Padre Bevilacqua nasce a Isola della Scala (Verona) il 14 settembre 1881. Dal 1902 compie gli studi universitari a Lovanio, in Belgio. Si laurea nel 1905 con una tesi sulla legislazione operaia in Italia. A Lovanio incontra un autentico maestro, Désiré Mercier, di cui segue i corsi di Filosofia e assimila con entusiasmo la lezione sui rapporti tra intelligenza e fede, tra annuncio evangelico e libertà. Dopo la laurea, Giulio Bevilacqua entra nella Congregazione dei Filippini a Brescia dando inizio a un’intensa azione educativa tra i giovani. Tutta la sua esistenza si caratterizza sia per il totale distacco dal danaro e dal potere sia per aver saputo coniugare le scelte più coraggiose e la fedeltà alla Chiesa. L’invasione del Belgio neutrale da parte della Germania nel 1914 e l’arresto del card. Mercier spingono Bevilacqua a superare gli indugi del neutralismo cattolico, convinto che si deve volere la pace sempre, ma che non c’è pace vera senza solidarietà con chi è aggredito. Escluso per volontà del vescovo di Brescia dalla nomina a cappellano, quando nel ’16 è chiamato sotto le armi chiede di recarsi al fronte tra gli alpini. La decisione suscita polemiche e perplessità, ma a Bevilacqua è consentito di conciliare in sé la duplice funzione di ufficiale di collegamento e sacerdote. Nel dicembre 1917 viene fatto prigioniero e rimane in Boemia per quasi un anno. Di contro al vilipendio socialista dei valori messi in gioco dal conflitto e ai tentativi di monopolizzazione di essi da parte nazionalista e fascista, contro le violenze rosse e nere si leva nel dopoguerra la voce coraggiosa del padre filippino. Nei giorni 1-2 novembre 1926 le squadre fasciste irrompono nella chiesa della Pace per colpire Bevilacqua, «reo» di aver attaccato pubblicamente le violenze comandate dal regime. Il 6 gennaio 1928 Bevilacqua è costretto a lasciare Brescia, trovando asilo a Roma nella casa di un discepolo, mons. Giovanni Battista Montini, minutante alla Segreteria di Stato, in Vaticano. Bevilacqua accoglie con amarezza i Patti Lateranensi, temendo la confusione nelle coscienze e l’ampliamento dei consensi al regime fascista. Negli anni dell’esilio romano, dal ’28 al ’32, Bevilacqua approfondisce il tema delle ideologie totalitarie, della idolatria del danaro e della riforma liturgica. Nel giugno 1940, benché sessantenne, si arruola come cappellano militare nella Marina. Dopo il 1945 inizia sulla rivista «Humanitas» una nuova e più feconda stagione del suo impegno culturale e religioso, a cui si accompagna la scelta del servizio ai più umili, assumendo nel ’47 la parrocchia di periferia Sant’Antonio, che regge fino alla morte. Già collaboratore di Giovanni XXIII, Bevilacqua, è costantemente sollecitato da Giovanni Battista Montini, divenuto papa Paolo VI, a dare il contributo della sua intelligenza alle riforme della Chiesa conciliare e almeno su due punti, la riforma liturgica e il decreto sulla libertà religiosa, la sua «azione persuasiva» trova precisi riscontri. Il 6 gennaio 1965 Bevilacqua è nominato cardinale da Paolo VI a condizione di rimanere parroco. Si spegne pochi mesi dopo, il 6 maggio.
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Padre Bevilacqua avvertiva acutamente che la verità è sempre qualcosa di più profondo delle forme concettuali in cui si esprime; e se questo è vero in ogni forma di conoscenza, lo è a fortiori quando si tratta di vita morale e di visione cristiana della vita. Malgrado alcune espressioni drastiche, non vi era traccia di irrazionalismo nel suo pensiero, caratterizzato da uno sforzo incessante per vedere in profondità, per unire l’umano e il divino senza lasciarsi imprigionare da aride formule, da romanzi pseudo-metafisici, da false evidenze. Aveva un’intelligenza intuitiva e il dono raro di saperla destare negli altri. Il suo spirito si manteneva nel concreto. La sua era una mente libera dallo spirito di sistema e dalle sue illusioni. Tra le fonti del suo pensiero ci sono Sant’Agostino, Filippo Neri, l’oratoriano inglese John Newman e, tra i contemporanei, il primo posto spetta al filosofo francese Bergson. In Bevilacqua era costante e aperto il confronto con gli orientamenti che emergevano nella cultura del tempo e soprattutto negli spiriti. Nutriva una schietta ripugnanza per quei cristiani che si rifugiano nelle facili consolazioni e nel facile disprezzo di posizioni diverse dalla loro. Non si è cristiani, infatti, se non si condividono le ansie e le speranze dei propri simili, se non se ne ascoltano le voci, a cominciare da quelle discordanti, con il massimo di onestà e di apertura intellettuale. Bevilacqua ha insegnato a «cogliere le ragioni del sì e del no» nella cultura contemporanea e il libro che meglio attesta questo suo metodo è Equivoci – Mondo moderno e Cristo (1950). Avvertire le deformazioni, la forza disumanizzante di errori e unilateralità che teorie e movimenti si portano dentro si può e si deve, certamente, ma con l’avvertenza che una verità senza amore per gli uomini non è mai verità cristiana. La passione per la giustizia sociale e l’eroica povertà di Bevilacqua sono lì a provare che per lui il cristianesimo non ha nulla da spartire con il conservatorismo di qualsiasi genere. Il messaggio evangelico va oltre tutte le ideologie e le realizzazioni politico-sociali di questo o quel momento. Il Vangelo proclama il metodo dell’incarnazione ed è fermento che suscita iniziative sempre nuove per meglio servire l’uomo, è ciò di cui han più bisogno la politica e l’economia per umanizzarsi; ma tutto ciò non autorizza la riduzione mondana del cristianesimo, sotto qualsiasi forma, perché essa è la negazione immanentistica più radicale della sfera religiosa e del destino immortale della persona. È sempre necessario distinguere fra le diverse forme di «cristianità» storicamente determinate e il «cristianesimo» che tutte le trascende. A fondamento dell’annuncio cristiano Bevilacqua pone il richiamo alla discrezione di Dio. «Il vero Dio è discreto», egli amava ripetere. Di qui l’urgenza per la Chiesa di porsi in prima linea nella difesa della libertà di coscienza ovunque, non solo dove i cristiani sono emarginati o perseguitati. La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa apparve pertanto al Bevilacqua come la premessa inderogabile e assolutamente prioritaria per un dialogo onesto tra la Chiesa cattolica e il mondo contemporaneo.
Giornale di Brescia, 5.5.2005.