Bendiscioli tra storia ed ecumenismo

Mi compete di illustrare – all’interno delle iniziative organizzate nella settimana per l’unità dei cristiani – il contributo di Bendiscioli all’ecumenismo.

Darò al mio intervento il seguente taglio: illustrerò alcune significative intraprese editoriali della Morcelliana, che sono legate all’attività di Bendiscioli, tra il 1925 (quando la Morcelliana fu fondata) e il 1950-1951 (quando Bendiscioli, trasferito a Salerno come professore ordinario di Storia moderna, lascia la consulenza della casa editrice bresciana). Si tratta di intraprese editoriali significative che, direttamente o indirettamente, attengono al problema ecumenico, inteso come il problema della riunificazione dei cristiani divisi. Articolo l’intervento in quattro paragrafi, che corrispondono a quattro significative intraprese editoriali.

  1. L’essenza del cattolicesimo di Karl Adam e L’unità nella Chiesa di J.A. Möhler

La prima riguarda la pubblicazione de L’essenza del cattolicesimo (Das Wesen des Katholizismus) di Karl Adam, avvenuta nel 1930. L’opera ebbe due edizioni nel 1930 e una terza nel 1937 (sul piano editoriale la pubblicazione dell’Adam riscosse successo, perché furono migliaia i volumi venduti; credo che riuscirò a stabilire, attraverso qualche ricerca, il loro numero preciso). L’importanza di Das Wesen des Katholizismus – che fu tradotto da Bendiscioli – consiste nel fatto che Karl Adam, professore di teologia dogmatica nella Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Tubinga, sulla stessa cattedra che era stata di Johann Adam Möhler, il celebre autore de L’unità nella Chiesa e della Simbolica, presentava la dottrina della chiesa cattolica con un linguaggio moderno, liberato dal tecnicismo scolastico tradizionale e, in una prospettiva ispirata a Möhler, poneva l’accento sul carattere misterico-sacramentale della chiesa, riconducendo tutte le sue altre manifestazioni, anche istituzionali, a quella dimensione centrale. Questa prospettiva rappresentava, negli anni Trenta, un cuneo inserito nel compatto edificio dell’ecclesiologia post-tridentina o controriformistica, legata agli aspetti istituzionali e giuridici della chiesa e fortemente marcata dalla polemica antiprotestantica.

In questa prospettiva si inserisce il progetto, che poi non si realizzò, di tradurre L’unità nella Chiesa di J.A. Möhler, un’opera composta nel 1825 da un Möhler ventottenne. La storia di una casa editrice si costruisce non solo con i libri stampati, ma anche con le opere che non si sono stampate: è il caso appunto della traduzione dell’opera L’unità nella Chiesa.

Il 20 aprile 1932 Bendiscioli informa don Giorgio Zunini, professore di psicologia all’Università Cattolica di Milano, che la Morcelliana aveva deciso di pubblicare «la vecchia opera del Möhler Die Einheit», «opera fondamentale»:

«[…]Le sottopongo poi una proposta. Colla Morcelliana s’è decisa la pubblicazione della vecchia opera del Möhler, Die Einheit der Kirche oder das Prinzip d. Kath. Vorrebbe Ella curare un po’ al giorno la traduzione? Si tratta di un’opera fondamentale che può dar modo di considerare la Chiesa nella luce del pensiero patristico. […] Il tutto per l’autunno, anzi pel prossimo anno»[2].

Mons. Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, avrebbe dovuto rivedere l’intera opera e stendere la prefazione, mentre la prof.essa Gerevini di Bergamo era stata incaricata della traduzione, avendo Zunini declinato l’invito. Il 10 aprile 1933 Fausto Minelli, direttore editoriale della Morcelliana, scrive a mons. Adriano Bernareggi, chiedendo notizie sull’opera:

«Voglia scusarci se ci permettiamo di chiederLe notizie sull’opera del Möhler, che crediamo a mano dell’Ecc. V. per un esame generale e per la stesura della prefazione. Subito dopo Pasqua sarebbe per noi momento buono per iniziare il lavoro di composizione»[3].

L’impresa però dovette incontrare delle difficoltà se Bendiscioli, scrivendo a Fausto Minelli il 14 dicembre 1933, accenna a «inconvenienti percepiti solo ora», di cui però non precisa la natura, che «ne ritarderanno alquanto la pubblicazione».

Il 17 giugno 1935 Bendiscioli riferisce a mons. Carlo Figini del seminario di Venegono, che don Gaetano Corti, il nuovo traduttore dell’opera dopo la scomparsa della prof.essa Gerevini, ha arrestato il suo lavoro per un non ben precisato «parere contrario alla pubblicazione del Möhler»:

«[…]Lo scorso mese ho incontrato don Corti, che mi ha riferito di un parere contrario alla pubblicazione del Möhler, che lo ha deciso a fermarsi nel lavoro. Gli ho detto come questi allarmi sono vecchi e che il libro presentato autorevolmente come un’opera di teologia storica non ha da temere disgrazie. Se Ella volesse dire a don Corti una parola perché riprenda e conduca a termine il lavoro, gliene sarei molto grato».

Si tratta di motivi dottrinali, se il 12 gennaio del 1938 Bendiscioli, scrivendo a Minelli, parla di «difficoltà teologiche, che l’edizione integrale dell’Unità porterebbe, specie dopo l’articolo del p. Fonck nel Dict. de theol. cath.». Effettivamente delle nubi si erano addensate sull’Unità nella Chiesa, se nel marzo del 1939 un decreto del Sant’Ufficio vietava la circolazione dell’opera, già stampata nella collana «Unam Sanctam» delle edizioni Du Cerf e curata dal padre Yves-Marie Congar, e ingiungeva all’arcivescovo di Parigi di controllare che l’opera venisse ritirata dal commercio e non fosse più stampata[4]. Bendiscioli, ammiratore di Möhler, non demorde e, dopo la conclusione del conflitto mondiale, riprende la questione in una lettera a Minelli del 19 ottobre 1948:

«Se le difficoltà di quindici anni or sono si sono dissipate, io sarei del parere di decidere la pubblicazione: la traduzione dovrebbe avere come base l’edizione critica tedesca e la traduzione francese[5]».

Ma L’unità nella Chiesa non fu mai pubblicata dall’editrice Morcelliana.

La vicenda editoriale dell’opera di Möhler è, per molti aspetti, significativa. Rivela innanzitutto la volontà della Morcelliana e di Bendiscioli di porre a disposizione del pubblico colto un classico dell’ecclesiologia cattolica, in cui si dà rilievo al carattere sacramentale della chiesa. Si trattava di rinverdire un testo, la cui unica traduzione in italiano risaliva al 1841 ed era stata promossa dal gruppo milanese legato all’«Amico cattolico» (anche la Simbolica fu tradotta in quegli anni)[6]. La vicenda editoriale rivela inoltre le difficoltà che incontrava in Italia negli anni Trenta una riflessione ecclesiologica svincolata dalle categorie giuridico-istituzionali ereditate dalla stagione della Controriforma e aperta a prospettive nuove. Non si dimentichi che L’essenza del cattolicesimo di Adam rischiò negli anni Trenta di essere messa all’Indice (come hanno documentato Mario Bendiscioli e Massimo Marcocchi). Möhler ha il merito di aver posto in rilievo la realtà interiore della chiesa. Ne L’unità nella Chiesa, sulla scorta dei Padri e per l’influsso del romanticismo tedesco, egli concepisce la chiesa come una comunità animata dallo Spirito, la cui legge è la comunione di tutti i membri tra di loro. La chiesa, a suo modo di vedere, non è principalmente istituzione gerarchica, ma corpo vivente, il cui principio di unità risiede essenzialmente in una vita creata e alimentata dallo Spirito.

Nella prospettiva di far conoscere in Italia le dottrine ecclesiologiche che si elaboravano in Germania, rientra il progetto, che non fu mai realizzato, di tradurre il volume di J. Lippert Die Kirche Christi (Freiburg i. Br., 1931, tr. fr. Paris 1933), mentre vide la luce nel 1937 la traduzione dell’opera Il corpo mistico di Cristo (Der mystische Leib Christi) di Friedrich Jungensmeier (I ed. 1937, IV ed. 1962), che coglie nel mistero di Cristo la fonte della vita spirituale dei cristiani, membra di Cristo.

  1. Romano Guardini e Lo spirito della liturgia

L’altro scrittore tedesco, che accentrò negli anni Trenta l’interesse della Morcelliana, è Romano Guardini, di cui Bendiscioli tradusse nel 1930 Der Geist der Liturgie (Lo spirito della liturgia), premettendovi un’importante introduzione dal titolo Romano Guardini e la rinascita cattolica in Germania. Seguirono nel 1931 la traduzione – sempre per opera di Bendiscioli – di Von heiligen Zeichen (I santi segni) e nel 1933 la versione, per opera del prete trentino Giulio Delugan, dell’opera Das Gute, die Sammlung, das Gewissen (in italiano, La coscienza). Guardini venne così presentato per la prima volta al pubblico italiano. Si tratta del Guardini che, dopo la conclusione del primo conflitto mondiale, esplicò tra i giovani tedeschi un’intensa azione educativa, in cui la liturgia aveva un posto centrale. La liturgia, fondata su una realtà oggettiva, rappresentava per Guardini un rimedio alla malattia mortale, specialmente tedesca, dell’individualismo, ma rappresentava altresì il modo per affermare una visione di chiesa come comunità misterico-sacramentale.

Il rinnovamento liturgico del Novecento è stato uno dei fattori del rinnovamento dell’ecclesiologia cattolica e i monasteri benedettini vi hanno giocato un ruolo fondamentale. Bendiscioli soggiornò a più riprese nel monastero renano di Maria Laach e strinse amicizia con l’abate Ildefons Herwegen e con i monaci Kunibert Mohlberg, studioso di storia della liturgia, e Odo Casel, teologo della liturgia. L’interesse per la liturgia, che si era acceso all’Oratorio della Pace dei padri filippini, si irrobustì a Maria Laach: qui Bendiscioli scoprì il senso teologico della liturgia, l’importanza della formazione liturgica nella vita del cristiano, la bellezza dei libri liturgici, in particolare del Messale, che fu oggetto delle sue quotidiane meditazioni, il rapporto tra lex orandi e lex credendi. Dalla Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini affidava a Bendiscioli, portavoce discreto, gli ammonimenti vaticani sulle posizioni teologiche dei benedettini di Maria Laach e in particolare di Odo Casel, la cui «teologia dei misteri» suscitava sospetti a Roma.

Bendiscioli nutriva la convinzione che le idee maturate in Germania nel campo liturgico potessero essere fruttuose anche in Italia, ma era parimenti consapevole degli ostacoli che potevano frapporsi. Scrivendo infatti il 16 gennaio 1931 a Giovanni Battista Montini, Bendiscioli riferisce di colloqui avuti in Germania e rileva che le critiche al movimento liturgico gli appaiono senza fondamento:

«[…] Volevo scriverti alcuni mesi fa al mio ritorno dalla Germania: ma anche qui, per la voglia di dirti troppe cose, finii per non scriverti affatto. Volevo riferirti alcune mie impressioni e convinzioni ricavate dalla lunga permanenza a Maria Laach e dallo studio attento che vi ho fatto del movimento liturgico. E specificamente che le obiezioni rivolte a questo movimento ed i sospetti elevati sul suo influsso sulla gioventù studiosa sono senza fondamento. Come sai, nell’estate del 1929 io fui a Monaco e fatalmente osservai e giudicai un po’ cogli occhi di quegli ambienti e specialmente con quelli dei gesuiti delle Stimmen der Zeit, poco favorevoli a questo movimento, nella maggioranza almeno. Ho voluto mettermi in contatto con i curatori d’anime, come con quelli che potevano darmi un giudizio più concreto; giacché il giudicare un movimento per le sue implicazioni teoriche, rilevarne gli eccessi possibili e condannare o sospettare la realtà – uomini, istituzioni, riviste – che da quegli eccessi è immune, per quello che si suppone da essa potrebbe derivare, mi sembra un atteggiamento pericoloso e poco caritatevole. Ho sottoposto dunque ad alcuni curatori d’anime (a Colonia) i sospetti elevati ed essi mi hanno assicurato in coscienza che nella loro cura d’anime non avevano percepito i pericolosi radicalismi supposti: come il distacco dalla realtà concreta a favore d’un atteggiamento estatico e quietista, la trascuranza dell’attività sociale cristiana ecc. Ti riferisco questo perché credo sia uno dei risultati più notevoli delle mie osservazioni germaniche destinato a incuorare te pure – ed insieme con te tutti gli assistenti ecclesiastici – nel lavoro per la rinascita del senso della Chiesa nelle anime giovanili e per il reinserimento delle medesime nella piena corrente della vita della Chiesa […]»[7].

  1. La Chiesa e le chiese di Konrad Algermissen

Negli anni Quaranta la Morcelliana pubblicò due libri importanti. Il primo è l’edizione italiana della grande Konfessionskunde di Konrad Algermissen, che fu edita nel 1942 con il titolo La chiesa e le chiese. Il secondo libro è la traduzione nel 1949 de I misteri del Cristianesimo di M.J. Scheeben, che costituisce un classico della teologia ottocentesca. L’opera rivela i caratteri peculiari della riflessione teologica di Scheeben (professore nel seminario di Colonia), riflessione radicata nel pensiero di san Tommaso, ma anche dei Padri della chiesa, soprattutto greci, e nel magistero di Möhler e della Scuola di Tubinga.

L’opera dell’Algermissen fu affidata ad un gruppo di professori del seminario di Venegono, coordinati da don Carlo Colombo, un giovane teologo destinato a svolgere un ruolo di primo piano nella teologia italiana. In Italia non era stato pubblicato alcun libro di «Simbolica», dopo la traduzione della Simbolica di Möhler alla metà dell’Ottocento. Mentre Möhler aveva limitato la sua ricerca al confronto tra la chiesa cattolica e le confessioni protestanti e aveva considerato solo il lato dottrinale delle chiese, l’Algermissen estende la sua esposizione a tutte le chiese cristiane, anche orientali, e di ogni chiesa espone non solo la dottrina, ma l’origine storica, lo sviluppo, la costituzione, la vita di preghiera: ne risultava una summa dello stato del cristianesimo nel mondo. Il volume, corredato da aggiornamenti in rapporto alla situazione italiana, contribuiva alla reciproca conoscenza fra le chiese cristiane, che era sentita come la condizione indispensabile per il ritorno all’unità.

È interessante seguire alcune vicende editoriali dell’opera. Scrivendo a Fausto Minelli il 10 febbraio 1939, Bendiscioli stila un dettagliato parere sull’Algermissen:

«[…] Ho esaminato con attenzione il grosso volume e mi sono confermato sostanzialmente nella prima impressione che già conosci. Esso a mio parere ha saputo mantenere la necessaria via media tra l’erudizione che tutto rileva e commenta, accentuando le distinzioni e sottodistinzioni, e la volgarizzazione che si accontenta di linee generali e di giudizi sbrigativi. Sostanzialmente l’opera è di alta volgarizzazione: il linguaggio non indulge ai termini tecnici della teologia e la distribuzione della materia è pure ispirata, oltreché a criteri interni, all’importanza teologica di movimenti e dottrine, al concetto dell’attualità delle dottrine e dei gruppi. Per questo in una parte prevalentemente storica espone la genesi dei singoli gruppi e ne dà una rapida caratterizzazione, riserbandosi di ritornare più ampiamente su quelli che perdurano ancora oggi e che quindi, indipendentemente dal loro valore intrinseco, hanno una particolare importanza per l’uomo d’oggi. Per la parte dottrinale ha scelto un criterio che m’è apparso felice anche nella realizzazione: ha cioè trattato la teologia delle Chiese orientali, e quella del protestantismo in due capitoli soli, indicando volta a volta nella trattazione dei singoli argomenti, la peculiarità dottrinale di questa o quella chiesa, di questa o quella setta. Così dà la possibilità di cogliere insieme quello ch’è comune e quello ch’è particolare nelle diverse dottrine protestantiche e insieme di avvertire quel che il protestantismo conserva del fondamentale patrimonio cristiano.

Altro pregio del libro è poi che non si limita a considerare delle chiese e sette la dottrina e l’organizzazione ecclesiastica, ma lo spirito di devozione, l’influsso sociale, l’espansione missionaria in uno spirito vorrei dire di simpatia, convinto com’è che quanto di buono in esse sussiste deriva dalla persistente ispirazione originaria cristiana ed è una obiettiva testimonianza della loro connessione carismatica col Cristo redentore e santificatore. Ho considerato con minor attenzione la seconda parte principale (quella che riguarda il cattolicismo); in essa non ho trovato però nulla che ne giustifichi la traduzione, all’infuori dell’esigenza di compiutezza di un libro che si intitola “Trattato delle confessioni cristiane”. La traduzione delle parti I (Chiesa e Chiese), III (Le chiese separate d’Oriente), IV (Il protestantismo), V (L’unione della cristianità) può di per sé rappresentare un tutto compiuto, potendo essere sufficiente la p.I a dare il criterio cattolico direttivo per giudicare le chiese e sette. C’è però la difficoltà che l’Algermissen ha inserito nella trattazione del cattolicismo l’esposizione di quanto si riferisce a gruppi che noi consideriamo scismatici ed eretici, come i vecchi cattolici: difficoltà però che credo superabile. Per conto mio ho trovato questa parte dedicata al cattolicismo, specie nella trattazione storica ed in quella giuridica, troppo schematica, vorrei dire banale, in quanto ci dice cose che sappiamo. Ma su questo punto potrei anche ricredermi. L’edizione italiana dovrebbe in nota sviluppare di più i riferimenti al Valdismo in Italia. Inoltre dovrebbe forse mitigare i riconoscimenti elogiativi che fa spesso ad istituzioni protestanti, che tra noi potrebbero essere male interpretati. Anche la trattazione sullo sviluppo dommatico del cattolicismo dovrebbe essere letta attentamente da un nostro teologo, perché ho l’impressione che talune formulazioni da noi non siano ancora entrate nell’uso comune e siano perciò tali da suscitare diffidenza. La traduzione dovrebbe essere molto accurata e fatta da persone aventi già conoscenza dei singoli argomenti. L’idea che il lavoro venga assunto dal gruppo di Venegono rimane la migliore; sempre che colà venga accolta per una scadenza ragionevole.

In conclusione ti ripeto la mia convinzione che il lavoro dell’Algermissen per l’argomento di grande attualità e del tutto nuovo tra noi, per la maniera sicura e chiara con cui è condotto, pel prestigio dell’autore, è tale da meritare la traduzione italiana. Anche se non avrà immediato successo, sarà sempre un libro ricercato da chi vuol conoscere origine, storia e possibilità delle chiese scismatiche ed eretiche, essendo per di più esso aggiornatissimo […]».

Poiché la cospicua mole del libro preoccupava l’editore, Bendiscioli scrisse a Minelli il 14 aprile 1939, ribadendo non solo il valore del libro, ma anche il suo significato nella prospettiva di una fase nuova del dialogo tra le chiese:

«Capretti mi comunica con le sue lettere incertezze sull’Algermissen. Avrai nel frattempo anche tu visto sull’Osservatore Romano del 7 aprile scorso, sotto il titolo «Studi e preghiere per l’unità della chiesa», un’ampia recensione del volume, che ne rileva il significato attuale. Ho riconsiderato anch’io attentamente la cosa da ogni lato (cioè tanto da quello intellettuale, quanto da quello editoriale), ma mi sono confermato nella proposta fatta. Il libro cioè tratta un argomento destinato a ottenere nelle sfere più sensibili del clero e del laicato un crescente interesse. La crisi dei regimi confessionali, e la restituzione delle chiese separate alla loro autonomia, vien presentando nuove possibilità per l’unione delle chiese: questo problema verrà assurgendo sempre maggiore importanza anche nell’insegnamento ecclesiastico superiore e il suo studio farà ricercare libri come l’Algermissen che prospettano storia e dottrina delle grandi chiese separate in termini teologici ma di generale accessibilità. Non esistono libri del genere nel mondo italiano e francese: quindi l’Algermissen, presentato con conveniente propaganda, arriverebbe per primo. Non potrà costituire un grande successo immediato: però entrerà nella categoria dei libri fondamentali, che il clero più studioso si sentirà in obbligo di comperare».

E nella lettera del 26 febbraio 1940 a Fausto Minelli, fissando i criteri dell’edizione, Bendiscioli ritiene conveniente ridurre la parte riguardante il cattolicesimo, perché il pubblico ne ha una conoscenza diretta, ma non ritiene conveniente ridurre nel testo e nelle note «la parte riguardante il protestantismo, ch’è la meno nota al nostro pubblico».

Non si realizzò invece il progetto di tradurre Chrétiens désunis. Principes d’un «oecuménisme» catholique (Parigi 1937, collezione «Unam Sanctam») del domenicano Yves-Marie Congar. La spiegazione sta nell’obiezione alla traduzione che don Carlo Colombo raccolse in sue conversazioni romane e che Bendiscioli riferì a Minelli il 18 novembre 1945:

«[Il libro] graverebbe troppo la mano nel descrivere i mali della Chiesa, quasi a giustificare la sedizione delle chiese separate; in secondo luogo, sembrerebbe ammettere, come un’esigenza organica, la molteplicità delle chiese»[8].

  1. La Storia del Concilio di Trento di Hubert Jedin

Nel 1949 uscì a Brescia per i tipi della Morcelliana la traduzione del primo volume della Storia del Concilio di Trento di H. Jedin, dedicato alla preistoria del Concilio. Anche di quest’opera è interessante seguire le vicende editoriali.

La decisione di scrivere la storia del Concilio fu presa da Jedin nella primavera del 1939 su sollecitazione del card. Giovanni Mercati, prefetto della Biblioteca Vaticana. Nel novembre del 1939 Jedin si trasferì a Roma nel collegio per ecclesiastici del Campo Santo Teutonico presso S. Pietro. Il primo volume dell’opera avrebbe dovuto essere pubblicato in occasione del quarto centenario dell’apertura del Concilio (1545-1945). Il 9 settembre 1941 Bendiscioli scriveva a Jedin:

«S.E. Mons. Montini mi ha assicurato che Ella sta preparando una storia del Concilio tridentino per il largo pubblico. Non so se mi è lecito approfittare di questa informazione per chiederLe quale ampiezza avrà codesta storia del Concilio di Trento, per quando sarà pronta, a quale editore tedesco è riservata, e infine per informarLa che la casa editrice Morcelliana, di cui sono uno dei consulenti scientifici, sarebbe lusingata di poter pubblicare tale libro in traduzione italiana, se appena per mole e carattere corrisponde al genere delle sue pubblicazioni».

In data 16 settembre 1941 Jedin rispose da Roma a Bendiscioli. Vale la pena pubblicare l’intera lettera in traduzione italiana:

«Stimatissimo Sig. professore, mi permetta, La prego, di rispondere in tedesco alla Sua cortese lettera del 9 settembre; ci riesco molto più facilmente, in realtà, che in italiano, e Lei non ha problemi a leggere il tedesco. Peccato che il piano di una traduzione adattata in italiano del Seripando8 debba essere dilazionato – sperabilmente non alle calende greche. In mano Sua la questione era assunta bene, l’ho notato nel breve tempo in cui ci siamo trovati insieme.

La notizia giuntaLe dall’Eccellenza Montini è esatta. Io non ne ho parlato, non perché io faccia il misterioso, ma solo perché, come dice tanto efficacemente il proverbio italiano, non voglio vendere la pelle dell’orso prima che sia ammazzato. E lo stesso motivo mi trattiene anche dall’assumere obblighi vincolanti già ora per un’edizione italiana della nuova Storia del Concilio di Trento da scrivere. L’ho progettata in tre volumi e voglio che almeno il primo volume sia stampato per il giubileo del 1945. Ma perché sia qualcosa di realmente nuovo, non solo un Pallavicino modernizzato o una faccenda tanto meschina quanto i due volumi della prosecuzione del Leclercq da parte di Richard (meschina non nella mole, ma nel contenuto), devo darmi da fare ancora molto e scrivere ancora moltissimi studi preparatori. Uno di questi esce adesso: Krisis und Wendepunkt des Trienter Konzils 1562/3, Rita Verlag, Würzburg 1941, di circa 300 pagine. Occupano più della metà del libro testi, i dispacci di Gualterio a Carlo Borromeo; nella presentazione che precede io cerco anzitutto di enucleare la linea politica dei mesi decisivi del Concilio. Non potrebbe prendersi cura del povero bambino in una recensione? Naturalmente in una rivista milanese, il che si deduce facilmente dagli indirizzi della Sua lettera. Darò indicazioni all’Editrice perché, a richiesta da parte Sua, mandi la copia per recensione.

Molte grazie anticipate per l’interesse ai lavori, con alta stima Suo dev.mo H. Jedin».

Bendiscioli rispose a Jedin da Milano il 3 ottobre 1941:

«Illustre e Reverendo Professore, La ringrazio della Sua gentile risposta del 16 settembre che ho trovato a Milano dopo un’assenza di qualche settimana. Ella può scrivere benissimo in tedesco come io scrivo in italiano. Ho riparlato con l’editore del Seripando e mi ha assicurato che non si tratta di un rinvio alle calende greche; tanto più che il direttore della “Morcelliana” è personalmente molto interessato alla figura del Seripando. Grazie delle informazioni sulla progettata storia del Concilio Tridentino. Indubbiamente Ella è tra le poche persone che avendo collaborato all’edizione görresiana siano in grado di affrontare l’impresa. Ella inoltre è ancora in giovane età e può contare sulle sue migliori forze. Io Le faccio i migliori auguri.

Quanto all’edizione italiana se ne riparlerà dunque a tempo opportuno. Sono in rapporto col segretario della commissione tridentina pel IV centenario del C. T., don Giulio Delugan, buon amico che penso avrà pure Lei richiesto della collaborazione al periodico progettato per celebrare il centenario.

Sarò molto lieto di poter leggere e recensire il suo nuovo libro Krisis und Wendepunkt des Trienter Konzils 1562/3 nella Scuola cattolica, dove ho recensito pure lo Stakenmaier, Der Kampf um Augustin auf dem Trid., il Platz, Der Römerbrief ecc. proprio del Rita-Verlag. Chiederò dunque o farò chiedere al Rita-Verlag per recensione il volume. Sarebbe forse meglio che Ella me lo facesse inviare per sua iniziativa dall’editore.

In attesa di poterLa di nuovo incontrare, La prego di credermi devotamente Suo Mario Bendiscioli».

Conclusosi il conflitto mondiale, si riprendono le fila del dialogo. Il 30 settembre 1947 Jedin scrive a Bendiscioli, offrendo alla Morcelliana i diritti di traduzione del primo volume della Storia del Concilio di Trento:

«Quousque tandem. Ella e molti altri hanno forse detto, perché la mia Storia del Concilio di Trento si fa aspettare così a lungo. Ora ci siamo finalmente: il primo volume è terminato. Esso tratta nel primo libro la storia del Concilio e della riforma da Basilea fino al quinto Concilio Lateranense; nel secondo libro la lotta per il concilio dall’inizio della scissione religiosa fino all’apertura del Concilio di Trento. Con la esposizione della seduta d’apertura si chiude il volume. Il manoscritto abbraccia 586 pagine di testo e 283 di note. L’edizione tedesca è assunta dall’editore Herder di Friburgo. Data la lentezza con cui ora in Germania vengono pubblicati i libri e le difficoltà create dalla censura dei governi militari è da calcolare che l’edizione si farà attendere per un tempo notevole, certo per più di un anno. Inoltre l’edizione tedesca, a causa della completa esclusione della Germania dall’estero, ha un interesse puramente tedesco. Tanto più importante è per me l’edizione italiana. Sulla base di un colloquio che ebbi stamattina con il cardinale Giovanni Mercati, io mi sono definitivamente deciso, nonostante due offerte precedenti, a offrire l’edizione italiana alla Morcelliana, come allo Herder italiano. Io al riguardo do particolare importanza a due punti: 1. che sia trovato un traduttore particolarmente abile, possibilmente un italiano che conosca perfettamente il tedesco e possieda conoscenze tecniche in storia della chiesa. 2. Io mi preoccupo di trarre dal libro un certo vantaggio finanziario. Il compimento del lavoro fu possibile solo perché io mi ci potei dedicare completamente senza essere legato a un ufficio o a una cattedra. Io finora fui mantenuto da una borsa di studio al Campo Santo Teutonico e dal modesto assegno di un benefattore. Ambedue queste risorse presumibilmente verranno a cessare il prossimo anno. Io sono perciò costretto a guadagnare dal primo volume tanto che io possa cavarmela durante la redazione del secondo volume, vale a dire per due o tre anni.

Volevo dedicare il libro al cardinale Mercati perché egli è colui che lo ha propriamente promosso. Il Cardinale però stamane si pronunciò decisamente per una dedica allo stesso Santo Padre e si offrì di parlargliene.

Mi sarebbe graditissimo se Ella nell’occasione di un suo soggiorno a Roma discutesse con me tutte le questioni accennate e mi facesse concrete proposte. Ella potrebbe poi prendere con sé subito il manoscritto.

Coi migliori saluti suo dev.mo Hubert Jedin»9.

In data 21 ottobre 1947 Bendiscioli esprimeva a Jedin la sua soddisfazione:

«Gentilissimo Professore, sono lieto assai di leggere che il primo volume della “Storia del concilio di Trento” è già concluso nel manoscritto; e sono pure lieto che Ella abbia offerto alla Editrice “Morcelliana” il diritto di traduzione per l’edizione italiana.

Ho subito trasmesso a Brescia la Sua lettera, ricordando che la “Morcelliana” anni or sono Le aveva chiesto di poter avere tale diritto e che Ella allora aveva detto che la traduzione italiana sarebbe stata stampata a cura del Comitato tridentino per le celebrazioni centenarie. Ella quindi avrà a suo tempo una risposta direttamente.

Io non ho in vista un prossimo viaggio a Roma: ci fui lo scorso mese, Le telefonai più volte al solito numero, ma non ebbi mai alcuna risposta.

La Storia del Concilio è prevista in tre volumi? Esce contemporaneamente anche l’edizione inglese?

Mi creda cordialmente Suo Mario Bendiscioli ».

Il 10 dicembre 1947 Fausto Minelli informava Bendiscioli di aver incontrato Jedin a Roma e di avere da lui ricevuto «il grosso pacco del primo volume» della Storia del concilio di Trento.

La traduzione del primo volume, dedicato alla preistoria del concilio, uscì, come si è detto, a Brescia nel 1949 per i tipi della Morcelliana in concomitanza con l’apparizione dell’edizione tedesca.

Non mi risulta che Bendiscioli abbia proposto la traduzione dell’opera Die Reformation in Deutschland di Joseph Lortz, pubblicata in due volumi nel 1939-1940, un classico della storiografia tedesca, soprattutto perché Lortz opera una rivoluzione, presentando Lutero come «uomo religioso».

La Morcelliana era una piccola casa editrice, tuttavia creativo laboratorio di idee e di progetti. Bendiscioli mi parlava di «tre stanzette», un direttore editoriale, Fausto Minelli, due consulenti scientifici (Mario Bendiscioli e don Giuseppe De Luca), alcuni amici, che fungevano da consiglieri, come Capretti, Bevilacqua, Cottinelli, Manziana, e una segretaria «tuttofare», la rag.ra Garzino. La piccola casa editrice ha avuto il merito di infondere energie vive («aria fresca» scrisse Bendiscioli) nel corpo del cattolicesimo italiano ripetitivo, chiuso entro orizzonti angusti, carente di dimensione storica e ancora fiaccato dalla repressione modernistica: un corpo con le ali tarpate. La Morcelliana ha precorso il concilio Vaticano II? Io non amo la categoria storiografica dei precursori, memore dell’insegnamento di Benedetto Croce. Dirò semplicemente, e senza enfasi, che essa ha gettato semi che hanno poi portato frutto nel campo dell’ecclesiologia, della liturgia, della storiografia e dell’ecumenismo.

[1] Testo rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 22.1.2004 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.

[2] Copia della lettera presso lo scrivente.

[3] Archivio della Curia di Bergamo, fondo Bernareggi, contenitore 22.

[4] A. Riccardi, Une école de théologie fra la Francia e Roma, in «Cristianesimo nella storia», 5 (1984), pp. 11-28.

[5] Le lettere sopra citate sono in copia presso lo scrivente.

[6] Gio. Adamo Möhler, Dell’unità della Chiesa ossia principio del cattolicesimo, Milano, Pirotta, 1841 (1850², 1858³). La simbolica di Möhler uscì a Milano per i tipi di Pirotta nel 1840.

[7] Merano, 16. 1. 1931 in Archivio dell’Istituto Paolo VI di Brescia, cartella J. 33.2. Don Giuseppe De Luca definì il movimento liturgico elitario e aristocratico, «un’ennesima forma di “gnosi”, cioè di teoria di singoli sopra una realtà che è di tutti, e questa realtà è oggi la chiesa». Cfr. lettera a Mario Bendiscioli del 4 gennaio 1932, in copia presso lo scrivente.

[8] Le lettere sopra citate sono in copia presso lo scrivente.

8 Si tratta della biografia di Girolamo Seripando scritta da Hubert Jedin: Girolamo Seripando. Sein Leben und Denken im Geisteskampf des 16. Jahrunderts, 2 voll., Würzburg, Rita Verlag, 1937. Sull’iter editoriale dell’opera, che non venne mai tradotta dalla Morcelliana, cfr. M. Marcocchi, Introduzione a M. bendiscioli, Pensiero e vita religiosa nella Germania del Novecento, Brescia, Morcelliana 2001, pp. 33-34.

9 La lettera (Città del Vaticano, Campo Santo Teutonico, 30 settembre 1947) è pubblicata in traduzione italiana. Questa e le altre lettere sopra citate sono in copia presso lo scrivente.