Da anni il vento del pessimismo soffia costantemente nell’Africa a sud del Sahara, ma forse mai come nel 1991 sono emerse le gravità di tale pessimismo e scoraggiamento nel credere nello sviluppo africano. Parlando solo brevemente della crisi in Africa è chiaro che non sarà possibile illustrarne ogni suo aspetto. Nella mia presentazione intendo perciò soffermarmi su tre punti: inizierò dai fatti che ritengo siano i più importanti per capire l’Africa e cerchino quindi di chiarire che, pur ritrovando nella recente evoluzione in Africa molte tendenze sfavorevoli e persino avverse, sia comunque possibile intravedere alcuni segni di miglioramento. Nella seconda parte della mia presentazione farò alcune riflessioni sulle radici dell’attuale situazione in Africa. E per concludere cerchino di esaminare, con estrema cautela, alcuni potenziali scenari futuri dell’Africa per vedere qualora l’analisi della situazione attuale possa giustificare qualche motivo di ottimismo a lungo termine.
I fatti
Esaminando una vecchia mappa dell’Africa si vedono molti grandi spazi bianchi che riportano scritte quali “terra incognita” oppure “hic leones” che indicano come nei tempi antichi gli Europei conoscessero molto poco la parte interna del continente. Oggi nella maggioranza delle province in Africa i leoni sono diventati una rarità e vorrei anche aggiungere che, sotto certi aspetti persino negli anni ’90, l’Africa rimane tuttora “terra incognita” e che la nostra attuale conoscenza del continente è veramente molta limitata.
Partiamo dalla popolazione. Tutti sostengono che in Africa questa sia in rapida crescita, più rapida rispetto a quanto non sia in qualsiasi altro luogo al mondo. Si ritiene infatti che nel 1960 la popolazione dell’Africa fosse di 200 milioni e che all’inizio degli anni 90′ fosse salita a 500 milioni. Sarebbe senz’altro più onesto citare solo numeri molto arrotondati, in quanto nessuno è informato sull’effettiva popolazione in Africa, nessuno conosce il tasso dì crescita reale e nessuno sa quale sia e quale sarà l’impatto della nuova calamità che sta colpendo gran parte dell’Africa: l’AIDS. Si ritiene in via generale che la crescita della popolazione in Africa sia ancora in fase di accelerazione. Tuttavia nessuno è in grado di dimostrarlo e nessuno può dire quando la tendenza si invertirà iniziando e registrare cali del tasso di crescita.
Farò ora alcuni esempi in merito: in Nigeria abita circa un quarto della gente dell’Africa a sud del Sahara, tuttavia l’ultimo censimento non contestato risale al lontano 1951. Il censimento del 1961 venne contestato per motivi politici (la Nigeria è uno Stato federale ed in base ai risultati del censimento vengono assegnati nel Parlamento nazionale i rappresentanti di ogni Stato federale e quindi l’assegnazione delle risorse pubbliche fra gli stati). Per gli stessi motivi vennero contestati anche i risultati, mai pubblicati, del censimento del 1971. Per evitare ulteriori problemi nel 1991 si decise persino di non fare alcun censimento! In molte altre nazioni i dati forniti dai censimenti nazionali appaiono molto discutibili. Anche l’Etiopia è fra le nazioni più popolose dell’Africa; prima del 1984 non era mai stato fatto un vero censimento; ma è possibile che il censimento del 1994, avvenuto in un paese già sconvolto dalla guerra civile, sia credibile? Non ne sono certo. Tutti sostengono che le popolazioni urbane in Africa siano ancora più in crescita ed alcuni osservatori parlano persino di una reale esplosione urbana. E’ probabile che nel 1960 la popolazione urbana ammontasse a meno di 30 milioni e forse negli anni 90′ potrebbe essere attorno ai 200 milioni. Il calcolo della popolazione urbana in Nigeria può tuttavia variare del 100% a seconda delle fonti utilizzate. Ciò che invece è appare alcuno certo è che mai nella storia dell’uomo si è assistito ad un tale aumento di popolazione.
Più che valutare cifre poco attendibili e spesso persino errate, ritengo sia invece molto importante capire che negli ultimi tre decenni la popolazione in Africa abbia vissuto traumi enormi: è aumentata drasticamente e la gente non solo si è spostata dalle zone rurali verso le città, ma anche fra provincia e provincia. I mutamenti sulla carta demografica in Africa sono stati eccezionali.
Un altra fatto è il fallimento dell’agricoltura in Africa, che non è stata in grado di affrontare questi mutamenti demografici. Alcune valutazioni molto precise indicano infatti che negli ultimi tre decenni la crescita media della produzione alimentare in Africa sia stata inferiore rispetto alla crescita della popolazione. Osservando lo stato attuale della gestione agricola in Africa, ho l’impressione che i dati della produzione alimentare siano persino meno attendibili di quelli demografici. Alcuni fatti concreti dimostrano che la produzione agricola sia tutt’altro che soddisfacente.
Siamo ben informati sulla malnutrizione in Africa prima del 1960 e sappiamo anche che nel corso dei secoli l’Africa ha avuto molte carestie, sia prima che durante l’era della colonizzazione. Nel 1960 gli esperti erano preoccupati di potenziali carestie in Asia, soprattutto in India e nessuno mostrò particolare preoccupazione di carestie in Africa Oggi tutti sanno invece che negli ultimi tre decenni le carestie hanno colpito più volte l’Africa. E’ noto che l’Africa dipendesse da aiuti alimentari sin dalla fine degli anni ’60 e che i volumi medi di cereali forniti all’Africa (aiuti alimentari e importazioni commerciali) sia in costante crescita. Penso tuttavia che i fatti più preoccupanti non siano tanto le carestie o i volumi di aiuti alimentari o cereali importanti (si parla di volumi da 10 a 15 milioni di tonnellate all’anno, quindi relativamente bassi rispetto alle importazioni alimentari dei paesi Arabi o la Russia), quanto invece la tendenza della crescente incapacità dell’agricoltura africana ad alimentare il suo popolo, sia in termini qualitativi che quantitativi. Gli Africani consumano sempre più prodotti alimentari riso, farina carne, latte ecc. che non vengono prodotti in Africa, ma importati da altri continenti.
Un altro fatto correlato è la diminuzione, o come in alcuni casi il crollo totale, delle esportazioni di prodotti agricoli africani. Un esempio significativo è quello della Nigeria: negli anni ’50 era il paese dei fiumi d’olio, era infatti sia il primo produttore che esportatore del mondo di olio di palma. Nel 1985 la Nigeria dovette sottoscrivere un accordo a lungo termine con la Malesia per importare olio di palma da questo paese asiatico. Esaminando il mercato mondiale di prodotti tropicali quali ad esempio arachidi, olio di palma, cacao, caffè, banane ecc., emerge chiaramente come negli anni ’70 ed ’80 l’Africa continuava a perdere quote di mercato, mentre l’America Latina e soprattutto il Sud-Est Asiatico riuscirono ad avvantaggiarsi dalla lenta scomparsa dell’Africa dal mercato mondiale.
Preoccupano inoltre gli scarsi rendimenti agricoli che vengono affrontati in modo del tutto inadeguato. Gli Africani hanno attinto sempre più alle risorse naturali e molti esperti hanno sollevato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla cosiddetta “bancarotta ambientale” in Africa. Alcuni cercano di evidenziare la gravità della desertificazione del Sahel a sud del Sahara. E’ vero che negli anni ’70 ed ’90 il deserto sia avanzato di ben 120 km verso sud, ma è anche vero che negli anni ’80, più piovosi, i pascoli abbiano riguadagnato terreno, il processo di desertificazione non sembra quindi essere un fenomeno irreversibile, anche se la ricostituzione del Sahel proceda più lentamente di quanto non avanzi il deserto. Altri esperti parlano del rapido processo di deforestazione sia nell’Africa del Sahel che in quella equatoriale. In molte regioni la deforestazione costituisce una triste realtà. Sono tuttavia molti scarsi i dati sulle risorse forestali in Africa e sulla velocità della deforestazione, il processo di deforestazione potrebbe infatti anche procedere più lentamente rispetto all’opinione degli esperti. Ma è possibile evitare una desertifìcazione in Africa? E’ mai esistita una regione nella storia umana in cui raddoppi la popolazione senza che vi sia una conseguente riduzione delle aree forestali? Certamente non nei paesi occidentali dove ad ogni grosso aumento di popolazione è seguita una massiccia deforestazione.
Più del processo di desertificazione nella fascia Sahariana e la deforestazione, è preoccupante che in molte province in Africa gli agricoltori consumino totalmente i beni della terra. Non disponiamo di dati completi sulla fertilità del suolo agricolo nel sud del Sahara, abbiamo solo osservazioni locali che indicano chiaramente il degrado delle caratteristiche fisiche e biologiche del terreno coltivato. Per un certo periodo di tempo il degrado quasi non si nota, le rese sono più o meno come al solito. Ma quando il degrado supera un certo livello, la resa inizia a crollare e diventa sempre più difficile e costoso migliorare il terreno. In altre regioni il terreno agricolo viene invece distrutto dal processo di erosione. Le tecniche di coltivazione tradizionali non proteggono la terra ed alcune sono persino aggressive. Ma in passato nei lunghi periodi di tenuta a maggese, la fertilità del suolo riusciva a ricostituirsi.
Le antiche tecniche di coltivazione non sono molto cambiate, alcune sono rimaste aggressive come in passato e nelle province, a causa della crescita della popolazione rurale, il problema è che i periodi di tenuta a maggese diventano troppo brevi per poter ricreare un suolo fertile.
Gli scarsi rendimenti dell’agricoltura non stati compensati da un valido sviluppo industriale. Negli anni ’60, ed in alcuni casi anche negli anni ’70, molti paesi in Africa hanno avuto un certo sviluppo industriale reale. Alcuni, come per esempio la Costa d’Avorio, hanno riportato tassi di crescita nel settore manifatturiero simili a quelli dei paesi sud-est asiatici. Negli anni ’80 l’industria in Africa è invece stata colpita da una crisi molto grave registrando tassi di crescita negativi. Il risultato è che all’inizio degli anni ’90 l’importanza dell’industria africana nel mondo é irrisoria e la quota di esportazioni industriali dall’Africa sul mercato mondiale è quasi inesistente. In Africa 500 milioni di persone producono meno prodotti industriali rispetto a 10 milioni di Belgi ed esportano circa il 10% dei prodotti industriali rispetto ad Hong Kong con meno di 6 milioni di abitanti. Ne consegue una rapida crescita del cosiddetto settore informale nelle città africane, ossia un aumento delle attività che creano occupazione per una popolazione urbana sempre crescente ad una produttività tuttavia molto bassa.
I fallimenti sia dello sviluppo agricolo che industriale in Africa sono evidenti anche se negli ultimi tre decenni si sono manifestati alcuni cambiamenti da non sottovalutare. Tratterò ora due argomenti: inizierò parlando di alcuni cambiamenti nel campo dell’istruzione. La frequenza delle scuole elementari è aumentata notevolmente anche nei paesi più poveri in Africa. Le iscrizioni alle scuole superiori e all’università sono cresciute ad un ritmo ancora più veloce: nel 1960 in tutta l’Africa a sud del Sahara gli studenti erano solo 20.000 mentre nel 1990 erano saliti a 500.000 ed il corpo insegnante è raddoppiato rispetto a 30 anni fa. In alcuni paesi in Africa la frequenza scolastica rimane invece ancora molto bassa (circa il 30% di, bambini nelle scuole elementari) mentre in altri l’aumento della frequenza scolastica si è fermato o persino ridotto negli anni ’80. All’interno dei paesi esistono inoltre molte disparità fra i sessi e fra le zone urbane e rurali L’efficienza dei sistemi scolastici in Africa è molto discussa: sono adatti alla domanda delle economie a produttività bassissima? Probabilmente no.
Passiamo ora alle infrastrutture dei trasporti: le costruzione dì strade asfaltate, aeroporti, porti ecc. hanno completamente modificato il trasporto in Africa. Ancora 30 anni fa viaggiare da un luogo ad un altro significava intraprendere una vera e propria spedizione. Il viaggio tipo spedizione può ancora essere una realtà negli anni ’90, anche se occorre ammettere che i miglioramenti sono notevoli: il trasporto di grossi volumi di aiuti alimentari verso le province colpite da carestie sarebbe stato quasi impossibile 30 o 40 anni fa. Terminerà ora questa panoramica storica sostenendo che l’Africa è cambiata e continua a cambiare rapidamente. Alcune tendenze dell’evoluzione più recente sono molto preoccupanti agricola ed industriale, l’esaurimento delle risorse la produzione naturali Fra questi cambiamenti si possono tuttavia individuare alcuni aspetti positivi da non sottovalutare. Si è forse investito troppo nelle infrastrutture che i governi in Africa non sono in grado di mantenere adeguatamente; ma le infrastrutture esistono. Potremmo anche, e penso sia opportuno, criticare il sistema scolastico africano, ma non dobbiamo dimenticare che il sistema presenta anche qualche aspetto positivo. Sarà anche giusto criticare gli Stati africani (attualmente sembra essere molto di moda), ma ritengo che la maggior parte dei paesi in Africa sia riuscita a trasformare uno Stato coloniale in un vero Stato africano: sono quindi tutte evoluzioni positive anche se le politiche adottate dagli Stati hanno spesso comportato effetti negativi. Mi sembra comunque sufficiente osservare le tragedie nei paesi (ad esempio la Liberia) dove il cambiamento non ha avuto successo, per dimostrare che gli attuali Stati africani non abbiano solo prodotto impatti negativi.
Ma fino ad oggi è chiaro che l’Africa non sia riuscita a creare uno sviluppo economico sostenibile ed autosufficiente. Persino i paesi come la Costa d’Avorio o il Camerun, che negli anni ’60 e ’70 sembravano essere partiti bene, non sono riusciti a far decollare questo inizio di sviluppo. Altri paesi come la Nigeria o il Gabon, che hanno beneficiato a lungo dei proventi petroliferi, non sono riusciti ad utilizzare il reddito per creare un vero sviluppo.
Le cause
Perché questo fallimento? Come mai l’Africa a sud del Sahara è rimasta indietro rispetto agli altri continenti?
E’ vero, come si sente spesso dire, che le cattive condizioni climatiche degli ultimi decenni sono la causa principale di questo fallimento? E’ vero che la siccità ha colpito le regioni del Sahel e del Sudan e che alcune sono state fra le più gravi mai osservate. Ovviamente le siccità influiscono negativamente sullo sviluppo. La siccità non ha tuttavia colpito l’intera Africa subsahariana. Ritengo che nelle regioni coinvolte, la siccità abbia solo anticipato un fenomeno che si sarebbe manifestato anche in condizioni climatiche migliori. Un pascolo eccessiva ed uno sfruttamento esagerato delle terre agricole e la deforestazione sono dovuti ad una rapida crescita della popolazione ed alla stabilità delle tecniche agricole utilizzate. La siccità ha solo accelerato dei processi già in atto.
E’ vero che l’ambiente economico internazionale abbia contribuito al crolla di molte economie Africane negli anni ’80? E’ senz’altro vero che la caduta dei prezzi dei prodotti tropicali sia stata negativa per le economie Africane negli anni ’80. Ma, a quanto mi risulta, la Costa d’Avorio e la Tailandia si trovano nella stesso ambiente internazionale, e mentre l’economia della Costa d’Avorio è crollata quella Tailandese è cresciuta del 10% circa all’anno. Aggiungerei inoltre che l’ambiente economico internazionale non è sempre stato sfavorevole all’Africa: l’Africa ha ricevuto più aiuti esterni di qualsiasi altro continente, anche se tale volume di aiuti non è stato sufficiente per stimolare uno sviluppo economico autosufficiente. Una crescente proporzione di aiuti esteri all’Africa viene assegnata sempre più spesso alle spese operative e non ad investimenti per lo sviluppo.
L’alto tasso di crescita della popolazione è una delle cause dell’attuale situazione? Sarà certamente una delle cause, e non l’unica, dei problemi ambientali Africani. Non è possibile scindere l’aumento della popolazione dalla stabilità dei sistemi di produzione non adattati alle nuove condizioni democratiche. Se potessimo intuire un cambiamento nei sistemi di produzione, potremmo sostenere che il tasso di crescita della popolazione sia stato troppo alto e che gli Africani non siano stati in grado di mantenere il passo con il cambiamento demografico. Ma nella maggior parte delle regioni non possiamo affatto parlare di un inizio di cambiamento della produttività, possiamo invece individuare alcune provincie in cui la produttività della terra sia persino diminuita. Non ritengo perciò che la crescita della popolazione sia sufficiente per spiegare la crisi in Africa.
E’ giusto affermare che all’inizio degli anni ’60, quando la maggior parte dei paesi africani, ottenne l’indipendenza, il loro handicap rispetto ad altri continenti fosse talmente grave da impedire uno sviluppo economica? E’ vero che il tasso dei non analfabeti fosse molto basso, che le infrastrutture dei trasporti erano meno sviluppate rispetto ad alte regioni del mondo, che l’Africa era sottoindustrializzata rispetto ad altri paesi in via di sviluppo e che l’era coloniale aveva fatto si che l’Africa a sud del Sahara venisse scomposta in una serie di stati artificiali, alcuni dei quali molto piccoli. Tutti questi fattori non sono certo stati favorevoli allo sviluppo economica. Ma è anche vero che i risultati ottenuti dai paesi con meno analfabeti non siano stati significativamente migliori, che il gigante Nigeria non abbia realizzato uno sviluppo più brillante rispetto ai piccoli paesi vicini e che nelle infrastrutture dei trasporti si siano prodotti risultati notevoli senza un corrispondente sviluppo spettacolare.
E’ invece probabile che l’Africa sia stata e probabilmente sia tuttora molto svantaggiata dal suo passato. Sempre più osservatori delle società africane, fra cui anche studiosi africani, si rendono conto che al momento dell’indipendenza l’Africa non fosse affatto pronta per uno sviluppo economico e questo, secondo me, è molto importante per capire gli eventi in Africa. Negli ultimi tre decenni al paziente Africa sono state somministrate molte medicine economiche ed oggi appare evidente che non abbiano prodotto gli effetti previsti. Vorrei accennare brevemente ai programmi di adattamento strutturale realizzati dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e da alcune altre autorità addette agli aiuti negli anni ’80. Questi programmi, ideati e realizzati dai migliori economisti del mondo, avevano lo scopo di ripristinare le condizioni economiche per permettere una crescita sostanziale. Fino ad oggi sono falliti. Ho l’impressione che abbiano solo dimostrato che le migliori medicine economiche non funzionino in Africa e che probabilmente questo dipende dal fatto che la crisi in Africa non sia, o non sia solamente, una crisi economica. Sarebbe più opportuno parlare invece di crisi sociale con alcuni aspetti economici non isolabili da altri fattori sociali. E’ perciò impossibile che possano funzionare misure puramente economiche.
Vorrei ora fare alcune riflessioni sugli aspetti sociali della crisi in Africa. Quasi tutte le società africane sono caratterizzate da una struttura molto chiusa ed una forte coesione interna. All’interno della società ognuno ha un ruolo ben definito e rappresenta un elemento in una rete di relazioni.
Un’altra caratteristica della società è la sua organizzazione che non permette alcuna scomposizione della coesione interna. E’ inoltre molto significativo che ogni società riesca a far risalire le proprie origini a fonti esterne. Le società sono infatti state fondate da antenati o da eroi che, una volta e per sempre, hanno impostato le regole di comportamento per ogni individuo nella società, i rapporti con gli altri all’interno della stessa società e le relazioni con il mondo esterno. Queste basi, di provenienza appunto sempre esterna, non potevano essere messe in discussione dai membri della società. La violazione di una di tali regole significava provocare l’ira degli antenati e comportava perciò una serie di sanzioni. L’obiettivo dell’educazione dei giovani, fornita non solo dai genitori ma da tutta la comunità era quella di assicurare che ognuno occupasse il proprio ruolo all’interno della società e che rispettasse sempre le regole delle comunità.
Questa particolarità della società africana può forse spiegare il motivo per cui l’Africa sia probabilmente stata meno destabilizzata dalla colonizzazione rispetto ad altri continenti nel mondo. Con l’indipendenza la gente era disposta ad accettare l’influenza occidentale per i consumi di merci e servizi moderni e possiamo infatti vedere che le classi governanti hanno sfruttato i redditi delle esportazioni o degli aiuti stranieri per accedere alla società affluente. Persino i più poveri si sono fatti affascinare dai prodotti industriali dell’occidente a loro del tutto inaccessibili. Ma ai tempi dell’indipendenza la gente non era affatto preparata a rinunciare alle tradizioni ed alle culture molto radicate accettando i modelli occidentali per produrre merci e servizi in modo efficiente. L’essenza dello sviluppo occidentale è basata su un aumento continuo della produttività del lavoro e questo aumento continuo esige cambiamenti continui delle abitudini (che possono anche essere dolorosi!), un cambiamento che la società africana fino ad oggi ha rifiutato. Questo atteggiamento verso i modelli di consumo e produzione occidentale non è una caratteristica specifica delle zone a sud del Sahara. Infatti molti altri paesi del terzo mondo hanno più a meno rifiutato i modelli occidentali di efficienza, anche se ritengo che in nessun posto al mondo il rifiuto sia stato radicale come in Africa.
E’ chiaro che molte politiche economiche e numerosi progetti di sviluppo siano stati ideati e realizzati per costruire un moderno settore di attività ad alta produttività di lavoro. Ma anche quando l’obiettivo era veramente quello di migliorare la produttività possiamo osservare che le stesse caratteristiche delle società africane abbiano introdotto distorsioni impedendo spesso alle politiche ed ai progetti di aumentare la produttività. Penso si possano analizzare le politiche dei governi in Africa negli ultimi tre decenni come modi e metodi mai mirati ad aumentare la produttività, bensì solo a raccogliere l’eccedenza generata dalle attività agricole o estrattive (quella che gli economisti usavano chiamare rendita della terra o del giacimento) e distribuirla fra minoranze privilegiate, l’eccedenza veniva poi utilizzata soprattutto dalla minoranza per acquistare merci e servizi moderni. E quando invece veniva a mancare l’eccedenza, la politica più comune era quella di produrre reddito creando una carenza artificiosa per poter distribuire il reddito creato in questo modo.
Vorrei fare un esempio concreto: il fatto che tutte le valute africane siano sopravvalutate rappresenta una curiosa coincidenza. Una valuta sopravvalutata permette di accedere a prodotti industriali economici importati (almeno fino a quando i paesi occidentali siano disposti a pagare il deficit delle bilance commerciali, ma sembra che lo siano). In questa modo si crea scarsità sul mercato di valute forti e perciò, coloro che hanno accesso alla valuta forte, possono godere di redditi decisamente significativi. Questa situazione è invece sfavorevole ai produttori agricoli ed al settore manifatturiero. Possiamo anche aggiungere che i paesi in rapido sviluppo nel Sud-Est Asiatico hanno valute sottovalutate.
Nell’ultimo decennio alcuni paesi africani hanno registrato un certo sviluppo anche se penso che sia solo apparente, in quanto si basa sullo sfruttamento della rendita delle terra come nella Costa d’Avorio e nel Camerun, e la rendita delle giacenze in Nigeria e nel Gabon. Non si tratta infatti di uno sviluppo reale basato su un aumento della produttività del lavoro, che in ogni settore continua a rimanere molto bassa. Nessuna rendita è perpetua e quando, con la flessione dell’economia mondiale, sono crollate le rendite per le economie africane è stato un vero collasso. Mentre la Malesia investe in piantagioni di cacao attribuendo quindi molta importanza alla rendita della terra in questo settore, la Costa d’Avorio registra un calo della rendita con una conseguente crisi economica imputabile soprattutto alla bassa produttività del lavoro nelle piantagioni di cacao non più competitive.
Vi è una certa incoerenza fra l’atteggiamento africano verso il consumo e quello verso la produzione, un’incoerenza che nel mio libro ha chiamato ”cargo cult” (il cargo cult è un culto ideato da alcune tribù delle isole nell’Oceano Pacifico dopo la seconda guerra mondiale; i nativi credevano che i prodotti della civiltà industriale fossero inviati dai loro antenati ma che poi venissero dirottati dall’Uomo Bianco). Pensa che questa incoerenza sia la chiave, o almeno una delle chiavi, per capire il mancato sviluppo economica in Africa e la crisi attuale.
Scenari futuri
Sarà possibile eliminare in futuro questa contraddizione delle società in Africa?
Da un lato possiamo affermare che l’Africa non cambia. Colpisce il fatto che, dopo un secolo di strette relazioni con l’Europa e l’America del Nord, i valori tradizionali di solidarietà fra i membri di una comunità ed il rispetto degli anziani siano rimasti ancora molto forti. E’ anche impressionante vedere che le culture africane in molti campi non subiscono affatto l’influenza occidentale. La capacità di resilienza delle società in Africa influenza molto l’evoluzione in generale e non ritengo sia possibile ipotizzare scenari futuri dell’Africa senza prendere in considerazione anche questa tendenza.
Dall’altro lato possiamo affermare che l’Africa sta cambiando e che cambia molta rapidamente (influenze occidentali, islamiche, ecc.). Vi sono infatti persone singole o gruppi che si assumono iniziative nel costituire cooperative, questo è un esempio che solo 20 o 10 anni prima sarebbe stato persino inimmaginabile. L’individualismo cresce rapidamente in molti segmenti delle società che in passato attribuivano più valore alla comunità che all’individuo. Possiamo inoltre osservare l’emergere di nuovi gruppi sociali: i giovani e la donna. In passato il loro ruolo era secondario, oggi invece svolgono mansioni sempre più importanti. Ma possiamo anche osservare una forte lacerazione fra valori tradizionali e nuovi dinamismi.
Deve inoltre aggiungere che l’Africa si trova in zona di turbolenza e che sarà molto difficile prevedere l’importanza delle nuove tendenze ed il peso che i primi bagliori di un cambiamento potranno avere sul futuro del continente. Ho la sensazione che vedremo evoluzioni molto diverse e che due paesi, con attuali condizioni economiche e sociali molti simili, possano percorrere vie molta diverse. Non possiamo escludere che in alcuni paesi lo Stato attuale non sia destinato a crollare, mentre in un paese limitrofo uno Stato potrebbe adattarsi senza grossi problemi a condizioni del tutto nuove.
Oggi in molte parti in Africa si sente un lieve vento di democrazia. Riuscirà questo nuovo vento a portare uno sviluppo economico? il vento porterà senz’altro aspetti molto positivi e penso che quello che è stato definito lo “stato basato sul patrimonio” non possa sopravvivere alla democraticizzazione, almeno non nella forma assunta negli ultimi decenni. Probabilmente le gravi violazioni dei diritti umani, le corruzioni su larga scala, i governi capricciosi, ecc.. molto frequenti nei decenni trascorsi, non saranno più possibili. Ma vi sarà automaticamente uno sviluppo economico? Non sono certo che la risposta sia affermativa.
Credo che forse l’attuale processo di democraticizzazione sia ancora limitato. Fina ad oggi il potere in un paese africano è stato monopolio di una frazione di un’elite. Altre frazioni non hanno partecipato al potere ed alla distribuzione del benessere ad esso collegato. Questo nuovo vento di democrazia è forse una protesta da parte dell’elite urbana finora esclusa? Non saprei, ma non mi sembra che stiano emergendo nuovi partiti politici che rappresentino anche le popolazioni rurali.
Sia per motivi culturali e politici che per l’interazione fra questi, non possiamo ancora considerarci vicini alla fine della crisi in Africa. Tema che a medio termine la produttività del lavoro rimanga ancora molto bassa. E se la produttività del lavoro dovesse veramente rimanere bassa, non riesco ad immaginare come si possano migliorare il livello di istruzione e la sanità, come le infrastrutture possano essere sviluppate, come sia possibile migliorare il tenore di vita e come si possa eliminare la povertà. Tutto questo potrebbe verificarsi solo qualora i paesi occidentali dovessero decidere di concedere aiuti enormi all’Africa. Non penso tuttavia che i paesi occidentali siano pronti a questo passo e non ritengo neanche che sia una buona soluzione per la crisi in Africa.
Ritengo invece che a lungo termine vi siano numerosi segnali di cambiamenti in Africa e che sia giustificato un certo ottimismo. Penso che in Africa ci sarà uno sviluppo. Quale tipo di sviluppo? Non saprei! Probabilmente non lo sviluppo ideato dagli economisti della Banca Mondiale, probabilmente non lo sviluppo modellato su quello dei paesi occidentali, lo sviluppo dovrà invece prendere in considerazione le caratteristiche specifiche delle società in Africa che non sembrano affatto intenzionate a scomparire. Uno sviluppo basato quindi sulla conservazione dell’originalità della cultura africana.
Fino ad oggi quasi tutti gli interventi realizzati dai paesi occidentali (sia da enti pubblici che da organizzazioni non governative) sono stati modellati ed orientati sul nostro tipo di sviluppo, ossia una forma di sviluppo rifiutata dalla società in Africa. Ma siamo in grado di partecipare efficacemente al nuovo tipo di sviluppo futura in Africa? La risposta probabilmente è: sì siamo capaci, possiamo seguire questo evento, possiamo contribuire a far emergere uno sviluppo nuovo. Ma devo anche aggiungere che dobbiamo decisamente modificare la nostra visione degli aiuti all’Africa.
NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 7.10.1991 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.