Credo: risorgerò! È l’inaudita speranza, la paradossale utopia del cristiano, una sfida contro i dati apparentemente più incontestabili dell’esperienza. La morte sconfitta dalla risurrezione? La fede cristiana risponde: sì! “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor. 15, 20-21). “Ecco io vi annuncio un mistero […] saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità “ (1 Cor. 15, 51-53).
“Predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio”, (Rom. 8, 28) la morte non potrà più distruggere definitivamente questa immagine. Anch’essa è una realtà penultima, l’ultima nemica che il Cristo ha già sconfitto. Il Dio di Gesù, infatti “non è Dio dei morti, ma dei vivi” (Mt. 22, 31). È il Dio della risurrezione e della vita eterna che ne consegue.
Che cosa possiamo conoscere e dire della vita eterna promessa da Gesù ai credenti in Lui? Non è certamente questa nostra vita prolungata all’infinito, è un esistere nuovo, misterioso, un attimo che ferma il suo trascorrere e non passa. È un esistere nel mistero immutabile di Dio. Risorti col Cristo, saremo sempre col Padre nel suo regno di luce. Non esisterà che Dio e il nostro amore, la sua grazia. “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28) sarà la nostra gioia piena, la gioia che nessuno potrà mai più toglierci. Dio stesso, non qualche cosa che venga da Lui, una sua creatura, un suo dono. Sarà soddisfatto non un’attesa interessata di beni alternativi, ma solo il nostro amore, supremamente interessato alla Sua persona, come ogni vero amore.
Per questo il desiderio del paradiso che qui in terra ci facilita talvolta certe scelte faticose, non è altro che il nostro desiderio di Dio, di Lui amato già quaggiù, che vogliamo soltanto poter continuare ad amare – e questa volta senza veli, pienamente -, nel regno escatologico. Dio stesso, dunque, sarà la nostra ricompensa. “Premio della virtù sarà Colui che la concesse e che le promise se stesso, del quale non vi può essere niente migliore né più grande” (sant’Agostino). Il destino avverso, l’inferno, è invece indicato da Gesù: “Via da me, maledetti” (Mt. 25, 41).
Il giudizio sarà di Dio e sarà nostro. Nella luce della verità divina, noi stessi vedremo chiaramente la nostra vita e il suo significato escatologico: la nostra fondamentale accoglienza di Dio oppure il nostro rifiuto del suo amore che per tutta la vita ha bussato alle nostre porte.
Dio è amore e l’amore, di conseguenza, è la realtà ultima. Passando dall’indifferenza all’amore, noi già in questa vita inauguriamo in noi la vita eterna, il regno dei cieli, e poniamo le radici e il fondamento di ciò che saremo in Dio. Tutte le altre cose, anche quelle che ci esaltano o ci deprimono ora, non sono che realtà penultime. Realtà penultime sono anche i sacramenti, anche l’istituzione ecclesiale, quello che l’Apocalisse chiama il tempio, che “non ci sarà più” (Apoc. 21, 22).
Dove Dio sarà tutto in tutti non vi sarà altra gerarchia se non quella dell’amore.
Per questa ragione, la salvezza escatologica riveste il significato di un’azione di Dio che sovverte la distribuzione umana dei valori. “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc. 1, 52). Indebolire il messaggio escatologico è, in ogni caso, indebolire l’immagine di questa azione santamente sovversiva di Dio. Neanche l’urgenza di una salvezza storica, liberatrice dell’uomo, deve compromettere la forza di questo annuncio, privare il Vangelo di ciò che è soltanto suo.
Senza escatologia, il Vangelo non è più Vangelo, e la chiesa non è più chiesa.
Credendo nella vita eterna, il cristiano non cessa di credere anche nelle realtà penultime, nelle cose che passano, finalizzate a quelle che non passano. Non cessa di impegnarsi nella storia e in tutti i campi bisognosi della redenzione di Cristo. La vita eterna è il compimento della redenzione del Cristo. Sarà un avvenimento di luce; vedremo Dio, la realtà ultima, e vedremo in Lui tutte le realtà penultime, “Conosceremo perfettamente” così come siamo conosciuti. Vedremo Dio “faccia a faccia” (1 Cor. 13, 13). “Noi siamo fin d’ora figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato, sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” (1 Giov. 3, 3). La vita eterna sta nella visione beatifica.
Solo la salvezza escatologica – che comprende e richiede l’impegno storico, sociale e politico – manifesta tutta l’intensità dell’azione di Dio che finalmente opera l’autentica giustizia, la forza con cui Dio riscatta tutte le generazioni umane e non solo l’ultima, tutta la storia umana e non solo il suo termine, tutti gli umiliati e offesi, tutti gli oppressi e i rimossi di questa storia e non soltanto la collettività superpersonale dell’ultimo tempo storico.
La dimensione escatologica, allora, non significa allontanare Dio dagli uomini, renderlo “alieno”. Al contrario, essa sottolinea la sua presenza forte, di riscatto, nel destino dell’uomo, di ogni uomo, nell’irripetibilità della sua vicenda. In questo senso dire “escatologia” è ancora e sempre dire “incarnazione”: i due pretesi estremi si incontrano.
“Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Ebrei 13, 14). Siamo nell’esodo, nell’esilio. Infatti “passa la scena di questo mondo” (1 Cor. 7, 31).
Fedele alla terra e al cielo, cittadino di entrambi, il cristiano è chiamato a “redimere” il proprio tempo e a lavorare per la città futura, affinché diventi più umana. Tuttavia non può cessare di indicare il compimento nella realtà di Colui che solo è capace di far riposare il cuore inquieto dell’uomo.
L’escatologia dunque. E la storia.
Ma nel frattempo, mentre noi siamo ancora qui, nel tempo, che cosa possiamo pensare dei nostri defunti? Dove sono? Dove e come vivono le loro anime? È possibile raggiungerli e aiutarli con le nostre preghiere?
Certo non dobbiamo presumere di poter alzare completamente il sipario dell’al di là…
In attesa della risurrezione i nostri cari vivono nel mistero di Dio, vivono nel ricordo che Dio ha di loro. Come dice il Salmo, Dio non si dimentica degli uomini che ama. In questo ricordare di Dio, le loro anime vivono. Non continuano infatti a vivere, i nostri cari, anche nella nostra memoria e nella nostra esistenza? Quanto più dunque questo accadrà nel Dio dei viventi, nella sua memoria creativa.
Credo risorgerò, Morcelliana, Brescia 1984, pp.106-109.