Giornale di Brescia, 3 marzo 1995.
Il governo dell’esarchia ciellenistica e le polemiche sulle funzioni e i limiti del Cln
Con il ritorno della capitale a Roma, Vittorio Emanuele si ritira, il figlio Umberto ne assume i poteri in quanto «Luogotenente del regno», il governo di Salerno si dimette. Il Luogotenente incarica l’on. Ivanoe Bonomi, designato dal Cln, di formare un governo di unità nazionale. Si chiude così la fase «badogliana» e comincia quella propriamente «ciellenistica», cioè dei governi di cui fanno parte i sei partiti del Cln. La formula, di cui il governo di Salerno segna 1’avvio, è destinata a rivelarsi, attraverso i successivi ministeri, una tappa necessaria della ripresa politica italiana. Il governo, di cui fanno parte personalità di primo piano (Alcide De Gasperi e Giovanni Gronchi per la Dc, Palmiro Togliatti per il Pci, Carlo Sforza per il Pda, Giuseppe Saragat per il Psiup, Benedetto Croce per il Pli, Meuccio Ruini per la «Democrazia del lavoro»), sancisce subito con un decreto (25 giugno 1944) la Convocazione dell’Assemblea Costituente a guerra finita; intensifica lo sforzo bellico con il Corpo Italiano di Liberazione (Cil) dell’esercito italiano; ristabilisce le libertà costituzionali nei limiti consentiti dallo stato di guerra; avvia i processi di epurazione nei confronti dei fascisti, dandone l’incarico all’azionista Sforza; lavora a riattivare gli organi amministrativi dello Stato.
Incombe come un incubo la necessità di procurare approvvigionamenti per popolazioni affamate e malvestite e materie prime per le industrie. L’11 agosto 1944 nei pressi di Bergamo viene paracadutato il generale Raffaele Cadorna, il quale assume il comando del Corpo Volontari della Libertà (Cvl) costituito nel giugno a Milano dal Clnai, avendo a vicecomandanti «politici» Ferruccio Parri (Pda) e Luigi Longo (Pci). Cadorna ha il compito di promuovere «l’unità di controllo e di direttive in tutta l’alta Italia», mettendo d’accordo le formazioni autonome e quelle politicizzate in modo da evitare i danni di una guerra partigiana parallela. II lavoro del governo è attraversato da una difficile crisi politica originata dal modo con cui azionisti e socialisti intendono le funzioni del Cln, volendo cumulare di fatto in esso ogni potere e a qualsiasi livello (questa concezione detta «giacobina» sarà bene espressa dalla formula posteriore: «tutti i poteri ai Cln»). Nel novembre Bonomi si dimette e quando riesce a varare un secondo ministero i socialisti e gli azionisti si irrigidiscono nell’astensione, mentre Togliatti assume la vice-presidenza insieme a Giulio Rodinò (Dc). Nel dicembre del 1944, durante la crisi di governo e dopo il superamento di essa, la missione nel Sud del Clnai -missione composta dal presidente Alfredo Pizzoni, Ferruccio Parri, Gian Carlo Paietta e Edgardo Sogno -consegue un duplice importante risultato. Nei «protocolli di Roma», firmati il 7 dicembre 1944, il Clnai ottiene dagli alleati il riconoscimento della sua funzione politica, amministrativa, militare, e del compito di «riunire tutti gli elementi che svolgono attività nel movimento della resistenza». In un protocollo aggiuntivo firmato da Bonomi e da Paietta, essendo già ripartiti per il Nord gli altri membri della missione, si dichiara: «Il Clnai accetta di agire come delegato del governo italiano e di rappresentarlo nella lotta contro i fascisti ed i tedeschi nell’Italia non ancora liberata»; ma si ribadisce con estrema chiarezza che «il Governo italiano è la sola autorità legittima in quella parte d’Italia che è già stata, o sarà in seguito, restituita dal Governo militare alleato».
La liberazione di Firenze, le repubbliche partigiane e l’offensiva nazifascista
L’estate è propizia a chi vive in montagna. I mesi estivi del 1944 vedono ingrossarsi l’esercito partigiano. Si pensa ad una conclusione prossima del conflitto, anche perché motivi per sperare non mancano: il 6 giugno gli alleati sbarcano in Francia, in Normandia; in luglio gli anglo-americani sono in Toscana e in gran parte delle Marche; i russi dilagano in Romania e in Bulgaria. E tuttavia la speranza è in forte anticipo sul tempo. È ora che l’armata partigiana conosce i suoi maggiori successi e giunge a dar vita alle sue «zone libere», una quindicina, a cominciare da quella di Montefiorino, nel Modenese, passata in mano dei partigiani il 17 giugno. Nelle «repubbliche partigiane» si torna a discutere, a votare, a sperimentare l’autogoverno, la tentazione della facile popolarità. A fine estate l’esperienza politico-amministrativa delle «piccole repubbliche» si ripete su scala maggiore nelle «grandi repubbliche» dell’Ossola, della Carnia e dell’Alto Monferrato. Il 22 agosto un altro splendido successo corona l’iniziativa partigiana: Firenze insorge e si libera da sola, prima che giunga l’esercito alleato. Poi l’avanzata alleata sul fronte italiano ristagna, lungo la «linea Gotica» tra La Spezia e Rimini e possono, da parte tedesca, essere ritirate dal fronte numerose e consistenti forze per muovere all’attacco dei partigiani e ristabilire così i collegamenti con la Svizzera, la Francia, l’Austria.
La grande offensiva antipartigiana durò tutto l’autunno del 1944. Il prologo al dramma era stato nel settembre la durissima battaglia del Monte Grappa, in cui la resistenza ad oltranza si rivelò un errore generoso pagato assai caro: 171 impiccati, 603 fucilati o caduti in combattimento, 800 deportati. La seconda offensiva antipartigiana in Carnia, in novembre, rende ancor più tragico il bilancio delle perdite. In ottobre, frattanto, una dopo l’altra, cadono le repubbliche partigiane. I fascisti esultano e lanciano un’accorta campagna psicologica con appelli alla pacificazione, al ritorno a casa e persino a possibili intese per il futuro del Paese. Anche chi non crede a una vittoria finale del nazifascismo, rischia di lasciarsi prendere, sia pure per ragioni umanitarie, da un clima pericolosamente «attendista», nel miraggio di un trapasso di poteri senza lotta, aspettando la liberazione da parte degli alleati senza affrontare i sacrifici dell’iniziativa insurrezionale. Il Cln reagisce vigorosamente all’attendismo e riafferma la sua volontà insurrezionale e la direttiva della «resa senza condizioni».
Frattanto la polizia nazista e fascista mette a segno due colpi grossi: il 24 ottobre cattura a Milano l’intera direzione clandestina della Dc per l’alta Italia e il 2 gennaio 1945 arresta Ferruccio Parri.
I1 13 novembre, quando l’avanzata alleata sul fronte italiano si è del tutto esaurita, mentre infuria la repressione antipartigiana e si combatte furiosamente dalle Langhe al Friuli, viene trasmesso il «proclama» del generale Alexander. Si chiedono ai partigiani sabotaggi, azioni di disturbo, informazioni; ma si ordina di «cessare le operazioni organizzate su vasta scala». Il proclama suona come un ordine di impossibile smobilitazione. Esplodono allora violenti il sospetto e il risentimento dei partigiani. C’è chi persino parla del segreto disegno alleato di lasciar massacrare i partigiani; ma, a parte l’errore psicologico del proclama, ci sono fatti nuovi politici e strategici che spiegano la situazione: a) Alexander avrebbe voluto avanzare, puntando addirittura su Lubiana per scompigliare il sistema difensivo tedesco, ma gli erano state sottratte ben 6 divisioni per impiegarle nella Francia meridionale; b) dopo lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944 la posta grossa gli alleati la giocano in Francia, in cui impegnano anche le riserve, per cui il fronte italiano diventa inevitabilmente secondario; c) d’inverno occorre senz’altro «sfollare» la montagna e restarvi in forze significa esporsi al rischio grave dell’annientamento; d) in attesa della primavera la lotta partigiana non può non adeguarsi al ritmo, ormai assai ridotto, delle operazioni militari alleate sul fronte italiano.