Il 3 febbraio 1992 André Chouraqui è stato insignito della laurea Honoris causa in teologia dall’università Cattolica di Lovanio insieme a Boutros Ghali, segretario generale dell’Onu, e a Michel Serre, dell’Accademia di Francia. Nelle parole di ringraziamento all’indirizzo di saluto rivoltogli dal prof. Jean-Marie Sevrin, Chouraqui ha detto di sé testualmente: “Io mi presento qui davanti a voi con tre dei miei più penetranti, intrepidi e luminosi amici. Essi mi accompagnano nel mio cammino in questo mondo fin dalla nascita e non si distaccheranno mai da me neppure dopo la morte. Questi compagni privilegiati della mia esistenza si chiamano la Bibbia, i Vangeli, il Corano.”
Chi è, dunque, André Chouraqui? Non è facile rispondere a questa domanda. La lingua ebraica per designare il volto usa un termine che è al plurale, panim, cioè “i volti”, “le facce”. André Chouraqui è uno ed ha molteplici volti, tutti quelli che hanno caratterizzato la sua esistenza, la sua storia, la sua vita. In lui c’è l’intellettuale e il poeta; c’è il mistico e l’uomo d’azione. È nello stesso tempo nord-africano e francese, israeliano e amico dei musulmani. Ed è soprattutto quell’instancabile tessitore di pace, quell’intrepido costruttore di ponti, quel profeta della conoscenza reciproca e della riconciliazione tra ebrei, cristiani e musulmani che noi oggi onoriamo.
Nella cultura biblica il nome è una delle vie che rivela un compito, una vocazione, un destino. E il nome dell’illustre scrittore è triplice: Natan André Chouraqui. Natan è nome ebraico che significa: “Dio ha dato” e sta a ricordare l’imperativo del donare. André è nome greco e significa “valore, coraggio”. Chouraqui è arabo e indica l’origine, la provenienza, il suo essere “un uomo dell’Oriente”. Natan André Chouraqui è in tal modo posto all’incrocio di tre universi: Israele, l’Occidente greco-romano e il Cristianesimo, il mondo arabo.
Egli nasce nel 1917 ad Ain Temouchent, nell’Algeria allora francese. Fin da ragazzo sperimenta nella sua famiglia la tradizione giudaica e vive in mezzo ai musulmani che lo circondano, così come al Liceo di Orano per sette anni conosce la cultura atea e agnostica di stampo marxista. “I miei professori – ricorda Chouraqui – erano quasi tutti socialisti atei e se fra loro vi era qualche cristiano si guardava bene dal parlare di Dio, poiché era proibito dalla legge e dal regolamento. Quando ero a casa i miei antenati erano Abramo, Isacco e Giacobbe, ma appena entrato al Liceo mi hanno insegnato che i miei antenati erano i Galli…”. A Parigi si reca a studiare diritto e rimane profondamente colpito dalla parte che Israele gioca nella liturgia cattolica e persino nell’arte. L’abate Jules Monchanin giunge a dirgli: ”La conoscenza del Cristianesimo l’aiuterà a ritrovare la sua sorgente ebraica, che è vitale per la Chiesa cattolica.” Ma quelli erano gli anni dell’occupazione nazista e nella resistenza ebbe al suo fianco un altro algerino, Albert Camus. “Hitler voleva sopprimermi fisicamente poiché ebreo e allora decisi di sapere che cos’è un ebreo.” Allora, infatti, cominciarono i suoi studi biblici ed ebraici sotto la direzione della Scuola Rabbinica di Francia.
Giudice di pace in Algeria, Chouraqui ha modo di approfondire la sua conoscenza del mondo musulmano e, d’altra parte, l’arabo è la sua stessa lingua materna. Nel 1947 Renè Cassin lo chiama quale suo vice nelle direzione dell’Alleanza israelita universale. Dieci anni dopo, lo vuole come suo consigliere il presidente Ben Gurion, che lo nomina vice-sindaco di Gerusalemme, demandando a lui la soluzione dei problemi della popolazione araba.
Chouraqui si è speso generosamente nei difficili compiti che gli sono stati affidati, ma il suo orizzonte è sempre stato meta-politico, culturale e religioso. Nella sua vita ha molto parlato, scritto e pubblicato: opere giuridiche, lavori di storia, saggi su Israele e il giudaismo, biografie e poemi. Il cuore della sua opera sta però nelle traduzioni della Bibbia ebraica, del Nuovo Testamento e del Corano. Si dice che tradurre è tradire, ma Chouraqui non può tradire quello che ama. La traduzione integrale della Bibbia ebraica risultò sotto molteplici aspetti una novità felicissima per la capacità di far emergere i dettagli del quotidiano ed insieme i ritmi, i colori e i gusti, i sentimenti e i concetti del testo ebraico. Poi fu la volta del testo greco del Nuovo Testamento, di cui l’eminente traduttore seppe mettere in evidenza i fondamenti semitici. Lo stesso è accaduto per il Corano. La ricerca delle comuni radici è sottesa a queste traduzioni, in cui ormai molti cristiani e musulmani si riconoscono; e tale ricerca è non solo un alto punto di arrivo sul piano della filologia e della cultura, ma anche uno strumento di conoscenza reciproca e di dialogo fra le tre religioni monoteistiche. Di qui l’ardente speranza di Chouraqui: contribuire a liberare cristiani, ebrei, musulmani da quel clima di disprezzo e di paura da cui nascono le contrapposizioni più implacabili, risvegliando invece in essi la coscienza di essere figli ed eredi della stessa promessa che l’Unico fece ad Abramo. I credenti nell’unico Dio devono riconoscere che, storicamente, essi sono uniti in Abramo. La passione del traduttore diventa allora una via per celebrare l’Unico, un servizio reso all’unità dei credenti e, dunque, alla pace.
Chouraqui invita a “non confondere il fondamentalismo komeinista con l’islam”. È una confusione che fa il gioco dei politicanti. “È altrettanto falso quanto l’aver visto in Franco il rappresentante del Cristianesimo. Franco non era San Giovanni della Croce e nemmeno Komeini era Rumi.” (Rumi è il più grande poeta mistico di lingua persiana, morto nel1273). Egli soffre per gli incredibili, grossolani errori dei capi politici dei paesi arabi, perché poi sono i popoli arabi a pagare, e duramente, a causa loro. La sua convinzione è netta: “Ho imparato a rispettare l’Islam non solo a fianco di grandi musulmani, ma anche insieme alla popolazione araba. La gente, conosciuta da vicino, è di una straordinaria grandezza, semplicità d’animo, nobiltà.”
Uomo dallo sguardo universale, Chouraqui non può separare per nulla la sua opera e il suo messaggio dal suo essere figlio di Israele. La sua universalità si nutre della sua singolarità ebraica. E, d’altra parte, non è forse Israele, in misura diversa e comunque innegabilmente determinante, la radice del Nuovo Testamento e anche del nucleo centrale del Corano? Chouraqui è un apostolo, un persuasore di pace proprio perché segnato in profondità dalla Bibbia. “Nel linguaggio della Bibbia ad un certo momento ho scoperto – e la scoperta mi colmava di stupore – che quello era il linguaggio della mia anima, del mio essere. Potevo commuovermi leggendo un poema di Valèry, di Claudel o di Sain-Jhon Perse, ma il mio linguaggio non è né Valèry, nè Claudel, nè Sain-Jhon Perse, né Shakespeare, è la Bibbia, e la mia meraviglia leggendola nelle varie traduzioni è stata decuplicata quando sono tornato al testo ebraico. Scoprendo quel testo, scoprii le radici che mi legavano a me stesso”.
Giornale di Brescia, 13.03.1992. Articolo scritto in occasione dell’incontro con André Chouraqui sulle radici comuni delle tre grandi religioni monoteiste.