Davide Arditi e Rivka Jeochan

Tematiche: Biografie

SOPRAZOCCO DI GAVARDO, VIA BENECCO, 48

QUI ABITAVA DAVIDE ARDITI NATO NEL 1883 ARRESTATO IL 22.12.1943 DEPORTATO AD AUSCHWITZ ASSASSINATO IL 26.2.1944

QUI ABITAVA RIVKA JEROCHAN NATA NEL 1885 ARRESTATA IL 22.12.1943 DEPORTATA AD AUSCHWITZ ASSASSINATA IN LUOGO IGNOTO

Davide Arditi fu Beniamino e Danon Visa, nato a Varna (Bulgaria) il 16 febbraio 1883, commerciante, e la moglie Rifka Yerohan di Yerohan nata a Pleven il 3 gennaio 1885, entrambi cittadini italiani e di origine ebraica, vengono arrestati dietro delazione a Benecco di Soprazocco di Gavardo dai Carabinieri della locale stazione il 22 dicembre 1943. Alloggiavano presso la signora Margherita Delai, vedova Ghidinelli, che aveva affittato loro una camera. Si ignora quando la famiglia Arditi si trasferisca dalla Bulgaria in Italia: non è infatti presente né nell’anagrafe del 1938, né nell’elenco passato ai tedeschi ai primi di novembre del 1943. Da un dato presente nel saggio di Fabrizio Bientinesi, (Commercio estero e persecuzione antiebraica: la vicenda del trasferimento di beni ebraici attraverso il clearing italo-bulgaro nel 1943, Giuntina 2001, pp. 83-84) si evince che Davide B. Arditi firma il 16 luglio 1943 a Sofia una liberatoria verso l’INCE, riguardo i propri beni posseduti in Bulgaria. Si può quindi pensare che il loro trasferimento in Italia sia avvenuto successivamente a questa data, nell’estate del 1943. Trasportati nelle carceri di Canton Mombello a Brescia, in data 6 febbraio 1944 vengono internati nel campo di concentramento di Fossoli-Carpi. Da lì il 22 febbraio 1944 partono (con lo stesso trasporto di Primo Levi e di Guido e Alberto Dalla Volta) giungendo ad Auschwitz il 26 successivo. Davide Arditi, avendo già 61 anni, non passa la selezione e viene ucciso all’arrivo; la moglie Yerohan o Jerchan Rifka (così nell’elenco di Liliana Picciotto Fargion) morirà in luogo e data ignoti, forse ancora durante il viaggio. I due coniugi avevano una figlia, probabilmente allora residente in Turchia. Lo storico Marino Ruzzenenti nel libro La capitale della RSI e la Shoah (GAM, 2006), riporta infatti (p. 183) una lettera con la quale nell’agosto del 1945, attraverso l’ambasciata italiana ad Ankara, un certo Isaac Simantov chiedeva “notizie, se possibili, del suocero […] Sig. Davide Arditti [sic!], il cui ultimo indirizzo era: Brescia, via Brittotini, Salò sul Garda N°17”. La lettera conteneva alcune imprecisioni (Arditti invece che Arditi, Salò invece che Gavardo), ma sarebbe stato comunque possibile risalire all’identità della persona di cui si chiedevano notizie; essa venne invece archiviata nello stesso fascicolo che riportava i verbali dell’arresto e del sequestro dei beni, unitamente alla risposta dell’avv. Pietro Bulloni, il Prefetto della Liberazione. Dopo aver fatto condurre le ricerche ai carabinieri di Salò, veniva risposto che “il signor Davide Arditti non risulta iscritto all’anagrafe di Salò ed è sconosciuto in quel Comune”. La tragica vicenda dei coniugi Arditi a pochi mesi dal suo epilogo era già stata rimossa. Il testo di Ruzzenenti riporta anche il minuzioso verbale dei carabinieri, che pochi giorni dopo l’arresto tornarono a Benecco per eseguire il sequestro dei beni. Possiamo solo con amarezza constatare che i beni mobili lasciati dai coniugi Arditi furono raccolti in tre bauli, quattro valigie e una cappelliera, triste, ma eloquente testimonianza di un periodo della nostra storia in cui le vite umane, almeno di alcuni, contavano meno di pochi oggetti personali. Si vuole infine ricordare che se i coniugi Arditi furono arrestati e uccisi in seguito alla delazione, pratica ignobile, ma lautamente ricompensata dalle autorità della RSI, ben altro destino incontrarono gli ebrei bulgari. In quel paese grazie all’intervento di Dimitar Peshev, avvocato e vicepresidente del Parlamento, che ottenne il sostegno di altri 43 deputati, si riuscì a fermare i convogli che avrebbero portato nei campi di sterminio 48.000 ebrei bulgari, come racconta Gabriele Nissim nel libro L’uomo che fermò Hitler (Mondadori, Milano, 1998).