Il famoso storico, sociologo e pensatore francese, Alexis De Tocqueville, previde, in connessione all’avvento dei regimi ideologici, forme di repressione nuove, ancora sconosciute all’umanità. De Tocqueville scrisse: “Invano cerco un’espressione che sia in grado di riflettere esattamente l’idea che si è formata in me: le vecchie parole di dispotismo e di tirannia sono assolutamente inadatte. È una cosa nuova e quindi è necessario cercare di definirla, visto che io non posso darle un nome”. Questa “cosa” ricevette un nome negli anni ’20 in Italia, il nome di “Stato totalitario”, ma la realtà dello Stato totalitario aveva fatto il suo ingresso nella storia in Russia con la rivoluzione comunista nel 1917. L’Unione Sovietica comunista conobbe ben presto un terrore assolutamente non paragonabile a quello che aveva conosciuto la Russia nei momenti più duri dell’autocrazia zarista. Un dato preciso basta a illuminare su questo punto. Nel 1912, nelle carceri della Russia zarista era rinchiusa la quantità più alta di detenuti in tutta la sua storia: 183.864 persone. Negli ultimi anni dell’ epoca di Stalin, nelle carceri e nei lager erano rinchiusi non meno di 15.000.000 di cittadini dell’Urss. Peraltro una delle differenze fra la Russia zarista e l’Urss comunista sta nel fatto che nella prima venivano regolarmente pubblicate le statistiche carcerarie, mentre nella seconda quelle statistiche sono diventate un segreto di Stato, verso la fine degli anni ’20.
Oggi, grazie alla svolta impressa da Mihail Gorbaciov, il mito della società perfetta, realizzata nella patria del comunismo, è tramontato per sempre e una parte della verità, per piccola che sia, viene conosciuta sia dai militanti comunisti nei Paesi dell’Occidente, sia dagli stessi abitanti dell’Urss. Gli insuccessi dell’Unione Sovietica, nei più diversi campi, eccetto quello della propaganda e della potenza militare, sono diventati l’argomento quotidiano su cui si è avviato il confronto all’interno del Pcus tra i dirigenti del partito. È troppo ovvio che noi ci auguriamo la vittoria di Gorbaciov e dei suoi, pure una differenza sostanziale inevitabilmente ci divide anche dalle posizioni dei riformatori. Loro, infatti, dicono – e non possono certo andar più oltre – che le tragedie dei popoli dell’Urss sono state causate dal trentennale dominio di Stalin e dal fatto che, ancora oggi, le possibilità del socialismo non sono state sfruttate fino in fondo; per noi, invece, i fallimenti testimoniano i difetti strutturali del sistema, un sistema che ha generato appunto e reso assolutamente incontrollabile un regime criminale come quello di Stalin.
Che cosa, dunque, è accaduto nell’ottobre del 1917, dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi? Questa domanda ha dominato la vita intera di due eminenti storici russi, Mihail Heller e Aleksandr Nekric. I due studiosi si sono affermati nel loro Paese per i loro contributi di storia contemporanea e sono stati tra i pochissimi ad aver avuto accesso agli impenetrabili – fino a qualche mese fa – archivi segreti sovietici. Essi lì hanno raccolto una quantità impressionante di notizie inedite, che hanno permesso di modificare tutta una serie di interpretazioni correnti; ma hanno anche maturato il distacco dal regime comunista, responsabile di tante sofferenze e di tanti misfatti. Di qui il dovere, profondamente avvertito dai due studiosi, di eludere le sistematiche censure e falsificazioni di cui la storia dell’Unione Sovietica è stata fatta oggetto per adeguarla, di volta in volta, alle mutevoli esigenze del potere, della lotta interna al partito e dalla stessa propaganda. Per queste loro nuove convinzioni Heller e Nekric hanno dovuto abbandonare il loro Paese. Dal ’76 Heller vive a Parigi, dove insegna alla Sorbona, e Nekric in America, all’Università di Harvard. Ambedue gli studiosi hanno concentrato la loro sofferta attenzione sui “vinti”, su coloro che sono stati ingiustamente sacrificati: Heller, infatti, ha scritto Il mondo dei lager e la letteratura sovietica e Nekric Popoli deportati. Dell’una e dell’altra opera esiste la traduzione italiana. Il loro vero capolavoro e stato però scritto insieme ed è la Storia dell’Urss dal 1917 a oggi (L’utopia al potere), edita nel 1982 e tradotta nella nostra lingua dalla Rizzoli due anni dopo. Fino ad oggi quest’opera è la migliore di cui si possa disporre su di un periodo e di un tipo di avvenimenti che hanno interessato e coinvolto, attraverso le conseguenze che ne sono derivate, non solo la Russia, ma l’Europa e il mondo intero. I due studiosi russi sono nella nostra città ospiti della Ccdc. È un avvenimento culturale di grande rilevanza per l’autorevolezza dei relatori e per il tema attualissimo che affronteranno. Tema che hanno voluto formulare con un’espressione di Gorbaciov: I “punti bianchi” della storia dell’Urss (realtà taciute e questioni irrisolte). Non è forse giunta l’ora di mettere finalmente nero su bianco e di affrancarci dalle "mezze verità” che riusciamo a carpire dalla polemica politica? La ricerca storica si apre a un imperativo morale, ma si rifiuta ad ogni strumentalizzazione ideologica. Per questo abbiamo il più profondo, grato rispetto per coloro che di quella ricerca hanno fatto lo scopo della loro vita.
Giornale di Brescia, 20.9.1988. Articolo scritto in occasione dell’incontro promosso dalla Ccdc con Mhail Heller e Aleksandr Nekric.