Detti e Contraddetti 1991 – 1° semestre

DETTI E CONTRADDETTI 1991 – PRIMO SEMESTRE

 

3 gennaio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Deus sitit sitirì. Dio ha sete che si abbia sete di lui (Gregorio di Nazianzo). Ciò che più offende. Nulla mi offende come / l’inconcludenza mascherata / di inquieti struggimenti / che hanno il nome orgoglioso / di vita interiore (Renzo Baldo). Il no all’imperialismo e alla dottrina della sovranità limitata. Nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre Nazioni, qualunque si a la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa (Pio XII, Radio-messaggio del 24 dicembre 1941).

Dopo l’amore, la poesia. Dopo quella dell’amore, nessuna offerta eguaglia quella della poesia  L’inarrivabile incanto della “giovinezza prima”. I chiari sguardi della giovinezza / prima, volti sul mondo / per cercarvi reali / le cose nella purezza sognate. (Aldo Agazzi). Interiorità e solidarietà. Solo chi sa stare solo con se stesso, dinanzi alla propria coscienza, e cerca di afferrare la ferrea logica dell’ingenuità consapevole, saprà servire i suoi simili. Camus ci ha insegnato a unire solitaire e solidaire. Come aveva fatto il suo conterraneo Agostino (Levi Appulo). Non lasciarsi irretire dalle mille trappole della piccineria e della banalità. Ho combattuto tanto a lungo con le piccole cose, che anch’io sono diventato piccolo (Eugene O’Neill).

 

UNA COSA È IL FINE DELL’AMORE, E UN’ALTRA COSA È IL FRUTTO DELL’AMORE. L’amore nacque quando l’uomo e la donna si riconobbero uomo e donna, cioè due esseri chiamati a essere una carne sola. E chi saprà mai dirci in quale crocevia della storia è apparsa la parola «amore»? È sempre difficile e coinvolgente scrivere o parlare d’amore, perché esso può rivelarsi nelle forme più diverse, con mille e mille sfumature, e può essere descritto non solo da punti di vista diversi, ma anche attraverso una straordinaria molteplicità di linguaggi, dalla biologia alla poesia, dalla psicologia alla mistica.

Uno dei pensatori più affascinanti del nostro secolo, Jean Guitton, scrisse su quel problema-mistero uno dei suoi libri migliori, L’amore umano (Milano 1990). L’illustre filosofo cattolico ha steso per la nuova edizione italiana – la prima apparve a Brescia, presso la Morcelliana – una prefazione in cui si legge un’osservazione schietta e illuminante su un punto cruciale, cioè sulla distinzione tra il fine dell’amore, che è l’amore stesso, e il frutto, o scopo dell’amore, che è il figlio.

«Quando considero – scrive il decano dei filosofi francesi (Guitton è nato nel 1901) – questo XX secolo, che io ho vissuto, quando ricordo i dibattiti del Concilio Vaticano II, cui io ho assistito, noto che la Chiesa sembra aver cambiato la propria dottrina sull’amore. Nella prima parte della mia vita, quando ascoltavo i pastori, sembrava scontato che il matrimonio avesse come unico fine la moltiplicazione degli uomini: Crescete e moltiplicatevi. Le famiglie con dieci figli non erano affatto eccezionali.

Oggi, una famiglia con tre figli pare normale, persino numerosa. La Chiesa parla ora di paternità responsabile, insegnando che una coppia cristiana deve riflettere prima di dare la vita e può limitare la procreazione. Ne consegue che limitare volontariamente il numero dei figli non è più peccato e i pastori definiscono i modi di contraccezione che sono legittimi e autorizzati.

Il concetto che deriva da questi insegnamenti, può essere così sintetizzato, nell’amore coniugale ci sono da considerare due aspetti che possono essere se non dissociati almeno distinti: uno è l’amore, cioè la comunione dei corpi e delle anime, l’altro è la procreazione.

A dire il vero, questa analisi che nell’amore fa distinzione tra l’amore e il frutto dell’amore, è sempre stata accettata dalla tradizione ebraica e cristiana, ma la nostra riflessione doveva precisare meglio i due elementi dell’amore umano. Una cosa è lo scopo dell’amore, e cioè il figlio, e un’altra cosa è il fine dell’amore, cioè l’amore. Un matrimonio, anche se è infecondo, non è sminuito nella sua essenza, poiché l’essenza del matrimonio non è il figlio ma l’amore.

Qui, come in tanti altri campi, il problema del pensiero esplicita ciò che esisteva già dall’inizio. La spiga non aggiunge nulla al seme, ma sviluppa ciò che fin dall’origine era virtualmente presente nel germe. La distinzione tra lo scopo e il fine dell’amore era virtualmente già presente nella tradizione. Occorre forse ricordare che nel più bel canto dell’amore dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici di Salomone, non si parla di discendenza?» (L’amore umano, ed. cit., pp. 6-7).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. La natura dev’essere goduta e non adorata. Stiamo attenti a non finire dove condusse l’adorazione pagana della natura. La vita è divina? E allora perché non imitare tutte le sue crudeltà? La sessualità è sempre sana? E allora perché non sperimentarne tutte le espressioni, anche le più ripugnanti alla sanità mentale e alla coscienza della propria dignità? È come per la salute: certo che essa è un bene di per sé, ma l’esclusiva preoccupazione della nostra salute comporta un atteggiamento patologico.

 

 

10 gennaio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il fogliame e il frutto. L’operosità materiale è il fogliame, quella spirituale è il frutto (Nil Sorskij). Anche nei singhiozzi. Anche nei singhiozzi è chiaramente udibile un appello al cielo. Oltre l’imperativo biologico. Secondo la legge della biologia, l’imperativo dell’uomo potrebbe essere: ‘Mangia, bevi e stai allegro’. Perché dunque, appena cerco di mettere in atto questa formula, mi sento privo della mia umanità? L’io e i suoi atti. Gli atti sono il simbolo dell’uomo, di noi stessi. Cerchiamo di non pentirci mai di averli compiuti. (Maksimov Gorkij) Le chiacchiere e la noia. Centinaia di verste di desertica, monotona steppa non possono provocare tanta noia quanto un uomo solo con le sue chiacchiere (Anton Cechov a Maksimov Gorkij).

Il criterio è il fine. La fraternità non consiste nel mettersi nella pelle del proprio vicino; ma, a partire da ciò che egli è, volerlo come dovrebbe essere, come i testi sacri esigono che egli sia. Essere per dare. La fraternità è dare e tu non potrai dare se non ciò che sei. Appello urgente. Lascia che il silenzio assolva, senza cedimenti, al ruolo di nocchiero. (Edmond Jabés)

L’esilio metafisico. Tutta la mia vita ho vissuto con la sensazione di essere allontanato dal mio vero posto. Se l’espressione «esilio metafisico» non avesse alcun senso, la mia esistenza da sola gliene darebbe uno. Santo proposito. Non peccare mai contro la santa concisione. (Émile Cioran)

 

L’ALTO DAL BASSO E IL SUPERIORE DALL’INFERIORE? È diventata ormai un’ossessione: credere di dover individuare sempre e ovunque la radice velenosa del bene, la sorgente inquinata di ciò che tuttavia tende ad apparirci elevato, puro, degno. E se non si professa siffatto apriorismo, sono guai: si perde il diritto di essere giudicati «critici», «moderni», «aggiornati». Insomma il dilemma è: o si pratica sistematicamente la «metodologia del sospetto», secondo l’insegnamento della troika Marx-Nietzsche-Freud, o non esisti come uomo di cultura. È l’ipse dixit del nostro secolo. Il fatto è che riconoscere su alcune questioni importanti gli apporti che ci vengono da quei tre maestri è un conto, ma piegarsi al diktàt della «metodologia del sospetto» è tutt’alta cosa. Ruggero Guarini non ci sta e noi con lui, convinti come siamo che, nell’atto di porsi come esclusivo, un principio ermeneutico cessa di essere strumento di analisi e di interpretazione e si trasforma in pre-giudizio che ostacola la ricerca, che è sempre da condurre nelle più diverse direzioni e con gli strumenti più diversi.

Piaccia o no, i marxisti, i nicciani, i freudiani, non possono che generare scettici e nichilisti, pretendendo di scorgere in ogni motivazione etica nient’altro che la maschera di un interesse.

Ma agli uni e agli altri bisogna pur chiedere – incalza il Guarini – donde proviene, secondo loro, questo bisogno di occultamento?

«Posto, infatti, che tutto ciò che ci appare alto e superiore sia davvero riducibile (come pretendono tutti i moderni riduzionismi sociologici, psicologici, economici e storicistici) ad alcunché di basso e inferiore, e che dunque sia soltanto la copertura e il travestimento di una qualche realtà soggiacente, vagamente ignobile e vergognosa di sé, resterebbe da spiegare perché mai l’inferiore e il basso dovrebbero avvertire la necessità di questa pagliacciata, e da dove, soprattutto, essi potrebbero trarre l’idea di quell’altezza e superiorità che si industriano di imitare per meglio beffarsi di noi. Donde, se non da quell’idea del bene di cui ogni nostra possibile simulazione tradisce il possesso (o il sospetto) preliminare?» (Fisimario, Milano 1990, pp. 16-17).

 

SHAKESPEARIANA. Bisogna saper vincere. Se una città è presa col fuoco, prenderla e averla perduta è tutt’uno (Pene d’amore perdute, Atto I, Scena I). Il cuore negli occhi. Decifrare negli occhi la muta eloquenza del cuore (ibid., Atto II, Scena I). Le bugie che sembrano verità. Io ho terrore dei pretesti plausibili (ibid., Atto IV, Scena II). Quando il saggio esce di senno. La follia del pazzo è sempre meno cospicua che non quella del saggio. Costui, infatti, dedica allora tutto il potere dell’ingegno a dimostrare che c’è virtù nella scemenza (ibid., Atto V, Scena II).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. La verità e l’orologio. Quello che si può o non si può credere dipende dalla nostra filosofia, non dall’orologio o dal secolo. La morale delle favole. Da quando ho lasciato sul pavimento della nursery le novelle delle fate, non ho più trovato libri così pieni di fine sentimento (dal volume Ortodossia).

 

 

17 gennaio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Guadagno e perdite. La cultura ha guadagnato soprattutto da quei libri per cui gli editori hanno perso (Thomas Fuller). Forte la coscienza del limite, debole la presunzione. Non ci sentiamo affatto umiliati dalla circostanza di non sapere e di non poter rispondere. Quel che umilia è, semmai, la sufficienza, l’arbitrarietà di teorie di qualunque segno, che altro non sono che ipotesi. Preferiamo senz’altro l’atteggiamento di chi confessa di non sapere e di perseverare nella ricerca, nello spirito ulisseo proprio dell’uomo (Giorgio Tupini). Si potrà redimere anche la “politica-spettacolo”? Non è detto che la propensione della politica allo spettacolo tout court non si evolva in propensione allo spettacolo di qualità (Gianni Statera).

Gli onesti non devono estraniarsi dalla vita pubblica. Non vi è motivo sufficiente per estraniarsi dalla vita pubblica: non si deve abbandonare la nave in mezzo alla tempesta solo perché non si possono estinguere i venti. Si deve operare, invece, nel modo più adatto per cercare di rendere se non altro minore quel male che non si è in grado di volgere al bene (Tommaso Moro). La vera rivoluzione. La rivoluzione o sarà morale o non sarà (Charles Péguy). Il dovere di sperare. Noi possiamo rifiutarci alla speranza come all’amore. Essa è dunque una virtù, e non una consolazione o una facilità. Ma è più di una virtù. Entra nello statuto ontologico di un essere capace di trascendere se stesso. Accettarla o rifiutarla è accettare o rifiutare di essere uomo (Emmanuel Mounier).

 

UN’ENCICLICA SU DANTE. Nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte del poeta, Benedetto XV pubblicò un’enciclica, In praeclara summorum, indirizzata ai professori e agli studenti di lettere che si professano cattolici. Il Pontefice scrive che a Dante «è lecito chiedere non solo uno straordinario godimento estetico (mirificam oblectationem)», ma anche il potere di esaltare la virtù e trasmetterla ai lettori, tanto grande è «la forza vivificatrice della sua arte». Dove c’è una scuola – conclude Benedetto XV – lì Dante deve essere tenuto nel debito onore. «Diligite carumque habete, ut facitis, hunc poetam», raccomanda il Papa. Esortazione quanto mai necessaria oggi, non meno che nel 1921, in un Paese che corre il rischio di smarrire nello stesso tempo l’amore per la patria e il senso cristiano della vita.

Un altro papa, Paolo VI, nel settimo centenario della nascita di Dante, nel 1965, ricordava che dal poema sacro gli animi possono «attingere lumi e impulsi nuovi per una sempre maggiore stima dei valori umani e cristiani». Il tripartitum carmen, la Divina Commedia, è «un poema dell’umanità, della civiltà, della filosofia e teologia; poema dell’unione e dell’armonia dell’ordine naturale col sovrannaturale, della vita presente con l’eterna». Dell’autore di quel sommo capolavoro anche noi ammiriamo, con papa Montini, «l’altezza dell’ingegno, la fierezza del carattere, la profondità delle convinzioni ideali, la vastità dell’argomento che la religione offerse a lui di cantare con accenti sublimi». Dante è genio universale, ma siamo noi italiani ad avere più bisogno della sua grande arte, nonché della sua alta lezione di laicità cattolica e di carattere.

 

SHAKESPEARIANA. Peccato di giuramento. È peccato grande giurare di commettere un peccato, ma è un peccato anche maggiore rispettare un giuramento peccaminoso (Enrico VI, parte II, Atto V, Scena I). L’arma dei grandi delinquenti, dei delinquenti leaders. Con menzogne bene armate di possenti argomenti» (Riccardo III, Atto I, Scena II). A chi è superiore a noi. Io non ti lusingo, ma ti onoro (Tito Andronico, Atto I, Scena I). Se c’è angustia mentale o auto-compiacimento farisaico. I suoi difetti vengono alle calcagna delle sue virtù (I due gentiluomini di Verona, Atto III, Scena I).

 

 

24 gennaio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il nostro linguaggio. Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari e case uniformi (Ludwig Wittgenstein). La rivoluzione scientifica nacque così. La penetrazione scientifica è stata il prodotto di menti nello stesso tempo sperimentali, calcolatrici e mistiche, come Keplero (Edgar Morin). Le domande che esigono una ricerca inesausta e non risposte-slogan. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Che cosa aspettiamo? Che cosa ci attende? (Ernst Bloch).

Nel profondo. Abbiamo imparato che certe esperienze umane si situano al di là del linguaggio, o meglio, che il loro linguaggio è silenzio (Elie Wiesel). La scolta avanzata. I mistici sono la scolta avanzata dell’armata degli eletti. Sono le spie che avanzando senza esitazioni sono entrate, prima della morte, nella terra promessa per riferire ai loro compagni di viaggio nel deserto qualcosa di essa. Per prova ci hanno portato un grappolo d’uva come non crebbe mai nel vigneto d’Egitto (Edward Ingram Watkin). La verità della parola. La verità della parola è il silenzio che l’avvolge (Joe Bousquet).

 

MALATI DI INDULGENZA. Dove è nata e come si è formata questa straordinaria «cultura di lotta e di governo» che punta alla grande sintesi tra guardie e ladri, società civile e società carceraria, moralismo stretto (anzi rigorismo codino) contro i poteri dell’autorità e manica larga verso il potere della malavita? Quale ignoto boccone della mela famosa ha trasformato da noi i bacchettoni in cultori della trasgressione e i trasgressori in santi? Che cosa ci spinge (spinge, voglio dire, i governi) a emettere provvedimenti che non hanno nessuna pretesa di essere applicati, per il puro gusto decorativo della promulgazione?

A che cosa mirano le Camere quando insabbiano e fanno decadere i decreti con i quali si cerca di disciplinare la libera uscita dei mafiosi dalle prigioni? E perché poi i parlamentari insorgono contro il dilagare della malavita organizzata? Quali superiori modelli hanno indotto la Magistratura ad adottare atteggiamenti così imprevedibili e capricciosi da obbligare il Procuratore generale a proporre di vincolarla per legge ai vincoli delle leggi, quasi si potesse inchiodare un chiodo con un chiodo?

Quale malattia segreta, politica, sociale o culturale, consente al Paese di vantare i regolamenti «più avanzati del mondo» in materia di immigrazione, detenzione carceraria, salute mentale, diritti sindacali, organizzazione sanitaria, e ai cittadini di sentirsi condannati a sprofondare nella più arretrata e incivile delle condizioni? E come mai ancora l’altro ieri gli assistenti sociali di un manicomio criminale, dopo aver lasciato fuggire, mandandolo in vacanza, uno pseudo-mentecatto recidivo nelle evasioni e negli omicidi, possono candidamente dichiarare: «Strano! Da noi si era comportato benissimo»?

Oggi il 90% dei latrocini e il 60% degli omicidi nel nostro Paese restano impuniti. A questo punto la cultura dominante ha tutto il diritto di chiedere ancora un po’ di comprensione per i delinquenti per fare cifra tonda e raggiungere il 100 per 100. Così, in nome delle grandi idee si riporterà con totale successo il Paese allo stato di natura (Saverio Vertone, Corriere della Sera, 10 gennaio 1991). Cioè alla stato belluino.

 

UNA PROPOSTA DISPERATA. Aprendo l’anno giudiziario, il Procuratore generale della Cassazione ha pubblicamente additato tra i mali della giustizia non certo tutti, ma molti giudici, accusandoli di protagonismo, asservimento a ideologie e a interessi di parte, assenza di etica professionale. Egli è giunto addirittura ad invocare – incredibile a dirsi! – una… legge che costringa i magistrati a obbedire alla legge, giudicando solo secondo la legge! La proposta è paradossale, disperata, ma al punto in cui siamo, «senza un codice deontologico, da promulgare subito – precisa Vittorio Sgroj – e da far rispettare rigorosamente, sarà ancora più difficile che l’allarmante crisi della giustizia possa compiere qualche timido passo verso il suo rientro».

 

SHAKESPEARIANA. La semina e il raccolto. Seminando loglio, non si raccoglie grano (Pene d’amore perdute, Atto IV, Scena III). Quando la scelta è impossibile. C’è poco da scegliere fra mele marce (La bisbetica domata, Atto I, Scena I). Motivata ripulsa. Non amo le ragazze che gridano (ibid., Atto I, Scena II). Le cattive parole. Le cattive azioni sono raddoppiate dalle cattive parole (La commedia degli errori, Atto II, Scena I):

 

 

31 gennaio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Andare oltre il pacifismo gridato. Chi non va oltre il pacifismo gridato, che si rifiuta di cercare giustizia e verità, chi condanna la guerra ma non denuncia le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, non ha imparato nulla dalla tremenda lezione che ci viene dalla resa delle democrazie a Hitler nel 1938, a Monaco. L’aver voluto allora la pace a tutti i costi, alle condizioni imposte dal dittatore, non solo disonorò l’Europa democratica, ma non evitò neppure la guerra (Levi Appulo). La ricerca della pace non fa tutt’uno col pacifismo ad ogni costo. La pace è una cosa troppo seria per lasciare fare ai pacifisti (Indro Montanelli). Quando è vera satira. La satira altro non è che aspirazione alla virtù (Giovanni Russo).

Non tradire la giustizia. La giustizia è degna di venerazione e la sua eccellenza duratura, poiché essa nei suoi principi non subisce mutamento. Ostacolare le leggi significa aprire il varco alla violenza. Non alterare fatti o giudizi per far piacere a qualcuno. È persona detestabile colui che allontana la verità dalla sua strada al fine di non ripetere se non ciò che procura piacere all’uno o all’altro uomo, grande o piccolo che sia. Si vale quello che si è in quanto autori di ciò che andiamo facendo. Ciò che l’individuo è in realtà val più del ricordo di quello che suo padre è stato. La parola che moltiplica le lusinghe. Se vivi con gente che ti dice: – Tu hai ragione prima ancora di parlare – e da queste lusinghe trai soddisfazione, ebbene io ti auguro di essere ostacolato nei tuoi desideri. (Precetti di Ptahhòtpe, prefetto del faraone Isesi, 2563-2423 a. C.)

 

DIVISMI E VALORI. «Il divismo è una malattia infantile della società di massa, e speriamo che sia solo infantile e che passi col crescere; ma personalmente ho forti timori che proseguirà anche durante la maturità e la vecchiezza delle predette società. Ormai sono tutti divi, anzi siamo tutti divi: campioni dello sport, stelle del cinematografo, giornalisti, magistrati, e non parliamo dei politici. Tutti recitano su un immenso palcoscenico e la principale preoccupazione di ognuno è quella della notorietà. Magari effimera, purché almeno una volta ci sia stata. Il risultato è che gran parte della fatica quotidiana viene impegnata non già per produrre valori ma notorietà e i comportamenti di ciascuno seguono questa legge e non altre. Così il costume si corrompe e il vivere sociale perde di qualità». Le riflessioni sono di Eugenio Scalfari (Venerdì di Repubblica, n. 190). Come sarebbe bello e vantaggioso per tutti, se alla sincerità e all’intelligenza della diagnosi facesse seguito l’impegno ad una terapia adeguata, soprattutto quando le conseguenze delle nostre idee, opzioni e omissioni concorrono a formare nel bene e nel male, e in misura notevole, la mentalità e lo stile di vita del Paese.

 

LO SPIRITO DI AUTODELIMITAZIONE. «I diritti dell’uomo sono cosa ottima, ma come verificare noi stessi che i nostri diritti non si espandano a scapito dei diritti degli altri? Una società dai diritti superdilatati non supera alcuna prova. Se non vogliamo un potere dispotico, ciascuno deve autocontrollarsi. Nessuna costituzione, nessuna legge o votazione può di per sé rendere equilibrata una società, perché è peculiare degli uomini perseguire tenacemente i propri interessi. La maggioranza, se solo ha la possibilità di espandersi e di affermarsi, agisce appunto così. E questo ha portato alla rovina tutte le classi e i gruppi dirigenti della storia. Una società stabile può essere costruita non sull’uguaglianza delle contrapposizioni, ma su una consapevole autodelimitazione: sul fatto che è nostro dovere inchinarci alla giustizia morale.

Solo grazie all’autodelimitazione può sopravvivere un’umanità, ogni giorno più numerosa e densa. E a nulla varrebbe tutta la sua evoluzione, se non si compenetrasse dello spirito dell’autodelimitazione: la libertà di prendere e di abbuffarsi ce l’hanno anche le bestie. La libertà umana ingloba in sé la spontanea autodelimitazione, a favore degli altri. I nostri doveri debbono sempre sopravanzare la libertà concessaci.

Se solo riuscissimo ad assimilare lo spirito dell’autodelimitazione e, soprattutto, a trasmetterlo ai nostri figli! E l’autodelimitazione serve soprattutto all’uomo stesso, alla serenità del suo animo e al suo equilibrio spirituale» (Aleksandr Solzenicyn, Come ricostruire la nostra Russia?, Milano 1990, pp. 55-56).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. Giusto ringraziamento. La forma più conveniente di ringraziamento consiste nel saper essere umili e nel frenarsi. Noi dovremmo ringraziare Dio per la birra e per il Borgogna, non bevendone troppo. Quel che c’è di cattivo nel pessimista. Quel che c’è di cattivo nel pessimista non è che egli biasimi gli Dèi e gli uomini, ma che non ami ciò che biasima, che non abbia un elementare e sovrannaturale senso di lealtà verso la vita.

 

 

8 febbraio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Manzoni non è Moravia. La celebre frase manzoniana: «E la sventurata rispose», che annuncia la vicenda amorosa della Monaca di Monza, è per me più carica di sensualità che non dieci esplicite pagine sull’argomento (Gina Lagorio). Che cos’è il carattere? Una definizione lapidaria. Avere in modo assoluto carattere significa avere quella proprietà del volere, secondo la quale il soggetto si determina da sé in base a certi principi pratici, che egli si è prescritto in modo inalterabile con la sua propria ragione. Educazione e liberà. Chi è privo di educazione non sa servirsi della sua libertà. (Immanuel Kant)

Il carattere dei senza carattere. Quando il soggetto, nell’adottare l’orientamento generale della propria vita, non fa che prendere atto delle tendenze prevalenti nella sua coscienza, e concepisce e ordina la sua vita in funzione di quelle, senza alcuna preoccupazione di rettifica, di coordinamento o di subordinazione delle inferiori alle superiori, allora il carattere coincide praticamente col temperamento. Si ha così la forma più rudimentale del carattere, che si potrebbe chiamare il carattere degli uomini senza carattere (Nicola Petruzzellis). Il fermento attivo dell’educazione morale e intellettuale. Il primo grado del sapere è l’amore del maestro  (Erasmo da Rotterdam). L’umano si apre al divino. Il professare le ragioni umane del bene non distrugge in nulla le divine; né dall’essere il bene l’utile dell’umanità deriva punto ch’esso non debba ricevere una ricompensa nell’altra vita (Aristide Gabelli).

 

«GLADIO» E GLI ANNI DELLA DEMOCRAZIA ASSEDIATA. È perfettamente comprensibile la preoccupazione dell’opinione pubblica nell’apprendere che dietro i poteri formali della Repubblica c’erano poteri che, per la natura stessa degli scopi per i quali erano stati istituiti, non potevano essere controllati secondo le regole dello Stato di diritto. Meno comprensibile la reazione dei comunisti. Prima di indignarsi, i comunisti avrebbero dovuto chiedersi in che misura la cultura marxleninista ha avvelenato la vita pubblica nazionale, iniettando in essa la paura dell’abbattimento rivoluzionario dello Stato di diritto. Avrebbero dovuto, in altre parole, riprendere quel discorso che Rossana Rossanda fece alla fine degli anni Settanta sull’album di famiglia. Allora sarebbe apparso con evidenza solare che l’operazione Gladio è stata una perversione generata da una situazione storica caratterizzata da quella che Ernst Nolte ha chiamato la «guerra civile europea», durante la quale due modelli di civiltà – quella liberaldemocratica e quella totalitaria – si sono fronteggiati in un duello mortale.

Fortunatamente le «gloriose rivoluzioni» del 1989 e il marasma in cui si trova attualmente l’Unione Sovietica hanno reso del tutto superflua la presenza di strutture militari di emergenza tenute segrete persino ai capi di Governo. Delle quali si potrà dire tutto il male che si vuole, ma non che la loro creazione non fu direttamente legata all’esistenza di un partito dalla cui «scelta di campo» lo collocava fra i nemici dichiarati dell’Occidente. In questo senso, quali che possano essere state le deviazioni compiute da tali strutture d’emergenza – sulle quali, per altro, dovrà essere fatta chiarezza, sia per dare soddisfazione all’opinione pubblica, sia per punire gli eventuali crimini da esse commessi – hanno ragione coloro che accusano i comunisti di voler rovesciare la verità storica. Molti sono stati i nemici, sia di destra che di sinistra, della democrazia italiana; ma fra essi il più pericoloso è stato proprio il «partito di Gramsci e di Togliatti», che tanti ancora continuano a presentare come il difensore più puro e coerente delle nostre libertà. Chi non ha ancora capito ciò, nell’ipotesi più favorevole è prigioniero della mitologia marxleninista e immerso nella falsa coscienza da essa generata (Luciano Pellicani, Una democrazia assediata, Mondoperaio, 12/1990).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. Il più intollerante dei tipi umani è l’egoista disinteressato: un uomo cioè pieno d’orgoglio, ma senza la scusa della passione. Ogni qualvolta nella teologia cristiana c’è qualcosa di strambo, troveremo che c’è qualche cosa di strambo nella verità. Se il cristianesimo non viene dal cielo, viene dall’inferno. Se Gesù di Nazareth non era Cristo, doveva essere l’Anticristo.

 

 

14 febbraio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. In ansia per la casa di tutti, la Terra. Solamente quando l’ultimo albero verrà abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può magiare il denaro (questa sentenza è degli indiani nordamericani Cree). Tucidide fa luce sulla logica perversa di Saddam Hussein. Agli ambasciatori ateniesi, venuti ad intimare loro la resa, i rappresentanti dei Meli risposero: – Noi sappiamo bene che le vicende della guerra talvolta conducono a un comune destino le due parti in lotta… E dunque, mentre cedere subito ci renderebbe disperati, con la guerra abbiamo ancora la speranza di rimanere in piedi.

Il Vangelo e l’Europa. Senza Atene, senza Roma, senza la Chiesa cattolica l’Europa non sarebbe. L’Europa avrebbe, dunque, una specie di monopolio della fede cristiana? Affermarlo sarebbe un’eresia. Né si può far coincidere il Cristianesimo con la nostra forma di civiltà. Il Vangelo è in grado di fecondare ogni cultura. Esso rivendica la fede e non l’adesione a strutture sociali o culturali. Ciò non toglie che la nostra civiltà europea ha sue strutture sociali e culturali, in qualche misura segnate dall’annuncio cristiano, e che la versione europea del Cristianesimo sussisterebbe, anche se altre parti del mondo dovessero sviluppare, com’è giusto, le loro forme di incarnazione storica del Vangelo (Henri Brugmans). I pessimi precedenti e la saggezza ce lo comandano. Negli anni ‘90 il piano di guerra più importante è quello che riguarda il dopo-guerra. L’unico modo per finire «bene» una guerra, oggigiorno, è preparare la pace (Alberto Pasolini Zanelli).

 

 

PERCHÉ IL SEME DEI SADDAM HUSSEIN NON PRODUCA I SUOI FRUTTI IN AVVENIRE. La guerra non sarebbe scoppiata se, dopo l’inopinato colpo di mano sul Kuwait, Saddam Hussein avesse dovuto capire immediatamente che la reazione del resto del mondo non gli avrebbe lasciato scampo. Ma egli si sentiva molto forte. E si sentiva molto forte perché possedeva un immenso arsenale di mezzi di difesa e di offesa, che gli erano stati forniti sia dall’Unione Sovietica che dai produttori e mercanti d’armi di quei Paesi che poi, si sono dichiarati suoi nemici. Ora il mondo si augura che la guerra finisca presto, con la vittoria del diritto e la sconfitta di chi lo ha violato, ma deve imporsi una norma che fino a questo momento non ha osservato e che minaccia di portarlo alla rovina, poiché il seme di Saddam Hussein può dare i suoi frutti velenosi dappertutto. Ora che le Nazioni Unite dimostrano di aver raggiunto la possibilità di adottare decisioni quasi all’unanimità, e di farle rispettare anche con l’uso della forza militare, esse devono impedire sempre il traffico internazionale delle armi. Sarà un sacrificio doloroso per alcune economie, che sulla costruzione e la vendita delle armi vivono e prosperano, compresa, e non fra le ultime, l’industria italiana; ma è un dovere da compiere. Un dovere urgente, a cui non può più sottrarsi la comunità internazionale, e dunque anche lo Stato italiano.

Su questo punto la coscienza cristiana potrà ben impegnare nel nostro Paese una battaglia politica e morale, dentro e fuori il Parlamento.

 

AMSTERDAM, 3 APRILE 1878. «È bene essere dotti in quelle cose che sono celate ai sapienti e agli intellettuali del mondo, ma che sono rivelate, come per natura, ai poveri e ai semplici, alle donne e ai bambini. Che cosa c’è, infatti, di meglio da imparare di quel che Dio ha dato per natura a ogni anima umana? La vita e l’amore, la speranza e la fede insiti nel profondo di ogni anima che non sia follemente distrutta. L’Infinito e il miracolo ci sono necessari ed è giusto che l’uomo non si accontenti di qualcosa di meno e che non sia felice finché non li ha conquistati».

È sempre difficile leggere lettere o brani di diario di Vincent van Gogh senza un’intima commozione. Una sensibilità evangelica ispira liberamente, nel profondo, i suoi scritti.

 

SHAKESPEARIANA. Non giurare, ma se vuoi… Se vuoi giurare qualcosa che possa esser creduto, giura per qualcosa che tu non hai insultato (Riccardo III, Atto IV, Scena IV). Quando si abusa dell’avvenire. Ho da versar molte lacrime per lavare il tempo che verrà, a causa del tempo passato… Tu hai abusato dell’avvenire, prima di usarne, col mal uso che hai fatto del passato (Riccardo III, Atto IV, Scena IV). Presenza viva nella memoria. Il mio cuore è esultante per la memoria d’un segno così bello (Riccardo III, Atto V, Scena III).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. L’amore è prigioniero, ma più è prigioniero meno è cieco. Quello che ci occorre non è la fredda accettazione del mondo come un compromesso, ma qualche cosa per cui possiamo cordialmente odiarlo e cordialmente amarlo.

 

 

21 febbraio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. A patto di non cadere in trappola. Non bisogna mai negoziare per paura. Ma non bisogna mai aver paura di negoziare (John Kennedy). Ovvio, ma non troppo. Nulla si fa senza prima tentare. Uscendo dal teatro, dopo una rappresentazione. La produzione odierna, a dire il vero, / è senz’altro buonissima, eppure non c’è / quel tocco di mistero. (Thomas S. Eliot)

L’eterna sorgente. Tutto è da Te, ma Tu non nasci, sei (Proclo, neoplatonico della scuola di Atene, 410-485 d.C.). L’assurdo elevato da qualcuno a metodo. Cercare l’Essere con il nulla è solo immaginazione di un uomo ubriaco (Ansari, mistico appartenente al sufismo, morto nel 1089). In casi estremi. In casi estremi, il ricorso alla guerra non è sempre illegittimo (Jean-Marie Lustiger).

È il diritto che conferisce forza e dignità. Occorre sostenere l’Onu nella sua autorità perché questa autorità sia più facilmente riconosciuta e meglio esercitata… Occorre evitare che l’umanità torni a preferire la libertà sfrenata dei tempi di barbarie alla libertà razionale di una moderna e civile società, che sappia assicurare, nel miglior modo umanamente possibile, il riconoscimenti e il rispetto dei diritti e dei legittimi interessi di tutte le nazioni, grandi e piccole, deboli o forti (Agostino Casaroli). La foglia di fico e la vergogna. L’antisionismo è un modo per rendere presentabile e culturalmente accettabile il proprio antigiudaismo (David Meghnagi).

 

LA LIBERAZIONE DAL POTERE TEMPORALE. Si può discutere sui modi con cui l’Italia quel fatidico 20 settembre 1870 entrò in Roma e sugli aspetti negativi della famosa Legge delle Guarentigie, che non è affatto quel «monumento di sapienza giuridica» come la giudicava il Croce. Le intemperanze e i settarismi di alcuni politici dell’Italia liberale sono noti e da condannare. Ma su di un punto tutti i cattolici dovrebbero ormai essere d’accordo: fu un bene, e un bene immenso, per la chiesa essere liberata dal potere temporale. Il Vaticano non godrebbe del prestigio internazionale di cui gode se dovesse far pagare le tasse, finanziare un esercito o affrontare lo sciopero ferroviario.

L’urgente necessità di porre fine, una volta per sempre, a un assurdo anacronismo come il potere temporale dei papi Manzoni l’aveva compreso e ne aveva tratto le conseguenze sul piano delle scelte concrete. E nella sua lungimiranza aveva messo nel conto le accuse e i fraintendimenti, la lacerazione profonda degli animi che ne sarebbe venuta e il predominio nei contrapposti schieramenti degli oltranzisti. Ed è per la lucidità del giudizio e il coraggio di preparare, rischiando, tempi migliori per l’amata Italia e per la chiesa, che Manzoni resta ancora oggi una delle poche, autentiche forze costitutive sia della nostra coscienza nazionale, che della coscienza religiosa del nostro tempo.

 

CHI È ULISSE. «Ulisse è per me il prototipo dell’uomo, in quanto è l’esempio dell’uomo braccato. Il suo era un viaggio verso il centro, verso Itaca, cioè verso se stesso. Tutti noi siamo come Ulisse, cercandoci, sperando di arrivare, e poi finalmente ritrovando la patria, il focolare, noi stessi. Ma, come nel Labirinto, in ogni peregrinazione si rischia di perdersi. Se si riesce ad uscire dal Labirinto, a ritrovare il proprio focolare, allora si diventa un altro essere» (Mircea Eliade).

 

SHAKESPEARIANA. Non l’inerzia, ma l’assunzione delle nostre responsabilità. Non siamo disposti a sedere piangendo, lontani dal timone: sebbene il vento violento ce ne dissuada, seguiremo la rotta, schivando i bassifondi e gli scogli che ci minacciano di «naufragio» (Enrico VI, Parte III, Atto V, Scena IV). La gemma. Una fulgida gemma il linguaggio silente (I due gentiluomini di Verona, Atto III, Scena I). L’uomo muta d’accento e di pensier. Non fosse volubile, l’uomo toccherebbe la perfezione. È quest’unico errore che a tutti i suoi peccati e colpe dà la spinta (ibid., Atto V, Scena IV). Un elogio da meritare. Hai in te una certa cosa che si chiama coscienza (Tito Andronico, Atto V, Scena I).

 

EVIDENZE CHESTERTONIANE. Noi non abbiamo bisogno di gioie e di dolori perché si neutralizzino a vicenda e producano una triste allegrezza. Abbiamo bisogno di un più pungente piacere e di un più pungente dispiacere. Ogni umiltà che significhi pessimismo dev’essere abbandonata. Il Cristianesimo c’insegna a salvare insieme la poesia della fierezza e la poesia dell’umiltà.

 

 

1 marzo 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Io-tu, sì, ma con gli altri. Chi ama uno solo dei suoi simili, in realtà non ama nessuno (Erich Fromm). Svuotamento interiore e attivismo scriteriato. Vi sono delle persone così prese dal fare il bene che non hanno tempo di essere buone (Rabindranath Tagore). Una domanda chiave a coloro che vogliono amarsi. Io vi chiedo: siete disposti a onorarvi? Il concetto di onore è più intenso di quello di rispetto, perché in esso traspare il riconoscimento devoto della dignità quasi sacra dell’altro. E proprio in tale riconoscimento devoto sta il suo particolare significato. Nel rapporto tra due persone è l’onore che conferisce la nota solenne al diritto di ciascuna di esse ad esistere per sé (Giulio Cittadini). Contro ogni dualismo. Tu, Dio, ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato. Se tu avessi odiato qualche cosa, non l’avresti neanche creata. E se tu non lo vuoi, che cosa mai potrebbe avere esistenza? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tutte le cose sono tue, Signore che ami la vita (Libro della Sapienza).

Ciò che fa la differenza fra arguzia e freddura. Provate a tradurre un’arguzia in lingua straniera. Se sopporta la prova, possiamo dichiararla genuina; ma se svanisce nel tentativo, si può concludere che era solo una freddura (Joseph Addison). Come nascono certe leggende che poi oscurano la realtà. Una testa ingegnosa mette in giro una voce e mille teste mediocri la ripeteranno all’infinito (Anacleto Verrecchia). Quando la memoria è un’attitudine morale. La memoria è un rifare presenti le cose che hanno impegnato la nostra coscienza (Mario Pomilio).

 

CHIAREZZA, OSCURITÀ E CHIAROSCURO. Johan Georg Hamann ha celebrato in due testi distinti la virtù della chiarezza e il pregio dell’oscurità, ma non per questo è caduto in contraddizione. «Chiarezza, semplicità di espressione, connessione valgono più del doppio di molti pensieri profondi», scrive il Mago del Nord. Il quale, però, teme, e non a torto, la banalizzazione della bellezza e della verità quando l’una e l’altra siano fraintese, ridotte cioè a cartesiane idee chiare, evidenti e distinte, private di quella mirabile complessità e di quel chiaroscuro che appartengono loro costitutivamente. Di qui l’altra osservazione: «Io sono del parere che la chiarezza possa far perdere ai pensieri gran parte della loro novità, arditezza, verità».

Si scrive, insomma, per esprimersi e farsi capire, per comunicare con gli altri; ma si scrive anche per riflettere insieme agli altri, per far riflettere, per mettere in moto il dinamismo dell’intelligenza e della vita interiore nostro e del lettore. Esiste, ed è ben reale e operante, una «famiglia» i cui membri, uomini e donne di ogni parte del mondo e di ogni epoca storica, non hanno smesso di cercare e di cercarsi. Quelli in primo luogo dovrebbero scrivere. Socrate, però, ritenne di non poterlo fare.

 

GODERE MOZART E DIMENTICARE «AMADEUS». L’Europa ha giustamente voluto che il 1991 fosse, dal punto di vista musicale, dominato da Mozart, ricorrendo quest’anno il bicentenario della sua morte, che avvenne appunto il 5 dicembre 1791. Da quando Puskin mise in circolazione il testo teatrale «Mozart e Salieri», Mozart è stato vittima di un kitsch dissacrante, quali che fossero le intenzioni apologetiche di chi ha messo in circolazione su quel genio, il cui fascino rimane un mistero della natura, leggende insostenibili da ogni punto di vista. Prima fra tutte, il presunto avvelenamento del salisburghese da parte dell’italiano: assurdità questa divulgata nel mondo dal film Amadeus, sebbene il regista Forman sapesse che la tesi da lui sostenuta era stata confutata ad abundantiam dalla critica storica. Mozart morì, infatti, di morte naturale, dopo esser stato curato da due tra i più eminenti medici viennesi e giustamente uno studioso come Volkmar Braunbehrens ha di recente ribadito le conclusioni a cui è giunto: chi ha visto il film Amadeus deve sapere che niente, neppure una parola o una scena, ha qualche addentellato con la realtà storica. Un paio di domande si affacciano spontanee. Quanta parte della cultura di massa, e anche media, è infarcita dalle «falsificazioni» filmiche di personaggi e avvenimenti? E fino a che punto un artista può alterare la realtà storica, di cui la sua produzione diventerà, pressoché inevitabilmente, il succedaneo, l’immagine sostitutiva?

 

SHAKESPEARIANA. Non auto-invitarsi. Gli ospiti che si invitano da sé sono spesso graditi soprattutto quando partono (Enrico VI, Atto II, Scena II). Non bastano gli anni a renderci saggi. Che ti serve essere vecchio, se manchi di esperienza? E perché non l’usi a dovere, se la possiedi? (Enrico VI, Parte Seconda, Atto V, Scena I).

 

 

7 marzo 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Modernità idea cangiante. L’idea di modernità è, per definizione, cangiante e occorre sempre domandarsi ciò che ogni epoca vede in essa. Non “positivista” ma “positivo”. Positivista è termine appartenente al vocabolo di Augusto Comte e del suo maestro Saint-Simon. È etichetta di scuola. Positivo, invece, sta a sottolineare in una conoscenza di qualsiasi tipo l’effettiva apertura al reale, e qualifica una scienza che s’appoggia sui fatti. In questo senso Main de Biran e Bergson parlavano di metafisica positiva (Levi Appulo). Si può essere sempre a posto. In alto o in basso, ovunque si può essere sempre a posto. Il peggio di tutto sono le mezze calze, perché fanno solo delle piccinerie e dei birignao pretenziosi, affettando di essere ciò che non sono e ostentando finezze di cui, nella loro volgarità, ignorano il senso (Alberto Arbasino).

Raffaello e Virgilio. Si può paragonare Raffaello a Virgilio, e i pittori veneziani, con i loro atteggiamenti forzati, a Lucano. Virgilio, più naturale, dapprima colpisce meno, per colpire di più. Dove il sublime si esprime attraverso le pietre. Le perfette proporzioni fanno sì che, di primo acchito, San Pietro, il capolavoro architettonico di Michelangelo, non appaia così grande come realmente è, giacché subito non sappiamo come regolarci per giudicarne la grandezza. Se fosse meno larga, saremmo colpiti dalla sua lunghezza; se fosse meno lunga, lo saremmo dalla sua larghezza. Però, nella misura in cui la si esamina, l’occhio la vede ingrandirsi, la meraviglia aumenta. (Michel de Montesquieu)

 

I CATTOLICI E IL SENSO DELLO STATO. In un’assemblea di studenti liceali, nei giorni scorsi così drammaticamente dominati dalla guerra nel Golfo Persico, a un giovane che mi chiedeva di spiegargli in che modo i cattolici italiani debbano far prova di senso dello Stato, ho risposto proponendo un’aggiunta alla parabola del buon Samaritano narrata da Luca (10, 25-37). Vogliamo ricordare brevemente quella stupenda pagina? Un ebreo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Cadde tra le mani di una banda di briganti, che lo derubarono e lo percossero selvaggiamente, lasciandolo mezzo morto sulla strada. Un prete e un levita videro quel poveraccio, ma presero l’altra parte della strada e passarono oltre: meglio evitare incomodi e ritardi.

Sopravvenne un samaritano, capace d’infischiarsene dei pregiudizi e dei muri di odio che separavano il suo popolo da quello a cui apparteneva il ferito che era lì, sotto i suoi occhi, e tutto cambiò. Ne ebbe compassione, fasciò le sue piaghe, lo prese sopra la sua cavalcatura e lo condusse al khân, all’osteria. All’indomani, dopo una notte passata vicino al ferito, il samaritano si preparò a riprendere il viaggio; ma nemmeno allora abbandonò il suo protetto. Dette all’oste del denaro perché il ferito fosse curato con tutta l’attenzione desiderabile e s’impegnò a pagare, al ritorno qualche giorno dopo, l’eccedenza delle spese.

A questo punto ho chiesto a me stesso e ai giovani: prima di partire, quale obbligo preciso e inderogabile il buon samaritano aveva ancora da assolvere? Un obbligo, infatti, c’era ed era questo: recarsi subito al più vicino posto di polizia, denunciare l’accaduto, riferire i dati raccolti dalla viva voce del ferito perché i malfattori fossero individuati e catturati, aiutando attivamente lo Stato a garantire con il rispetto delle leggi gli effettivi diritti dei cittadini. Il cristiano che prescindesse da questa assunzione di responsabilità (che è insieme di carattere etico-politico, giuridico e sociale), quand’anche avesse il cuore magnanimo del buon samaritano, sarebbe lo stesso un cattivo cittadino.

Paradossalmente, non adempiendo i suoi doveri verso lo Stato, egli si comporterebbe proprio come il prete e il quasi-prete della parabola, che videro, eccome, il ferito grave che aveva subito l’aggressione, ma «presero l’altra via e passarono oltre».

Che dire? Che cosa pensare di latitanze di questo genere, o dei pretestuosi alibi neutralistici in cui si finisce per mettere sullo stesso piano aggrediti e aggressori? E come giudicare l’appoggio  a iniziative che tendano chiaramente ad assicurare l’impunità dell’aggressore e la sua capacità di tornare a nuocere? Né mi pare lecito chiudere gli occhi dinanzi a fatti di un’eloquenza terrificante, pur di apparire sempre e comunque al di sopra delle parti.

Questi atteggiamenti e criteri sono ingiustificabili nella vita sociale e in rapporto allo Stato di cui siamo cittadini; ma sono ancora più condannabili se assunti a linea di condotta in questioni e scelte di ordine internazionale.

 

SHAKESPEARIANA. Quando la tensione è al culmine. Il mio cuore scoppia se parlo; ma proprio per questo parlerò (Enrico IV, Parte III, Atto V, Scena V). Onore e pericolo. Tanto maggiore è l’onore quanto più grande è il pericolo (ibid., Atto III, Scena I). Il sogno degli innamorati. Una sola festa, una sola casa, una reciproca e sola felicità (I due gentiluomini di Verona, Atto V, Scena IV). Dolore e coscienza del limite. La libertà sfrenata la frusta la disgrazia. Nulla c’è sotto l’occhio del Cielo – in terra, in mare, nel firmamento – che non abbia il suo limite (La commedia degli errori, Atto II, Scena I).

 

 

14 marzo 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Con gli occhi del cuore. Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi (Antoine de Saint-Exupery). L’Uno e i molti. Tu sei l’Uno, che resti unico creando ogni cosa (Inno ad Ammon). Umano e divino, in sinergia. Chi ti ha detto che Dio non ti aiuti anche in ciò che dipende da noi? Comincia dunque a pregarlo e vedrai (Marc’Aurelio). Il crollo della presunzione prometeica. Non c’è bisogno di fantasticare un Giove che incateni Prometeo al Caucaso e un avvoltoio che gli strazi il fegato. Oggi l’uomo prometeico ha il proprio avvoltoio in se stesso: nell’acuta coscienza delle sue contraddizioni e delle sofferenze prodotte, e in misura prima inimmaginabile, dalla sua gestione del potere (Levi Appulo). Il peggiore dei pregiudizi. Il pregiudizio peggiore è quello di credere di non aver pregiudizi (Anatole France).

Il cielo stellato sopra di me. Nel denso azzurro del cielo, tra i disegni d’oro delle stelle, si legge qualche cosa di solenne che ammalia l’anima e turba lo spirito: è come la dolce promessa di una rivelazione. Il mistero di ciò che è contingente. Dimmi, che cosa farai domani? Ebbene, non potrai mai dirmelo. Talora è proprio così. Tu hai paura di credere perché la fede costringe in determinate regole la nostra personalità. Associazioni micidiali. Siamo nell’epoca degli imbecilli che devono vestirsi da eroi e degli intelligenti che devono vestirsi da mascalzoni. (Maksimov Gorkij)

 

LA GUERRA DEL GOLFO QUALCHE INSEGNAMENTO CE L’HA DATO. 1. In Inghilterra e negli Stati Uniti il dibattito per autorizzare i rispettivi governi a porre le proprie forze armate al servizio dell’Onu contro l’Iraq è stato serrato. Bush ha vinto addirittura per due soli voti. Ma una volta emersa, mediante il voto del Parlamento, la via da seguire, maggioranza e minoranza hanno superato ogni divisione ed insieme hanno affrontato, in profonda unità di intenti e di speranze, la difficile prova.

E da noi? Il meno che si possa dire è che gli atteggiamenti del Pci-exPci, del variopinto pacifismo cattolico e dei deputati che si collegano a Formigoni (pochissimi di numero, ma dilaganti da tutti i canali televisivi e stelle fisse al Tg3), non sono stati in nulla paragonabili alla linea di condotta tenuta dai laburisti in Inghilterra e dai democratici negli Stati Uniti. Ancora una volta è venuta dolorosamente a galla la nostra profonda arretratezza in democrazia e civismo. Arretratezza attestata in modo irrefutabile dal fatto che in Italia il rifiuto persiste anche dopo il voto delle assemblee e persino quando è in gioco l’onore stesso del Paese, la sua lealtà in campo internazionale. Perché continuare a negarlo? Quest’arretratezza è l’eredità, il legato di una sub-cultura antiunitaria e antidemocratica non ancora superata neppure dopo quarantacinque anni di libertà.

  1. La Dc ha retto alla prova assai meglio del cosiddetto «mondo cattolico» e le forze democratiche nel loro insieme hanno appoggiato lealmente l’azione del governo. I sindacati, in particolare, hanno mostrato notevole maturità e concretezza; d’altra parte, se avessero dato retta al Pds-Pci, si sarebbero trovati soli tra le confederazioni europee, a fianco dell’unico sindacato sceso in campo a contrastare le risoluzioni dell’Onu, il sindacato algerino, cioè dei sostenitori di Saddam Hussein.
  2. Tuttavia anche sulla condotta del governo dobbiamo essere onesti fino in fondo. Alcuni passaggi del comportamento italiano delle ultime settimane hanno messo a nudo per lo meno la differenza di metodo tra noi e gli anglosassoni. Inglesi e americani fissano pochi punti fondamentali e ad essi si attengono, unendo misura e fermezza. Noi mediterranei, invece, a forza di cercare sempre un ruolo di mediatori, anche quando il conflitto è già in atto e non c’è più nulla da mediare, prima o poi, aldilà delle nostre reali intenzioni, finiamo con l’apparire non del tutto di qua, né di là, comunque peggiori di quello che siamo. Qualcosa deve dunque cambiare nel nostro stile, se vogliamo contare sul rispetto e l’amicizia degli altri popoli e, in primo luogo, dei nostri partners in Europa e in Occidente.

 

SHAKESPEARIANA. Talora è preferibile. Meglio lontani che vicini, se non possiamo stare insieme (Riccardo II, Atto V, Scena I). Come una spina. Amore punge come una spina (Romeo e Giulietta, Atto I, Scena IV). Per rimettere le cose a posto. Purghiamo questa bile senza ricorrere ai salassi (Riccardo II, Atto I, Scena I). Dubbio anticlericale. Quell’uomo serve Dio? – Perché me lo chiedete? – Perché non parla come un uomo creato da Dio (Pene d’amor perdute, Atto V, Scena II). Tu chi sei? Più di quello che sembro e meno di quello per cui sono nato (Enrico VI, Parte III, Atto III, Scena I). Tempo e situazione. Il tempo fa sempre fallimento, e deve all’occasione più di quanto possa dare (La commedia degli errori, Atto IV, Scena III).

 

 

22 marzo 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. A chi appartiene la parola. La parola è per metà di chi parla, per metà di chi ascolta (Michel de Montaigne). Ostracismo. A volte penso che se alcuni gruppi di ambientalisti fossero stati presenti alla creazione del mondo, avrebbero detto a Dio: – Fermati adesso. Non creare l’uomo perché procurerebbe solo problemi (George Coyne, a cui i naturalisti vogliono impedire di costruire un osservatorio astronomico in Arizona). La desolazione e l’abominio. La Chiesa non è più, come un tempo, Chiesa dei pagani divenuti cristiani, ma Chiesa di pagani, che si chiamano ancora cristiani ed in verità sono divenuti pagani (Joseph Ratzinger). Il sogno dell’umanità. Sogno un viaggio fino all’estinzione del male, fino alla consumazione delle cose, fino alla morte della morte (François De Maistre).

I genitori che, avendo figli adolescenti, vogliono reinventarsi loro coetanei. Ciò che fa soffrire di più gli adolescenti è la constatazione che i propri genitori vivono a immagine dei figli e si mettono in concorrenza con loro. Così gli uomini hanno amichette dell’età dei figli e le donne sono contente di piacere agli amici del figlio. È il mondo alla rovescia (Françoise Dolto). I farabutti contano sulla nostra indifferenza morale. Stiamo accettando ogni ingiuria alla nostra vita come se qualcosa ci dicesse che non può essere altrimenti (Bertrand Russell). L’ansietà da informazione. È un buco nero che si apre tra le informazioni che ci vengono date e la consapevolezza che esse non ci dicono quello che abbiamo bisogno di conoscere (Richard Wurman).

 

LA RAGIONE NELL’ETÀ DELLA SCIENZA. La scienza è una delle più alte creazioni della ragione umana, ma l’unilateralità dello scientismo, la riduzione cioè del sapere umano esclusivamente agli specialismi delle singole scienze, è una tendenza pericolosa, una deformazione della mentalità e del costume le cui conseguenze possono essere disastrose.

Lo svuotamento dell’uomo, della sua interiorità e della sua responsabilità verso gli altri, la contrazione del pensiero umano a una sola dimensione, quella della ragione calcolante, sono esiti a cui non si dovrebbe mai giungere perché, se diventassero prevalenti, porterebbero all’estinzione dell’umanità, se non come specie certamente in quanto valore.

La risposta al riduttivismo scientista va data in modi diversi e convergenti. Innanzitutto attraverso l’appassionata riscoperta di ciò che è universalmente umano e l’accesso ai valori di bellezza e verità; ridando ai giovani il senso dell’originalità incomparabile della scelta morale in ogni situazione; nell’apertura al trascendente e nell’esplorazione della quarta dimensione della vita, quella religiosa e mistica, che ha trovato in Israele, prima, e nel Vangelo, poi, la più alta e specifica espressione.

La ricognizione storica e critica delle vie d’uscita dallo scientismo e dal funzionalismo tecnologico è oggi uno dei compiti primari della riflessione filosofica. La quale per sua natura è, appunto, richiamo alle domande di fondo, restituzione della persona a se stessa perché si faccia cliente della verità, difesa della coscienza morale e capacità di giustificarne i valori. Un aiuto necessario, quindi, a chi voglia gestire responsabilmente il sapere della scienza e gli sviluppi della tecnologia, senza delegare per questo la guida della sua vita all’una o all’altra casta di specialisti.

 

HO PAURA DEL MANICHEISMO CLERICALE. «Mi chiedo se un certo discorso di “pacifismo” cattolico, certe accentuazioni, la sicurezza delle condanne non concludano in un’autodelegittimazione da parte dei cattolici, ad essere interlocutori politicamente significativi… La politica deve certo coniugarsi con la morale, ma deve fare comunque una propria sintesi con le responsabilità che ne conseguono. Non si può a mio avviso, votare contro una proposta parlamentare o una decisione di enorme gravità, quale la partecipazione alla guerra del Golfo, in nome del Papa. La responsabilità di non incrinare il senso dello Stato (ahimè offeso in troppe occasioni) deve accompagnare le scelte politiche dei cattolici. Un senso dello Stato non chiesto in appalto alla cultura laica, ma prospettato e vissuto e difeso con il vigore di una cultura che, debitrice di una visione religiosa dell’uomo, fa del bene comune la ragione di ogni scelta.

Il posto della politica non può essere preso dalle manifestazioni di piazza, ma nemmeno dai pellegrinaggi. Non credo che convenga a nessuno gridare “W il Papa re”, come di fatto alcuni sembrano inclini a fare in questi giorni annettendosi il suo insegnamento, accreditandosi come gli amici capaci di avvertirne le sofferenze.

Intravedo la rinascita di un manicheismo clericale, anche se di nuovo conio rispetto al passato, e questo non può giovare alla nostra società» (Mario Cattaneo in Segno sette, «settimanale promosso dall’Azione Cattolica Italiana», 26 febbraio 1991).

 

 

29 marzo 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Ciò che più conta nella vita di un popolo. La vita spirituale del popolo è più importante di qualsiasi affermazione esterna di prestigio e persino delle ricchezze materiali (Ivan A. Il’in). Il più alto principio di politica internazionale. Ama tutti gli altri popoli come il tuo popolo (Vladimir Solv’ev). Cercare anche nella propria storia le vie del futuro. Arrestatevi sulle strade e guardate; informatevi sui sentieri del passato quale sia la strada del bene; prendete quella (Libro di Geremia). Popolo e potere. Il popolo ha un diritto indiscutibile ad essere la fonte del potere, ma non vuole il potere. Vuole soltanto degli ordinamenti solidi. Il diritto al silenzio e all’introspezione. In Spagna hanno rinunciato alla televisione per un giorno alla settimana. Tra i diritti dell’uomo non c’è forse anche il diritto delle nostre orecchie al silenzio e quello dei nostri occhi all’introspezione? (Aleksandr Solzenicyn) Se è vero, siamo ridicoli. A tutti gli uomini piace mettersi in posa, quando si trovano di fronte a una donna. Impossibile del tutto. Non si riuscirà mai ad essere originali per proposito. Date retta a me. (Maksimov Gorkij) Aborrire il discorso vacuo e le inutili parole parlate. Se pure tu dovessi vegliare delle notti intere per arrivare a dire in due parole ciò che gli altri dicono in venti, non dovresti rimpiangere le tue lunghe veglie. Sale e arsenico. Sale e arsenico si distinguono difficilmente, per quanto siano sostanzialmente diversi. (Johann Heinrich Pestalozzi)

 

I PRESUNTI «DIRITTI STORICI» O L’AUTODETERMINAZIONE? Non sono effetti mistificatori dei mass-media, ma fatti innegabili e noti a tutto il mondo civile gli orrendi delitti commessi in Kuwait dagl’invasori iracheni e dai collaborazionisti palestinesi, così come la disperata resistenza dei kuwaitiani all’occupazione decisa e attuata da Saddam Hussein. Ebbene tutto questo per qualcuno pare che non sia accaduto: per esempio, per i responsabili di una rivista che si stampa non a Baghdad, ma in Italia, La Civiltà Cattolica.

I kuwaitiani si sono opposti – pagando un altissimo prezzo di sofferenza e di distruzione – ai criminali disegni del «ladro di Baghdad», dimostrando così di non volere in alcun modo diventare la diciannovesima provincia dell’Iraq? Ebbene – insinuano i Gesuiti nell’ultimo numero di Civiltà Cattolica – hanno fatto male, hanno sbagliato perché dovevano riconoscere i «diritti storici» del rais sulla loro terra! Insomma, per i padri gesuiti, in ultima analisi, la volontà del popolo kuwaitiano non conta, e nemmeno il suo calvario, di fronte alla presunta sacralità dei «diritti storici» degli invasori e dei torturatori iracheni. E così uno degli alibi classici di tutti i criminale della storia – si pensi solo alle guerre intraprese in nome dei «diritti storici» da Luigi XIV, e al secondo conflitto mondiale scatenato da Hitler – viene elevato dai gesuiti di Civiltà Cattolica a suprema norma di diritto internazionale e a criterio di giudizio storico-politico, mettendosi sotto i piedi il più elementare e fondamentale di tutti i principi, quello che ha priorità di valore, il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Il prolungamento logico della tesi gesuitica porta a conseguenze francamente ripugnanti per il loro cinismo: porta diritto, infatti, a giustificare il progetto e la prassi già avviata da Saddam Hussein, che mirava a tenersi il Kuwait e, nel contempo, a liberarlo dalla presenza dei… kuwaitiani!

Io venero i grandi santi che l’ordine di sant’Ignazio ha donato alla Chiesa e all’umanità e personalmente debbo molto ad alcuni gesuiti francesi, in special modo a Charles Boyer e a quell’incomparabile maestro di ricerca storica e di equilibrio teoretico che è Henri de Lubac. Confesso, però, che mi riesce difficile entrare in sintonia con molti gesuiti italiani che operano in Sicilia e a Roma. Per lo meno con quelli che – facendo da copertura ieri, alla campagna contro Jacques Maritain e, oggi, a quella pro Saddam – hanno sacrificato al gioco politico e alle strumentalizzazioni ideologiche che l’accompagnano la ricerca disinteressata e la testimonianza religiosa.

 

IL «MIO» VENERDÌ SANTO. Ci sono pagine in cui già alla prima lettura siamo afferrati e quasi rivelati a noi stessi da quanto andiamo leggendo. A me è capitato quando ho avuto sotto gli occhi, tanti anni fa, la preghiera del Venerdì Santo di un anonimo spagnolo del XVI secolo. Eccola.

«Non mi muove, mio Dio, ad amarti il Cielo che mi hai promesso, Né mi muove l’inferno tanto temuto a lasciare per questo di offenderti. Tu mi muovi, o Signore! Mi muove il vederti inchiodato in quella croce, e scarnificato; mi muove il vedere il tuo corpo così ferito; mi muovono i tuoi obbrobri e la tua morte. Tu mi muovi al tuo amore in tal maniera, che quand’anche non ci fosse il Cielo, io ti amerei, e quand’anche non ci fosse inferno, io ti amerei. Non devi darmi nulla perché io ti ami; che quand’anche non aspettassi, quanto aspetto, lo stesso che ti amo, ti amerei».

 

 

4 aprile 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Amnesia. Amnesia è il silenzio dell’inconscio (Adienn Rich). Aridità ed esaltazione. L’aridità è la conseguenza temporanea di tutti gli stati di esaltazione (Umberto Saba). La forza del martire. La testa di Giovanni Battista ha più ragione sul piatto che sul collo (Primo Mazzolari). Tacere per scegliere. Se tieni la bocca ben cucita, potrai fare liberamente la tua scelta (Francis Scott Fitzgerald). Limpido, evidente come un ceffone. Sono inutili le chiacchiere, trascendentali o no, se tutto è limpido come un ceffone (Ludwig Wittgenstein). La prospettiva necessaria e la necessaria indipendenza di giudizio. Per vivere bene non bisogna essere eccessivamente contemporanei (Ennio Flaiano). Evitare la confusione. Non sono terribili le contraddizioni, ma il loro graduale indebolimento (Elias Canetti).

Non sempre la distrazione è innocente. Scopo recondito di un comportamento distratto è di sembrare innocenti mentre si è colpevoli. La distrazione è una forma spuria di innocenza (Saul Bellow). I due ritmi dell’ironia. Il ritmo naturale dell’ironia è il pizzicato, o meglio lo staccato (Vladimir Jankélévitch). La malizia come furto. È ladro chi copre la malizia nascosta dell’anima con finta equità (Massimo il Confessore). Approfittare della segreteria telefonica. È facile chiedere scusa a una segreteria telefonica (Charles M. Schulz). Chi è interiormente libero lo fa. Accogli senza arroganza, lascia con facilità (Marc’Aurelio). Solo nel silenzio si ode. Il silenzio fa udire quel che si pensa (Federico Tozzi). Rendere universali i valori nelle coscienze. Il sogno di uno può rimanere un sogno, ma il sogno di tutti diventa realtà (Helder Camara).

 

IL RITORNO, NON L’AUTOFUSTIGAZIONE. Il ritorno ha il potere di rinnovare l’uomo dall’interno e di trasformare il suo ambito nel mondo di Dio. Significa qualcosa di molto più grande di pentimento e penitenze; significa che l’uomo che si è smarrito nel caos dell’egoismo – in cui era sempre lui stesso la mèta prefissata – trova, attraverso una virata di tutto il suo essere, un cammino verso Dio, cioè il cammino verso l’adempimento del compito particolare al quale Dio lo ha destinato. Il pentimento è semplicemente l’impulso cha fa scattare questa virata attiva; ma chi insiste a tormentarsi sul pentimento, chi fustiga il proprio spirito continuando a pensare all’insufficienza delle proprie opere di penitenza, costui toglie alla virata il meglio delle sue energie.

In una sua predica il Rabbi di Gher usò parole audaci e piene di vigore per mettere in guardia contro l’autofustigazione. «Chi parla sempre di un male che ha commesso e vi pensa sempre, non cessa di pensare a quanto di volgare egli ha commesso. E poiché si è dentro con tutta l’anima in ciò che si pensa, così egli è dentro alla cosa volgare; costui non potrà certo fare ritorno perché il suo spirito si fa rozzo, il cuore s’indurisce e facilmente l’afflizione si impadronisce di lui. Per quanto tu rimesti il fango, fango resta. Perché perdere ancora tempo a rimuginare queste cose? Nel tempo che passo a rivangare posso, invece, infilare perle per la gioia del cielo! Perciò sta scritto: Allontanati dal male e fa’ il bene (Sal 37, 27), volta completamente le spalle al male, non ci ripensare e fa’ il bene. Hai agito male? Contrapponi al male l’azione buona!».

 

PULIZIA E REALISMO DI CAMUS. «Come vivere senza la Grazia?» si chiedeva nei suoi Taccuini Albert Camus. E annotava: «Quando si è visto una volta sola lo splendore della felicità sul viso di una persona che si ama, si sa che per un uomo non ci può essere altra vocazione che suscitare questa luce sui visi che lo circondano… E ci strazia al pensiero dell’infelicità e della notte che gettiamo, per il solo fatto di vivere, nei cuori che incontriamo».

In un altro punto dei Taccuini: «Il Vangelo è realista, e invece si crede che sia impossibile metterlo in pratica». Ed ecco una di quelle frasi in cui il cristiano di ogni epoca si riconosce e il genio di chi l’ha pensata ed espressa si manifesta in tutta la sua forza: «Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato la morale. Altrimenti, lo strazio».

Camus diceva di sé: «Sono come Sant’Agostino prima della conversione». Un’autodefinizione che mi ha sempre commosso.

 

LA GIOIA E IL DOLORE. «La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. Per il credo cristiano, infatti, la gioia diventa qualche cosa di essenziale e la tristezza qualche cosa di particolare, di provvisorio. La gioia, fugace parvenza per il pagano, è il gigantesco segreto del cristiano» (Gilbert Keith Chesterton, L’ortodossia).

 

 

11 aprile 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Autocombustione. Fortunatamente non ci può impedire che prendano fuoco, per interni furori, le… code di paglia. Collotorto. L’eccessiva deferenza rischia di spostare, con la testa, l’asse del ragionamento. Consenso. Due mesi prima di morire, in un momento di successo, Mozart confidò alla moglie: «Quello che preferisco è l’approvazione muta…». Consenso prezioso, pendant del vile dissenso plaudente. Discorso. I discorsi vanno sfogliati come i carciofi. Però non è detto che abbiano un cuore. Dubbio. Sono rispettabili, perfino nobili, i nostri dubbi. Ma quanto facilitano le giravolte. Duemila. Risibili le ipotesi e le ipoteche sul Duemila. Il prossimo millennio arriva fino al 31 dicembre 2999. Ideale. Chi è senza ideali ne teme i cavalieri. Indignazione. Siamo tutti indignanti. Evitare perciò il contagio, prendere precauzioni contro le ricorrenti epidemie di sdegno. Nell’incertezza, indignazioni chiare e distinte. I ministri che fanno i polemici oppositori dei governi di cui fanno parte. Al ministro che piange sui disastri nazionali, come se fosse dall’altra parte del branco, prova a domandare: «Lei crede che in un Paese migliore sarebbe diventato ministro?». Raccattare. Ai margini del palazzo corrono avanti e indietro prezzolati raccattaballe. Non adagiarsi sugli adagi. Proprio la ragione invita a non adagiarsi sugli adagi. I ritornelli conciliano il sonno.

Questi sono alcuni degli aforismi contenuti nel volume I violini di Chagall di Dino Basili, recentemente edito da Mondadori.

 

IL CLERICALISMO: APPUNTI PER UNA DEFINIZIONE. «Si tratta di uno di quei termini la cui definizione è strettamente legata al contesto storico-politico in cui viene usato. Oggi comunque viene generalmente usato per indicare il comportamento della Chiesa istituzionale che cerca di intervenire in ambiti della società civile che non le sono propri, per determinarne le scelte e gli orientamenti, utilizzando come strumento di intervento il clero e le sue organizzazioni laicali, indirizzate così verso attività che esulano dai fini per i quali sono state create.

Speculare al termine clericalismo è anticlericalismo. Clericalismo e anticlericalismo hanno avuto pertanto una storia ed una sorte comune. Tra gli avversari della Chiesa il termine clericalismo non è usato in modo univoco; si va da una valenza antiecclesiastica, da cui è quasi sempre assente l’aspetto antireligioso, al radicalismo e all’ostilità aperta nei confronti dello stesso sentimento religioso. Non va però dimenticato che anche all’interno della Chiesa, a partire dalla metà del XIX secolo, nascono movimenti e tendenze anticlericali, che hanno le loro radici in gruppi o persone che agiscono e intendono restare dentro la Chiesa.

Una certa mentalità, diffusa ancora oggi, è propensa a sostenere che, come unica depositaria della verità, la Chiesa e la sua classe dirigente abbiano il diritto di intervento in tutti i problemi. L’evoluzione più recente della Chiesa cattolica ha portato quella classe dirigente ad emanare documenti nei quali tale mentalità sembra superata. Non sempre però è così nei fatti» (Maurilio Guasco, voce «Clericalismo» in Dizionario di politica, Milano 1990, pp. 146-147).

 

OLTRE IL CLERICALISMO E L’ANTICLERICALISMO, LA LAICITÀ CRISTIANA. No, non c’è da scegliere tra clericalismo e anticlericalismo; c’è da buttarli a mare, l’uno e l’altro. I mali che l’uno e l’altro hanno arrecato alla nostra Italia, e il contributo che hanno dato e danno tuttora al sorgere e al continuo ricostituirsi di quegli «storici steccati», così appassionatamente deprecati dal grande statista cattolico Alcide De Gasperi, dovrebbero far riflettere chiunque abbia ancora un barlume di responsabilità e si rifiuti di degradare a strumenti ideologici la fede e la chiesa. Oltre le angustie e le infamie del clericalismo e dell’anticlericalismo esistono, e sono a fondamento della nostra stessa convivenza, beni da non smarrire, distinzioni da rispettare, regole di democrazia e pluralismo da interiorizzare. Grazie a Dio esiste anche nella nostra Italia, per lo meno da Manzoni in poi, una mentalità e una linea di condotta che sono profondamente diverse rispetto a quelle del clericalismo e dell’anticlericalismo.Esiste per i cattolici italiani la possibilità di far propri il metodo e i criteri d’azione che caratterizzano un’autentica laicità cristiana. La laicità cristiana di chi coniuga liberamente l’ispirazione morale e religiosa del Vangelo e l’esercizio, in prima persona, dei poteri e delle responsabilità che fanno di lui un cittadino a pieno titolo, che concorre nella sfera politica e sociale alla ricerca e all’attuazione del bene comune. Un cittadino che abbia forte il senso dello Stato e del tipo di «servizio» da adempiere in esso con la larghezza di orizzonti e l’impegno che gli derivano dalla sua coscienza cristiana.

 

 

21 aprile 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. La cultura del ricatto. Tu non conti per quanto sei bravo, ma per quanto male puoi fare agli altri (Ottaviano Del Turco). Gli esiti di 75 anni di comunismo in Urss. In tre quarti di secolo siamo diventati così poveri, così stanchi, così disperati, che solo l’intervento del Cielo ci può salvare. Ma i miracoli non vengono concessi a chi non li invoca (Aleksandr Solzenicyn). La pace, oggi. Pace significa, oggi, ricerca di nuovi equilibri multipolari, garantiti quanto più è possibile da norme positive di diritto internazionale (Massimo Cacciari). La falsa pace. Per amare i nemici bisogna che i nemici ci siano. Il nemico è il presupposto reale del nostro amore. Oggi, invece, si va fantasticando un mondo dove non si dà inimicizia. Per certi pacifisti il male è semplicemente dichiarato inesistente. Così non si lavora a redimere la storia, ma a costruirsi l’alibi di una coscienza migliore di quella degli altri. Fuga dal reale, dunque, e sciocca presunzione (Levi Appulo)

La retorica sessantottesca solo capovolta. Anni fa, la retorica sessantottesca – falsa come gli stracci firmati da stilisti di moda – pretendeva di distruggere la meritocrazia e rischiava di distruggere semplicemente la capacità di imparare e di fare un lavoro. La reazione che ne è seguita ha fatto proprio il suo stile arrogante e aggressivo capovolgendone il segno ideologico e propone oggi a ritmo martellante modelli di successo e di affermazione, facce da yuppie, e l’assillante dovere di vincere (Claudio Magris).

 

LA STORIA DELLA VERITÀ SUL COMUNISMO. Oggi sembra che nessuno in Europa abbia mai creduto al comunismo, lo stesso ex-Partito comunista italiano pare non lo abbia mai stimato; e invece il comunismo aveva sedotto gli intellettuali proprio perché si presentava come la soluzione definitiva dei problemi sociali. Come si poteva resistere ad uno Stato che si presentava, in un qualche modo, come il compimento della razionalità e della storia occidentale? Ricordiamoci che Lenin considerava i comunisti eredi della filosofia tedesca e quindi di tutta la filosofia occidentale. Gli intellettuali si trovano sotto lo sguardo terroristico di chi affermava di avere le chiavi della verità, il segreto della storia. In che modo, allora, è iniziato il cammino della verità, sul comunismo?

«La prima forma di resistenza – ci ha detto il dissidente Vaclav Belohradsky a Brescia il 4 dicembre 1990 – è la memoria, intesa come qualcosa di concreto che tiene unite le comunità umane, che appartiene alla vita collettiva. In una famosa lezione tenutasi a Genova Maximov disse: “Solo la memoria della nostra identità russa alla fine reggerà tutto il peso della resistenza al totalitarismo”.

Il secondo momento della resistenza è lo scrupolo. La gente avvertiva degli scrupoli, cioè l’applicare nella concretezza della situazione umana un principio politico si scontrava con una resistenza prepolitica, che faceva sì che certi presunti pregiudizi sembrassero più importanti di tutti i giudizi della propaganda e della cultura di regime. In questo modo nasce una cultura della coscienza, della moralità e una concezione quasi religiosa della vita».

«Un terzo momento della resistenza al totalitarismo, è ciò che chiamo linguaggio naturale. Il linguaggio del comunismo era freddo e staccato, difficile da penetrare, artificiale. Contro questa macchina esplicativa che dominava dappertutto, si contrapponeva la lingua naturale, nata dalla profondità delle tradizioni libere che vivono una vita diversa da quella determinata dallo Stato e dagli interessi politici».

«L’ultimo momento è quello del ruolo dell’arte, che svolge un compito particolare, perché è nell’opera d’arte che la memoria, gli scrupoli e il linguaggio naturale diventano condivisibili da tutta la società. Ha detto Solzenicyn, nel suo discorso in occasione della consegna del premio Nobel, che lo scandalo della vita è che l’esperienza degli altri ci è lontana e fredda, perché siamo capaci di imparare solo dalla nostra esperienza: solo l’opera d’arte rende l’esperienza dell’altro qualcosa che possiamo rivivere pure noi. Nell’opera d’arte si sono quindi concentrati e si sono espressi, al più alto livello, motivi della resistenza».

 

SHAKESPEARIANA. La conoscenza e la guarigione. Se si potesse sapere solamente donde hanno origine gli affanni, saremmo altrettanto desiderosi di guarirli quanto di conoscerli (Romeo e Giulietta, Atto I, Scena I). Affare poco pulito. Quando la pulizia deve dipendere dalle mani di una o due persone, che per giunta non se le sono lavate, l’affare è poco pulito (Romeo e Giulietta, Atto I, Scena V).

 

 

25 aprile 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. A chi è molto utile la storiografia marxista. La storiografia marxista è stata più dogmatica che innovatrice ed ormai si rivela utile soltanto a coloro che da essa si sono staccati superandola (Henri Brugmans). Il consiglio di un intenditore. Il più sicuro metodo per giudicare un quadro è di riconoscervi, da principio, nulla. Diffusa abitudine. Certi uomini hanno la facoltà di dire quello che non capiscono, come se lo capissero, e di credere che essi lo pensano quando non fanno altro che dirselo. (Paul Valèry) Sulle più alte cime. La calma è l’attributo dell’arte nella sua specie più elevata (John Ruskin). Direttamente proporzionali. Vicino / e difficile da afferrare è Dio. / Ma dove è il pericolo, cresce / anche ciò che ti salva. Non lasciarti afferrare dall’attimo fuggente. Spesso l’attimo ci afferra in modo sorprendente e così noi, / che siamo effimeri, seguiamo l’effimero. (Friedrich Hoelderlin) La sofferenza di chi crea e l’opera bella che ne è il risultato. Il dolore passa, ma la bellezza resta (così disse Renoir a Matisse). Il potere fascinatorio del discorso vacuo. Se voi l’ammirazione de l’amichi / nun faje capì mai quello che dichi (Trilussa).

Almeno in due. L’autore di un lavoro ha il dovere di rendere chiara la materia ad almeno due persone, una delle quali è l’autore stesso. Non si arriva sempre a tanto (sir Hermann Bondi). Il politichese. Nessuna cosa è tanto odiata dai politici quanto il parlar chiaro (Luigi Einaudi).

 

NÉ FARISEI, NÉ INTEGRALISTI. «Signore Gesù Cristo, insegnaci a capire, a scoprire le trappole di quanti vogliono sedurci nel tuo nome. Insegnaci a non approvarli per compiacerli, a seguire in tutto la ragione, a schivare le occasioni di falsa pietà e le manifestazioni di pietà troppo spinta, a non dire niente che faccia torto ad altri o che noi non si creda giusto.

Concedici di distinguere ciò che rientra nell’ordine della natura e ciò che la grazia ispira, affinché in virtù della nostra intelligenza, la quale ci guida con prudenza nella vita spirituale non meno che in quella temporale, diamo a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare».

Questa mirabile preghiera è di Alberto Magno, il maestro di Tommaso d’Aquino. Come si vede, certi pericoli e certe «trappole» – da cui il cristiano deve guardarsi come dalla peste, perché snaturano l’essenza stessa del messaggio di Gesù e della fede in Dio – sono presenti in ogni epoca, nel Medioevo non meno che sul finire di questo nostro XX secolo. Alberto Magno si spense nel 1280, cinque anni dopo il grande discepolo.

 

DUE SOLE REGOLE, MA DI DIFFICILE ESECUZIONE. «Ridurre al minimo i termini tecnici o quelli specifici di un’arte, come anche usare il meno spesso possibile parole comuni con significati non comuni, rappresenta forse la prima regola di uno stile linguistico che voglia essere efficace, specialmente quando si parla a un pubblico popolare. I termini troppo specifici e il linguaggio esoterico dovrebbero essere evitati ad ogni costo.

La seconda regola dello stile può essere espressa con queste due norme: da una parte, il linguaggio usato per la formulazione del periodo deve essere chiaro, ma non troppo ovvio; dall’altra, il linguaggio deve elevarsi al di sopra dell’ordinario, ma senza essere oscuro. Queste regole appaiono semplici nella loro formulazione, ma è tutt’altro che facile seguirle» (Mortimer J. Adler).

 

SHAKESPEARIANA. Tratti costitutivi del sofista di ogni tempo. Ben addottorato per impedire ogni buona dottrina (Pene d’amore perdute, Atto I, Scena I). Dipana il filo della sua verbosità meglio che la matassa delle sue argomentazioni» (ibid., Atto V, Scena I). Il bene e il peggio. L’idea del bene rende più intensa la sensazione del peggio (Riccardo II, Atto I, Scena III).

 

 

1 maggio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Gratuità e bellezza del creato. La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce, a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede. Sorgente e mare. È la Divinità una fonte: da essa tutto deriva / e ad essa ritorna. Per questo è anche mare la fonte. (Angelus Silesius) Un’antologia e una buona antologia. Compito di un’antologia è di farci conoscere poeti non molto importanti dei quali ci innamoriamo. Compito di una buona antologia è di farci conoscere poeti molto importanti che ci piacciono assai meno (Thomas S. Eliot). Quando il sublime è cristiano. Di solito il sublime cristiano batte la via del sermo humilis (Pietro Gibellini). L’eresia pelagiana del moralismo autosufficiente. Questo è l’orrendo e occulto veleno del nostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio e non nel dono della sua persona (Sant’Agostino).

Quattro specie di menzogne. Vi sono quattro specie di menzogne: gioiose, ufficiose, dannose e statistiche (Levi Appulo). Non solo insegnare. Occorre tutta una nuova formazione spirituale tendente a fare del professore ciò che egli è raramente. Colui che è insegnante, deve diventare anche buon osservatore (Alfred Binet). Paese difficile da spiegare, il nostro. Spiegare l’Italia agli stranieri non è facile. Da noi i treni più lenti si chiamano accelerati e il Corriere delle Sera esce il mattino (Giulio Andreotti). Perché tante volte siamo noiosi. Il segreto per annoiare è dire tutto (Voltaire).

 

COMUNIONE E SOLITUDINE NELL’AMORE. Nella loro accezione più semplice, elementare, l’eros è attrazione vigorosa, amore appassionato tra un uomo e una donna per i quali vale l’erunt duo in carne una di cui parla Gesù, e l’agàpe è l’amore di carità che ci viene da Dio stesso e che, a quanti l’accolgono, dà il potere di diventare figli di Dio («non da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio generati», secondo l’espressione del prologo al Vangelo di Giovanni). Il mistero dell’amore umano è lì: nella tensione e insieme nella sintesi bella ed esaltante, sempre di nuovo da conquistare, giorno per giorno, tra eros e agàpe. L’eros ha già in sé di che superarsi perché, nella sua genuinità e nel suo slancio vitale, è apertura e aspirazione a un che di infinito, come aveva ben visto Platone; ed è certamente un segno molto positivo dei nostri tempi l’aver finalmente cominciato a capire che l’eros non va necessariamente contrapposto all’agàpe.

Chi, invece, per un malinteso ascetismo, per scarsa conoscenza dell’amore, per incapacità di percepire il mistero del rapporto tra un uomo e una donna, o per altri motivi patologici e non certo teologici, spezza l’equilibrio dinamico tra quei due termini, separa quello che nella visione cristiana deve essere intimamente unito.

Nell’amore tra l’uomo e la donna assai più che in qualsiasi altro rapporto si manifesta la dialettica tra comunione e solitudine. Comunione, originata dal bisogno-desiderio di mettere tutto in comune col partner; solitudine, intesa appunto come pausa meditativa, silenzio fecondo di approfondimento personale, colloquio con se stesso e con Dio, esercizio di auto-coscienza e revisione di vita, individuazione di spazi in cui esplicare più pienamente la propria personalità e l’impegno a servire correttamente i fratelli.

La comunione non nasce da un mero «stare bene insieme», ma da un arricchimento conseguito mediante le reciproche qualità positive e le diversità compatibili. Per far comunione ci vuole sia l’ospitalità del cuore, che la quotidiana pratica di quella categoria che Kierkegaard chiamava la «ri-presa», cioè un rinnovato atto di fedeltà alle aspirazioni della scelta originaria. Non a caso il Socrate del Nord faceva del matrimonio una delle due figure dello stadio etico (l’altra è il lavoro). Insomma, la comunione non sorge veramente e non dura se non quando l’eros viene conservato e superato di continuo da un cuore generoso, da una delicatezza di sentimenti e atti, da un dominio di sé permeati e finalizzati dall’agàpe, o da ciò che da essa ne discende senza forse nemmeno saperlo. Ma l’eros non può essere conservato e superato, se è svilito e negato.

Ciò che occorre Eliot lo ha detto molto bene: «Non meno amore, ma un’espansione / dell’amore al di là del desiderio» (Quattro quartetti).

 

SHAKESPEARIANA. Quale discendenza? Disceso da nobile a balordo (Tito Andronico, Atto V, Scena III). Reciproca implicanza. Semplice e non onesto stona troppo (Riccardo III, Atto IV, Scena IV). L’eterna battaglia. Nell’animo dell’uomo stanno accampati, in continua guerra tra loro, la grazia e la volontà brutale (Romeo e Giulietta, Atto II, Scena III). Troppo breve. Somiglia al lampo, che è finito prima che una abbia il tempo di dire: – Lampeggia! (ibid., Atto II, Scena I).

 

 

9 maggio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Altro che tirare a campare. Non ci si illuda. Quando le contraddizioni, i problemi reali non risolti attanagliano uno Stato, nulla può consentire di non pagare alla fine il prezzo. E a pagare è sempre la società nazionale (Massimo L. Salvadori). Progetto politico o centro di distribuzione di cariche? Weber sosteneva che si danno fondamentalmente due forme di partito: quello animato da una forte tensione ideale e portatore di una visione del mondo, di un progetto politico; e il partito-patronato delle cariche. La seconda forma prevale quando la prima si estenua (Vittorio Possenti). Definizione di flaianeo’. Lo stile dello scrittore abruzzese Ennio Flaiano. Liscio, sprezzante di ricercatezze. Uno stile in cui spesso lo scherzo è la maschera lieve della profondità (Giulia Massari). Serve spesso a saggiare il tasso di ipocrisia. Spesso la morte rende importante qualcuno solo per l’ipocrisia di quanti lo compiangono (Oreste Del Buono).

Ricchezza e povertà. La mia vita è abbastanza provvista del superfluo ed è così povera delle cose essenziali (Guido Morselli). Cattolici italiani e cultura economica. Una sottile voglia di critica al capitalismo ed una corposa presenza sui bisogni sociali caratterizza la Chiesa italiana, e forse anche tutte le chiese cattoliche europee. Ma c’è cultura sufficiente per fare seriamente una tale critica, per sviluppare con solidità tale presenza, per formare la base di una nuova leadership sociale ed economica? Onestamente, c’è da lavorare molto in questa direzione, se non si vuole cadere in una critica al capitalismo occidentale di tipo un po’ provinciale e predicatorio (Giuseppe De Rita).

 

SORDI AL LORO GRIDO DI DOLORE? All’esultanza dell’89 per la primavera dei popoli umiliati dal giogo comunista non è seguita, però, in Occidente l’attenzione doverosa al dramma terribile di quei popoli chiamati a vivere un’epoca crudele: l’epoca dell’uscita dal comunismo senza poter avviare da sé, con le loro forze, l’estremamente necessaria, urgente e difficilissima ricostruzione economica. «Non abbiamo più una tradizione – dichiarava a un gruppo di amici bresciani, recatisi in visita in Cecoslovacchia in questi giorni lo scrittore Karel Hvizdàla, oggi direttore del più diffuso quotidiano di Praga. – Quarantacinque anni di dominio comunista hanno distrutto il senso della responsabilità e l’immaginazione. Abbiamo ricevuto un’eredità catastrofica in ogni campo. Abbiamo bisogno di tutto e non abbiamo nulla».

L’Europa Occidentale, distratta da altri problemi, sembra non udire più il grido di dolore dei fratelli europei dell’Est. D’accordo, la Germania in progresso di tempo provvederà, sia pure tra immense difficoltà, a riparare i disastri dell’ex Ddr; ma ai polacchi, ai cecoslovacchi, agli ungheresi chi dovrà dare una mano? Come non farci carico noi dei loro angosciosi problemi di sopravvivenza prima ancora che di organizzazione economica e politica?

Per noi dell’Europa Occidentale il dopoguerra finì intorno al 1950. Per i popoli europei dell’Est, a causa dell’occupazione comunista del potere, il dopoguerra è continuato per quarantacinque anni e dovrà, purtroppo, durare ancora a lungo. Non tener conto di questo dato di fatto, quando si parla dei Paesi dell’Est ex-comunisti, significa non capire quei popoli e tradirne le attese. Né mancano i soliti farisei – anche tra i cattolici – così ottusi da rimproverare, e talora aspramente, a quei nostri fratelli la «pretesa» di uscire finalmente dal dopoguerra e di entrare anch’essi, dopo tante sofferenze, in Europa, che è la loro e la nostra casa madre. Quei popoli sono nostri fratelli in senso stretto e il nostro cuore, se non deve escludere nessuno, deve però assegnare a loro – ai polacchi, ai cecoslovacchi, agli ungheresi – il primo posto nell’ordine degli affetti e degli aiuti. Così come si fa in ogni buona famiglia.

 

UN PO’ PIÙ DI MODESTIA INTELLETTUALE. «Durante il congresso di filosofia di Vienna (1968) fui invitato a due discussioni tra filosofi alla televisione, e in una trovai con mia sorpresa anche Bloch. Si arrivò ad alcuni insignificanti scontri. Dissi, conformemente alla verità, di essere troppo stupido per capire il suo modo di esprimersi. Alla fine della discussione il moderatore, dott. Wolfgang Kraus, ci pregò di dire in una proposizione ciò che a nostro avviso era maggiormente necessaria. Io fui l’unico a rispondere brevemente. La mia risposta fu: “Un po’ più di modestia intellettuale”» (Karl R. Popper, Lettera a Claus Grossner, in I filosofi tedeschi contemporanei, a cura di Claus Grossner, Roma 1980, p. 346). Come non essere d’accordo col grande vecchio?

 

 

15 maggio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Dinamismo del mistero. Se il mistero della nostra esistenza venisse chiarito, la vita non sarebbe più lotta e ricerca, bensì una snervante attesa del suo compimento. Quanto è bella giovinezza. La giovinezza è un verde prato su cui fanno capriole le speranze. Visione proiettiva. L’uomo vede molto di sé negli altri. Ecco perché coglie negli altri con immediatezza le sue imperfezioni. La forza dei grandi sentimenti. Il grande prodigio dei veri sentimenti è di togliere peso ai sacrifici. Nel presente preparare il futuro. Chi spera di ottenere qualcosa nel futuro senza dedicarsi al presente è come chi spera di cogliere messi da un campo non mai seminato. Da poter leggere ad alta voce. Ogni mattino è una pagina della nostra vita; sia essa degna di essere letta ad alta voce. Saper dire grazie. La gratitudine è rivelatrice della statura morale dell’uomo. L’analfabetismo più pericoloso. Nella vita è analfabeta colui che non sa distinguere il bene dal male.

No all’abulìa. L’azione veste la vita, l’abulìa la spoglia. Quando è necessario. Nella scalata della vita bisogna anche saper fare i bivacchi in parete. Rivoluzioni ateistiche e religione. Le rivoluzioni, in Europa, cercano sempre di affossare la religione; invece, nel tempo, è la religione che affossa le rivoluzioni. E per orizzonte l’infinito del cielo stellato. Avrebbe mai raggiunto l’uomo quello che ha raggiunto senza la visione delle stelle? Fragore e verità. Il fragore della cascata copre il silenzio. La cascata delle parole copre la verità.

Questi pensieri sono di un poeta, Liceo Grassi, che compie in questi giorni 87 anni. Le riflessioni del nostro poeta fanno parte di una raccolta, Calìe, di prossima pubblicazione.

 

TRE SPECIE DI DIALOGO. L’uomo del dialogo è l’uomo delle chiarezza, l’uomo che ha rispetto dell’altro, che sente il dovere di capire e di farsi capire, che ascolta e sa farsi ascoltare. «Io conosco – ha scritto Martin Buber – tre specie di dialogo: quello autentico – non importa se parlato o silenzioso – dove tutti i partecipanti si rivolgono all’unico o ai diversi interlocutori con l’intenzione di far nascere una vera reciprocità, per arrivare a una reale comprensione delle diverse forme dell’esistenza umana; quello tecnico, informato unicamente al bisogno dell’intesa oggettiva; e il monologo travestito da dialogo, in cui due o più persone parlano sempre con se stesse».

Qual è la specie di dialogo che io e tu pratichiamo con i figli, con gli amici, con i compagni di lavoro, con le persone che amiamo, prima ancora che con le persone che la pensano diversamente da noi?

 

LA CRUDELE TRANSIZIONE. Chi sapeva che il socialismo uccide la libertà (come il fascismo) e distrugge l’economia (come i regimi burocratici) non faceva i conti con tutta la verità. Il socialismo uccide la società, recide i tendini che la tengono assieme, slega gli uomini, li scioglie dai vincoli dell’iniziative, dell’interesse, della responsabilità e perfino, paradossalmente, dai legami della solidarietà. Spegne dentro di loro quella voglia indefinibile di decidere, rischiare, tentare, intraprendere per conto proprio, magari annaspando e sbagliando: quella voglia che Saverio Vertone chiama «lo spinterogeno dell’esistenza».

L’«uomo nuovo» che doveva nascere è una creatura malata che ha perso gli incentivi a vivere. Proprio per questo, quella grande porzione di mondo che ha subito per tanti anni l’insulto del comunismo non riuscirà facilmente a liberarsi dalla miseria, dalla apatia e perfino dalla tentazione di lasciarsi ancora «proteggere» da uno Stato padre e padrone, anche se non più temuto come nel recente passato. Occorrono, senz’altro, in quei Paesi e presto, iniezioni di capitali, di management, di tecnologie; ma ciò che è assolutamente necessario è ritrovare la gioia di lottare, di vivere, di realizzare la propria umanità con e per gli altri oltre che per se stessi. Cadute nella polvere le ideologie di un potere che catturava i lati peggiori dell’animo umano, questa è l’ora del risveglio delle coscienze. Per questo i giovani, la fede cristiana e il ritorno a pieno titolo all’Europa appaiono sempre più le grandi vie della rinascita dei popoli usciti dal comunismo.

Non dispiacerà al lettore sapere che queste note sono state scritte, a caldo, a Praga, dopo ore di colloqui franchi e approfonditi con personalità cecoslovacche della cultura, del giornalismo e dell’arte.

 

LETTERA AL DIRETTORE DI «SEGNOSETTE». «Caro Direttore, leggo sempre con grande interesse Segnosette e spesso lo cito nella mia rubrica del giovedì sul Giornale di Brescia. C’è però un punto serio su cui non mi trovo d’accordo con la linea del Suo settimanale: durante la vicenda del Golfo anche Segnosette ha fatto del suo meglio per incitare i cattolici italiani ad aggiungere agli articoli del “Credo” le dichiarazioni della Santa Sede sulla “evitabilità” della guerra contro Saddam Hussein e sulla straordinaria “bontà” delle proposte di interruzione del conflitto avanzate da Gorbaciov, confondendo il piano delle verità di fede con quello di opinioni più che discutibili. Sta di fatto che su quelle posizioni si è voluto conglobare, con la sola eccezione dell’Unione giuristi cattolici, tutte le sigle dell’associazionismo cattolico, dalle Acli al Cl, quasi ad esibire un esercito all’altar!, come recitava un inno dell’era geddiana. Non sarebbe questo il momento di dar finalmente la parola, anche sulle pubblicazioni come quella che lei dirige, alle voci di ragionato dissenso?».

 

 

23 maggio 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Prezzo e valore. Prezzo e valore sono due cose distinte. Di un libro il prezzo è sulla copertina, il valore è nelle pagine. Come il cielo di notte. Molte anime nascoste sono come il cielo di notte: nel loro buio c’è un grande splendore. Vette e abissi. Dove ci sono grandi vette ci sono grandi abissi. Il giusto ritmo e le sfumature. Per leggere bene il libro della vita bisogna fare attenzione alla punteggiatura. (Lieo Grassi)

L’ufficio proprio dei santi. La storia dimostra che i santi hanno aiutato la Chiesa a superare le tentazioni del materialismo e del potere. Inoltre che essi hanno creato la cultura cristiana, come conseguenza del Vangelo da essi vissuto in pienezza  Prima l’ecumenismo, poi il dialogo tra le religioni. La riconciliazione tra gli uomini e tra i credenti in Dio è una cosa molto bella, ma noi siamo prima interessati alla riconciliazione tra i cristiani. Questo è l’ecumenismo. (Max Thurian). Oltre la libertà, la responsabilità degli artisti. Ogni individuo che sente il bisogno di una società umana, deve imparare a rendersi conto della propria responsabilità nei riguardi dell’arte, quasi quanto nei riguardi della vita (Bernard Berenson).

Quando la reazione prevedibile diventa pre-giudizio. Diffido sempre delle persone le cui risposte a eventi, situazioni, proposte sono prevedibili, conformi a idee fisse mai messe in discussione neppure nei periodi di radicali mutamenti; e allo stesso modo diffido di me stesso quando, di fronte a un libro e a una operazione culturale, reagisco nel modo secondo il quale, a priori, mi sarei aspettato di reagire; e allora cerco di riprendere in esame la questione, di vederla da altri punti di vista, di trovare motivi in essa per scuotere e rimettere in discussione le mie convinzioni (Giorgio Bàrberi Squarotti).

 

DUE DESIDERI RIGUARDANTI LA NOSTRA CLASSE POLITICA. Esattamente un mese fa, a conclusione di un dibattito televisivo sul significato del 25 aprile 1945, mi fu chiesto di esprimere due richieste alla classe politica attuale. Sorprendendo l’intervistatore, dissi subito che il primo ardente voto è quello di vedere finalmente in galera, e per un bel po’ di anni, i grandi corrotti-corruttori che purtroppo siedono anche in Parlamento. I grandi corrotti-corruttori sono spudorati, arroganti, incolti, abilissimi nell’arricchirsi e nel distribuire posti, potere e prebende ai loro lacchè. Signori delle tessere e delle tangenti, rendono preziosi servigi all’uno o all’altro dei maggiori leaders in modo da esercitare su di essi, al momento giusto, pressioni e ricatti. Siano essi in Lombardia o in Campania, in Calabria o in Piemonte, l’identikit di quelle canaglie eccellenti è sempre lo stesso, a riprova che nel fango il Nord e il Sud possono ben trovarsi uniti.

Il secondo desiderio è che i politici onesti e capaci, che sono certamente ancora oggi la grande maggioranza, si decidano una buona volta a diventare coraggiosi e altamente produttivi al servizio di quel bene comune, che è la sola autentica ragion d’essere e il valore specifico della politica. E per diventare agenti altamente qualificati del bene comune, sono eletti e pagati per questo, occorre che cambino stile e non esauriscano il loro tempo e le loro energie nel fare i «taglianastri», nel rilasciare interviste dalle battute mordaci, nell’essere ospiti di innumerevoli tavole rotonde, oratori correntizi, estensori e recensori di quei disgraziati «comunicati-stampa» in cui il vaniloquio pretenzioso ha finito col sostituire il pensiero politico e l’azione politica. Devono, invece, documentarsi sui fatti e studiare a tempo pieno, con metodo, le soluzioni da dare ai problemi del Paese. Quanti hanno a cuore le sorti di questo nostro Paese che va alla deriva si colleghino organicamente tra loro e dispieghino finalmente un’attenzione critica, tenace e rigorosa, in primo luogo alle richieste e alle denunce quotidiane gravissime dell’opinione pubblica; in secondo luogo all’esperienza e agli ordinamenti degli altri Paesi europei; infine nei confronti dei loro stessi errori. Errori quasi sempre commessi varando leggi demagogiche e ineseguibili, che altre volte ho chiamato «schizofreniche», destinate cioè non al popolo italiano così com’è, ma a un popolo di dei che disponga di illimitate risorse finanziarie.

 

PERCHÉ TANTI BUONI CRISTIANI NON FANNO UNA BUONA CRISTIANITÀ. «O mio Dio, se solamente vedessimo il tuo regno incominciare! Se solamente vedessimo levarsi il sole del tuo regno… Tu hai mandato i tuoi santi, e i tuoi santi sono venuti, le tue sante sono venute… Noi siamo buoni cristiani, tu sai che siamo buoni cristiani. Come avviene allora che tanti buoni cristiani non fanno una buona cristianità? Ci deve essere qualcosa che non va… I santi ci sono; santità ce n’è, e non va lo stesso. C’è qualcosa che non va» (Charles Péguy, Preghiera di Giovanna, nel Mystère de la Charité, scritto nel 1910). Alla drammatica domanda di Péguy questa rubrica ha cercato di dare risposte molteplici e convergenti. Cari amici lettori, e le vostre risposte quali sono?

 

 

13 giugno 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Pietà prevale. Pietà gentile soffoca il mio sarcasmo. Scambio di ritratti. Ecco, prendi questo mio ritratto… / il tuo nel mio cuore, ove l’anima alberga, albergherà. Il dilemma. Sii più che uomo, o sarai meno di una formica. Autodistruzione parossistica. Sembriamo desiderosi di disfare tutta l’opera di Dio: / egli ci ha fatto dal nulla; e noi tentiamo / di ridurci di nuovo a nulla; e facciamo / tutto il possibile per riuscirci con altrettanta rapidità. L’indiscrezione. La malvagità non è molto peggiore della indiscrezione.

Domini Domini sunt exitus mortis. Ma le uscite della morte, exitus mortis, significano exitus a morte, le uscite dalla morte, e dunque, liberazione dalla morte per mezzo della morte, liberatio a morte et per mortem (sermone pronunciato all’inizio della Quaresima del 1631, il 25 febbraio, nella Cattedrale di San Paolo, a Londra, alla presenza del re e della corte. J. Donne morì il 31 marzo di quello stesso anno). L’incanto dell’amore. Nel tuo occhio il mio volto, il tuo nel mio. Il paradosso dell’amore. I misteri d’amore crescono nell’anima / e tuttavia il corpo è il suo. (John Donne)

 

IL NUOVO «PROVINCIALISMO», NON DI SPAZIO, MA DI TEMPO. Si può capire il presente, se prescindiamo dal passato e saremo mai in grado di cogliere il senso autentico della vita se ci lasciamo catturare interamente dalle impressioni del momento? Oggi si viaggia moltissimo e ognuno di noi accumula in sé di continuo una massa enorme di informazioni; eppure i nostri giovani rischiano di diventare sempre più «provinciali», nel senso brutto del termine, chiusi cioè entro un limite angusto, ignari di ciò che dovrebbe unirli nel profondo alle generazioni passate, e dunque incapaci di accoglienza e gratitudine nei loro confronti, e di giudizio critico su se stessi, di resistenza a quanto la pressione sociale scarica loro addosso.

Giustamente Thomas Stearns Eliot ci ammoniva: «Nell’epoca nostra, quando gli uomini sembrano sempre più portati a confondere la saggezza con la dottrina e la dottrina con l’informazione, e a cercar di risolvere i problemi della vita in termini d’ingegneria, sta sviluppandosi una nuova specie di provincialismo che forse merita anch’esso un nome nuovo. È un provincialismo non di spazio, ma di tempo: per cui la storia non è che la cronaca delle invenzioni umane via via superate e messe da parte, e il mondo proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i morti non possiedono azioni».

 

SENGHOR LO SAPEVA, GLI EUROPEI TERZOMONDISTI NON LO SANNO. Dell’esperienza del mondo classico alcuni punti di arrivo o idee generali costituiscono acquisizioni vitali, a cui l’uomo «europeo» di oggi non ha ancora rinunciato – né si vede come potrebbe rinunciarvi. Intendiamo, qui, l’uomo «europeo» non da un punto di vista geografico, ma come il tipo di uomo che apprezza, e vive, una visione del mondo nella quale la posizione preminente è riconosciuta dai valori dello spirito.

Da questo punto di vista, la funzione della cultura greco-latina è oggi ben oltre i limiti del mondo «occidentale», come riconosceva il poeta negro africano e uomo di Stato Léopold Sédar Senghor. È lui che ha scritto: «Io so che i Latini e soprattutto i Greci hanno scoperto le “idee generali”; prima e meglio degli altri, le hanno messe in piena luce grazie ad un’arte nella quale l’economia dei mezzi concorreva alla loro efficacia. Io so che per i popoli negro-africani non esiste scuola migliore, perché, se l’educazione è sviluppo delle qualità native, essa è anche correzione dei difetti ereditari e acquisizione delle virtù contrarie».

 

DIRE QUELLO CHE NON SI PUÒ DIRE. Una grandissima parte dell’uomo non può essere detta. La poesia cerca di dire quello che non si può dire. È una scommessa rischiosa, che nessun sistema dell’informazione potrebbe accettare: se lo facesse, verrebbe subito messo in liquidazione. Così, la poesia è mettere in parole quello che, a rigore, non può essere messo in parole, quello che non ha nemmeno «forma di parole» (Alberto Asor Rosa, L’ultimo paradosso, Torino 1985, pp. 138-139).

 

 

20 giugno 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. La logica del compromesso. La logica del compromesso ha questo di irreparabile: che l’animo prende gusto alle proprie mistificazioni man mano che si sbarazza d’una delle sue resistenze. Quando comincia il romanzo. Il romanzo comincia là dove lo scatto morale dello scrittore richiama a sé la materia e la solleva a significato. Non basta l’autonomia, ci vuole la responsabilità. La letteratura, per me, passa intera attraverso l’etica, deve richiamarsi senza equivoci alle sue responsabilità. Senza equivoci e senza falsi appelli all’autonomia. Analisi e psicanalisi. L’analisi corre sul filo della coscienza morale, la psicanalisi sul filo di quella premorale. Dimostrare che la prima dipende dalla seconda significa abolire ogni discorso sulla scelta morale e sulla responsabilità. L’apartheid di Dio. Comunque sia, la fuga dalla fede o, se si preferisce, l’apartheid di Dio, è in qualche modo l’emblema della condizione culturale d’oggi. Ma lo è anche del dissesto d’oggi: la causa è in pari tempo la conseguenza della perdita di punti di riferimento comuni e della disperazione comune. Mai come oggi, considerando ciò che vien meno a causa della sua carenza, la categoria del religioso ha mostrato la sua insostituibilità: la «legge» non basta alla convivenza umana.

Il contrario dell’inerzia spirituale. C’è un ambito entro il quale le parole del Vangelo, pur serbando la loro radicalità, scendono alle misure del quotidiano: ed è quando le si legge come un richiamo alla continua mobilitazione della coscienza, un invito a vivere la nostra vita in tensione, in quella continua «conversione» che, appunto a misura nostra, è il contrario dell’inerzia spirituale, dell’adagiarsi assuefatto nel tran tran dell’esistenza. Il discorso su Cristo e il discorso sull’uomo, oggi. In un tempo di angustie ideologiche, di parole d’ordine, di strettoie, di slogans, di fanatismi, il discorso sul Cristo si fa liberatorio proprio tenendo accese le esigenze metafisiche e gli interrogativi intorno al senso dell’esistenza. Il discorso su Cristo lascia aperto, infatti, il versante della problematicità, e con ciò stesso introduce in una storia tutta dominata dai vari scientismi e dai vari materialismi un reattivo che porta a salvamento ciò che è irrinunciabile, l’uomo stesso, l’uomo come senso, come valore, come fine. E come spirito.

Mario Pomilio, grande scrittore e caro amico, ci lasciò un anno fa; ci conforta il fatto che siamo stati tra coloro che non hanno atteso la sua morte per accorgersi della «lezione» che ci viene dalla sua opera e dalla sua vita.

 

PRIMO: NON SCAPPARE, NON MOLLARE. La tensione al bene comune, che deve caratterizzare l’attività politica in quanto tale, può essere elusa, calpestata o assecondata e attuata, ma essa è «condizionante» dell’attività politica. Il fine proprio del bene comune, nella cui ricerca e attuazione si celebra il valore specifico della politica, può essere falsato nella politica contingente; ma ciò non importa uno snaturamento profondo e definitivo dell’attività politica, così come i fenomeni patologici non sopprimono le leggi che regolano le funzioni naturali dell’organismo e la patologia non sostituisce la fisiologia. Non si può, non si deve parlare in termini manichei di dualismo insuperabile fra morale e politica e di impossibilità tragica (il luterano «non puoi, ma devi»). Si deve, invece, parlare di tensione drammatica, e non perché la politica sia tra le attività umane il male, come pure qualcuno ha scritto, ma perché drammatica è la condizione dell’uomo, così come si esplica in ogni sua scelta e azione, e agonistica è la sua natura: in noi è sempre aperta la possibilità del negativo, del disvalore, degli pseudo-valori, così come la possibilità della incarnazione nel tempo di ciò che rende la vita degna, non solo per le singole persone, ma anche per la comunità.

La politica ha una sua propria specificità di compiti e richiede un sempre rinnovato impegno di razionalizzazione per realizzarli. La razionalizzazione della politica è morale e tecnica. La prima senza la seconda è mutilata e incoerente; la seconda senza la prima non può assolutamente bastare. La razionalizzazione morale umanizza quella tecnica, le dà unità e significato e deve esserne sempre la premessa e la molla propulsiva. Di qui l’importanza preminente di tutto ciò che promuove l’educazione dei giovani alla consapevolezza storica e critica della realtà umana, all’esercizio etico-politico della responsabilità e del servizio, a una visione dinamica e virile della democrazia. Per noi, infatti, i fini della persona e dell’umanità sono anche gli obiettivi naturali della democrazia, o comunque trovano negli ideali della democrazia la loro logica proiezione etico-politica. Di qui l’obbligo di farla esistere e di autenticarla, ogni giorno, anche con i nostri «sì» e i nostri «no». Di qui il dovere di difenderla da quanti la calpestano e la svuotano di valore.

 

 

27 giugno 1991.

 

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il lettore che ho in mente. Ho in mente un altro essere umano che mi capirà. Non un’intesa perfetta, cosa che è cartesiana, ma una comprensione che è approssimativa, che è ebraica, e un incontro di simpatia che è umano (Saul Bellow). Le regole, prima, e il loro oltrepassamento, poi. Non è saggio violare le regole finché non si sa come osservarle (Thomas S. Eliot). Che cos’è lo stile. Le parole giuste al posto giusto sono la vera definizione di uno stile (Jonathan Swift). Contro l’idea fissa della spiegazione ideologica ad ogni costo. Non si balla il charleston perché il mondo è capitalista. Si balla il charleston perché esso è una delle forme di espressione della socievolezza della nostra epoca (Joseph Roth). Guardarsi dalle pretese onnivore del sistema. Ogni tentativo sistematico riesce a spese di fatti, fantasie, suggerimenti e idee che chiedono a gran voce, come i dannati dell’Inferno dantesco, di ricevere attenzione (Bernard Berenson). Tra stupidità e fanatismo. I peccati più irritanti, e insieme quelli più difficili ad essere individuati appunto come peccati, sono quelli originati dalla stupidità e dalla presunta buona fede dei fanatici (Levi Appulo).

 

UN CEFFONE ALLA PARTITOCRAZIA. Un segno forte e inequivocabile del desiderio di cambiamento e di pulizia che attraversa il nostro Paese è venuto dal referendum del 9-10 giugno. Per una questione in apparenza secondaria, ma che esprimeva la volontà di limitare l’inquinamento del voto, si sono raggiunti due risultati che alla vigilia era folle sperare: si è avuto il massimo dei votanti, il 62,5%, per una consultazione referendaria e, tra i votanti, si è verificata una stupefacente unità d’intenti, avendo la percentuale del «sì» toccato il 95,6%. Chi sono gli sconfitti, che non hanno capito nulla dello stato d’animo del Paese prima di quel voto e che non sembra siano capaci di trarre da quel ceffone dato alla partitocrazia tutte le conseguenze che se ne debbono trarre? Sconfitto non è stato solo Craxi, che questa volta ha sbagliato tutto, ma che almeno ha condotto il suo gioco a carte scoperte, o Pannella che sollecitava il voto ma per il «no». Gli sconfitti che meritano meno attenuanti sono proprio i Soloni della Dc, quella specie di Comitato di gestione a quattro del potere democristiano al più alto livello: Andreotti, Gava, Forlani e De Mita. Smentendo la sua proverbiale prudenza, Andreotti aveva giudicato che a volere il referendum erano stati «quattro gatti» e che a votarlo sarebbero stati «quattro gatti». Il leader della maggioranza politica all’interno della Dc, Antonio Gava, aveva raccomandato di non andare a votare. Neutrale a parole, ma in realtà duramente ostile al referendum, era stato Forlani, il quale pareva non rendersi conto che al referendum si era arrivati proprio a causa dell’immobilismo di questo Parlamento e della Dc, impegnati solo a non fare alcuna riforma elettorale e istituzionale.

La figura più meschina l’ha fatta, però, Ciriaco De Mita, l’uomo che pure parecchi anni fa s’era presentato come il continuatore della linea di rinnovamento della politica, appellandosi al rigore morale di Benigno Zaccagnini. L’attuale presidente della Dc era stato tra i più accesi sostenitori delle proposte referendarie, ma la vigilia della consultazione aveva voluto incontrare persino il suo nemico Craxi, per assicurargli che almeno metà degli elettori democristiani avrebbero seguito il suo esempio e non sarebbero andati a votare. Al giornalista che gli chiedeva perché fino ad alcuni mesi prima aveva invece ostentatamente caldeggiato l’iniziativa referendaria, la risposta è stata: «La mia adesione era solo strumentale». Questa volta l’affermazione dell’avellinese è stata finalmente chiara. Anzi, fin troppo chiara. Ha il pregio, infatti, di gettar luce sulla personalità stessa di chi l’ha pronunciata.

 

«CONTINUERÒ A GIOCARE A PALLA». Nell’archivio della memoria conservo due cartelle su Luigi Gonzaga, il giovane principe di cui la chiesa ha ricordato in questi giorni il quarto centenario della morte. La prima riguarda un racconto, la seconda un commento. Si racconta che quando Luigi Gonzaga era novizio, durante una ricreazione i suoi compagni si divertirono a porsi questa domanda, che non è tanto uno scherzo da seminaristi quanto un interrogativo formidabile. Essi si chiesero l’un l’altro: «Se sapessimo tutto ad un tratto, in questo stesso momento, che il giorno del giudizio avrà luogo fra venticinque minuti, che fareste?». Allora gli uni pensarono alla confessione, gli altri alle preghiere più care o all’intercessione della Madonna. Luigi Gonzaga disse: «Io continuerò a giocare a palla». «Non mi chiedete – commentò Charles Péguy in uno dei Cahiers de la Quinzaine del 1905 – se questa storia è autentica. A me basta che sia una delle più mirabili del mondo. I santi hanno questo vantaggio su noialtri uomini: hanno delle parole che li sorpassano all’infinito, che vengono da altrove e non da loro stessi». Così com’è, la risposta di Luigi annulla, infatti, ogni testamento tra l’ora presente e l’eternità che viene.

 

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.