Cristiani ed ebrei si incontrano di rado sul piano religioso, ed il fatto è paradossale e scandaloso, perché nessuno può dirsi «cristiano» e separare la sua fede dalla sua radice, nessuno può separare dall’Antico il Nuovo Testamento senza mutilarlo e fraintenderlo. Occorre dunque che gli ebrei e i cristiani entrino anch’essi in dialogo, in piena e serena equiparazione di diritti, di oggettività, di reciproca comprensione dell’apporto prezioso ed insostituibile dell’altra parte. Vi è tra Cristianesimo e Giudaismo un rapporto di correlazione e complementarietà che è innegabile e che tuttavia va riscoperto ad ogni livello dopo secoli di incomprensioni e di vergognosa propaganda antisemita. Pio XI ebbe il merito di avvertire e denunciare per tempo l’uragano della persecuzione razziale e l’inseparabilità della questione ebraica dal dovere di testimonianza cristiana. Il cristiano in quanto tale è spiritualmente un figlio di Israele, un semita; questo Pio XI ebbe il coraggio di dire apertamente in un tempo di mimetismi e di confusione, quanto empi assassini anticristiani di scatenavano l’antigiudaismo di massa nel cuore stesso dell’Europa. La sferza della persecuzioni accomunò cristiani ed ebrei e mise in moto un processo di comprensione crescente. Fu così che l’idea di una colpa collettiva dell’allora e perfino dell’odierno popolo di Israele nella morte di Gesù venne dal Concilio espressamente rifiutata.
D’altra parte, anche nel mondo dell’ebraismo religioso molte cose sono cambiate. L’Antico Testamento è oggi il più studiato e conosciuto rispetto al Talmud e si comincia ad esplorare con mutata disposizione interiore il Nuovo Testamento. Si capisce che col Gesù entrato a far parte della cultura e della civiltà bisogna che faccia i conti anche con chi rifiuti il Gesù della fede. E’ impossibile infatti per un ebreo moderno vivere la cultura occidentale senza incontrare continuamente Gesù, nella poesia, nel romanzo, nella musica di Bach, Haendel, Mozart, Beethoven, Bruckner. Le grandi parole scritte allo fine del secolo scorso dall’ebreo Max Nordau oggi trovano più ascolto: “Gesù è l’anima della nostra anima come egli è carne della nostra carne. Chi lo potrebbe dunque escludere dal popolo giudaico?” Il maggior filosofo ebraico di questo secolo, Martin Buber, indica Gesù come “il grande fratello che non può venir definito da nessuna delle categorie comuni”, colui a cui spetta “un grande posto nella storia della fede di Israele”. Abraham Joshua Heschel, pensatore e profeta religioso di straordinaria profondità, è divenuto oggi maestro comune di spiritualità per ebrei e cristiani e i suoi scritti sono ormai letti in prospettiva ecumenica. Sarebbe un vera iattura se pregiudizi di parte escludessero i cristiani dal dono che anche ad essi viene da opere come Israele eco di eternità, Passione di verità, Dio alla ricerca dell’uomo, Chi è l’uomo?, Il sabato, nelle quali la poesia e la polemica, la filosofia e la teologia convergono nel far capire all’uomo contemporaneo che come egli vive nel regno della natura allo stesso modo è situato nella dimensione del sacro e può sfuggire all’appello del sacro altrettanto poco quanto può accomiatarsi dalla natura. In questi ultimi tempi una difficile, tremenda questione ha di nuovo riacceso animosità e sospetti: il giudizio su quel drammatico appuntamento con la storia che è costituito dallo Stato di Israele. E’ stato detto che le reazioni nei confronti del conflitto medio-oriente sono state tali da ridestare i sentimenti più profondi in meglio o in peggio spaccando gli stessi cristiani, fino a indurli a sospettare nell’incontro religioso con gli ebrei presunti sottintesi anti-arabi o anti-islamici. Il problema della realtà politica dello Stato d’Israele e dei suoi rapporti con l’eredità spirituale del giudaismo è arduo, aperto a valutazioni diverse e persino contrastanti ; nessuno vorrà poi negare che, come ogni stato temporale, lo stato d’Israele possa essere soggetto a critica in determinati casi, pur dovendosi affermare in concreto il suo diritto ad esistere ed il suo alto significato storico. Ma noi qui vorremmo rovesciare addirittura la visione di una conflittualità fatale proprio in nome delle comuni radici spirituali degli ebrei e degli arabi. Infatti anche gli arabi, non meno cristiani, possono e debbono a giusto titolo dire:”Spiritualmente noi siamo dei semiti”. Nel profondo gli avversari stanno abbracciati, congiunti come sono nel rigoroso monoteismo, nella fede comune nell’unico Dio creatore, nella resurrezione dei morti e nel riferimento ad Abramo. Forse sarà proprio questa comunanza di fede a prefigurare e a preparare quelle soluzioni genuine che nascono solo dal confronto reale con “l’altro”, dalla capacità di incontrare “l’altro” nella sua identità vera.
Giornale di Brescia, 22.2.1978. Articolo scritto in occasione di un incontro promosso dalla Ccdc sulla figura di A. J. Heschel.