Benedetto Croce

«In senso generale, ogni avvenimento storico è insieme un fallimento perché non adegua mai l’ideale, che prosegue nel porre le sue esigenze ed esercitare la sua critica, e, se così non facesse, la storia si arresterebbe» (B. Croce)

Benedetto Croce ravvivò con spirito giovanilmente alacre la tradizione idealistica, che tendeva a cristallizzarsi in una stasi conservatrice, facendo risuonare l’appello alla concretezza. Croce fu un grande agitatore di problemi e grande scrittore. Il merito di Croce consiste nel ridonare al pensiero il senso della realtà dello spirito, la qual cosa giovò a mutare l’orientamento degli studi assai più di una critica sistematica del positivismo, la cui metodologia, ispirandosi alle scienze naturali e matematiche, misconosceva l’arte, la storia, lasciandosi sfuggire ciò che nella realtà della vita è più positivo di ogni esteriore realtà. In Croce il filosofo si fonde con lo storico e con il critico letterario ed anzi, fu il bisogno di chiarire l’oggetto delle sue indagini (che cos’è la poesia, che cos’è la storia) ad avviarlo alla ricerca filosofica. Fresca, agile, multiforme genialità. Fu grande scrittore: il virtuosismo dialettico e dissimulato dalla sua raffinata arte di scrittore.

Da questo sforzo di chiarificazione nacquero le opere:

1893 – La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte

1900 – Materialismo storico ed economia marxistica

1902 – Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale

1905 – Logica come scienza del concetto puro

1906 – Ciò che vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel

1909 – Filosofia pratica: economica ed etica

1912 – Breviario di estetica

1917 – Teoria e storia della storiografia

1928 – Aesthetica in nuce

1936 – La poesia

1938 – La storia come pensiero e come azione.

Le opere di storia più importanti sono:

1925 – Storia del regno di Napoli

1928 – Storia d’Italia dal 1871 al 1915

1932 – Storia d’Europa nel secolo XIX.

Croce assimilò profondamente dalla cultura napoletana l’esigenza del concreto. Gli autori che più lo influenzarono sono Vico, De Sanctis, Hegel. Vico gli suggerì con la teoria delle modificazioni della mente umana la concezione dei distinti, la cui circolarità riproduce su un più maturo piano speculativo la teoria dei corsi e dei ricorsi. De Sanctis richiamò la sua mente, già predisposta da personali attitudini, all’interesse per l’arte, al senso dell’autonomia dell’arte e alla severità della critica. Relativamente tardiva, ma non meno profonda fu l’influenza dello Hegel, di cui Croce si ritenne sempre un discepolo infedele. Di Hegel, Croce accettò il presupposto immanentistico. In Hegel, Croce criticò il residuo di trascendenza, che in contrasto con lo spirito del sistema, rispuntava a parte ante nel ciclo dialettico della Idea in sé e a parte post in quello dello Spirito Assoluto, che tende a sovrastare lo spirito oggettivo.

LA TEORIA DEI DISTINTI

Croce volle sostituire la dialettica dei distinti a quella degli opposti: la dialettica degli opposti è valida nell’ambito di ogni distinto, mentre la dialettica dei distinti governa il ritmo delle attività spirituali nei loro reciproci rapporti. A Hegel Croce rimproverò sempre di aver confuso e sovrapposto le due dialettiche. «Egli concepì dialetticamente, al modo della dialettica degli opposti, il nesso dei gradi; e applicò a questo nesso la forma triadica, che è propria della sintesi degli opposti».

Unità senza distinzione è altrettanto ripugnante al pensiero quanto distinzione senza unità. Questa relazione dei distinti nell’unità da essi formata si può paragonare, come scrive Croce, allo spettacolo della vita, in cui ogni fatto è in relazione con tutti gli altri, e il fatto che viene dopo è diverso bensì da quello che lo antecede, ma è anche il medesimo; perché il fatto seguente contiene in sé il precedente, come, in un certo senso, il precedente conteneva virtualmente in sé il seguente. Distinta è l’attività pratica dall’attività teoretica e suddistinte in questa sono l’attività estetica e l’attività filosofica, come in quella l’attività utilitaria o economica e l’attività etica o morale. Concetti distinti sono il bello, il vero, l’utile, il bene, ma non si possono aggiungere o frammischiare ad essi i concetti opposti di brutto, di falso, di disutile, di cattivo.

La realtà è Spirito e lo spirito è storia: la circolarità dello spirito nel ritmo dei distinti costituisce una storia ideale eterna, immanente nella storia reale e temporale. Le forme fondamentali dello spirito sono due: l’attività teoretica, con la quale lo spirito si appropria dell’universo comprendendolo; l’attività pratica, con cui l’uomo muta le cose e crea l’universo.

L’attività teoretica si esprime in duplice grado:

grado fantastico o conoscenza dell’individuale mediante l’intuizione. Ha per oggetto il bello; espressione ne è l’estetica;

grado logico o conoscenza dell’universale mediante il concetto. Ha per oggetto il vero; corrispondente attività è la logica.

L’attività pratica si esprime in duplice grado:

grado economico o volizione del particolare; ha per oggetto l’utile mediante le attività corrispondenti che sono l’economia, la politica, la scienza, ecc.

grado etico o volizione dell’universale; ha per oggetto il buono; attività corrispondente è l’etica.

Il passaggio da un distinto all’altro è spiegato mediante l’astratta necessità di elevarsi dal particolare all’universale. Il rapporto dei distinti fra loro non è di opposizione, ma di implicazione in una serie ascendente: in essa l’antecedente può stare senza il conseguente, ma questo non è senza quello, bensì lo presuppone e lo implica. L’intuizione pura è tale in quanto non implica il concetto, se non fuso e disciolto nell’opera fantastica; ma il concetto non è senza intuizione; l’arte non è la filosofia, ma la filosofia implica l’arte, così come l’utile non è il bene, ma il bene non è senza utile.

Osservazioni critiche

a. C’è frattura tra l’attività teoretica e quella pratica.

b. L’esigenza di elevarsi dal particolare all’universale non spiega il passaggio da un distinto all’altro: manca un intimo e univoco rapporto

c. In un sistema immanentistico l’individuale e l’universale possono veramente distinguersi?

d. È impossibile far rientrare tutte le attività spirituali nei quattro distinti. Così, ad esempio, il diritto e la politica sono integralmente ridotte ad attività economica, ma anche la scienza è, coi suoi pseudo-concetti empirici e con le sue finzioni pseudo-concentuali, prassi, azione mirante al maneggio della realtà individuale ed è, pertanto, attività economica. La religione non rientra propriamente in nessuno dei distinti; essa si dissolve in tre diversi distinti. Infatti è filosofia in quanto pretesa di conoscere il trascendente; è espressione di ideali pratici, in quanto si ponga come atteggiamento morale; è riconducibile alla rubrica dell’ economia in quanto mera espressione di sentimenti. «L’economia nel sistema crociano assume la funzione del cestino in cui va a finire tutto ciò che non trova collocazione altrove» (Vittorio Mathieu, Paolo E. Lamanna, La filosofia del Novecento, vol. 7, Le Monnier, Firenze 1971, p. 303).

e. L’antimetafisica è il motivo dominante del sistema crociano. La filosofia è storia o metodologia della storia; la metafisica pretende di trascendere l’esperienza storica, dunque essa è un concetto antiquato, estraneo al pensiero moderno. La metafisica, ovunque si affermi, conferisce alla speculazione un carattere «teologizzante», perché occupa il posto del mito: dall’arché degli Ionici all’Idea di Hegel (concezione assai simile a quella comtiana dello studio teologico e dello stadio metafisico). I così detti «massimi problemi» non esistono, ma esistono solo i singoli problemi della vita dello Spirito quale si configura in un dato momento storico.

LA LOGICA

L’attività teoretica si svolge per intuizioni e per concetti: dopo l’arte, la logica. La logica costituisce la seconda parte della «filosofia dello Spirito». Nel 1905 esce il volume Logica come scienza del concetto puro.

Hegel aveva inteso la Logica come Metafisica, una dottrina dell’essere nelle sue più universali determinazioni, la dottrina della struttura ideale dell’Assoluto considerata a parte dal suo porsi nell’esistenza effettiva o Idea in sé. Croce si rifiuta di seguire Hegel su questo terreno e fa della logica il secondo distinto dell’attività teoretica, avente per oggetto la specificità della forma logica dello spirito, ossia il concetto.

In via preliminare è lecito chiedersi: esiste il concetto? Tutti i negatori del concetto compiono questa negazione servendosi di concetti. Che cos’è dunque il concetto? Il concetto è conoscenza dell’universale. È ultra-rappresentativo ed è omni-rappresentativo: ossia va oltre il contenuto di particolari immagini o rappresentazioni, e, proprio per questo, si riferisce a tutte le rappresentazioni che gli sottostanno e a ciascuna di esse. I concetti puri, ossia veri, autentici sono molto meno numerosi di quel che si crede.

Qualche esempio? Prendiamo, ad esempio, il concetto di svolgimento. Esso non è esaurito da nessun tratto di realtà datoci nella rappresentazione, abbracci pure secoli di storia; ma al tempo stesso si trova presente in ogni «frammento, quanto si voglia piccolo, di vita».

Il concetto non vive nel vuoto, ma è animatore di una intuizione ed il solo fatto di essere espresso con parole immerge il concetto nell’intuizione. Ma oltre la pura espressione significativa (lógos semantikós) dell’intuizione, il concetto è espressione giudicativa (lógos apofantikós) e fa tutt’uno col giudizio e con la concatenazione dei giudizi.

Se il concetto va distinto da un’immagine o rappresentazione, va altresì contrapposto agli «pseudo-concetti» di cui fanno uso le scienze naturali e le scienze matematiche. Le scienze naturali procedono mediante «pseudo-concetti empirici», rappresentativi ma privi di universalità. Questi non hanno valore conoscitivo, non ci forniscono conoscenze vere né del passato o del presente, né molto meno del futuro, ma solo schemi mnemonici. Le leggi naturali sono solo nostre costruzioni utili a compendiare quanto conosciamo per esperienza concreta e singolare, in funzione dei nostri bisogni pratici. La scienza è null’altro che una forma di «economia mentale».

Pure le scienze matematiche procedono mediante «pseudo concetti astratti», universali ma vuoti di rappresentazioni. Mancando totalmente di rappresentazione, il concetto astratto non può venir pensato. Non è un concetto, perché non serve a conoscere, ma ad un fine puramente pratico, contare e calcolare il già conosciuto. L’a-priorità dei postulati e principi della matematica sta a significare solo il suo carattere di convenzioni pratiche che quelle entità fittizie hanno.

I caratteri del concetto genuino risultano automaticamente definiti dalle precedenti negazioni: universalità e concretezza. Il concetto puro è l’universale concreto, per antonomasia, mentre gli pseudo-concetti scindono l’una dall’altra.

Il pensare realizza la propria concretezza solo se sviluppa e insieme supera la distinzione tra giudizio definitorio e giudizio individuale o percettivo.

Il giudizio definitorio determina e chiarisce un concetto. Ha come soggetto non un individuo, ma un universale. Per esempio: l’arte è intuizione, oppure la volontà è la forma pratica dello spirito. Nel concetto definitorio – come nel giudizio analitico criticato da Kant – soggetto e predicato sono presi staticamente come sinonimi.

Il giudizio percettivo, invece, serve a determinare intuizioni o rappresentazioni in quanto pensate in un concetto. Per esempio: Pietro è buono. In esso il soggetto è una rappresentazione, il predicato è un concetto. Implica sempre un’affermazione di esistenza, l’esistenza che compete al soggetto di cui si parla.

La distinzione tra giudizio definitorio e giudizio individuale o percettivo o storico ha solo un carattere pratico, è un «buon espediente didascalico». In realtà le due forme si identificano e le verità di fatto o giudizi individuali hanno in realtà gli stessi caratteri delle verità necessarie. Sarebbe tanto assurdo pensare che Cesare non fosse mai esistito quanto che l’arte non sia intuizione. Dall’identità stabilita tra giudizio definitorio e giudizio individuale deriva quella tra filosofia e storia.

Osservazioni critiche

a. Se v’è identità tra l’universale e l’individuale perché Croce ha fatto dell’esigenza di passare dal particolare all’universale la ragione del passaggio da un distinto all’altro?

b. Croce dopo aver detto che il giudizio percettivo implica un’affermazione di esistenza, nega, idealisticamente, che l’esistenza sia qualche cosa di dato al pensiero poiché «lo spirito è a sé medesimo sola condizione e da sé medesimo solamente è condizionato». Ma come ciò è sostenibile proprio nella sfera del reale che interessi il Croce, cioè nella storia?

c. Il rifiuto di determinare il concetto di verità per non cadere nell’aborrita metafisica comporta un formalismo inevitabile non superato o surrogato dall’asserita identità della filosofia con la storia, una delle tesi più controverse della filosofia crociana.

LA FILOSOFIA DELLA PRATICA

Teorica della volizione

La sfera pratica è quella della volizione-azione. È irriducibile alla sfera del conoscere, autonoma rispetto a essa. La volizione è per se stessa a-teoretica, non essendo ammissibile che essa contenga in sé elementi preparatori o anticipatori dell’azione. Come per l’Estetica del 1902 v’è identità di intuizione ed espressione, così per la Filosofia della pratica del 1909 è impossibile distinguere l’intenzione dalla volizione reale.

Non è vero che «ignoti nulla cupido», la volizione è volizione dell’incognito; non nasce da una libertà di scelta, ma è atto per cui una volizione si afferma nella lotta per l’unità contro il molteplice, annullando ogni altra volizione.

Non esistono giudizi di valore, ma solo giudizi storici e con essi coincidono i giudizi pratici. Questi possono essere viziati dall’imperfetta conoscenza dei fatti individuali ovvero dall’indebita trasposizione d’una categoria con l’altra, ad esempio dell’abilità o utilità con la saggezza o l’onestà morale.

In ogni caso, in ogni singolo atto ciò che conta è che esso di fatto sia stato voluto o realizzato, perché basta questo perché esso sia qualificato come utile o giusto. Non è concepibile che in un fatto compiuto si riveli alla coscienza dell’agente un principio, un valore, un criterio che lo trascenda, a cui cioè possano commisurarsi altri possibili atti da compiere con finalità analoghe. «Questo è bene» equivale a dire «questo io voglio»; e s’intende, non «questo io voglio, perché so che è bene», ma «questo è bene sol perché e in quanto io lo voglio». L’unico possibile giudizio valutativo non antecede la volizione, ma consegue ad essa ed è intesa come conformità o difformità di ciò che è a ciò che mi piace. In realtà unico bene per l’agente è lo stesso agire, è la volizione che vuole se stessa, nel suo trionfo sulla passività e sulla caotica molteplicità.

L’attività economica

La teorica della volizione è stata da Croce così caratterizzata: a. ateoreticità dell’agire; b. volontà come volontà dell’ignoto per la ragione che ciò che è noto è esistente e di ciò che è esistente non si può volere l’esistenza; c. rifiuto di ogni giudizio di valore come principio orientativo del processo di volizione-azione.

Su questa base il Croce passa ad analizzare il rapporto tra l’attività economica e quella morale. L’attività economica si distingue da quella morale: quella vuole ed attua ciò che è corrispettivo a fini individuali, mentre la morale vuole ed attua ciò che è corrispettivo a fini universali. L’atto economico è premorale o amorale. Il diritto, la legalità risultano essere «azione guidata dal senso dell’utile».

Del pari la politica; anzi «i due concetti di azione politica e di azione utile sono coestensivi». La politica è premorale o amorale, essa è specificamente autonoma rispetto all’etica. Obbedisce a una legge, quella di ofelimità o utilità: il concetto di utile non è altro se non l’azione economica stessa in quanto ben condotta, cioè in quanto è veramente utile. Si rispetta l’altro solo finché giova alla propria parte, altrimenti lo si distrugge o lo si assoggetta: questo concetto vale per la vita dei singoli come per gli Stati. Croce – come visto in precedenza – celebra Machiavelli per aver scoperto la necessità e l’autonomia della politica, «concetto che circola in tutta l’opera sua… e rappresenta la vera e propria fondazione di una filosofia della politica» (Etica e politica, op. cit, p. 205).

Nella sfera pratica utilitaria conta solo la legge della coerenza della volontà con se stessa: chi vuole un fine deve volere i mezzi e volerli con ferma energia. Questa è la «razionalità» di un’azione che si attua, anche quando si pensi soppressa la legge morale. Almeno finché duri la «sospensione della coscienza morale», raggiungere il nostro libito deve renderci «soddisfattissimi» perché «abbiamo fatto ciò che volevamo fare».

L’antinomia di politica e morale non poteva essere più netta; ma essa non appaga il Croce dell’ultima maniera, sempre più sensibile ai valori morali e deciso nel rifiuto dello Stato etico hegeliano (Paolo E. Lamanna, Introduzione alla lettura di Croce, Le Monnier, Firenze 1969, p. 162). A partire dal 1925 il Croce storicista e immanentista, neo-hegeliano, si giustappone di continuo e contraddice il Croce che rivaluta l’aspetto etico della politica e celebra la storia come storia della libertà, ideale supremo dell’attività umana. Il dissidio è insanabile ed è altamente significativo.

L’attività morale

La morale è inconcepibile senza l’attività economica: sono concepibili azioni prive di valore morale e tuttavia perfettamente economiche, ma non già azioni morali che non siano insieme perfettamente utili. Si deve dunque concludere non a un rapporto di coordinazione o di subordinazione tra i due distinti, ma al secondo grado dell’attività pratica, alla coincidenza del dovere con l’utile e col piacere.

Il valore correlativo alla sfera etica è il bene. Ora, che cos’è il bene? Croce risponde: «il bene è la volizione dell’universale». Il Croce stesso si domanda nella Filosofia della pratica: «che cos’è l’universale?». E risponde: «ma è lo Spirito, è la Realtà, è la Vita, è la Libertà…». Viva chi vita crea, esclama il Croce con a stessa ebbrezza panica di Goethe. «Ogni più diversa azione conforme al dovere etico è conforme alla Vita».

[Eustachio Paolo Lamanna osserva: «Conclusioni deludenti per la loro genericità e indeterminatezza». Talora Croce usa formule suggestive («ognuno deve adempiere la propria individuale missione così perfettamente, da adempiere insieme, con essa e per essa, la missione universale dell’uomo»), ma che scadono nella retorica perché non sono riempite da un solido contenuto dottrinale].

L’etica crociana non specifica che cos’è il bene e assegna alla moralità il compito di incrementare la vita, senza alcuna ulteriore determinazione. Le opere buone non possono essere, in concreto, se non opere di bellezza, verità, pratica utilità. La moralità non ha dunque nulla da aggiungere a queste opere belle, vere e variamente utili. L’assorbimento dell’etica nella totalità della vita spirituale, anzi della vita, ne è l’evidente liquidazione. In realtà la teorica crociana della volizione e il suo tendere a un attivismo irrazionalistico avevano compromesso, unitamente al presupposto immanentistico, le basi stesse dell’etica.

Il rapporto tra politica e morale in Hegel e Croce1

Nello hegelismo vi è la sublimazione del machiavellismo e insieme il tentativo di superare la tensione drammatica tra morale e politica. Hegel comincia con l’affermare l’istanza morale e quella politica, ma configura in maniera talmente falsa e assurda il «dover essere» morale da non rendere plausibile una sua qualsiasi funzione dialettica. E poiché Kant è stato l’ultimo grande filosofo a rivendicare l’universalità e l’autonomia della legge morale con un’altezza speculativa forse mai prima raggiunta, Hegel lo attacca con violenza, fino al fraintendimento e all’irrisione.

La hegeliana «eticità» non ha certo nulla a che fare con la «moralità» di cui Kant ha lumeggiato i caratteri specifici e strutturali, pervenendo su alcuni punti, malgrado certe agnostiche penombre, a verità che debbono essere considerate, a giusto titolo, un acquisto per sempre. L’eticità hegeliana, il cui principale soggetto è lo Stato-dio, celebra la sua concretezza nelle istituzioni storico-politiche nelle quali s’incarna l’idea, il Weltgeist. Nella storia «cercare che cosa sia il dovere è un’autentica pedanteria».

L’eticità hegeliana non tende ad attuare ciò che deve essere, coincidendo con il «corso del mondo» unico bene effettivamente reale. La contraddizione effettiva tra la realtà politica e la coscienza morale non può esistere, se non al livello di «astratta soggettività», poiché il corso del mondo è il cammino di Dio nel mondo ed è sempre quel che deve essere. «Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale», vi è identità assoluta e senza residuo tra realtà e ragione. Tutto ciò che viene detto delitto, immoralità, ingiustizia, male può apparire come negativo, ma solo provvisoriamente e da un punto di vista parziale. Il male è apparenza certo non inconsistente, ma tale che ha per essenza il suo opposto, il bene, di cui è l’insostituibile fermento, quel bene che serve a suscitare e ad accrescere. La logica di una concezione storicistica e immanentistica non può avere che uno sbocco, quello che Hegel ha ripetutamente affermato essere il supremo insegnamento della sua filosofia: «Il mondo reale è come deve essere (wie sie sein soll), il volere razionale, il concreto bene (das konkrete Gute) è in realtà ciò che vi è di più forte, l’assoluta potenza che si realizza». L’effettualità, ciò che irrompe nella storia con il sigillo del successo, è dunque il solo dover essere cui si piega, in adorazione, la superiore consapevolezza dello storicista.

Esplicita e drammatica è la contraddizione logica che si ravvisa in Benedetto Croce, ogni volta che egli esamina il rapporto antinomico tra politica e morale, dilaniato com’è, nell’intimo del suo pensiero, da due opposte e inconciliabili esigenze.

Da una parte Croce difende posizioni coerenti con la Weltanschauung storicista: e allora in lui trionfa Hegel su Vico, lo storicismo assoluto si fa assoluto giustificazionismo, si afferma l’anteriorità e l’estraneità della politica rispetto alla morale, si tesse l’apologia del machiavellismo. Il Croce storicista in realtà va ben oltre Machiavelli e si lascia sorprendere in un atteggiamento assai significativo quando afferma: «E un popolo che di recente per bocca dei suoi uomini di stato, ha procurato di svelare gli arcana imperii e di rendere trasparente e consapevole l’azione politica, è stato coperto dall’orrore morale del mondo intero, e ha perso nel modo più solenne la guerra impegnata. Errore suo, indubbiamente, e grave errore, ma di politica e non di teoria, e che lo ha mostrato fornito di sapienza teorica superiore a quella di altri popoli e di coraggio del vero altresì, ma sfornito di quel senso politico che invita a tener arcani gli arcana imperii e a lusingare e a illudere chi non chiede se non di essere lusingato e illuso» (Etica e politica, op. cit., pp. 138 – 139).

È innegabile che considerazioni come queste servono di per sé, obiettivamente, e sia pure praeter intentionem a giustificare anche gli orrori compiuti dai nazisti (contro i quali altre volte Croce medesimo prende posizione), in armonia con lo storicismo che tutto livella e tutti sommerge, soffocando ogni idea di valore e la possibilità stessa della vita morale.

D’altra parte, il filosofo napoletano, soprattutto nell’ultima fase della sua vita, malgrado il sistema immanentistico, anch’egli avverte di non poter non dirsi cristiano e dà voce, talora con appassionata convinzione, alla coscienza morale, ai suoi obblighi e alla sua umanissima protesta, sostenendo strenuamente che «non ci sono azioni moralmente indifferenti» e che «in nessun caso è lecito rompere la fede data o compiere delitti», che «non c’è in concreto un politico privo affatto di coscienza morale perché non si può essere uomo politico senza essere uomo», che «non c’è una morale in casa e una in piazza», che «l’unione della morale con la politica è necessaria, ha carattere positivo e non negativo, è virtù di bene e non corruttela nel male», che l’intuizione morale deve discendere tra gli uomini, combattere con gli uomini, concretarsi in azione effettiva e feconda.

L’ESTETICA

L’estetica crociana svolse una funzione storica della più alta importanza. Croce fece giustizia dei romanzi metafisici, in cui l’idealismo tedesco inquadrava, soffocandola, l’estetica, e ripudiò vigorosamente la trivialità di ogni concezione naturalistica dell’arte. Croce sviluppa genialmente le grandi intuizioni dell’estetica di Vico, di Kant, di De Sanctis. Quel che Kant «assodò – scrive nell’Aesthetica in nuce (Laterza, VII edizione, Bari 1969) – rimane assodato per sempre, e, dopo la Critica del giudizio, i ritorni alle spiegazioni edonistiche e utilitarie dell’arte e della bellezza sono bensì possibili, e si sono avuti, ma soltanto mercé l’ignoranza e l’incomprensione delle dimostrazioni kantiane»).

Le novità più significative della riflessione crociana:

– il sentimento sostituisce l’equivoco termine intuizione e diventa il principio vitale che anima la creazione antecedente (estetica della «macchia di colore» da cui si generano le immagini);

– la sintesi a priori estetica si chiarisce come sintesi di sentimento e immagine;

– si assume il classicismo e il romanticismo a categorie inscindibili di ogni autentica opera d’arte;

– si dà un fondamento – indispensabile al critico – alla distinzione, prima impossibile, tra l’opera d’arte riuscita e non riuscita;

– si accentua felicemente la critica sia dell’estetismo che dello storicismo sociologico e si pone in grande rilievo il più alto messaggio di Croce filosofo dell’arte: «Non l’arte per l’arte, né l’arte strumento di vita sociale, ma l’autonomia e l’umanità dell’arte».

Definizione dell’arte per via negativa

Il primo grado dello spirito teoretico è l’arte. L’arte è l’attività teoretica rivolta al particolare o pensiero intuitivo, mentre l’attività teoretica rivolta all’universale è il pensiero discorsivo, oggetto della logica.

Il concetto presuppone l’immagine prodotta dall’arte, senza la quale non potrebbe esprimersi. Al contrario il particolare non esige l’universale: l’immagine artistica, prodotto aurorale dello spirito, può presentarsi indipendentemente da ogni intenzione concettuale.

Nell’Estetica del 1902, Croce definisce la specificità e l’autonomia del valore estetico attraverso una serie di negazioni che lo distinguono dagli altri valori spirituali. Il procedimento, reso celebre dal Breviario del 1912, è ripreso dalla kantiana Critica del giudizio.

Il concetto di arte per Benedetto Croce attinge forza da tutto ciò che nega e da cui si distingue.

– Non è un atto utilitario (estetica edonistica) o edonistico. Un qualsiasi piacere non è per sé artistico, né l’arte consiste in un determinato piacere. L’arte non ha il fine di procurare il piacere.

Motivo di vero: pone in evidenza «l’accompagnamento edonistico comune all’attività estetica».

– Non è un atto morale, non ha il fine di educare.

Motivo di vero: la dottrina moralistica pedagogica dell’arte è uno sforzo per distaccare l’arte dal mero piacevole; e l’arte, che non è e non sarà mai la morale, deve essere considerata dall’artista come missione.

– Non produce opere belle perché rispecchianti fedelmente la natura o i fatti storici o verità di ordine concettuale (estetica intellettualistica).

Motivo di vero: l’arte rientra nel momento teoretico dell’attività dei distinti, perché forma aurorale della conoscenza e conoscenza dell’individuale.

– L’arte non include quella pretesa rivelazione della realtà che è propria della religione, del mito e della stessa filosofia, non è la vetta più alta della conoscenza.

Motivo di vero: un presentimento della cosmicità, carattere di totalità dell’arte.

L’arte non è dunque concetto, non è rivolto all’utile, non persegue il bene in obbedienza a un imperativo morale, non ha uno scopo didascalico: dire ciò che l’arte non è significa far cadere l’intellettualismo, l’edonismo, l’utilitarismo e il moralismo estetico. Si può dire, positivamente, in che cosa l’arte consiste? È da escludere, perché la «categoria» del bello è un genere sommo, è un predicato da cui muove ogni definizione e non può essere il risultato di definizioni antecedenti.

Le identità crociane di intuizione ed espressione, arte e conoscenza intuitiva, linguistica ed estetica, contenuto e forma

La definizione dell’arte per via negativa è strumento di epurazione del giudizio critico estetico da ogni contaminazione; non meno importanti sono però le «identificazioni» attraverso cui procede l’Estetica del 1902.

1) La prima identificazione da porre in evidenza è tra l’intuizione e l’espressione.

Intuizione è conoscenza del particolare, ma non è «sensazione e naturalità», non presuppone una realtà naturale antecedente all’atto spirituale (per l’idealista la natura è essa stessa una posizione dello Spirito). L’attività intuitiva non intuisce se non facendo, formando, esprimendo. «L’attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime». Non esiste un’immagine in via di espressione, l’immagine intuita esiste solo come immagine già espressa. L’espressione artistica è intrinseca all’intuizione e pertanto vi è uno iato fra l’intuizione-espressione e la tecnica artistica. L’attività artistica è tutta nell’intuizione-espressione, mentre la tecnica artistica riguarda la sua mera estrinsecazione, è un atto pratico che si lega al concetto della comunicazione e non a quello della creazione artistica.

Osservazioni critiche:

L’intuizione estetica presuppone un mondo esteriore e interiore, senza il quale non sorgerebbe: neppure il chiaro di luna può farsi intuizione estetica senza la percezione sensibile e un’idea più o meno determinata della luna.

È perfettamente vero che «un’immagine non espressa è cosa inesistente» e il comune buon senso se la ride di coloro i quali dicono di aver pensieri ma di non saperli esprimere. Nondimeno il Croce:

  • non dà il giusto peso a quel lavoro che svolgono «gl’ingegni elevati, cercando con la mente la invenzione» (Estetica), escludendo che possa esistere un’immagine in via di espressione come, invece, adduceva Leonardo al priore delle Grazie, che lo accusava di indugiare giorni interi davanti al Cenacolo senza mettervi pennello.
  • misconosce l’intrinseco rapporto tra intuizione ed espressione effettuale e dunque anche concretamente tecnica. Scrivere che Raffaello «sarebbe stato gran pittore anche senza le mani» (Breviario, Laterza, Bari 1943, p. 50) significa confinare l’arte in un’astratta interiorità e autorizzare gli arbitri prima satireggianti. L’estetica del «quadro non dipinto» dovrebbe chiamarsi per Alfredo Gargiulo l’estetica di chi proclama l’inessenzialità artistica della «estrinsecazione». In realtà, come ha precisato Augusto Guzzo, «l’esecuzione non segue l’arte, ma la realizza». «L’artista si fa, facendo» (Paul Valery). «La realizzazione dell’immagine interiore nell’opera d’arte è il momento culminante e conclusivo del processo creativo e non un’aggiunta estrinseca che non riguarda l’arte» (Nicola Petruzzellis).

2) Tra arte e conoscenza intuitiva, per Croce, non c’è differenza specifica, ma solo una differenza estensiva empirica. L’arte non è un’intuizione di una qualità sua propria. Il bello è «l’espressione senz’altro» e in quanto tale «non presenta gradi, non essendo concepibile un bello più bello, cioè un espressivo più espressivo».

3) Il Croce del 1902 trasse dalle due precedenti identificazioni la terza, quella tra linguistica ed estetica, che compare nel titolo stesso dell’opera (Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale).

L’identità statica tra arte e linguaggio suona così categorica da non far arretrare Croce da conseguenze paradossali. Il gentiluomo di Molière, Monsieur Jourdain, fa della prosa, nota Croce, anzi dell’arte quando dice al servo di portargli le pantofole. Ogni espressione è sempre arte: noi tutti siamo artisti senza saperlo. Non vi è motivo per non dire poeti agli autori della Metafisica, della Summa Theologica, della Scienza Nuova, della Fenomenologia dello Spirito. Dinanzi alle serrate critiche che sopravvennero, Croce abbandonò con….. ritirata strategica le prime posizioni con limitazioni tali da infirmare più che da circoscrivere la validità della tesi espresse.

Nei Nuovi saggi di estetica del 1926 Croce è costretto a distinguere l’espressione altamente e propriamente artistica delle espressioni immediate a cui egli non attribuisce che un carattere naturalistico di manifestazione o piuttosto di sfogo del sentimento (il che basta a porre in chiaro che non è l’espressione in quanto tale a costituire la forma e l’essenza dell’arte). Dunque non si tratta più – come sosteneva Croce – di differenza «quantitativa», e come tale indifferente alla filosofia, tra linguaggio comune e espressione artistica.

Soprattutto nel volume La poesia (1936), Croce contrappone all’espressione poetica l’espressione sentimentale o immediata, in cui il sentimento vive ma come forma pratica, laddove nella sintesi estetica è creato insieme alla forma non preesistendo come contenuto già formato ed espresso. Raggiunge l’arte solo chi si libera dal tumulto sentimentale. «La poesia è il tramonto dell’amore, se la realtà tutta si consuma in passioni d’amore». («La passione nell’arte non è sofferta, ma redenta» commenta Francesco Flora).

4) Identità di contenuto e forma.

L’identità d’intuizione-espressione e di linguistica-estetica comporta quella di contenuto e forma, o meglio l’affermazione che l’atto estetico è nient’altro che forma, cioè espressione, e che «l’arte non ha contenuto». Altrove il Croce passa dal formalismo puro al riconoscimento che «contenuto e forma debbono ben distinguersi nell’arte, ma non possono separatamente qualificarsi come artistici, appunto per essere artistica solamente la loro relazione, cioè la loro unità, intesa non come unità astratta e morta, ma come quella concreta e viva che è della sintesi a priori; e l’arte è una vera sintesi a priori estetica di sentimento e immagine nell’intuizione, della quale si può ripetere che il sentimento senza l’immagine è cieco, e l’immagine senza il sentimento è vuota» (Breviario, ed. cit., p. 44).

Empiricità dei generi letterari e negazione del bello di natura

a. Croce critica efficacemente le teorie nominalistico-empiristiche, secondo le quali le arti sarebbero in un’irriducibile molteplicità. Croce inclina fortemente ad una unità indifferenziata dell’arte, ma fu salutare l’aver sgombrato il campo dell’estetica dai problemi sollevati dalle distinzioni tra arte e arte, o tra i diversi «generi letterari».

«L’arte è una e non si divide in arti. Una, e insieme infinitamente varia; ma varia non già secondo i concetti tecnici delle arti, sibbene secondo l’infinita varietà delle personalità artistiche e dei loro stati d’animo» (Aesthetica in nuce, ed. cit., p. 36 -37).

b. Hegel aveva detto che la bellezza artistica è più elevata di quella naturale e la supera di quanto lo spirito supera la natura.

Il Croce più radicale nega il bello di natura in quanto nega la natura stessa. La natura è artificiosa costruzione di pseudoconcetti ad opera dello spirito pratico, e gli pseudoconcetti aventi una pratica utilità sono esteticamente infecondi.

La natura in quanto opera dello spirito pratico è anche processo di desideri, appetiti e passioni: come contesto di pratica passionalità la natura è fuori dell’attività estetica.

La natura è bella quando è guardata con occhio da artista e nessuna parte di essa può essere ammirata senza il concorso della fantasia. Lasciamo ai retori e agli ebbri affermare che un bello spettacolo naturale sia superiore al verso di Dante ed al colpo di scalpello di Michelangelo.

Osservazioni critiche di Petruzzellis.

La negazione del bello naturale misconosce che è la natura bella un fattore potente di educazione estetica, nonché fonte perenne di ispirazione.

Se la natura fosse muta e scolorita, l’arte non sarebbe mai nata. La natura non ha finalità estetica in ogni suo aspetto, ma vi sono fenomeni naturali la cui bellezza inarrivabile l’arte rinuncia a rappresentare.

La natura offre a tutti i suoi splendori e se per ammirarli e commuoversi sono necessarie la sensibilità e la fantasia, il concorso di questi fattori soggettivi non basta ad escludere l’oggettività di altri fattori ugualmente indispensabili.

La nuova estetica crociana del Breviario (1912)

Croce ha inglobato diverse sollecitazioni ed esigenze, fatte valere contro le tesi dell’Estetica del 1902, e ha cercato di dare un fondamento – indispensabile per il critico – alla distinzione tra opera d’arte riuscita e non riuscita, facendo posto al disvalore che stenta sempre a trovare una giustificazione nella filosofia crociana. Il Breviario ci dà la nuova e più lucida visione estetica di Croce, forse dovuta in parte anche alla consuetudine che frattanto Croce aveva acquistata con Vico, su cui nel 1911 uscì il volume La filosofia di Giambattista Vico.

Le novità più significative del Breviario sono l’introduzione del «sentimento» al posto del termine «intuizione» e la nuova dottrina della «sintesi a priori estetica» come sintesi di sentimento e di immagine.

L’intuizione è intuizione lirica e l’opera d’arte riuscita fonde in perfetta unità il momento lirico col momento immaginativo, essendo «romantica» e «classica» a un tempo. L’intuizione è artistica «solo quando ha un principio vitale che l’animi, facendo tutt’uno con lei» (Nuovi saggi di Estetica). «Immagini, le quali, a una a una, appaiono ricche di evidenza, ci lasciano poi, nel loro susseguirsi, delusi e diffidenti perché non le vediamo generarsi da uno stato d’animo, da una macchia (come sogliono dire i pittori), da un motivo».

Qui, nella sintesi a priori estetica, il sentimento rappresenta non un mero dato psicologico, ma «l’universo tutto guardato sub specie intuitionis», ciò che dà un carattere di totalità all’espressione artistica.

L’arte è «intuizione pura, in quanto è pura da ogni riferimento storico e critico alla realtà o irrealtà delle immagini di cui s’intesse e coglie il puro palpito della vita nella sua idealità» (Aesthetica in nuce, ed. cit., p. 7), idealità per Croce è il carattere proprio che distingue l’intuizione dal concetto.

«L’arte è un’aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione»: essa è dunque «sintesi a priori estetica di sentimento e di immagine». Fuori della sintesi estetica, sentimento ed immagine non hanno valore estetico.

L’intuizione estetica è produzione di un’immagine, è produzione fantastica, rappresentazione di un sentimento. Il sentimento è ciò che dà unità e coerenza all’intuizione: in tal senso l’intuizione estetica è intuizione lirica; sentimento che si fa bellezza attraverso la mediazione della fantasia, contemplazione del sentimento.

Dalla definizione crociana di arte deriva la soluzione del contrasto fra romanticismo e classicismo nell’assunzione dell’uno e dell’altro a categorie inscindibili dell’opera d’arte. Il romanticismo tende risolutamente verso il sentimento, come il classicismo tende alla chiarezza e all’equilibrio della rappresentazione. Quando dalle ordinarie opere d’arte che sono prodotte dalla scuola romantica e dalla classicistica, dalle opere convulse di passione e da quelle freddamente decorative, si volge lo sguardo alle opere dei sommi maestri, si vede dileguare lungi il contrasto. I grandi artisti, le grandi opere non si possono chiamare né classiche né romantiche, perché sono insieme classiche e romantiche.

Il più alto messaggio di Croce, filosofo dell’arte, ci pare possa essere così riassunto: non l’arte per l’arte, né l’arte mero documento di vita sociale, ma l’autonomia e l’umanità dell’arte. Vi è il contemporaneo rifiuto dell’estetismo e dello storicismo sociologico. Se l’arte è una delle forme specifiche dello spirito, essa è autonoma ed è predicato di uno speciale giudizio, il giudizio estetico, ed è argomento di una storia speciale, la storia della poesia e delle arti. (Aesthetica in nuce, ed. cit., cfr. capitolo «La storia dell’Estetica», pp. 57 – 70).

«L’arte non è didascalica od oratoria, cioè arte oltrepassata e asservita e limitata da un intento pratico, quale che esso sia, così quello di introdurre negli animi una certa verità filosofica, storica o scientifica; come l’altro di disporli ad un certo particolare sentire e alla corrispondente azione. Tutt’insieme, l’oratoria toglie all’espressione l’infinità e l’indipendenza, e facendola mezzo per un fine, la dissolve in questo fine. Da ciò il carattere che fu chiamato (dallo Schiller) indeterminante dell’arte, contrapposto a quello dell’oratoria che è di determinare o di muovere. Da ciò, tra l’altro, la giustifica la diffidenza verso la poesia politica (poesia politica, cattiva poesia): quando, ben s’intende, resti politica e non assurga a serena e umana poesia» (Aesthetica in nuce, ed cit., p. 15).

Non solo le opere meretricie, ma anche quelle mosse da sollecitudine di bene, debbono essere schivate dall’arte; i libri osceni mancano di verité, come avvertì Flaubert. «La categoria dell’arte, come ogni altra categoria, presuppone, a volta a volta, tutte le altre, ed è presupposta da tutte le altre: è condizionata da tutte e pur condiziona tutte… E questo stato d’animo, che abbiamo chiamato sentimento, che cosa è altro mai se non tutto lo spirito, che ha pensato, ha voluto, ha agito, e pensa e desidera e soffre e gioisce, e si travaglia in se stesso?». La poesia «non è opera da animi vuoti e da menti ottuse; perciò gli artisti che, mal professando l’arte pura e l’arte per l’arte, si chiudono verso le commozioni della vita e l’ansia del pensiero, si dimostrano affatto improduttivi, e tutt’al più riescono ad imitazioni dell’altrui o ad un disgregato impressionismo. Perciò fondamento di ogni poesia è la personalità umana e, poiché la personalità umana si compie nella moralità, fondamento di ogni poesia è la coscienza morale. Ben inteso, con questo non si vuol dire che l’artista debba essere pensatore profondo e critico acuto, e neppure che debba essere uomo moralmente esemplare o eroe; ma egli deve avere quella partecipazione al mondo del pensiero e dell’azione che gli faccia vivere, o per propria esperienza diretta o per simpatia con l’altrui, il pieno dramma umano… Molte ispirazioni artistiche sorgono non da quello che l’artista è praticamente come uomo, ma anzi da quel che non è e sente che si deve essere e ammira dove lo vede e cerca col desiderio». «Per la poesia occorre la poesia…, la genialità poetica, senza la quale tutto il rimanente è la catasta di legna che non brucia perché non ci è modo di appiccarle fuoco. Ma la figura del poeta puro, dell’artista puro, cultore della pura Bellezza, scevro di umanità è, nondimeno, non una figura, ma una caricatura» (Aesthetica in nuce, ed cit., p. 17 – 19).

«Si è domandato se la cognizione dei tempi, cioè di tutta la storia di un dato momento, sia necessaria per il giudizio estetico; e certamente è necessaria, perché, come sappiamo, la creazione poetica presuppone tutto l’altro spirito che essa converte in immagine lirica, e la creazione estetica singola, tutte le altre creazioni di un dato momento storico (passioni, sentimenti, costumi, ecc.). Da ciò si vede come errino del pari gli opposti sostenitori di un mero giudizio storico dell’arte (storicisti) e di un mero giudizio estetico (estetisti); perché i primi vogliono vedere nell’arte tutte le altre storie (condizioni sociali, biografie dell’autore, ecc.) e non, insieme e sopratutte, quella che è propria dell’arte, e i secondi vogliono giudicare l’opera d’arte fuori della storia, cioè privandola del suo senso genuino, e dandogliene uno di fantasia o commisurandola ad arbitrari modelli» (Aesthetica in nuce, ed cit., p. 53 – 54).

NOTA

1 La seconda parte del paragrafo riprende la parte finale dell’articolo pubblicato dal Giornale di Brescia in data 9.1.1976 dal titolo Alcune incoerenze in Marx e Croce.

NOTA CONCLUSIVA: La raccolta di scritti di filosofia di Matteo Perrini nasce dall’esigenza di non disperdere il lavoro di una vita volto in primo luogo a chiarificare a se stesso le idee e le concezioni dei filosofi e, conseguentemente, a tradurle in un linguaggio accessibile ma rigoroso per i propri studenti. I materiali riportati nel volume provengono da diverse fonti, utilizzate per differenti finalità e scritte nell’arco di un cinquantennio, all’incirca tra il 1950 e il 2000. Si tratta di schede ad uso interno finalizzate alla sistematizzazione del pensiero di un autore, di appunti su quaderni per preparare lezioni scolastiche, di articoli pubblicati sul Giornale di Brescia o su riviste specializzate.