Il 14 giugno si spense a Sale Marasino, a 75 anni, Paolo Guerini, una di quelle figure
che costituiscono, per i servizi resi alla comunità in cui vissero, un esempio di civismo,
di costante dedizione, di finezza spirituale. È chiara la grandezza autentica di questi
concreti e tenaci operatori di bene, lontani da ogni rumore e da qualsiasi esibizione.
L’ultimo incontro, domenica 17 giugno, alla sua «Messa di addio», all’ultimo dei suoi doni alla comunità di Sale Marasino. Andai ad attenderlo all’uscita, nel retro della chiesa parrocchiale, per accompagnarlo all’Istituto Zirotti. Era visibilmente commosso e sfinito. Con uno straordinario scatto della volontà aveva costretto il suo corpo, dolorante in ogni parte e ormai sul punto di disfarsi, a rinviare di qualche giorno la morte per adempiere ad un voto: suonare l’organo alla prima Messa di un giovane prete salese, don Oscar Ziliani. E in quei pochi metri di strada, tra la chiesa e l’Istituto Zirotti, quanta gente aveva voluto salutarlo per l’ultima volta, guardarlo negli occhi, dirgli grazie! Cosa ancor più sorprendente: molti erano giovani, che in quel vecchio settantacinquenne ammiravano l’umile donazione di sé, la sconfinata capacità di rendersi utile sino alla fine.
L’ultimo incontro mi ha fatto tornare in mente il primo. Era il febbraio del 1949 e alla stazione di Sale, di buon mattino, in attesa del treno per Brescia, don Renato Giacomelli ci presentò l’uno all’altro. Dopo qualche scambio di vedute, durante il viaggio, fissammo un appuntamento per il mattino della domenica seguente. Una passeggiata, per farmi contemplare dall’alto la bellezza della sua Sale Marasino e per aprirci l’animo reciprocamente. Nacque in quel mattino una fervida amicizia, una consonanza nel profondo, uno scambio di impressioni e di giudizi nella più grande libertà, sicuri sempre, lui ed io, che tra noi non potevano in nessun caso sorgere equivoci. Si poteva, benché raramente non essere d’accordo, ma ognuno apprezzava e soppesava le ragioni dell’altro. E così è stato per oltre quarant’anni!
Paolo Guerini ebbe tra le mani, a partire da quella domenica, il settimanale Adesso (poi divenuto quindicinale) e da allora si riconobbe appieno nell’infuocata «lezione» di don Primo Mazzolari. Non è certo un caso che nella sua cospicua libreria gli scritti di don Primo ci sono tutti e fa bella mostra di sé la raccolta integrale, ben rilegata in tre grandi volumi, di Adesso, punto di incontro e di reciproco sprone per tanti generosi.
Paolo Guerini si interessò, dunque, di politica e volle veder chiaro in un campo complesso e delicato qual è il rapporto tra ispirazione evangelica e militanza politica. Mi ha sempre colpito in lui la sete di verità, il bisogno incoercibile di conoscere e, quindi, la domanda di libri, di riviste, testi su cui riflettere e a cui tornare per non lasciarsi manipolare da niente e da nessuno. Egli non cedette mai all’illusione comunista, perché era sinceramente democratico; ma fu del pari fieramente libero di fronte a chi credeva che l’esercizio del potere, soprattutto nei piccoli centri, fosse ancora una specie di «riserva» da cui dovevano essere tenuti lontani, di fatto, i veri rappresentanti dei ceti popolari. Fu, anzi, questo il terreno su cui rischiò di essere talora severo nella sua intransigenza. Non aveva potuto frequentare che le scuole di avviamento professionale, ma Paolo sapeva quello che tanti «dottori» non sanno. Sapeva, cioè, andare alle fonti, documentarsi, stare ai fatti e ragionare sui fatti. Egli era una tipica espressione di quell’«aristocrazia popolare», che nasce dall’incontro tra un’alta ispirazione religiosa, il gusto intelligente del concreto e la voglia di essere utili alla comunità e, in primo luogo, alla povera gente.
Interiormente distaccato da ogni ambizione e da ogni calcolo, Paolino si sobbarcò a incarichi politici solo quando c’era divisione negli animi e si annunciava tempesta; si adoperava allora a far trionfare il buon senso, a ridare serenità e oggettività ai rapporti tra le persone, a precisare gli obiettivi e i mezzi per il rilancio dell’Amministrazione comunale. Come ogni persona autenticamente intelligente, egli comprese il dovere di immettere di continuo nell’esercizio concreto delle responsabilità politiche e sociali i giovani, che sono fisiologicamente le forze nuove, l’avvenire di ogni comunità. A Paolino cittadino e cristiano impegnato in politica debbo ancora una testimonianza. Proprio perché cristiano, egli non fu mai clericale: non volle cioè mai scaricare sulle spalle dei sacerdoti funzioni e scelte che devono essere compiute dai laici, con la loro esclusiva responsabilità. E nei primi lustri della nascente democrazia in Italia questa finezza di sentire, quest’acuta percezione del valore universale del Cristianesimo – che è bene prezioso di tutti e che, pertanto, non può essere requisito da alcun partito – non erano certamente di molti. Infatti solo chi ha una schietta fede religiosa rifiuta di trasformare uno strumento di salvezza, qual è la Chiesa (è sempre pur essa ed essa sola ad annunciarci Cristo e a sospingerci a Lui), in strumento di parte politica, di partito. E la fede di Paolo Guerini era seria, genuina, consapevole.
Giornale di Brescia, 1 luglio 1990.