A sedici secoli dalla sua conversione, Agostino è ancora una forza spirituale di straordinaria efficacia per le coscienze che entrano in dialogo con lui ed è l’autore cristiano più letto e amato. Come si spiega un fatto del genere? «La sua voce risuona come un appello al risveglio soprattutto in epoche di crisi» annota Norberto Bobbio e con ragione. Il grande Africano, la cui vicenda terrena si situa negli anni fra il 354 e il 430, visse infatti in tempi di paurosa disgregazione politica e sociale; ma contro la tentazione della resa e del pessimismo, così forte in ogni epoca di grave crisi, egli è lì a ricordarci, con l’immensità della sua opera di pensiero e con la sua azione intrepida, instancabile, di pastore e vero leader spirituale dell’Occidente che la legge del progresso reale è di poter avanzare anche tra ostacoli e malvagità e che, in ultima analisi, il senso della storia è racchiuso, per ogni uomo e per ogni epoca, nelle parole del Qoelet: «Contro il male il bene e contro la morte la vita». Non la resa, dunque, non la fuga dalle responsabilità e dall’impegno è il messaggio di Agostino, ma l’essere nella storia da cristiani, l’assunzione umile e coraggiosa del compito di redimere il tempo, facendo circolare in esso l’ispirazione evangelica che riscatta, risana, eleva ogni cosa: quella ispirazione per cui, come diceva Leopold von Ranke in una conferenza del 1854 sul senso della storia, «ogni epoca diventa contemporanea a Dio ed equidistante da lui».
Agostino smaschera la menzogna e la carica disumana del mito pseudo rivoluzionario della società perfetta e le sue parole costituiscono una lezione d’intelligenza critica da cui sono ben lontani quanti in questo nostro XX secolo si sono inginocchiati con fideismo cieco dinanzi all’idolo delle dittature moderne. Costruire una civiltà è per Agostino un compito sempre da riprendere, essendo relativa, parziale e progressiva l’attuazione dell’imperativo della ragione nelle complesse vicende della storia. Per questo Agostino sottolinea energicamente il valore del tempo, il suo carattere originale e irrevocabile. Fin d’ora ogni istante, ogni uomo, ogni generazione sono in rapporto a Dio ed è per la contemporaneità di Dio ad ogni avvenimento storico, che la storia diventa tessuto di azioni umane qualificabili in senso positivo o negativo.
La storia si svolge nel tempo, ma nella storia s’instaurano valori che trascendono il tempo, si prepara e, in un certo senso, si attua, in quanto si sceglie irrevocabilmente, l’eterno destino dell’uomo. Il significato della storia è nel bene che in essa si compie, nella lotta che in essa si combatte; il progresso per il singolo come per l’umanità è nelle affermazioni e nelle conquiste dello spirito. Il valore reale, il valore profondo e definitivo dei nostri atti sta nella loro trascrizione in città di Dio.
Miguel de Unamuno aveva colto in profondità ciò che Agostino può significare anche oggi per un Occidente dilaniato dalle sue contraddizioni, incapace di scelte coraggiose, corroso dal nichilismo. «Bisogna africanarsi», scriveva il maggior filosofo spagnolo, rifarsi cioè spiritualmente compagni di viaggio del grande Africano, perché nessuno come lui ebbe la coscienza del sentimento tragico della vita e insieme la volontà di non arrendersi alla nequizia e alla stupidità. In un mondo in frantumi bisogna lavorare a costruire un mondo nuovo e più degno, facendo bene oggi tutto quello che ci è richiesto al servizio dei fratelli, al cospetto di Dio e col suo aiuto, in sinergia con lui.
L’eredità culturale e spirituale di Agostino, storicamente definita eppure così capace di dare voce all’universalmente umano, è troppo preziosa e stimolante perché possa essere a cuor leggero misconosciuta o adulterata. Il massacro filologico di Agostino o la deformazione aprioristica e banale del suo pensiero sono stati due dei connotati più negativi della «rivoluzione culturale» che ha frainteso, parassitato e attraversato il rinnovamento post-conciliare nel mondo cattolico. Non si può quindi non sottoscrivere il giudizio che uno spirito acuto e disincantato, Lucio Colletti, esprimeva su Avvenire del 13 novembre u.s.: «Devo ammettere che oggi io avverto una parte del mondo cattolico come un pericolo pubblico. È il cattolicesimo che si lascia assimilare da tutti pretendendo di essere il sale di tutto. Come laico provo ammirazione per il Cristianesimo drammatico di un sant’Agostino, ma non certo per quei teologi contemporanei dove il Cristianesimo è ridotto ad una saponetta con cui tutti indifferentemente possono sciacquarsi le mani».
Agostino affascina perché in lui l’estrema audacia del pensiero si coniuga all’estrema sincerità, come Albert Camus ricordava ripetutamente ne “L’uomo in rivolta” e in “Actuelles, agl’intellettuali francesi, sartriani e no, accecati dalla coppia tedesca Marx-Nietzsche. «Il pensiero di Agostino non si spaventa davanti a nessun problema». Di più: «Agostino fornisce temi per ogni autentica rivolta della coscienza». «Egli – proseguiva Camus – è il solo grande spirito che ha guardato in faccia il problema del male. Agostino non ha voluto consolarci con soluzioni provvisorie». Ai negatori della dimensione interiore della vita e della trascendenza, ai seguaci dell’ateismo marxista, agli storicisti e ai gidiani, ai ripetitori dell’equazione tra cristianesimo e alienazione, tra messaggio evangelico e «veleno dell’Occidente» Camus rispondeva, in un’intervista del 1948, con parole che è bene riportare testualmente. «Io rifletterei prima di dire che la fede cristiana è una dimissione e una fuga. Chi può scrivere questo di sant’Agostino? L’onestà impone di giudicare una dottrina per le sue vette e non per i suoi sottoprodotti… No, la fede non è un rifugio, ma piuttosto una speranza tragica».
Il genio autentico, pur potendolo, non gioca a ingabbiare la realtà nel suo sistema, ma desta le anime. Lo si vede in Socrate e in Agostino, meglio che in chiunque altro, ed in misura diversa in un Pascal o in un Kierkegaard. Nelle pagine conclusive della sua monumentale “Storia di Roma”, esattamente cento anni fa, il Mommsen definiva Agostino «il più moderno degli antichi», perché ha risentito di meno delle limitazioni proprie della sua epoca. Certo non in tutto si può e si deve essere con Agostino, perché anche il genio è un faro e non un termine; ma chi potrebbe fare a meno del suo apporto di filosofo, teologo, psicologo, mistico, esegeta e artista di squisita sensibilità? Lo Harnack ha osservato che ciò che si offre a noi nelle pagine di Agostino, nel suo stile inimitabile, è una persona e «tuttavia il lettore capisce che l’umanità di Agostino è di gran lunga superiore ai suoi stessi scritti». Anche sulle vette più pure della speculazione (si pensi alle indagini sul male, sulla memoria e sul tempo svolte nei libri VII, X e XI delle “Confessioni” o all’arditezza critica e inventiva di tante pagine del “De Trinitate” o del “De civitate Dei”) il lettore attento riconosce in Agostino colui che abita nel cuore dell’umano.
Giornale di Brescia, 3 dicembre 1986.