Era un personaggio affascinante. Avendo avuto modo di conoscerlo di persona, ad un convegno internazionale sull’identità culturale e religiosa dell’Europa, lo avevo invitato a venire a Brescia, ospite della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, a recare alla nostra città la sua diretta testimonianza su un grandioso processo in pieno svolgimento, cioè l’eclisse dell’ateismo di Stato in Urss. Padre Aleksandr Men’ venne a parlarci alla Pace il 14 novembre 1989, e quanti affollarono Sala Bevilacqua non potranno dimenticare quell’esperienza eccezionale.
Le agenzie giornalistiche ci hanno fatto conoscere martedì 11 settembre l’orribile notizia: domenica mattina, 9 settembre, padre Men’ è stato ucciso con un’ascia lungo la strada che lo portava da casa alla parrocchia di Novaja Derevnja a nord di Mosca, dove da anni svolgeva il suo ministero. L’omicidio non sembra aver avuto testimoni e, particolare agghiacciante, il corpo di padre Men’ è stato scoperto dalla moglie, che era uscita di casa un po’ dopo di lui per partecipare anch’essa alla liturgia domenicale.
Padre Men’ era nato nel 1935 da una famiglia di origine ebraica. “Mia nonna insegnava chimica all’università di Berna – raccontava di sé – e mio padre era ingegnere. Entrambi erano atei. Mia madre, invece, era credente. Mia nonna mi iniziò agli studi di biologia e gliene sono ancora grato. Mia madre mi iscrisse ad un corso di teologia per corrispondenza. Il risultato fu che a ventitré anni fui consacrato sacerdote”. Era il 1° giugno 1958. Il pope Aleksandr Men’ in oltre trent’anni di lavoro culturale e religioso riuscì a non cadere nelle trappole tesegli di continuo dagli apparati repressivi propri di uno Stato totalitario programmaticamente ateo. Non gli furono risparmiate angherie di ogni genere, minacce e continui controlli. Ancora nell’84 fu sottoposto per un mese intero a interrogatori quotidiani e a un’intensa campagna di diffamazione. “Ogni volta che uscivo di casa – confidava padre Men’- pensavo che sarebbe stata l’ultima” e domenica scorsa è stata davvero l’ultima volta che è uscito di casa per non tornarvi più. Padre Men’, paradossalmente, è stato barbaramente massacrato proprio in un momento in cui la perestrojka si va affermando anche in campo religioso. Con lui, uomo estraneo al potere politico ed allergico a ricoprire incarichi ufficiali all’interno della sua stessa Chiesa, la Chiesa ortodossa, si spegne il sacerdote, il pensatore religioso, l’apostolo più amato dell’Urss. Padre Men’ era, ormai da un paio di decenni, il cuore della rinascita religiosa nell’Urss e non solo a Mosca. Nessuna delle grandi personalità della nuova cultura dell’Urss si è formata senza la sua influenza diretta o indiretta. Persino Solzenicyn può considerarsi suo figlio spirituale.
Chi ha ucciso padre Men’? É troppo presto per saperlo. I nazicomunisti del “Pamjat” gli rimproveravano le sue origini ebraiche e la sua battaglia contro il risorgente razzismo anti-ebraico purtroppo molto diffuso in Urss. Non è un caso che le prime ipotesi che si sono fatte circa i responsabili dell’omicidio chiamino in causa proprio il “Pamjat”. Altri pensano a una delle attività delittuose del Kgb, o almeno alla parte antigorbacioviana della polizia segreta che mira a destabilizzare il nuovo corso per tornare all’antica onnipotenza. E se si trattasse solo del crimine compiuto da un pazzo, o da un teppista?
Quello che è certo è che una grande luce ci è stata tolta. Gli ortodossi hanno perduto uno dei loro uomini migliori, un maestro e un apostolo che univa ad una fede limpida una vasta cultura e una singolare profondità di pensiero. Con lui la Chiesa ortodossa cercava di uscire finalmente dal ghetto dell’intimismo liturgico, a cui il regime comunista l’aveva costretta. La Chiesa cattolica, dal canto suo, perde l’interlocutore ortodosso più libero e intelligente, il teologo che aveva profonda coscienza dell’universalità della Chiesa e della irreversibilità del cammino ecumenico. Un’espressione che padre Men’ amava ripetere era: “Gli steccati fra le Chiese cristiane non possono raggiungere il cielo!”.
Giornale di Brescia, 12.9.1990, pubblicato in prima pagina. Articolo scritto in occasione della tragica morte di padre A. Men’