con la croce uncinata.
Ebbene, con l’occupazione nazista nacque in Europa, a partire proprio dalla primavera del 1940, il movimento di resistenza all’invasore nazista.
A partire dall’8 settembre 1943 anche gli italiani sperimentarono direttamente, sulla propria pelle, il regime di schiavismo e di terrore imposto dal nazismo e nella gerarchia dell’oppressione vennero al terzo posto, dopo gli ebrei e i russi. Affratellati agli altri popoli europei nell’obbrobrio e nel martirio, gli italiani presero coscienza della dimensione europea della crisi prodotta dal conflitto. E come gli ex prigionieri e i giovani di ogni parte d’Europa, inseriti nelle formazioni germaniche, affluirono nelle nostre bande partigiane, così tanti nostri soldati si affiancarono ai ribelli greci, jugoslavi, francesi in fraternità di armi e d’intenti. Sull’Europa era allora «notte e nebbia».
Nei territori occupati dai nazisti erano sorti governi satelliti poggianti sul potere poliziesco nazista. Le popolazioni venivano sottoposte a deportazioni in massa. Dovunque era applicato il principio della responsabilità collettiva, che si concretizzava nell’uccisione di un gran numero di ostaggi. I principi razzisti venivano attuati con scrupolosa barbarie. Ad Auschwitz si potevano uccidere con il gas duemila persone in un’ora. A Varsavia 400 mila abitanti del ghetto venenro completamente cancellati. Nei campi di annientamento di Auschwitz, Dachau, Buchenwald, Mauthausen e nelle altre decine di campi minori o nei ghetti, non meno di sei milioni di ebrei vennero trucidati e altri cinque milioni di deportati non ebrei furono sterminati. Il nazifascismo con la tirannide e il genocidio aveva distrutto ogni senso di ordine umano e divino, «aveva offeso giustizia, legge, umanità, gratitudine, decenza e moralità» (Ernst Wiechert, Discorso alla gioventù tedesca, 1945, trad. it. Ave, Roma 1965, p.47).
Parlare di Resistenza significa, dunque, parlare di un movimento e di un fatto che investe l’intera Europa, stretta nella morsa della barbarie nazista. Resistere significò rifiutare moralmente e politicamente il nazifascismo e, di conseguenza, scendere in lotta contro gli occupanti nazisti e contro i governi e le forze che con loro collaborarono.
L’anima cristiana dell’Europa, spesso ignara dei suoi obblighi e delle sorgenti della vita spirituale, violentemente offesa, prese coscienza di sé. Le confessioni religiose compresero che l’era razziale, se fosse stata vittoriosa, avrebbe cancellato l’era cristiana. L’impero delle SS rese visibile a occhio nudo, a molti, quello che un grande storico olandese, Huizinga, aveva scritto nel 1935: con il nazismo «forse per la prima volta l’umanità si trova di fronte a un decadimento dello spirito tale da menar dritto, senza neppure sfiorare la sfera dell’animalismo ingenuo, a un satanismo innalzante il male a norma e a segnale luminoso». Fu questa componente etica ed etico-religiosa di opposizione al disumanesimo nazista a caratterizzare la lotta resistenziale come rifiuto congiunto del razzismo, del nazionalismo esclusivistico e del totalitarismo, condizionando e sovrastando l’indispensabile dibattito politico e la lotta armata. Nel cuore della Resistenza europea e italiana ci fu anche, e ne fu l’espressione più alta, la ribellione per amore, secondo la bella e forte espressione di Teresio Olivelli, la Resistenza come rivolta morale.
Ebbene, in Germania coloro che meglio incarnarono la resistenza al nazismo come rivolta morale e religiosa furono il pastore evangelico Dietrich Bonhoeffer, l’autore di quel capolavoro che è Resistenza e resa, e i giovani della Rosa Bianca.
Qui, però, occorre soffermarsi su una considerazione che ritengo di fondamentale importanza: la lotta più difficile contro il nazismo fu quella combattuta dagli stessi tedeschi soprattutto negli anni del secondo conflitto mondiale, tra il 1939 e il ’45. La resistenza tedesca fu radicalmente diversa da quanto si indica con questo termine in Italia e negli altri Paesi europei. In questi, infatti, la resistenza aveva un carattere di liberazione nazionale; per i resistenti tedeschi si trattava, invece, di lottare contro il proprio governo impegnato in una guerra senza scampo. Per essi l’alternativa era terribilmente angosciosa. «Colui che osa fare qualcosa ora per la Germania – disse Claus von Stauffenberg pochi giorni prima dell’attentato a Hitler nel luglio ’44 – deve essere consapevole che passerà alla storia tedesca come un traditore. Ma se tralascia di fare quel che deve fare, si sentirà traditore verso la propria coscienza». Lo stesso concetto era stato espresso nella Confessione di Altona delle Chiese evangeliche in aperta polemica con i filonazisti “cristiano-nazionali”: «Siamo chiamati a obbedire all’autorità statale. Ma se si verifica il caso che l’autorità stessa operi in senso contrario al bene dello Stato, allora è giunto il momento in cui occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini», secondo le grandi parole di Pietro, così come sono riportate negli Atti degli Apostoli (5, 29).
Tra coloro che, in nome della dignità umana e in obbedienza a Dio, iniziarono in Germania la loro eroica battaglia e pagarono con la vita ci furono i giovani del gruppo La Rosa Bianca (Die Weisse Rose). Erano quattro studenti di medicina che prestavano il servizio militare e provenivano da diverse zone della Germania. I loro nomi sono Hans Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell e Christoph Probst. C’era pure una donna, Sophie Scholl, sorella di Hans, iscritta a biologia e filosofia. È inevitabile chiedersi come a quei giovani fu possibile, vivendo in uno Stato totalitario, scoprire il gusto della libertà e dell’autentico onore nazionale, sottraendosi alla presa di una propaganda che tutto dominava e asserviva a sé. La biografia dei protagonisti è su questo punto illuminante.
Hans Scholl, nella prima adolescenza, si lascia conquistare dalla Gioventù hitleriana; ma ben presto è offeso dal divieto di cantare canzoni di altri popoli europei e di leggere autori come Stefan Zweig perché ebreo, o Remarque e Thomas Mann. Hans aderisce allora a un’associazione giovanile vietata dal regime e, scoperto, viene incarcerato. Nel 1935 Hans aveva 16 anni e un amico gli passa il testo di una conferenza di Ernst Wiechert, tenuta a Monaco. In quel testo Hans legge queste parole: «Non fatevi traviare e convincere a tacere se la coscienza vi ordina di parlare». Non le dimenticò più.
Willi Graf proviene dalla Saar e ha frequentato la lega studentesca cattolica. La famiglia è apolitica, ma non aderisce al nazismo perché esso si caratterizza come ideologia anticristiana. «Al mio liceo – scrive Willi – su mille studenti solo una dozzina non appartenevano alla Gioventù hitleriana». Willi ama viaggiare e vivere e vivere a contatto con la natura. Il suo motto è preso dalla Lettera di Giacomo 1,22: «Non siate soltanto ascoltatori della Parola; siate invece tra quelli che la mettono in pratica». Si nutre delle opere di un grande pensatore contemporaneo tedesco, dal nome e cognome italiano, Romano Guardini.
Alex Schmorell è il personaggio più affascinante. Figlio di un medico tedesco e di una russa, che muore un anno dopo averlo messo al mondo; grazie alla sua vecchia “tata”, Alex cresce bilingue e viene educato al cristianesimo ortodosso. Sportivo, fine intenditore di pittura e scultura, è insieme slavo e tedesco.
Il quarto amico del gruppo è Christoph Probst, che avverte un’invincibile ripugnanza per la volgarità estetica e umana, prima ancora che politica, della messinscena nazista – ossessiva, menzognera, disumanizzante. Probst è sposato e ha già due bambini. L’incontro con Hans, Willi, Alex e Sophie è come un riconoscersi tra fratelli, pur nella forte diversità dei caratteri.
Sophie Scholl, ventunenne, è la più giovane del gruppo. Ama il ballo, vive di musica e poesia, disegna molto bene. Scopre che l’autore del primo volantino è suo fratello Hans e da quel momento si butta anch’essa nella rischiosissima impresa. Il successo strepitoso delle armate naziste nella primavera del ’40 la inquieta fortemente e scrive a un amico ufficiale: «Dobbiamo per forza occuparci di politica. Finché la politica è confusa e malvagia, è da vigliacchi tirarsi indietro… Bisogna essere pronti a offrirsi totalmente per una causa giusta».
«Libertà» (Freiheit) scrivono i nostri giovani a lettere cubitali, col catrame, sui muri di Monaco dopo l’ecatombe dei soldati tedeschi a Stalingrado e quella parola fa paura al regime, che l’aveva resa estranea al popolo tedesco. Nel giugno ’42 la Rosa Bianca decide di far sentire la sua voce sia ai tedeschi che sanno, ma hanno paura, sia ai tedeschi che sostengono fanaticamente il regime, pensando che il futuro della Germania fosse legato in modo indissolubile al trionfo del nazismo. Il mezzo scelto è il volantino. Le difficoltà per procurarsi il ciclostile e la carta sono enormi, interminabili i tempi per la stampa a mano, un foglio per volta; grandissimi poi sono i rischi per la diffusione dei volantini, ma anche per il loro trasporto da un quartiere all’altro e, in treno, da una città all’altra, falsificando documenti di viaggio e permessi militari. Di quei volantini ne uscirono sei. In essi come giovani della Rosa Bianca si rivolgevano ai loro compatrioti: «Noi non taceremo. Siamo la voce della vostra cattiva coscienza». E ancora: «Strappate il manto dell’indifferenza che avete avvolto intorno al cuore. Decidetevi prima che sia troppo tardi».
I primi ad essere arrestati furono Hans e Sophie. Era il 18 febbraio ’43. Poi fu la volta di Probst. Interrogati per diciassette ore consecutive, non si lasciarono sfuggire un nome. Quando Sophie lesse il foglio dell’atto di accusa, che comportava la pena di morte, trasse un profondo sospiro e disse solo: «Dio sia lodato». Quel foglio fu trovato nella sua cella dopo l’esecuzione della condanna; sul retro c’era scritto, con tocco lieve, una sola parola: Freiheit! (Libertà!). E suo fratello Hans dà una consegna anche a noi scrivendo sulla parete della cella, prima di essere condotto dal boia per la decapitazione: «A dispetto di ogni violenza, tener duro». È un verso di Goethe.
Alex, il professor Huber e Willi al processo che si celebrò in un secondo tempo, dichiarano che non potevano fare diversamente da quello che la coscienza loro imponeva e da accusati si trasformano in implacabili accusatori del regime. I fratelli Hans e Sophie Scholl erano evangelici, Willi Graf e il professor Kurt Huber erano cattolici, Alexander Schmorell ortodosso e Christoph Probst chiese il battesimo un’ora prima di essere consegnato nelle mani del boia. Furono tutti ghigliottinati. Affrontarono la morte affermando di aver agito per scuotere le coscienze dei giovani tedeschi e con la fede di chi è pronto a entrare in un’altra vita.
La tragica purezza delle scelte operate da quei magnifici ragazzi è di un livello così alto da far quasi scomparire la loro dimensione politica. Certamente i giovani della Rosa Bianca nel quinto e nel sesto volantino indicarono con precisione le mete a cui tendere: il collegamento con gli altri gruppi della resistenza, una Germania federale, l’Europa unita, un ordinamento costituzionale idoneo a conciliare i diritti della classe lavoratrice e le conquiste proprie della civiltà liberal-democratica. E tuttavia il valore propriamente politico della resistenza di quegli studenti sta nell’aver compreso con straordinaria lucidità e nell’aver scritto a chiare lettere che prima di ogni discussione sull’una o l’altra forma di Stato, sull’una o l’altra legge, la cosa assolutamente necessaria è che lo Stato diventi Stato di diritto, che renda cioè praticamente riconoscibile nel suo operare il primato del valore morale a cui ogni legislazione e lo stesso potere esecutivo debbono essere incessantemente ricondotti. Noi sappiamo che non v’è questione più importante di questa anche per la politica dei nostri giorni e del nostro Paese, se non si vuol degradare la democrazia a scelta illusoria, a menzogna convenzionale.
Sono passati quasi settant’anni da quando i cinque giovani della Rosa Bianca e un loro professore furono scoperti e ghigliottinati, e tuttavia la loro vicenda non cessa di inquietarci e di commuoverci profondamente. Me ne sono chiesto più volte il perché e mi pare di poter rispondere così: Hans e Sophie Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell, Cristoph Probst e il professor Huber sono entrati nella storia perché fratelli di Antigone, l’eterna eroina della legge naturale, che sapeva trasgredire ingiusti divieti inventati dagli uomini per obbedire ad un comandamento migliore, a «quelle leggi non scritte e immutabili che non sono nate dall’arbitrio di oggi o di ieri, perché – come dice Sofocle – vivono per sempre nella coscienza umana». Quella coscienza che per Hitler era, invece, una «malattia» e una «depravazione giudaico-cristiana».
Quei cinque giovani e il loro professore sono morti per testimoniare, da non violenti, i valori fondamentali di tutti. Da essi viene una lezione indimenticabile. Il mio augurio, cari giovani, è che diventino vostri amici e luminosi compagni nel cammino che vi attende. Grazie!
[1] Trascrizione, rivista dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 19.4.2001 all’Istituto Tartaglia.