“Alla pace perpetua” di Immanuel Kant

Valentina Gheda

Il professor Pettoello presenterà questa sera il testo kantiano Alla pace perpetua. Un progetto filosofico, dedicato al tema della pace universale e duratura. Tematiche che allungano le proprie radici nel tempo e nello spazio, trovando terreno fertile per il dibattito intellettuale, in quell’Europa che a fine Settecento e inizio Ottocento affrontava quell’insieme di cambiamenti dovuti alla Rivoluzione francese, cercando di attraversare il periodo che va dall’antico regime fino alla modernità, dibattito diviso tra chi sosteneva il pacifismo e chi vedeva nella guerra l’unica modalità di risoluzione dei conflitti. Quella che viene riproposta in questa edizione è la nuova traduzione di un testo che è stato dato alle stampe per la prima volta nel 1795 e che ha avuto una grande fortuna fin da subito. In questa edizione trova occasione di confronto con altri pensatori dell’epoca che subito cercarono di commentare il testo. Kant scrisse Alla pace perpetua con l’intento di rivolgersi all’intera umanità, il testo voleva interpretare i conflitti che stavano sconvolgendo l’Europa dal punto di vista filosofico.

Renato Pettoello

Siccome suppongo di avere davanti un pubblico vario, non dei lettori accaniti di Kant, eviterei di entrare in questioni troppo tecniche o troppo legate all’aspetto teorico di Kant. Mi soffermerei soprattutto su alcune delle proposte che ci sono in quest’opera, cercando di attualizzarle, di vedere se conservano una certa attualità. Nel testo c’è una citazione di Bobbio che sottolinea l’incredibile attualità di questa piccola pubblicazione in una fase drammatica nella storia dell’umanità. Noi stiamo correndo il rischio di trovarci di nuovo in una guerra totale, il pontefice ci ha avvertito da tempo su questo rischio. La pace non è certamente una questione di tutti i giorni. Io eviterei di trattare degli autori che sono uniti a Kant in questo libro, personalità di grandissimo rilievo come Fichte, Schlegel e altri due autori, oggi meno conosciuti, Joseph Gorres e Friedrich Gentz. Le posizioni sono molto varie, ci muoviamo tra posizioni nettamente rivoluzionarie (Gentz) a posizioni estremamente conservatrici (Gorres). Si tratta di una sorta di dialogo tra sordi, come spesso succede in filosofia, sembra che parlino della stessa cosa, ma non si capiscono proprio. Lascerei perdere e mi concentrerei sull’opera di Kant. È un’operetta molto breve, un piccolo saggio, ha la struttura di un trattato internazionale, composto da ben sei articoli preliminari, due articoli definitivi, ci sono due supplementi e infine un’appendice, aggiunta nella seconda edizione, pochi anni dopo la prima. Mi soffermerei su alcuni punti. Riflettere oggi sul problema della pace è centrale, se ci pensiamo dopo la Seconda guerra mondiale non c’è mai stata la pace. È possibile proporre un progetto come quello kantiano? È soltanto utopia o c’è qualche elemento più concreto? Iniziamo dagli articoli preliminari, cito solo il terzo, il quinto e il sesto, che mi sembrano i più interessanti. Nel terzo viene detto che gli eserciti permanenti dovrebbero scomparire, questo purtroppo penso sia proprio un sogno, certo se fosse possibile eliminare gli eserciti sarebbe già un bel passo avanti. Nel quinto dice che nessuno Stato deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo di un altro Stato. Purtroppo proprio in questi tempi noi abbiamo assistito all’intromissione armata, violenta e brutale di uno Stato nei confronti di un altro. Nel sesto dice che non devono essere permesse forme di crudeltà tali, che rendano impossibile una pace futura. Anche in questo caso siamo oggi in presenza di una situazione, in varie parti del mondo, difficile da giustificare, a forme di crudeltà che poi creano ostacoli a politiche di riconciliazione.

Più concreti sono gli articoli definitivi: «In ogni Stato la costituzione civile deve essere repubblicana»; repubblicano all’epoca di Kant è quello che noi chiamiamo uno Stato rappresentativo in cui ci sia una divisione dei poteri e in cui ci sia una rappresentatività [agli occhi di Kant la monarchia inglese sarebbe uno Stato repubblicano]. La prima condizione fondamentale per poter porre le basi di una pace duratura è la presenza di uno Stato repubblicano, soltanto in uno Stato che ha queste caratteristiche si può cominciare a parlare di una possibile pace. Qui Kant fa anche delle affermazioni che apparentemente sono paradossali, dice che uno Stato del genere potrebbe funzionare correttamente anche se fosse uno Stato di diavoli, purché fossero esseri razionali. Kant aveva una concezione piuttosto negativa dell’uomo, l’uomo è soggetto ad un male radicale, si rende perfettamente conto che ogni uomo ha delle forme di egoismo, ha degli interessi personali, che spesso si scontrano con gli interessi comuni, sociali. Se però uno Stato è bene organizzato, se le istituzioni dello Stato sono buone, allora anche solo per motivi egoistici è più vantaggioso seguire le regole pubbliche. Anche se Kant non lo cita affatto mi viene in mente uno scritto molto famoso degli inizi del Settecento di Bernard de Mandeville: La favola delle api. In questo testo si dice che se ciascuno guarda al proprio interesse, ma se le istituzioni funzionano bene, necessariamente, volenti o nolenti, noi saremo costretti a seguirne le norme. Kant ritiene che non ci possa essere conflitto fra politica e morale, questo è un punto delicato. Kant distingue fra un politico morale, cioè un politico che assume i principi della prudenza politica in coesistenza ai principi della morale; e un moralista politico, ovvero colui che modella una morale in funzione degli interessi dell’uomo di Stato. Da un lato ci deve essere una corrispondenza tra morale e politica, non si può pensare ad una politica immorale, dall’altro c’è un rifiuto di uno Stato etico.

Un altro punto interessante su questa questione è che per fondare uno Stato repubblicano non si può fare appello alla morale individuale. Kant dice: non è dalla morale che ci si deve aspettare una buona costituzione politica, ma è al contrario da una buona costituzione politica che ci si deve aspettare una buona formazione morale di un popolo. Se le cose vengono lasciate come sono ciascuno fa il proprio interesse personale; uno Stato repubblicano ben costituito invece educa il suo popolo. Almeno su uno di questi aspetti le democrazie occidentali si sono adeguate, nelle democrazie occidentali, anche se oggi sembrano essere in una forma di smarrimento, è innegabile che ci sia una divisione dei poteri, abbastanza funzionante. Questo ha sicuramente favorito un vivere civile.

Veniamo al punto più complesso e problematico: la prospettiva del federalismo. Kant, come ideale irraggiungibile, propone uno Stato mondiale in cui tutti gli Stati del mondo vengono riuniti. La soluzione alternativa, secondo Kant perseguibile, è quella di una federazione di Stati, inizialmente parziale e alla fine mondiale. Tutti gli Stati del mondo dovrebbero federarsi, riconoscere le stesse leggi, riconoscere tutti l’autorità suprema dello Stato federale, e questo garantirebbe la pace. Può sembrare un’utopia, anche perché i due esempi che abbiamo di un tentativo del genere sono fallimentari: la Società delle Nazioni, organizzazione internazionale istituita dalle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale allo scopo di mantenere la pace e sviluppare la cooperazione internazionale in campo economico e sociale, voluta dal presidente americano Wilson, non funzionò, ma la sua impotenza è dovuta anche al modo in cui è stata realizzata. Il trattato di Versailles, così ingiusto nei confronti della Germania, ha creato le condizioni per la Seconda guerra mondiale. L’altro tentativo è l’ONU Organizzazione delle Nazioni Unite, sorto dopo la Seconda guerra mondiale, con gli stessi intenti della Società delle Nazioni, ma ogni giorno assistiamo all’impotenza e all’incapacità dell’ONU di fare alcunché. Dobbiamo però dire che l’ONU è nato nel peggiore dei modi, nasce dal gruppo dei vincitori della Seconda guerra mondiale, che ne costituisce il nucleo centrale, con la possibilità di veto.

Questo non vuol dire che l’idea di una federazione è di per sé fallimentare anche perché un esempio di un successo della federazione lo abbiamo. L’esempio riuscito è quello degli Stati Uniti, la guerra di secessione non era propriamente una guerra civile, era una guerra tra gli Stati del sud e gli Stati del nord. Alla fine, gli Stati del nord vincono una guerra terribile e si arriva all’attuale Stato federale, che con tutti i difetti che possiamo constare; tuttavia, è un esempio di uno Stato federale che funziona, che può intervenire, entro certi limiti stabiliti, sulle leggi degli Stati membri. Questo ha fatto in modo che tra gli Stati appartenenti allo Stato federale non ci siano più conflitti. Un tentativo, in parte fallito, è quello dell’Europa, uscita dalla Seconda guerra mondiale distrutta. Da quando si è arrivati all’unità europea, guerre tra i paesi dell’Europa sono impensabili, appena fuori porta sì, come ha dimostrato la guerra nella ex Jugoslavia. In Europa non siamo ancora arrivati ad uno Stato federale, ci sono resistenze ovunque, ma è stato sufficiente trovare un relativo accordo per favorire una convivenza pacifica tra gli Stati.

L’idea di Kant è che uno Stato repubblicano, federale, possa essere una garanzia per una pace duratura, addirittura, nella speranza kantiana, una pace perpetua.

Quali sono i punti deboli della concezione kantiana? Sono principalmente due:

  1. In uno degli articoli preliminari Kant dice che la guerra la vogliono fare soltanto coloro che detengono il potere, se la gente comune potesse scegliere, la gente la guerra non la vorrebbe fare. Questa è una semplice illusione. Kant non aveva idea di come si potesse manipolare l’opinione pubblica, pensiamo alla Prima Guerra Mondiale, c’erano folle oceaniche che inneggiavano al conflitto. È ragionevole pensare che ci sia stata una forte manipolazione, tramite la propaganda, che abbia mobilitato le masse. Kant di questo non si può rendere conto, ai suoi tempi non c’era bisogno della propaganda, le persone erano costrette ad andare in guerra. I mezzi per ottenere consenso e adesione sono sempre più sofisticati. Sembra che in Russia molti siano favorevoli al conflitto in Ucraina, la propaganda ha la sua efficacia e sembra avere efficacia anche su alcune minoranze di occidentali.
  2. Un punto assolutamente inattuale è un sostanziale ottimismo verso le sorti future, tipico dell’illuminismo. Noi abbiamo da un bel po’ abbandonato l’idea che la storia vada verso il meglio. Ancora più inaccettabile è un’altra considerazione che Kant collega a questo ottimismo: egli ritiene che la natura stessa, tenda necessariamente ad organizzarsi, a migliorarsi e quindi l’uomo non può che, seppure lentamente, seguire questa legge naturale e questa legge porta, nell’uomo, alla morale. La concezione finalistica della natura ormai non è accetta dai più, la tendenza oggi prevalente è quello di vedere uno sviluppo casuale della natura.

Questi sono alcuni degli aspetti principali dell’opera di Kant. Ricordiamoci che quest’opera si basa nei suoi fondamenti teorici, sia su quanto si trova sulla Critica della ragione pura e soprattutto su quanto si trova sulla Critica della ragion pratica e in parte anche sulla terza critica, La critica del giudizio (la teleologia naturale si trova proprio lì).

Domanda dal pubblico

Uno studioso di sistemi politici ha osservato che non c’è mai stata nell’epoca recente, dal dopo guerra in avanti, una guerra tra democrazie. Le democrazie hanno fatto guerre anche di natura imperialistica, ma con Stati non democratici. Questo potrebbe voler dire che l’opinione pubblica democratica non accetta di fare la guerra ad un altro Stato democratico e quindi mi sembra che Kant abbia visto giusto. La tesi ottimistica di Kant, che Lei non condivideva, sul fatto che il popolo sia contrario alla guerra se interpellato, va considerato diversamente a seconda che sia vigente una forma repubblicana o una forma dittatoriale. Nel primo caso, a mio parere, il popolo non è disponibile ad andare in guerra. Se vige in una dittatura in cui l’opinione pubblicata è manipolata, allora cambia tutto.

Renato Pettoello

È vero, non c’è più stato un conflitto diretto tra paesi democratici. Una precisazione terminologica: “democratico” per Kant è una brutta parola, Kant non ammetteva la democrazia diretta, secondo lui sarebbe subito diventata una forma di autarchia. È probabile anche che per una questione di abitudine, nei paesi democratici, a una vita tranquilla, relativamente serena, relativamente agiata, la guerra non sia certo una delle prime aspirazioni. Io non sono però così ottimista sul fatto che non si possa manipolare anche l’opinione pubblica di un paese democratico. Queste manipolazioni sono continue, non nella direzione della guerra per fortuna, ma per la moda, per i gusti ecc. i desideri, le ambizioni, vengono ampiamente veicolate da forme di propaganda più o meno occulta. Non sono sicurissimo che siamo del tutto esenti da pericoli del genere. Se uno Stato è ben organizzato i rischi sono molto ridotti, come dice Kant, d’altro canto però mi è successo di trovare persone che hanno giustificato l’intervento della Russia in Ucraina. Se per un motivo o per un altro noi fossimo antipatici agli austriaci e l’Austria decidesse di invaderci, sarebbe corretto? Ovviamente no, non c’è nessun motivo per cui uno Stato autonomo possa essere invaso, tuttavia non sono convinto che le popolazioni occidentali non vengano manipolate, veniamo manipolati tutti i giorni.

Domanda dal pubblico

Kant è stato influenzato nello scrivere il libro dalla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776?

Renato Pettoello

L’evento che ha colpito maggiormente Kant è la rivoluzione francese. In quest’opera fa un chiaro riferimento alla rivoluzione francese, ammette addirittura che in uno Stato in cui c’è un tiranno è legittima la rivoluzione. È comprensibile ed è legittima, ma si deve sapere che se la rivoluzione fallisce poi chi detiene il potere legittimamente punisce chi si è ribellato. La rivoluzione americana ha colpito molto meno di quella francese. In ogni caso questi avvenimenti internazionali hanno influenzato in maniera significativa l’opera kantiana e il dibattito dell’epoca.

Domanda dal pubblico

Volevo chiederle una cosa per quanto riguarda il coraggio che ha avuto Kant, perché nel proemio scrive: spero che i governanti abbiano un certo rispetto per il fatto che i filosofi scrivono, ma non sono sicuramente innocui. Nella prima parte dello scritto mi ha colpito il fatto che dice che non si può ereditare lo Stato, non si può aggiungere uno Stato ad un altro, perché lo Stato è un’associazione di persone, non è una cosa. Il fatto che va contro le pratiche che erano consuete, ben accettate, dimostra che si tratta di un filosofo che ha avuto coraggio.

Renato Pettoello

Kant, che pure passa per uno che non ha voglia di seccature con il potere, in realtà ha dimostrato, più di una volta, di avere un certo coraggio. Riguardo il problema del rapporto tra filosofo e potere, Kant afferma che chi detiene il potere dovrebbe ascoltare i filosofi, perché possono dare un fondamento teorico alle scelte che vengono fatte. Il passo che lei ha ricordato è molto importante, al tempo si acquisivano Stati attraverso i matrimoni, l’eredità ecc. e i cittadini dovevano accettare tale cambiamento. È una posizione coraggiosa anche perché fa riferimento al popolo che ha dei diritti, diritti che venivano completamente ignorati dai sovrani. Ha un valore più storico che attuale.

Domanda dal pubblico

Kant nel suo approccio analitico tende sempre a distinguere gli ambiti, morale e politica non si sovrappongono e questo emerge all’interno dello scritto. Questa rigorosa distinzione non costituisce in un certo senso un limite a cui forse lo stesso Kant allude nella conclusione, quando dice che la morale non è la miglior politica, ma è migliore di qualsiasi politica. È possibile tramutare l’insocievole socievolezza degli uomini in una condizione di pace sulla base di una struttura organizzativa dal solo punto di vista politico. Giustamente sono stati evidenziati dei limiti della posizione kantiana, forse un altro limite che potremmo aggiungere riguardo a ciò che è stato detto, riguarda l’impostazione di quest’opera, faccio riferimento ad un testo come Il mito dello Stato di Cassirer, dove il problema non è tanto come organizziamo lo Stato, ma come lo concepiamo, se lo Stato viene concepito in una forma razionale, oppure in una forma mitica. Il potere evocativo del mito fa un sol boccone di tutte le considerazioni razionali. Credo che sia un pericolo che anche noi oggi corriamo e forse se volessi congiungere le domande potrei dire: non è forse un dovere morale concepire politicamente e razionalmente l’organizzazione dello Stato?

Renato Pettoello

È vero che Kant distingue analiticamente, è la sua grande qualità, ed è vero che sul problema del rapporto politica e morale non è così cristallino come si potrebbe desiderare e non lo è perché è davvero difficile chiarire quali sono i confini. Premetto che una risposta adeguata riterrebbe necessario prendere in considerazione la Critica della ragion pratica, senza questa fondazione teorica non si riesce a spiegare la morale razionale. Detto questo, l’idea di fondo è relativamente chiara: c’è qualcosa che è la morale, questo qualcosa non può per definizione essere in contraddizione con la politica, perché altrimenti c’è qualcosa che non funziona, c’è qualcosa di irrazionale. Un accordo ci deve essere, il minimo che si può chiedere è che uno Stato ben costruito aiuti la morale e non si contrapponga ad essa, questo senza ammettere in nessun modo una forma di prevaricazione. Anche qui c’è un elemento di ottimismo, ma è un dibattito piuttosto interessante per la nostra contemporaneità: la politica, nella nostra concezione occidentale, tiene conto della necessità di trovare un accordo con la morale? Kant si mostra abbastanza realista perché quando parla del politico morale dice chiaramente che ovviamente questo deve operare da politico; tuttavia, non deve mai andare oltre un certo limite, si tratta di capire se oggi si va oltre questo limite. È anche chiaro che politica e morale sono due cose diverse e vanno tenute distinte, in questo Macchiavelli è stato definitivo. Ha citato un autore che a me è molto caro, certo il razionalismo kantiano è il razionalismo settecentesco, non tiene conto di aspetti irrazionali, mitici, che fanno parte della formazione dello Stato. Tuttavia, Il mito dello Stato è l’ultima opera di Cassirer, uscita postuma ed è stata i gran parte motivata dalla situazione in Germania nella Seconda guerra mondiale, dall’irrazionalismo spaventoso che dominava la vita pubblica durante il nazismo, e ha forse calcato un po’ troppo la mano in quella direzione. È anche vero che la filosofia sulle forme simboliche, quindi tutto il discorso sul mito, finisce con la scienza, con la razionalità. Anche la scienza ha un elemento mitico, l’idea di fondo è però che bisogna governare la realtà con la ragione, una ragione che non esclude aspetti irrazionali ed emotivi. Il controllo deve essere il più razionale possibile.

Valentina Gheda

Chiudo io con una domanda velocissima. Lei ha toccato un tema fondamentale per Kant, ovvero il male radicale nell’uomo, Le chiedo dunque se Kant, a trecento anni dalla nascita, confermerebbe quell’idea o ne darebbe un’interpretazione diversa.

Renato Pettoello

Mi è difficile risponderle perché è un onore troppo grosso prendere la parola al posto di Kant. Per poter rispondere negativamente bisognerebbe pensare che Kant cambiasse completamente il suo sistema, perché nel suo sistema il male radicale ha legami con la religione luterana, con un’interpretazione molto forte del peccato originale, che diventa un fatto costituente dell’essere umano. Io risponderei di sì, ci sono singoli esempi di persone meravigliose che si sono sacrificate in momenti terribili, ma non mi sembra che noi esseri umani “normali”, esclusi questi eroi, possiamo vantarci di essere meglio degli uomini dell’era kantiana.

 

Nota: Trascrizione, non rivista dall’Autore, della conferenza  tenuta giovedì 5 dicembre 2024 dal prof. Renato Pettoello, che ha presentato il testo di Kant Alla pace perpetua, pubblicato nel 2024 per l’Editrice Morcelliana, con il marchio Scholé nel volume Progetti di pace. Il dibattito sulla Pace perpetua in Germania (1795-1800). L’incontro è stato promosso da Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Morcelliana editrice, Acli provinciali di Brescia e Padri della Pace.