Lo spettacolo di Giuseppe Marchetti “Dorothy Stang. Io sono qui” liberamente ispirato a Martire dell’Amazzonia. La vita di suor Dorothy Stang di Roseanne Murphy, si terrà mercoledì 20 marzo 2024 alle ore 20.30 nel Complesso San Cristo, Via Piamarta 9 in Brescia. Sul palco la nota attrice bresciana Livia Castellini, video di Maurizio Pasetti e Mara Favero. L’iniziativa è promossa da Diocesi di Brescia – Ufficio per le missioni, Associazione Cuore Amico Fraternità e Missionari Saveriani in collaborazione con altri Enti tra cui la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.
La lotta per la giustizia di suor Dorothy. Alcuni anni fa l’omicidio in Brasile, in piena foresta amazzonica, di una suora americana settantatreenne, Dorothy Stang, della congregazione delle Suore di Notre Dame di Namur, ha attirato per qualche giorno l’attenzione del mondo. Non si è trattato di un altro esempio di intolleranza religiosa, così frequente nel mondo missionario, ma di qualcosa di ben più profondo che è venuto a scuotere la coscienza di tutti. Chi era suor Dorothy? In Brasile, soprattutto in quelle regioni remote e inaccessibili all’estremo nord del Paese, era una presenza umile e solidale a fianco di contadini in cerca di terra. Era, per loro, presenza di Chiesa, quando nessuno era ancora arrivato; e punto di riferimento per tante famiglie costantemente in balia dei grandi interessi economici che con arroganza si contendevano ogni metro di foresta. Era diventata una voce per richiamare che la persona va difesa sempre, e che la terra e la foresta non vanno aggredite e devastate, ma rispettate, protette e amate perché patrimonio di tutti. Contrastò interessi importanti; venne messa a tacere in una triste, piovigginosa mattina del febbraio 2005.
Il 12 febbraio 2005 la notizia dell’assassinio di suor Dorothy Stang lasciò di sasso il Brasile intero. Molti brasiliani avevano cominciato da poco ad accorgersi delle battaglie portate avanti a 73 anni dalla piccola suora con la voce dolce e il sorriso luminoso. Quella mattina gli assassini incaricati di ucciderla l’avevano sorpresa da sola su un camion nel mezzo della foresta amazzonica. Aveva con sé la bibbia e alcuni documenti con delle istruzioni per il Sustainable Development Project (Pds), un progetto di sviluppo sostenibile che stava portando avanti con passione insieme alle consorelle della sua congregazione.
Com’era sua abitudine, suor Dorothy stava andando a fare visita ad alcune famiglie nella foresta, famiglie che sostenevano il Pds. Suor Dorothy aveva già ricevuto minacce di morte e quando i giovani armati l’avevano fermata si era subito resa conto di essere in pericolo. Aveva anche cercato di cominciare a parlare con gli assalitori. Aveva tentato di dissuaderli, riuscendo a leggere alcuni brani del Vangelo, dicendo che la sua arma era quel libro. Ma i soldi offerti per l’assassinio per quella gente valevano di più: sei colpi sparati a bruciapelo la fecero cadere a terra nel mezzo della foresta. Un temporale tropicale scoppiato subito dopo intrise del suo sangue la terra che lei tanto amava e che difendeva ogni giorno.
Così l’hanno trovata le famiglie che lei voleva andare a trovare: erano tutti sconvolti e piangevano. Il suo corpo senza vita era rimasto a terra fino a sera in attesa dell’arrivo della polizia mentre le persone della regione e le consorelle della congregazione si tenevano per mano, piangevano e pregavano. “Quel giorno l’Amazzonia ha perso un’amica, ma ha avuto il dono di un angelo” disse Felicio Pontes Jr., un giovane procuratore della Repubblica e collega di suor Dorothy nelle battaglie in difesa delle popolazioni della foresta.
Perché è stata uccisa suor Dorothy? Poteva essere considerata una minaccia? Una spiegazione per quest’assassinio l’ha fornita il procuratore Felicio Pontes in occasione del World Forum for Theology and Liberation tenutosi nel 2009 a Belem, il capoluogo dello Stato di Parà. Suor Dorothy è stata uccisa per via dello scontro in atto tra la vita degli abitanti dell’Amazzonia e l’economia dell’industria agricola. Nello Stato di Parà, che insieme a quello di Amazonas contiene la più vasta area di foresta amazzonica, è in corso una lotta violenta. Il Parà, secondo le affermazioni di Marina da Silva, ex ministro dell’Ambiente del Brasile, è più di ogni altra parte dell’Amazzonia la prima linea dalla “frontiera dei predatori”.
I nemici di questi “predatori” altri non sono che le popolazioni della foresta, che vivono perfettamente integrate nella natura, sulle rive degli innumerevoli fiumi, accanto a torrenti e laghetti. Gli abitanti piantano le loro colture e costruiscono i villaggi nelle radure. Non si tratta in questo caso d’indigeni che mantengono il proprio linguaggio e le proprie tradizioni, ma nella maggior parte dei casi di persone di diverse etnie o più semplicemente di abitanti dell’Amazzonia. Non hanno diritti sulla terra dei loro antenati: sono figli della terra.
I predatori sono il business dell’agricoltura con progetti che riguardano l’esportazione di legname da costruzione, minerali, carne e soia. I proprietari terrieri hanno il potere di segare gli alberi e avviare monocolture e allevamenti su vaste zone. Nell’economia globalizzata esportare significa guadagnare di più e accumulare ricchezze. L’industria agricola è per il Brasile la più grande fonte di esportazioni. Questo però sta accadendo a spese dell’ambiente e delle popolazioni che vivono nelle vaste regioni all’interno del paese. Suor Dorothy non è stata l’unica vittima dello scontro tra questi due opposti gruppi. In un’altra area della foresta è stato ucciso il sindacalista Chico Mendes. La stessa sorte è stata riservata al giovane sacerdote Josimo Tavares, responsabile della Commissione pastorale, e a suor Adelaide Molinari. Ma sono centinaia i rappresentanti di queste popolazioni uccisi.
Una lotta continua pervade la popolazione. Nelle aree dove lo Stato non è ancora riuscito a imporre la propria presenza e dove non esiste una politica in questioni di sicurezza, ma un alto tasso di corruzione istituzionale, le persone sono minacciate e costrette a lasciare le proprie case. Contadini violenti s’impossessano di terreni senza averne nessun diritto e ampliano con la forza i confini delle proprietà, così che può accadere che lo stesso appezzamento di terreno abbia tre o più proprietari.
Da un’altra parte sono gli stessi proprietari terrieri ad attrarre lavoratori dalle diverse regioni del Brasile. In questo modo si stanno incrementando anche nuove forme di schiavismo. La morte di Dorothy e prima ancora la sua vita missionaria e le sue brillanti iniziative, vanno analizzate e comprese all’interno di questo scenario difficile e violento.
Dorothy veniva dal nordest del Brasile, dove aveva lavorato insieme alle consorelle della congregazione di Notre Dame de Namur in mezzo ai poveri del paese. Lei per i brasiliani era un po’ come una Madre Teresa di Calcutta. E’ diventata cittadina brasiliana per dedicarsi in modo più intenso alle persone. Vedendo però che le popolazioni dell’area del nord-est di Maranhão stavano migrando verso le regioni amazzoniche del Parà, decise in accordo e insieme alle consorelle di trasferirsi per seguire gli emigranti.
Dopo aver viaggiato in diverse regioni del Parà subendo persecuzioni insieme alle popolazioni locali, le suore si sono stabilite ad Anapu, nella ‘terra di mezzo’, il suolo pubblico – poiché appartiene allo Stato – a circa 400 miglia da Belem. Sono arrivate in un paese di foreste e di conflitti su invito del vescovo della diocesi di Altamira, Erwin Kräutler. Lui e altri tre vescovi sono stati esplicitamente minacciati di morte insieme a più di 200 altre persone. Con il sostegno del vescovo e in collaborazione con l’Istituto nazionale per l’insediamento e le riforme agrarie, suor Dorothy è riuscita a rinnovare il suolo pubblico attraverso il suo progetto di sviluppo sostenibile. Il progetto punta a destinare alla coltivazione il 20 per cento del terreno e di mantenere intatto il 50 per cento della foresta, rimboschendo la regione con alberi locali che producono frutti. L’attuazione di questi progetti favorisce anche il sostegno della società civile, di organi dello Stato e del governo nazionale, di università, movimenti sociali e programmi pastorali. E comincia a dare risultati e speranza.
Ma poi è cominciato lo scontro: alcuni contadini hanno preso possesso della terra con la violenza, hanno falsificato documenti e costretto gli abitanti ad andarsene. Si sono trovati di fronte a una resistenza organizzata e articolata messa in atto dalle persone attraverso battaglie giuridiche nella capitale dello Stato. E a quel punto hanno deciso di eliminare suor Dorothy: si sono messi d’accordo per pagare una cifra notevole a un intermediario, che a sua volta si è rivolto a dei giovani banditi ai quali ha venduto la vita di suor Dorothy per 50 real (circa 20 dollari americani).
Durante la cerimonia funebre svoltasi ad Anapu, una delle consorelle ha detto alla presenza del ministro dell’Ambiente del Brasile, di due vescovi e di tutte le altre persone: “Non siamo qui per seppellire suor Dorothy, la piantiamo nel terreno”. In effetti, il suo nome significa “dono del Signore” e lei è un dono per la foresta amazzonica e per la gente che ci vive. Il suo seme non ha smesso di produrre frutti: le sue battaglie per l’integrazione tra la foresta e il suo popolo si sono allargate a tutto il Brasile. Nello Stato del Parà è stato creato il ‘Comitato Dorothy’ per lavorare insieme con altre persone di buona volontà: avvocati, religiosi, politici, accademici e molti giovani. Il Comitato Dorothy si muove su vari fronti: far crescere la consapevolezza, produrre progetti e sostegno di azioni a favore della foresta e delle popolazioni. Sono in molti, dunque, a portare avanti i sogni di suor Dorothy.
Un grande successo è stato ottenuto estendendo le linee guida del progetto di sviluppo sostenibile a tutti i nativi del Brasile attraverso l’intervento diretto del ministro dell’Ambiente: l’80% della selva è ora tutelato per legge attraverso l’amministrazione della foresta e le regole valgono per tutto il paese. Questo è un enorme risultato, grande quanto tutto il Brasile; ed è nato da suor Dorothy, tenace e piena d’amore fino alla fine, anche nei confronti dei suoi assassini.
Suor Dorothy, così come accaduto per Oscar Romero, è stata assassinata non “per odio verso la fede cattolica” ma “per odio verso la giustizia”, quella desiderata da Dio. Per aver pagato i due banditi che hanno assassinato Suor Dorothy Stang l’allevatore di bovini Vitalmiro Bastos sta scontando 30 anni di prigione. (synod.va – 2024)