Quando ero arcivescovo di Marsiglia, più volte Paolo VI mi ricordò che egli doveva la sua vocazione sacerdotale a un monaco di un monastero marsigliese: infatti, l’abbazia benedettina di Santi Maria Maddalena, prima di trovare l’attuale rifugio a Hautecombe era stata accolta, nei tempi dell’esilio, molto vicino a Brescia, presso il convento di Chiari.
E’ dunque sotto l’egida di Paolo VI che mi avventuro oggi a parlarvi. Anche lui, infatti, dopo Pio XII e Giovanni XXIII, e primi di Giovanni Paolo II, è stato un grande papa della pace; ispirato, per usare le sue genuine parole, dal “soverchiante pensiero” e dalla “paradossale certezza” della pace.
Chiesa, che dici oggi della pace? Chiesa, che fai oggi per la pace?. E’ a questo doppio interrogativo che vorrei rispondere. Non possiamo accontentarci di una protesta o di un rilancio incantatore in favore della pace. Tutti hanno sulle libbra la parola “pace”, ma pochissimi portano semi di pace nel cavo della mano. La pace è qualcosa di più dell’assenza di guerra, ma ce ne rendiamo veramente conto solo quando essa scompare. Molti accettano le guerra “come se fosse uno degli altri inconvenienti dell’esistenza”, secondo l’espressione di Freud. Alcuni, pur senza troppo confessarlo, pensano addirittura che la guerra rimanga la grande levatrice della storia e della scienza. Allora, per uscire dalla rassegnazione o dall’utopia, corriamo verso la Chiesa per vedere lungo quale sentiero di pace ci conduce: Chiesa, che dici della pace? Chiesa, che fai per la pace?
Dobbiamo riconoscere che il primo contatto con la Chiesa non è proprio incoraggiante. Essa ci sbatte in faccia, come se nulla fosse, la prima pagina della Bibbia, con la storia di Caino e Abele, come per dirci: caro mio, la guerra non è cosa di ieri, la pace non sarà per domani! Che ci siano zuffe, considerando i quattro miliardi di persone che abitano la terra, si può ancora capire. Ma essere quattro gatti in tutto il globo e già dover registrare un crimine, un fratricidio per giunta, è un primato! Ecco come è fatto l’uomo, ci ripete continuamente la Chiesa, ecco come siamo fatti tutti: discendenti di un criminale, siamo dei criminali in potenza, degli uomini che non possono dimenticare la storia dei due fratelli, di due giovani, dei due primi giovani dell’umanità, dei quali uno uccide l’altro (Gn 4, 1-16).
La Chiesa, come una madre assillata di pace, non si stanca di farci sentire la voce del sangue, del filo di sangue di Abele che, nel corso dei secoli, si è ingrossato, è diventato un torrente, un fiume, un mare di sangue. Dalla fine della seconda guerra mondiale (più di quaranta anni or sono), è stato calcolato che il mondo non ha conosciuto che sessanta giorni di pace effettiva, ma, a dire il vero, non è passato un sol giorno senza che il sangue di un giusto, anzi di numerosi giusti, sia stato versato. Quali testimoni di tutte le forme di violenza, nella strada o alla televisione, siamo in grado di ascoltare il sangue di tante vittime che grida verso di noi, ci risveglia di soprassalto e ci orienta sul cammino della pace? Per la Chiesa tale cammino è uno solo, quello che presuppone la fede nella pace di Cristo. Niente di più delicato che appoggiarsi su una simile fede, onde evitare ogni evangelismo politico, poiché si tratta di distinguere tra la pace di Cristo e la pace degli uomini, la pace divina e la pace terrena, la pace messianica e la pace politica, senza per questo renderle reciprocamente estranee. Non si chiede ai cristiani di realizzare a parte una pace cristiana, ma di rendere dinamica la pace tra gli uomini e tra i popoli. Questa, insostituibile, incommensurabile, è la nostra responsabilità cristiana al servizio di ogni pace.
Noi sappiamo che la pace di Dio è ben più grande della piccola pace che gli uomini e i popoli cercano di avere tra loro, al punto che, come diceva san Paolo, “essa sorpassa ogni intelligenza” (Fil 4,7). Noi sappiamo che shalom è la parola più piena della Bibbia, la sola che possa saziare l’uomo, poiché prende tutto l’uomo, corpo e anima, e lo rende completo, intatto, integro, in armonia con Dio, con gli altri uomini, con la natura, con se stesso. Si tratta veramente della gioiosa sinfonia della pienezza dell’ordine cosmico espressa dal salmo al ritmo di: “Amore e Verità si incontreranno, Giustizia e Pace si baceranno” (Sal 85,11). Noi sappiamo che Dio è venuto ad abitare fra noi per dare un nuovo inizio alla “pace sulla terra”. Noi sappiamo che la pace lasciata da Cristo in eredità non è quella del mondo: “Vi do la mia pace” (Gv 14,27). Anzi, dice Gesù, è pace che apporta “la spada” (Mt 10,34), una pace che ci pone in stato di guerra contro ogni falsa pace, una pace che è critica di tutte le paci, tanto della pace interiore quanto della pace politica. Noi sappiamo che la vera pace costa assai cara ai cristiani e dalla sua ricerca non usciamo mai indenni, se non con le stigmate del Cristo crocefisso, seguendo l’esempio di Francesco d’Assisi, il grande santo della pace universale. Infine, noi sappiamo anche – e qua è la nostra grande forza – che Cristo ci dà non soltanto la sua pace, ma che egli stesso è la nostra pace: Ipse est pax nostra, secondo la espressione di san Paolo (Ef 2,14). Io non conosco nel Vangelo una parola più innovatrice in favore della pace, perché avendo personificato la pace, Cristo ne fa una vita più che un messaggio. E san Paolo aggiunge che Gesù distruggendo il muro dell’odio per mezzo della croce, ha creato nella propria carne un unico uomo nuovo, unendo in un sol corpo i due tipici nemici rappresentati dal giudeo e dal pagano. Cristo stesso è dunque la nostra pace, e quale pace! Chi dice meglio, chi fa di più per la causa della pace?
Ma la pace non è proprietà esclusiva della Chiesa. La Chiesa non è impiantata in mezzo ai soli cristiani e non è ripiegata sulla pace di Cristo, della quale assapora il gusto squisito e durevole.
La Chiesa cammina con tutti gli uomini dal nord al sud, dall’est all’ovest, formando una comunità di destino in cui si gioca la pace mondo nel meglio e nel peggio. La Chiesa parla a tutti della lavora per la pace di tutti e con tutti. La Chiesa, secondo le parole di Giovanni Paolo II, si fa portavoce della “coscienza morale del l’umanità allo stato puro, la quale desidera la pace, ha bisogno della pace”.
La Chiesa ha un insegnamento sulla pace come ne ha uno sull’insieme della vita sociale, economica e politica del mondo. Alcuni minimizzano, e perfino squalificano, qualunque parola della Chiesa circa la pace, perché la considerano inefficace, insignificante. Tuttavia, quando essa, per esempio, nella Pacem in terris si riferisce alla verità, alla giustizia, all’amore e alla libertà come ai quattro pilastri i quali sorreggono l’edificio della pace, fa molto di più che un semplice richiamo di vaghi principi: questi valori universali sono capaci di ispirare decisioni e azioni valide per tutti gli uomini. Il messaggio della Chiesa è forse sfocato, anacronistico, complice dello statu quo o di timorosi compromessi? Eppure non vediamo che esso fa attribuire il Premio Nobel a cristiani così diversi tra loro come Adolfo Perez Esquivel, Madre Teresa e Lech Walesa, fa vacillare le dittature più cementate, fa marciare i giovani sulle piste più difficoltose della cooperazione, fa mobilitare mogli e madri di scomparsi per interminabili manifestazioni pubbliche?
L’insegnamento della Chiesa sulla pace, così fermo nei suoi fondamenti, è lungi dall’essere immobile nelle sue applicazioni. Esso assume, nelle parole della Gaudium et Spes, quel “formidabile complesso di nuovi problemi” (par. 5,3) che “obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova” (par. 80,2). Esso modula le certezze e le interrogazioni lasciando spazio, quindi, a scelte differenti ma non indifferenti, per le quali, anzi, è necessario veder chiaro. I cristiani si trovano divisi sul problema che dovrebbe unirli di più: quello della pace. Essi gridano allo scandalo della divisione e, per difendere il terreno stesso della pace, talvolta si lanciano in faccia parole piene di sospetto e addirittura alcune pagine mutilate del Vangelo.
Dobbiamo anzitutto prendere atto di un’evoluzione del pensiero della Chiesa ben riflessa nell’affermazione perentoria della Pacem in terris: “…riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (n. 127).
E’ significativo che in nessun testo del Concilio Vaticano II appaia la locuzione “guerra giusta”, la cui teologia ha nutrito il pensiero della Chiesa per secoli, un pensiero comunque sempre pacifico, dato che i criteri di legittimazione di una guerra erano strettamente legati a quelli della sua limitazione: solo una violenza limitabile era legittimabile in alcune circostanze. Oggi, sulla scala delle armi nucleari, il dibattito si sposta dalla “guerra giusta” alla “giusta difesa” e la Chiesa comincia una nuova e ardua riflessione sull’etica della dissuasione. Si tratta di situare bene tale riflessione e di farla avanzare, al tempo stesso, con l’estremo rigore che la sicurezza dell’umanità richiede e con l’audacia spirituale che la fedeltà al Vangelo di pace esige.
Come uscire dal drammatico stallo in cui ci troviamo? La pace, impaziente, attende pionieri che aprano nuove strade. Un’impresa dura, durissima, ma all’altezza della vocazione della persona umana. Quel che è certo è che sappiamo in quale direzione dobbiamo avanzare, con passi sicuri e veloci. Sempre meno possiamo lavorare per la pace con armi di guerra. Sempre più dobbiamo lavorare per la pace con armi di pace. Tutto ci spinge verso un tale obiettivo: la ragione e la fede. L’appello, sempre più urgente, ci viene dalle profondità del Vangelo, da questo vulcano che ha sprigionato il Discorso della Montagna.
Chiesa, che fai oggi per la pace?
Prima di tutto, essa mobilita tutti i suoi figli. Il cantiere della pace è aperto a tutti. Il cantiere è aperto in modo speciale ai giovani, senza voler fare dei giovani una categoria a parte, per il servizio della pace non più che per il resto. Quando Giovanni Paolo II ha lanciato lo slogan “la pace e i giovani camminano insieme”, non era né per lusingarli né per incitarli a un’impresa. Ma semplicemente perché l’aspirazione alla pace è aderente alla loro pelle ancor più che alle suole delle loro scarpe e l’avvenire della pace si trova nel loro cuore di pellegrini senza frontiere. E semplicemente perché i giovani e la pace camminano insieme fino al punto di cadere insieme. Quando la pace muore per far posto alla guerra, sono soprattutto i giovani a morire. I cimiteri militari sono campi di grano falciati in erba. Ma sono soprattutto i giovani a sapere che la pace ad ogni costo, a rischio di perdere la propria anima più che la propria pelle, è indegna del loro ideale e che le cause che muoiono sono quelle per cui non si muore più. Sangue dei martiri, giovinezza della Chiesa.
La Chiesa mobilita gli uomini di scienza. Sento ancora nelle orecchie (ero proprio dietro di lui), il solenne richiamo di Giovanni Paolo II all’UNESCO: “Io, figlio dell’umanità e vescovo di Roma, mi indirizzo direttamente a voi uomini di scienza…a voi che siete le più alte autorità in tutti gli ambiti della scienza moderna…Dispiegheremo soprattutto i nostri sforzi per preservare la famiglia umana dall’orribile prospettiva della guerra nucleare!” (n. 22). E’ a questo punto che lancia il grido vibrante: “Bisogna mobilitare le coscienze!”, un grido che è stato considerato come un appello a una specie di obiezione di coscienza mediante cui gli scienziati possano bloccare l’ingranaggio della morte nucleare.
La Chiesa affida il dovere della pace alle nazioni stesse e non solo agli individui. Ecco perché essa dispiega un’intensa e onnipresente attività, troppo poco conosciuta, in seno a innumerevoli conferenze internazionali, nelle quali la sua voce è particolarmente ascoltata poiché trascende gli interessi e i conflitti che agitano e spesso paralizzano tali riunioni. Ecco perché essa lotta contro le tendenze attuali verso un certo ripiegamento su se stessi o verso relazioni esclusivamente bilaterali a detrimento di quelle multilaterali. Ecco perché, pur essendo consapevole della necessità di riforme, essa non si stanca di esprimere il suo incoraggiamento alle Nazioni Unite e alle loro organizzazioni specializzate.
In breve, possiamo affermare che tutta l’azione pacificatrice della Chiesa è guidata dalla visione, principale e costante, dell’unità della famiglia umana, con le sue conseguenti implicazioni sul duplice piano etico e giuridico. La Chiesa non si stanca di esplorare tutte le dimensioni della pace. La pace si dà dei nuovi nomi: sviluppo, liberazione, questione sociale, solidarietà internazionale, difesa dei diritti dell’uomo. E’ un tutt’uno. Tutto si tiene: il minimo strappo alla tunica dell’umanità riesce a disfare la pace. Giovanni Paolo II ci dice che la pace è un “valore senza frontiere”: nessuno può rassegnarsi né alla coesistenza dei due blocchi Est-Ovest, né all’approfondirsi del divario Nord-Sud. La pace è indivisibile: esiste un’interazione tra il dialogo Est-Ovest e la solidarietà Nord-Sud. Si tratta di concetti che ci sono divenuti familiari, che rischiano però di schermare un’altra realtà: l’attuale presenza della guerra o della guerriglia un po’ ovunque nel mondo, fuori d’Europa. Il silenzio delle armi si ferma alle frontiere del Terzo Mondo. Qui i paesi ricchi possono offrirsi il lusso insensato di intendersi a colpi di minaccia nucleare. Ma là, i paesi poveri possono impoverirsi di più battendosi a colpi d’armi mercanteggiate. L’indifferenza di qui è turbata solo da alcuni segnali di allarme: il terrorismo, la crescita del razzismo, l’indebitamento dei paesi poveri. Se vogliamo promuovere la pace nel mondo intero, dobbiamo stare attenti a non lasciarci obnubilare dal problema, quantunque grave, della dissuasione nucleare, e prestare attenzione anche ad altri problemi come quello dell’incitamento al commercio delle armi, soprattutto nei paesi poveri, che “permane una delle minacce alla pace attualmente più gravi” (Card. Casaroli a Vienna, 6 marzo 1986). In tal senso, temo che le nostre possibilità di protesta e la nostra ricerca di soluzioni pratiche per opporsi a un traffico così squallido e cinico si siano attenuate sia per assuefazione, sia per stanchezza.
La Chiesa osa fare appello all’opinione pubblica, a un’opinione che sia ben consapevole, informata, tenace, esigente per se stessa, non manipolata, poiché non v’è nulla di più vulnerabile delle aspirazioni popolari alla pace. Ma, ciò nonostante, la Chiesa non è una forza di complemento che metta le sue risorse a disposizione dei movimenti della pace. Essa non s’identifica con alcuna particolare strategia. La sua originalità è di essere educatrice delle coscienze: essa cerca di creare le condizioni favorevoli che aiuteranno gli uomini a decidersi in funzione dell’esigenza di giustizia che ispira ogni libertà.
Come educare alla pace degli uomini che, atterriti, sono seduti su una polveriera o che assistono, impotenti, all’esplorazione dello spazio siderale con lo scopo di piazzarvi nuove armi, quasi che la terra e il mare non potessero più sopportarne il peso? Penso alla frase di un Premio Nobel per la Pace: “Sapere senza agire è una vigliaccheria, agire senza sapere è un’imprudenza” (Georges Pire, domenicano belga, che ha ricevuto il premio nel 1958). Il primo atto di un’educazione alla pace è quello dell’informazione: davanti a una documentazione che si banalizza o si “babelizza”, occorre fare lo sforzo di informarsi seriamente e ostinatamente circa problemi di alta tecnicità militare, politica, economica, sia sul piano interno che su quello internazionale. La promozione della pace non può restare a un livello artigianale, ridotta a un insieme di buone idee o a un incanto di buoni sentimenti. Per dire addio alla guerra non basta dire buongiorno alla pace.
La pace non è così semplice come il cuore l’immagina, ma è più semplice di quanto la ragione non creda. Davanti alla complessità e al groviglio dei problemi, siamo tentati di dirci: la pace dipende da mani più esperte delle nostre. Certo la pace ha bisogno di specialisti, ma essa è anche nelle mani di noi tutti, essa passa attraverso i mille piccoli gesti della vita quotidiana. Ogni giorno, mediante il nostro modo di vivere con gli altri, noi operiamo una scelta in favore o contro la pace. Quanti uomini vediamo oggi pronti a sfilare o a firmare un manifesto, ma la cui vita non riflette che egoismo o rifiuto di dialogo? Quanti cristiani vediamo oggi domandare alla loro Chiesa di prendere posizioni che essi stessi non osano assumere nella propria vita? Educare alla pace è fare di ogni uomo un araldo di pace, significa issarlo al proprio livello, alto o basso, di eroismo.
Infine, educare alla pace è per la Chiesa stessa fare una verifica della propria esistenza comunitaria. E’ ben grave la responsabilità che abbiamo di testimoniare la nostra esperienza ecclesiale, dove persone di ogni provenienza apprendono, talora non senza difficoltà, a essere persone riconciliate nel Cristo e diventano così capaci di generare, se non dei modelli, almeno degli abbozzi di rapporti pacifici. La Chiesa può difficilmente parlare di pace se nella propria vita non dà e non si dà segni di pace. La Chiesa deve essere una parabola in atto della comunione fraterna alla quale gli uomini aspirano. Ci rendiamo conto della sua audacia quotidiana quando essa offre all’umanità disperata quella miniatura della pace universale che è una comunità eucaristica felice di vivere pienamente non foss’altro che per un fugace istante – la giustizia e la pace di Dio tra gli uomini?
Terminando, vorrei che i nostri sguardi si volgessero verso Assisi come abbiamo fatto il 27 ottobre 1986, il giorno in cui Giovanni Paolo II e tanti capi religiosi sono diventati insieme umili e ferventi pellegrini di pace. Evocare lo “spirito di Assisi”, come il Papa ha fatto spesso, significa credere che la pace è possibile in pieno diluvio, significa sentire la pace vicina a noi, con la grazia della colomba e la freschezza di un ramoscello di olivo, significa impegnarci insieme verso l’inesplorato continente dei cieli nuovi e della terra nuova, che questo tempo svela davanti ai nostri occhi di cercatori della pace. Chiesa, che dici della pace? Pace agli uomini di buona volontà! Chiesa, che fai per la pace? Pace con gli uomini di buona volontà!
NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 23.9.1987.