La seconda metà del Settecento è il grande momento di svolta per i diritti umani e quindi parlerò a partire da quel momento. Ci sono delle condizioni che permettono ai diritti umani di esistere: la prima condizione è la diffusione di una nuova mentalità; la seconda è la presenza di un gruppo ristretto di persone che decidono di provare ad attuare quello che ritengono sia un diritto negato; la terza condizione è il riuscire a convincere l’autorità politica che uno Stato ha l’obbligo di assumersi, almeno formalmente, quella difesa e, infine, la proclamazione di una legge, di un diritto, che viene poi inscritto nelle leggi fondamentali. Se noi pensiamo alla seconda metà del Settecento, le donne sono in prima linea in quella che è una battaglia straordinaria, perché rompe con una violazione di diritti che durava da millenni, ovvero la fine della schiavitù, iniziando a combattere la tratta degli schiavi. In Inghilterra, dove questa lotta dura vent’anni, dal 1787 al 1807 (quando il Parlamento inglese proibisce la tratta degli schiavi con una legge) le donne sono in prima fila nelle campagne di solidarietà e di promozione, per mostrare cosa sia la tratta degli schiavi. Sono le donne che boicottano i panettieri, che usano lo zucchero proveniente dalle zone dove ci sono gli schiavi. È E questo crea, in un Paese che era convinto che gli schiavi erano un bene per l’economia britannica, la possibilità di porre fine a questa situazione. Moltissime donne nella seconda metà del Settecento scrivono dei romanzi in genere con pseudonimi maschili, che creano un senso di empatia del lettore nei confronti dei protagonisti che sono emarginati e di solito sono schiavi e donne. Le donne iniziano a discutere dei propri diritti in modo organizzato e formale proprio nei convegni, nei congressi per la fine della schiavitù.
L’eccezione che volevo citare è quella di una scrittrice, Olympe de Gouges, nel 1791, due anni dopo la dichiarazione dei diritti del cittadino in Francia, scrive la dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che in gran parte riporta le stesse cose che valevano per la dichiarazione degli uomini, che afferma: la donna nasce libera e rimane uguale all’uomo nei diritti, le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune. Olympe de Gouges nel 1793 viene ghigliottinata con la motivazione: per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata (nella politica). È la fase del terrore che si apre dopo la Rivoluzione francese con Robespierre e i giacobini al potere. I primi club che vengono proibiti sono quelli delle donne.
Negli Stati Uniti, dove ci sarà l’altro grande momento, a metà dell’Ottocento, considerato il congresso di fondazione del femminismo e della lotta per i diritti delle donne. Qui c’era un dibattito molto acceso e interessante sui quali erano i diritti naturali e si riconosceva che anche alle donne questi diritti dovevano essere concessi, ma poi si parlava dei diritti reali e in questi diritti alla donna erano concessi solo quelli inerenti la sfera familiare. Nella sfera pubblica è l’uomo che può partecipare, nella sfera privata le donne sono padrone. Le donne devono dilettare, civilizzare e migliorare l’umanità, questi sono i preziosi diritti della donna. Quindi devono avere anche loro un’educazione, il che è una novità, ma si tratta di un’educazione diversa. Questa idea di diritti diversi è quella che ha avuto più difficoltà ad essere superata e ancora oggi lo vediamo. La dichiarazione che esce dal congresso a Seneca Falls negli Stati Uniti è: riteniamo queste verità per sé stesse evidenti, che tutti gli uomini e le donne sono stati creati uguali, la storia del genere umano è una storia di ricorrenti offese e usurpazioni, attuate dall’uomo nei confronti della donna, al diretto scopo di stabilire su di lei una tirannia assoluta.
Da questo momento inizia una battaglia che si svolge su tantissimi terreni, i due principali sono: quello del lavoro e quello della pace. Quello del lavoro perché le donne sono discriminate, ma lavorando sono le meno tutelate. Da qui le battaglie per non dover lavorare le ultime settimane di gravidanza, non lavorare la notte, lavorare in modo protetto, avere almeno la metà del salario dei maschi. Queste battaglie sono parallele alle battaglie per il lavoro infantile. Il loro impregno è legato alla lotta per la pace, le donne sono in prima fila nei movimenti pacifisti che nascono alla fine dell’Ottocento e sono in prima fila nella rivendicazione al diritto di voto. Una battaglia che durerà per tutto il 900, arrivando, in alcuni paesi, anche a questo secolo. È una battaglia che vede, nel corso della prima guerra mondiale, il grande movimento femminista britannico diviso in due: quelle che vogliono aiutare il Paese nella guerra contro il nemico e quelle che vogliono approfittare della guerra per esasperare e accentuare la loro battaglia. Battaglia che alla fine sarà vittoriosa, ma che provocherà molta violenza. Alla fine della guerra ci sono i primi grandi Paesi a dare il voto alle donne: Danimarca, Islanda, Russia, Olanda e Inghilterra. Nell’Ottocento, in quasi tutta Europa, l’introduzione del codice napoleonico aveva significato un enorme passo avanti nella vita civile, avendo costituito la base per tutte le forme successive di avanzamento delle leggi. Tuttavia, l’articolo 213 del Codice civile napoleonico affermava: la donna deve l’obbedienza al marito. Se pensiamo alla riforma del diritto di famiglia in Italia, alla lunga strada di questo diritto, dal primo codice Pisanelli in cui l’articolo 128 sull’adulterio dava la colpa alla donna che poteva essere pesantemente condannata; alla legge del 1919, al Concordato, alla stessa Costituzione e, infine, alla riforma del 1975, vediamo un percorso lungo ed estremamente difficile. Ancora negli anni Sessanta la Corte costituzionale italiana riconosceva che l’adulterio della donna era oggettivamente più pericoloso di quello del marito, cosa che finalmente si rimangerà nel 1968. Solo nel 1981 in Italia viene tolta la legge sul delitto d’onore, che fino a quel momento permetteva di essere condannati, da uno a due anni (che poi diventavano pochi mesi), se si diceva che si fosse uccisa la moglie, la figlia, la sorella per motivi di onore.
Vorrei ragionare su alcuni dati di qualche anno fa (prima del covid):
Quando la battaglia delle femministe per il voto inizia c’è un solo luogo dove il diritto di voto già esiste: le Isole Pitcairn, piccole isole dove erano approdati i naufraghi del Bounty, quella nave dove c’era stata un’insurrezione dei marinai contro il loro capitano, si erano ammutinati ed erano stati mandati alla deriva. Questi naufraghi arrivano in queste isole, si sposano con le donne locali e questo è il primo posto dove si decide che il diritto di voto vale per tutti quanti. Solo in questo secolo, nel 2003 e nel 2006, il diritto di voto è stato dato nell’Oman e negli Emirati Arabi. L’Arabia Saudita ha promesso, ma ancora non si vede nulla. La battaglia per i diritti è una battaglia che va avanti in modo estremamente differenziato, non è che quando avanza un diritto avanzano tutti i diritti, a volte avanzano dei diritti e altri invece no e gli stessi che lottano per un diritto spesso non lottano per un altro. Il deputato del parlamento inglese Wilbeforce, nel 1807, dopo averci provato per 15 anni di seguito, riesce a far approvare la legge contro la tratta degli schiavi, due anni dopo in Parlamento, mentre è in discussione la legge sul diritto di voto alle donne (1809), dice: «beh adesso non esageriamo». Oppure la Svizzera, paese all’avanguardia per diversi diritti civili, ha dato il diritto di voto alle donne soltanto nel 1971 e in un cantone addirittura nel 1990.
Nota: Trascrizione, rivista dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 21.11.2023 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e altri Enti.