Detti e Contraddetti 1994 – 1° semestre

DETTI E CONTRADDETTI 1994 – PRIMO SEMESTRE

6 gennaio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La casa da costruire. Una casa di libertà / di giustizia / d’amore. / È questo il nido / costruito a paglia e paglia / mattone a mattone / a fare muraglia contro l’avido / il volgare / l’arido / l’accidia / l’invidia del mondo (Gigliola Spinelli Venturi). Su questa terra. Non vivere su questa terra come un inquilino, oppure come uno in vacanza. Vivi in questo mondo come se fosse la casa di tuo padre. Credi al grano, al mare, alla terra; ma soprattutto credi all’uomo. Ama la nuvola, la macchina, il libro; ma soprattutto ama l’uomo (Nazim Hikmet). Potere e prestigio. Il potere uno lo può agguantare in tanti modi, il prestigio invece fiorisce dalle qualità della persona (Levi Appulo). Il viaggio più lungo. Il viaggio più lungo / è il viaggio verso l’interno (Dag Hammarskjold). Non con la mia complicità. Se anche il male dovesse dominare, che non domini né con la mia complicità, né col mio consenso (Aleksandr Solzenicyn). Ora che il tramonto discende. Ritrovo nell’aria perlata / la primavera del cuore: / le nostre prime carezze… / E tremo della dolcezza / che l’aria ridesta nel cuore, / or che il tramonto discende / sempre più intinto di te (Bruno Rombi).

PER LA MIA PATRIA. Un augurio ed una preghiera per la mia e la vostra Patria, all’inizio di questo nuovo anno. Formulerò l’uno e l’altra con le parole di un poeta polacco, Cyprian Kamil Norwid (1821-1883).

Per la mia Patria / io ti prego, Signore. / Che il mio popolo abbia / cuore senz’ombre / e testa senza cavilli; / che sia / per il «sì, sì», «no, no» senza finzione alcuna. / Che finalmente per il mio Paese / possa avverarsi / ogni più alta attesa.

CHI HA VINTO IN ITALIA? Leonardo Sciascia in una intervista per la tv, andata in onda tre anni dopo la sua morte (e precisamente nel novembre del 1992), parla delle letture che più hanno inciso sulla sua formazione: Diderot, Hugo, Manzoni. Ecco quello che dice dei Promessi Sposi.

«Un incontro straordinariamente importante per me è stato Manzoni, il nostro scrittore che più si nutrì di cultura francese. I Promessi Sposi l’ho letto sempre non come un libro consolatorio, ma oserei dire come un libro disperato. Ho pensato sempre che protagonista del libro fosse Don Abbondio e che Don Abbondio è il vero vincitore. Perché se anche i due sposi promessi poi si sposano, è un fatto che sono stati costretti ad emigrare. Chi resta invece trionfante su tutto, sui lanzichenecchi, sulla peste, su Don Rodrigo, è Don Abbondio. Visto da quest’angolazione, il libro appare molto diverso. A scuola lo danno come una lettura consolatrice e invece non è consolatrice per niente. Direi addirittura che è desolante, perché l’Italia continua ad essere l’Italia delle grida di Manzoni».

PER L’ECOLOGIA DELLA MENTE RAFFREDDARE LA TV. «Modesta proposta: ridurre con una legge regolarmente discussa e votata dal Parlamento le ore quotidiane di trasmissione di tutte le televisioni, pubbliche e private. Motivi per appoggiare detta proposta: numerosi, e di tipo assai vario, a cominciare da quelli economico finanziari. Limitare le ore di trasmissione al pomeriggio – sera aiuterebbe poi a mantenere un po’ più alta la qualità complessiva del “prodotto”: i programmisti non avrebbero più la possibilità di mettersi a posto la coscienza collocando i programmi culturali, o solo un po’ meno beceri, in ore impossibili (sette di mattina, mezzanotte e mezzo e via dicendo). E inoltre: non dovendo trasmettere ventiquatt’ore su ventiquattro non sarebbero costretti a inquinare l’etere con le tante sciocchezze che hanno diritto di cittadinanza solo perché c’è del tempo da riempire. Dico inquinare proprio nel senso ecologico del termine. La televisione non può essere considerata soltanto, e forse neanche principalmente, alla stregua dell’editoria della carta stampata: è da vedere anche come un’industria che, con le sue emissioni, ha un pesante impatto sull’ambiente. Non si gridi alla censura: la legge che qui ipotizzo non toccherebbe i contenuti delle trasmissioni; deciderebbe solo che, per motivi di sanità pubblica, le emittenti televisive devono restare spente per un certo numero di ore ogni giorno. La diffusione di videocassette toglierebbe anche ogni sapore “proibizionista” alla faccenda» (Gianni Vattimo, La Stampa, 18 dicembre 1993).

L’ANGOLO DI SENECA. Chi è re? È re chi nulla ha da temere. / È re chi non desidera nulla. / Una simile dignità regale ciascuno può conferirla a se stesso – Rex est qui metuit nihil. / Rex est qui cupiet nihil. / Hoc regnum sibi quisque dat (Thyestes 388-390). Fa’ pure l’arrogante tu! Esercita pure il tuo dominio, arrogante! Accresci pure la tua insolenza! / Un Dio vendicatore incalza alle spalle i prepotenti (Hercules furens 11, 385-386).

13 gennaio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Fino a quando durerà l’uomo. Io credo che il giorno in cui non ci sarà più la poesia, non ci sarà nemmeno l’uomo (Giuseppe Ungaretti). Il mondo non perirà certo per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia (Gilbert K. Chesterton). Che cos’è la poesia? Poesia è rifare il mondo / dopo il discorso devastatore / del mercadante (David M. Turoldo). Radicale insufficienza di ogni descrizione non poetica. Il mondo è più complesso di quanto qualsiasi formula ci possa dire. Non esistono formule che possano spiegare la verità, l’armonia, la semplicità del mondo (John David Barrow). Come il martello che spacca la roccia. La mia parola, oracolo del Signore, non è forse come un martello che spacca la roccia? (Libro di Geremia). Viva, efficace, tagliente. La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio. Essa penetra fino al punto di divisione dell’animo e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore (San Paolo). La verità prima libera, non senza dolore, dopo consola. Nostro Signore non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ma il sale. Ora il sale su una pelle a vivo è una cosa che brucia, ma le impedisce anche di marcire… La verità prima libera, dopo consola. La parola di Dio è un ferro rovente; chi l’insegna non può non scottarsi le mani (Georges Bernanos).

PER LA STORIA DI QUESTO SECOLO. Ho letto con vivo interesse il volume di Henri De Lubac Memoria intorno alle mie opere, edito da Elio Guerriero presso la Jaca Book. De Lubac è stato non solo un grande teologo, ai miei occhi il maggiore di questo secolo, ma anche un grande cristiano ingiustamente sospettato ed emarginato dagli integristi prima e dai cosiddetti progressisti poi. Rimane, però, a tenerci compagnia e a illuminare i nostri passi la sua opera vasta, chiara, nata da quell’amore indiviso di tradizione e profezia da cui sempre ha origine ogni autentico rinnovamento. Registrando con precisione e con minuziosa diligenza dibattiti e atteggiamenti relativi ai suoi contributi storici e teologici, De Lubac ci porta nel cuore delle grandi questioni. Chi vorrà intendere la storia della teologia di questo secolo non potrà fare a meno di questo libro, che è anche un commosso, continuo  omaggio ad amici e maestri quali Maurice Blondel, Étienne Gilson, August Valensin, Gaston Fessard, Jean Danielou, Teilhard de Chardin, Hans Urs von Balthasar. Tra le cento cose che meriterebbero di essere portate a conoscenza dei lettori, ne scelgo una: la pagina in cui De Lubac parla di sua madre.

MIA MADRE ERA UNA DONNA SEMPLICE. I miei genitori erano poco agiati. Eravamo sei fratelli. Ci hanno allevato seguendo i principi di una severa economia, ma eravamo inondati dalla loro tenerezza. Mia madre era una donna semplice. Tutta la sua educazione era avvenuta in campagna e nel chiostro di un monastero della Visitazione, secondo un’usanza del tempo. Tutta la sua cultura si basava sulla tradizione e sulla pietà cristiana. Io non ho mai visto in lei che abnegazione e bontà. Rimasta vedova per un quarto di secolo, aumentò l’intimità tra noi. Quando, verso il 1950, un religioso indiscreto credette di far bene andando a turbarla a proposito della mia ortodossia e del mio comportamento, ella gli rispose con dolcezza: Conosco mio figlio; so che sarà sempre un figlio sottomesso alla Santa Chiesa. Quando le comunicarono che ero stato eletto all’Institut e, più tardi, che ero stato chiamato a Roma per il Concilio, preoccupata perché le sembrava che questi fossero degli onori, nelle due lettere che mi inviò mi diceva pressappoco con le stesse parole: Prego nostro Signore perché ti conservi nell’umiltà.

ALLA VOCE «ANDREOTTI GIULIO». Sfoglio il volume Stato del mondo 1994, appena edito da Il Saggiatore e da Bruno Mondadori. Mi soffermo alla voce «Andreotti Giulio». «È quel politico italiano di grande sagacia manovriera, che si guadagnò fama di spregiudicatezza e di cinica strumentalizzazione dei più drammatici problemi del Paese, dal terrorismo alla mafia, all’uso deviato dei servizi segreti, a fini di conservazione del regime e del potere, finché non fu travolto anche lui dalle inchieste giudiziarie aperte nel clima di Tangentopoli». Andreotti è vivo, ma il suo epitaffio è stato già scritto.

L’ANGOLO DI SENECA. Rivendica te a te stesso. Fa’ come ti dico: rivendica te a te stesso. Tieni in serbo e custodisci il tempo che finora ti veniva tolto o che ti sfuggiva (Ad Lucilium epistulae morales 1, 1). Abbi cara ogni ora. Abbi cara ogni ora. Potrai dipendere meno dal domani, se diverrai padrone dell’oggi. A forza di rimandare, si dilegua la vita che tu pure vorresti vivere (Ad Luc. 1, 2).

20 gennaio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il delitto di chi gira la testa. Quando Caino replica a Dio Sono forse io il custode di mio fratello?, la sua risposta è raccapricciante solo perché è una bugia che copre la realtà dell’omicidio, il primo nella storia dell’uomo, oppure essa esprime l’essenza dell’omicidio come tale? Caino, in altre parole, non sarebbe comunque un omicida anche se la sua risposta non fosse stata preceduta dall’atto materiale di uccidere? La nostra coscienza educata dall’Antico e dal Nuovo Testamento non esita a rispondere: è il non sentirsi responsabile per l’altro la vera base dell’omicidio, la radice di ogni violenza, forse l’essenza stessa di tutto ciò che non possiamo non considerare come peccato (Gianni Vattimo).

L’educazione in casa. Non si considera necessaria l’educazione in casa, e con il pretesto che in fondo ci si ama ci si dispensa dall’essere cortesi. Perché? Perché con l’abitudine subentra la trascuratezza, con la trascuratezza la noncuranza, con la noncuranza l’egoismo. E l’egoismo non è generoso, fa soffrire soltanto. Il buon senso. I fantasmi passano, il buonsenso rimane. Conviene dunque fidarsi di lui e della coscienza e fare affidamento su una decisione. (Henri-Frédéric Amiel)

L’ANGOLO DI SENECA. Solo il tempo non si può restituire. Nulla ci appartiene, solo il tempo può essere nostro (Omia aliena sunt, tempus tantum nostrum est) e può essere da noi donato agli altri. Tuttavia è l’unico bene che neppure una persona riconoscente è in grado di restituire (Ad Luc. 1, 3). Giovani, mettete a frutto il tempo. Tu fa’ un’economia oculata del tempo in tuo possesso e comincia subito, fin d’ora. Perché, come dicevano bene i nostri vecchi, «è troppo tardi centellinare quando si è giunti al fondo». Sul fondo, infatti, rimane non solo poco vino, ma il peggiore (Ad Luc. 1, 5).

27 gennaio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Mi piacciono le persone distratte. Mi piacciono le persone distratte: è segno che hanno delle idee o che sono buone, perché soltanto i cattivi e gli imbecilli non perdono mai la loro presenza di spirito (Charles-Joseph de Ligne). Resta in eterno. L’erba si secca, il fiore cade, ma la parola del Signore resta in eterno (San Pietro). Un verso-preghiera. Insegnaci a superare la nostra follia (Wystan Hugh Auden).

Vinci te stesso invece di condannarti. Il metodo da seguire dovrebbe essere vincerti invece di condannarti. Infatti il disgusto per se stessi uccide il coraggio e la virilità, innervosisce e spinge l’animo a compiacersi del proprio snervamento. Se la vita fosse deserta di bellezza. Privi della bellezza, Signore, quanto saremmo miseri! Mediante lei tutto in noi si rinnova: facoltà sensibili, immaginazione, sentimento, intelletto, volere tornano insieme, come le ossa inaridite al comando del profeta, e si ricostituiscono in una forza unica. (Henri-Frédéric Amiel)

NON ARROSSIRE DI ESSERE TENERI. Non bisogna arrossire né scusarsi di essere teneri: è un onore di cui essere fieri, è una grazia da diffondere, perché dove non c’è tenerezza, non si dà né si riceve gioia. So bene che si può abusare del proprio cuore, si può guastare il proprio corpo e la propria anima in tenerezze debilitanti e sterili. Avviene della tenerezza umana come di tutte le cose belle: deve essere padrona di se stessa a liberarsi dei suoi veli, come il sole del mattino che esce dalle foschie dell’alba. Si sbaglia perciò a ridere di questo termine e di quella cosa che è l’affetto. Alcuni, purtroppo, hanno creduto di escludere la tenerezza dall’ideale di perfezione cristiana, ma così facendo hanno falsificato la personalità stessa di Cristo e il suo messaggio. Henri De Lubac trovò sull’argomento un’annotazione illuminante di un gesuita francese e la trascrisse sulla sua Memoria intorno alla mia opera: «Si può forse pensare che il cuore degli apostoli non abbia traboccato di tenerezza? Si rileggano le lettere di San Paolo o quel meraviglioso passo degli Atti che racconta l’addio del santo ai suoi fedeli di Efeso: scendono le lacrime dagli occhi della gente e dell’apostolo che non si rivedranno più quaggiù. Si meditino soprattutto gli accenti profondi, il ritmo ardente di Paolo che scrive ai suoi fedeli, che ha generato nel Cristo e che sono i suoi figli. Certamente, la tenerezza presenta i suoi pericoli, ma il modo di rimediarvi non è quello di cacciarla: bisogna solo educarla. Invece di distruggere le simpatie, bisogna tendere a universalizzarle… Se non c’è amore senza tenerezza, non c’è nemmeno tenerezza senza fortezza né purezza. Il vino annacquato perde la sua qualità, il suo vigore e il suo aroma, però il vino torbido e acido non è più vino. È meglio l’acqua».

DI FRONTE ALLA MINACCIA DEL FONDAMENTALISMO. «Occorre essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici; dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti: è meglio rinunciare alle loro verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate» (Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino 1947).

L’ANGOLO DI SENECA. Perché affaticarci tanto? Perché affaticarci tanto, dimenticando l’umana fragilità? L’ultimo giorno, se non è già quest’oggi, è in ogni caso vicino (Ad Luc. 15, 11). Preoccupiamoci di vivere bene. Nessuno cerca di vivere bene, tutti si preoccupano di vivere a lungo. Tutti, invece, hanno la possibilità di vivere bene, nessuno di vivere a lungo (Ad Luc. 22, 17). La vita buona. Non il vivere è buona cosa, ma il vivere bene (Ad Luc. 70, 4). Come una commedia, così una vita. Come una commedia, così una vita: non importa quanto a lungo duri, ma che sia ben rappresentata (Ad Luc. 77, 20).

3 febbraio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il canto colmerà l’abisso. Anche se mai la Nube si scioglierà / e nessuno mai a occhio nudo / ti potrà vedere, / ti raggiunga il canto del cuore, / il canto colmerà l’abisso. È la Notte la mia luce e la mia gioia / vera fede è il non conoscerti / sapere solo che Tu mi conosci / fa di me la mia essenza (David M. Turoldo). I cinque paradossi della modernità. I cinque paradossi della modernità sono: 1) la superstizione del nuovo; 2) la religione del futuro; 3) la mania teoretica; 4) il richiamo alla cultura di massa; 5) la passione del rinnegamento (Antoine Compagnon). Disprezzare i filosofi che fanno i tuttologi. Io non rispondo a certe questioni per il semplice motivo che non le ho ancora studiate. È un atto di elementare probità da parte del filosofo (Henri Bergson). Essere parte che non prevarica. Occorre dunque aderire al disegno, / obbedire con fierezza, / essere eroicamente parte che non prevarica. La poesia. È scritta / col fuoco della mente, / con l’angoscia dentro il cuore, / col silenzio della voce. (Maurizio Cucchi)

L’UTOPIA NECESSARIA: UN ALTRO MODO DI ESSERE IN POLITICA. Se consideriamo che tra i primi articoli scritti da Sturzo al suo rientro in Italia, ce n’è uno, comparso su L’Italia (Milano, 3 novembre 1946), che reca questo titolo ammonitore: Moralizziamo la vita pubblica, non possiamo non rimanere sorpresi. Non c’erano ancora gli scandali, che oggi conosciamo, niente che potesse assomigliare a quella piaga di Tangentopoli rivelatasi in questi anni, tuttavia Sturzo era convinto che il problema principale di una democrazia moderna fosse di difendersi non solo dal pericolo dell’inquinamento della vita pubblica, ma anche da quello della «insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare dell’immoralità nell’amministrazione dello Stato» attraverso partiti, sindacati, cooperative, enti assistenziali e simili.

Sturzo avvertiva nell’aria i sintomi della malattia, che come fiume sotterraneo incominciava a correre nelle fibre della nostra società. «C’è tanta corruzione in giro, ci sono tanti appetiti ai danni dello Stato, che non si ha più il senso della misura, né il pudore di richiedere quello che è semplicemente giusto. Se non si mette una barriera in nome di principi saldi, sarà impossibile farvi argine». Nel concetto di moralità pubblica Sturzo comprendeva una gamma di infrazioni e reati che andavano molto più in là dello sperpero del denaro, delle malversazioni e dei peculati. Il catalogo degli atti di immoralità pubblica da lui redatto merita di essere letto per la sua attualità, anche se, si badi bene, reca la data del 3 novembre 1946. «Applicare sistemi fiscali ingiusti o vessatori è immoralità; dare impieghi di Stato o di altri enti pubblici a persone incompetenti è immoralità; aumentare posti d’impiego senza necessità è immoralità; abusare della propria influenza o del proprio posto di consigliere, deputato, ministro, dirigente sindacale, nell’amministrazione della giustizia civile o penale, nell’esame dei concorsi pubblici, nelle assegnazioni di appalti o alterarne le decisioni, è immoralità».

Gabriele De Rosa ha voluto ricordare il 22 gennaio 1994 ai fondatori del secondo Partito Popolare il ruolo e l’esempio di Luigi Sturzo, richiamando l’utopia del piccolo, grande prete di Caltagirone. Utopia che consiste propriamente non in un elenco di cose che avrebbero potuto farsi e che non si sono fatte, ma in un altro modo di essere in politica. Un fare politica attraverso la più umana pregiudiziale, quella morale, suscitando in sé e negli altri il senso dello Stato, il rispetto delle leggi in attesa di averne di migliori, la responsabilità esercitata a tutti i livelli.

SULLE BRIGATE ROSSE UNA DOMANDA SENZA RISPOSTA. Negli anni dominati dal terrorismo rosso, e poi in seguito, mi sono chiesto più volte: i brigatisti pretendono di essere i giustizieri del popolo, ma non hanno eliminato e neppure gambizzato uno solo dei criminali o dei super-corrotti che dominano la scena politica. Come si può spiegare tutto ciò? Hanno colpito, invece, decine e decine di professori, giornalisti, giudici che avevano la passione della libertà. Hanno ucciso vigliaccamente i Bachelet, i Taliercio, i Tobagi, i Moro.

L’ANGOLO DI SENECA. Il viaggio e la vita. Un viaggio è incompiuto se ti fermi a metà strada o comunque prima di arrivare a destinazione. La vita, invece, non è mai incompiuta, se onesta (Ad Luc. 77, 4). Ognuno muore ogni giorno. C’è veramente qualcuno che dia il giusto valore al suo tempo e alla sua giornata? Chi si rende conto di morire in un certo senso ogni giorno? (Ad Luc. 1, 2). Lo sperpero più vergognoso. Del tempo una parte ci viene strappata, una parte trafugata, una parte va dispersa. Tuttavia lo sperpero più vergognoso è quello che si fa per negligenza (Ad Luc. 1, 1).

10 febbraio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Bibbia e letteratura. Se la Bibbia provoca la letteratura, soprattutto occidentale, la letteratura offre una sua ermeneutica alla Bibbia (Gianfranco Ravasi). Ardente desiderio o profezia? La conoscenza di Dio riempirà la terra come l’acqua ricopre il letto degli oceani (Libro di Isaia). Cadrà il muro d’ombra. Quando il peso mi sarà leggero / il naufragio concedimi, Signore / di quel giovane giorno al primo grido (Giuseppe Ungaretti). Economisti, ma non solo. Non si è buoni economisti se si è soltanto economisti (John Stuart Mill). La malattia dell’Occidente oggi. L’Occidente non vuol capire che è venuto il tempo del sacrificio. L’Occidente non è pronto al sacrificio, senza il quale i vantaggi apparenti di oggi si tramuteranno in una rovina totale (Aleksandr Solzenicyn).

Filosofia e precisione. La filosofia è una ricerca il cui metodo differisce per certi aspetti dalla scienza positiva, ma è suscettibile della stessa precisione. Né paura, né abuso delle riforme. Bisogna guardarsi tanto dal rifiuto delle riforme quanto dal loro abuso. L’abuso è più raro, ma è anche più pericoloso. (Henri Bergson)

COSÌ NON SAPPIAMO MAI COME VANNO A FINIRE LE COSE. «Tempo fa a Cortina d’Ampezzo Alberto Tomba, dimenticando di non essere carabiniere vero ma solo un carabiniere sciatore, usò un lampeggiatore sul tetto della sua macchina privata e superò una fila di auto lunga una decina di chilometri solo per fare il ganzo con la sua bella. Il campione la bravata l’ha fatta, ma poi qualcuno lo ha punito? E qualcuno sa quali risultati ha ottenuto la mini rivolta detta anche Jurassic School? Si è sciolta per pigrizia degli studenti o per il loro senso di responsabilità con l’avvicinarsi della fine del quadrimestre? Infine, sarà mai pubblicato un resoconto preciso della nota vicenda dei rimborsi spese gonfiati da alcuni giornalisti della Rai? A volte si ha l’impressione che i quotidiani garantiscano un’informazione di sola andata. Si dà la notizia e poi la si abbandona al suo destino, facendola travolgere da altre notizie più fresche. Ecco un gadget che i quotidiani potrebbero regalare ai loro lettori: il riassunto delle puntate precedenti. Basterebbe una rubrichetta, quattro righe, in cui la memoria dei cittadini italiani potesse essere sollecitata a ricordare e a vedere come vanno a finire le cose». (Claudio Sabelli Fioretti in Sette, supplemento al Corriere della Sera, del 27 gennaio 1994).

I regimi falsamente pluralistici si comportano proprio così: le notizie che non si riesce a bloccare, bisogna non censurarle una volta pubblicate, ma farle sparire dalla circolazione, annegandole nel mare di altre notizie. In questo modo nell’ultimo quindicennio in Italia si è coniugato il diritto all’informazione, sia pure di «sola andata», e diffusa la prassi dell’impunità.

MORALE E POLITICA. «Ogni mancanza alla parola data, ogni cinismo nel condurre gli affari dello Stato distruggono il fondamento sul quale poggia il contratto sociale. Come il figlio che vede suo padre tradire nella vita quotidiana i principi morali che questi gli inculca si rivolterà contro di lui e contro i valori che egli predica, così allo stesso modo il cittadino non si sentirà per nulla vincolato ai dettami morali professati da governanti che non agiscono in conformità agli stessi principi che raccomandano. Non si tratta affatto di una visione utopistica; si può facilmente vedere che cosa succede nelle nazioni nelle quali la verità ufficiale è molto lontana dalla situazione reale. Tutto crolla rovinosamente, perché la parola dei governanti non ha più credibilità». (La religione degli europei, Torino 1993).

Questa riflessione è di Réné Samuel Sirat, presidente del Consiglio permanente della Conferenza dei rabbini europei, e per noi italiani, che misuriamo oggi il baratro in cui ci ha gettato il divorzio fra morale e politica, ha il significato di un «memento».

L’ANGOLO DI SENECA. Quando una vita è piena. Che tu viva a lungo, non dipende da te; spetta a te, invece, vivere pienamente tutto il tempo che ti è stato assegnato. La vita è lunga, se è piena; ed è piena, quando l’anima prende possesso del bene che le spetta ed esercita una incontrastata signoria su di sé (Ad Luc. 93, 2). Come se fosse l’ultimo. Ogni giorno è una tappa della vita e va programmato come se chiudesse la serie, come fosse quello che conduce al termine la nostra esistenza e ne segna il compimento (Ad Luc. 12, 6 e 8).

17 febbraio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Viva il principio di non contraddizione! Per la contradizion che nol consente (Dante Alighieri, Inferno, 27, 120). Invito al colloquio confidente. Convienti ancor sedere un poco a mensa (Paradiso, 5, 37). La cultura è anche aver assimilato e non solo capire... non fa scienza, / sanza lo ritenere, avere inteso (Paradiso, 5, 41-42). Sappi guardare con la mente attraverso gli occhi. Ficca di retro a li occhi tuoi la mente (Paradiso, 21, 16). Contro l’oblio interessato e la confusione tra bene e male. Assolver non si può chi non si pente (Inferno, 27, 118).

PARTITOCRAZIA = STATALISMO = REGIME DI CORRUZIONE. Sturzo dal 1952 al 1959, anno della sua scomparsa, scrisse ben 216 interventi sul Giornale d’Italia per mettere sull’avviso, attraverso la denuncia di situazioni concrete, quelli che pure si chiamavano suoi discepoli, ma erano incamminati a costruire uno Stato che, per ironia della sorte, sempre più veniva a somigliare a quello degli aborriti regimi comunisti (burocraticismo, mafia della mano pubblica sull’economia, strozzatura della libertà di mercato, moltiplicarsi del debito pubblico). Quegli articoli ora sono stati raccolti in due volumi dall’editrice Palma Mazzone di Palermo con il titolo, quanto mai pertinente, Battaglie per la libertà.

L’intervento del 19 marzo 1954, Democrazia e partitocrazia, andrebbe letto tutto per intero e rapportato alla vita politica di oggi. Sturzo difende la democrazia e critica chi ritiene che la partitocrazia sia intimamente connessa alla democrazia. Osserva, infatti, che «fra partiti e partitocrazia corre la stessa differenza che fra Parlamento e parlamentarismo, fra democrazia e democratismo, cioè fra struttura sana e struttura ammalata; fra andamento esatto e andamento disordinato; tra funzionamento morale e disfunzione». La prima accusa che egli muove ai partiti è di non osservare i limiti della propria finalità invadendo di continuo il campo dell’Amministrazione, del Parlamento e del Governo. Il regime partitocratico, infatti, nasce proprio dalla volontà di non rispettare le distinte competenze degli altri organi dello Stato e di mettere le mani su tutto, svuotando così la democrazia della sua stessa sostanza.

Il compito dei partiti, il cui corretto funzionamento in politica è necessario per evitare il qualunquismo o l’assolutismo, Sturzo lo sintetizza così: «Il compito specifico dei partiti politici in democrazia è quello di organizzare il corpo elettorale; prepararlo ed educarlo alla vita pubblica; fare da intermediario tra l’amministrazione e il cittadino; aiutarlo nella difesa dei propri diritti; indurlo allo scrupoloso adempimento dei doveri pubblici; correggerne l’istinto demagogico e indirizzare al servizio pubblico l’impulsiva passionalità delle masse».

L’ANGOLO DI SENECA. Il tempo che sprechiamo. Nessuno fa stima del tempo, tutti ne usano con incredibile prodigalità come se non costasse nulla. Gli uomini danno il loro tempo senza rendersene conto. Lo danno in maniera da toglierlo a se stessi senza per questo giovare agli altri (De brevitate vitae 8, 2 e 4 passi). Il tempo perduto. Gl’indaffarati dimenticano il passato, non colgono il valore del presente, temono il futuro. Quando arrivano al termine della loro vita, troppo tardi quei disgraziati si accorgono di essere stati così a lungo occupati senza far nulla (Brev. 16, 1). L’impiego attento del momento presente. Quello che si è perduto può essere riguadagnato con un impiego attento del momento presente. Il pensare a compiere cose rette è la miglior garanzia di ravvedimento (Naturales quaestiones III praef., 3).

24 febbraio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Avanguardia e mercato. Da sempre in pubblico han litigato, / ma poi fanno coppia fissa / avanguardia e mercato (Levi Appulo). I due grandi enigmi. La femminilità e la morte sono i due più grandi enigmi della cultura occidentale (Sigmund Freud). La dimensione religiosa. Come il lichene su un suolo roccioso, la dimensione religiosa dispone di ogni latitudine per svilupparsi, nonostante gli elementi ambientali sfavorevoli (Emile Poulat). Il piacere di lagnarsi. Tanto diletto / dà il lagnarsi / che per farne un lamento, / vorrebbe ognuno avere un suo tormento (Calderòn de la Barca). Non guardare la vita in cagnesco. Il torto è guardare la vita in cagnesco, invece di reagire per cancellare l’irritazione e per trionfare sugli ostacoli. La sfortuna è la disperazione; l’errore è il rilassamento della volontà; la causa della debolezza è l’infermità della fede, la scomparsa di un punto d’appoggio. E tutto questo ha una stessa causa: l’affievolirsi del fuoco divino, il torpore della coscienza, la perdita di Dio (Henri-Frédéric Amiel).

L’ASPIRAZIONE POPOLARE PIÙ FORTE. «Una parola moralizzare la vita pubblica! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri, non oggi; non da noi, non dai nostri vicini; non dai Paesi lontani. Eppure è questa l’aspirazione popolare: giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello Stato di diritto se non quella di uno Stato nel quale la legge prende il posto dell’arbitrio, l’osservanza della legge sopprime l’abuso, la malversazione e la sopraffazione non restano impunite? Bene, continua Sturzo, facciamo come si fa nelle case: in primavera e in autunno pulizia generale! Si rivedono tutti gli angoli, si spolverano tutti i mobili, si buttano via stracci e carte inutili: pulizia ci vuole! È vero, ci sporchiamo le mani; ma c’è l’acqua e il sapone a ripulirle più volte… Noi vogliamo che lo Stato, come ente responsabile della pubblica amministrazione, pur facendo valere le proprie benemerenze, riveda le sue colpe e si emendi: in primo luogo giustizia, fundamentum regni, onestà, correttezza della pubblica amministrazione, equità politica verso i cittadini».

PERCHÉ LO STATO VIVA DEVE MORIRE LO STATALISMO. La stessa opposizione insanabile che esiste fra democrazia e partitocrazia c’è fra Stato e statalismo «Il primo, scrive Sturzo, è ordine necessario al vivere civile; il secondo, distruttore di ogni ordine istituzionale e di ogni morale amministrativa… Pertanto statalismo è disordine, disarmonia, sopraffazione, violazione della personalità umana, rottura dell’organismo statale. Lo statalismo non è per lo Stato, ma è contro lo Stato. Se non ci intendiamo sul significato e l’uso dei vocaboli, saremo condannati alla disgregazione sociale, della quale fu simbolo la torre di Babele, per via della confusione delle lingue». I brani di Sturzo qui riportati sono tratti dai due volumi Battaglie per la libertà.

L’ANGOLO DI SENECA. Siamo noi ad abbreviare la vita. No, non abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto. Ci è stata concessa una vita abbastanza lunga, sufficiente al conseguimento degli ideali supremi, purché la sappiamo impegnare come si deve. Invece, dopo che l’abbiamo lasciata trascorrere nel lusso o nell’ignavia, dopo che non l’abbiamo impegnata in nessuna impresa degna, quando, alla fine, si presenta la necessità ineluttabile, ci accorgiamo che è passata senza che ne avvertissimo il trascorrere. È così: la vita non l’abbiamo ricevuta breve, ma l’abbiamo fatta diventare tale, ed in ciò non siamo dei poveri, ma degli sciuponi (De brevitate vitae 1, 3-4). Modi diversi di sprecare la vita. Perché ci lamentiamo della natura? Con noi, è stata generosa: la vita, se la sai utilizzare, è lunga. Ma ecco, uno è prigioniero di un’avarizia insaziabile; un altro si perde in attività superflue; c’è chi è fradicio di vino e chi intorpidito dall’inerzia; questo è spossato da un’ambizione sempre preoccupata dei giudizi altrui, quello si fa condurre per tutte le terre e tutti i mari della frettolosa passione per il commercio e dalla speranza di guadagno. Certuni sono sempre intenti a procurare pericolo agli altri o sono assillati per i pericoli propri; c’è anche chi si logora di volontaria schiavitù nell’ingrato ossequio a chi sta in alto. Molti poi sono presi dalla passione per la bellezza altrui o dal pensiero della propria. I più, però, non hanno propositi ben definiti e si lasciano sballottare dalla loro irriflessività vagabonda, incostante e sempre insoddisfatta. Ci sono, infatti, anche quelli che non scelgono mai una direzione di marcia, la morte li sorprende tra gli sbadigli, disfatti dalla noia (Brev. 2, l-2).

3 marzo 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Sapersi accontentare. Stolti sono coloro che non sanno che spesso la metà vale più del tutto. Rivalità naturale. Il vasaio ce l’ha con il vasaio, l’artigiano con l’artigiano, il poeta con il poeta. Prima deve rompersi il muso. Lo stolto impara solo soffrendo. Chi prepara mali agli altri. Prepara mali a se stesso chi prepara mali agli altri: spesso i cattivi consigli si rivelano pessimi per chi li dà. Ciò che è bello e ciò che è penoso. Tanto è bello poter approfittare di ciò che si ha, tanto è penoso aver bisogno di ciò che non si ha. Poche parole, ma buone. Una lingua parca di parole è un grande tesoro per gli uomini. Il giusto momento. In ogni situazione la cosa più importante è la scelta del giusto momento. (Esiodo)

Non solo confidarsi, ma rallegrare. Quando incontri un amico, dimentica le tue disgrazie (Appio Claudio Cieco). Il peccato d’origine. Le cose malamente acquistate, devono svanire malamente (Nevio). È prossimo a noi in senso stretto. Sii un buon vicino per il tuo vicino. Di fronte alla morte. Non teme la morte chi sa disprezzare la vita. Le cose da dire e il come. Abbi ben chiare le cose da dire e le parole verranno. (Marco Porcio Catone, detto il Censore)

L’arte della vita. L’arte della vita sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere. Nulla è più difficile. Nulla è più difficile che condurre un uomo alla propria felicità. In Leonardo come in Goethe. In Leonardo come in Goethe è l’amore il mistero che sta alla base di tutte le cose. Dietro ogni pensiero alberga uno struggente desiderio di abbracciare il mondo intero, di attirarlo a sé nella comprensione dell’amore, desiderio che arde fin nella fase più piccola, nelle singole parole, cui conferisce colore e vita, come una forza elettrica. È sempre una cosa sacra e miracolosa. L’esistenza di un uomo puro e generoso è sempre una cosa sacra e miracolosa, da cui si sprigionano forze inaudite che operano anche in lontananza. (Hermann Hesse)

CHE FARE DEGLI EX DEPUTATI E DEGLI EX SENATORI? Già con la designazione dei candidati il 21 febbraio e ancora più con il voto del 27-28 marzo prossimo molti deputati e senatori resteranno a casa. Quanti tra loro hanno gravemente demeritato e hanno violato le leggi, tradendo gli ideali professati e la fiducia degli elettori, sarà bene che saldino al più presto i conti aperti con la giustizia, sia restituendo il mal tolto, sia meditando per il tempo strettamente necessario in qualche cella. E gli altri, quelli che, sia pure tra comprensibili resistenze e compromessi, hanno cercato di fare con onestà la loro parte in un Parlamento sempre più moralmente e politicamente delegittimato? Ad essi va il rispetto che è sempre dovuto a chi esce di scena al momento giusto senza recriminare e senza elemosinare, spesso proprio dagli avversari di ieri, una qualche poltrona. Quando si chiude un’epoca, bisogna prender atto di ciò di cui è giunta l’ora e ridefinire il proprio ruolo e le proprie responsabilità.

A quanti non siederanno più alla Camera o al Senato la gente chiede poche cose, ma non eludibili.

1) Tornino ai loro posti di lavoro, alle loro professioni con semplicità, senza ridicole nostalgie e senza complessi, e se ciò non fosse più di loro gradimento, si godano la liquidazione e la pensione a cui hanno diritto e che non è certo di fame.

2) Rompano comunque d’ora in poi con la vecchia, insopportabile, stomachevole, perversa logica partitocratica di procacciarsi, quasi fosse un compenso dovuto, nuove prebende e nomine lautamente retribuite in enti pubblici, banche, carrozzoni Rai, società autostradali ecc. ecc.

3) Se gli ex-deputati e gli ex-senatori amano veramente il loro Paese, e ogni autentico amore non è mai mercenario, ebbene mettano senza indugio la loro competenza e il loro impegno a servizio degli altri, senza percepire emolumenti di sorta sotto qualsiasi forma. Molti cittadini, giovani e non più giovani, da anni lavorano con dedizione gratuitamente nei più diversi settori per rendere più abitabile quell’angolo del mondo in cui sono chiamati a operare in concreto. È questo un onore che, grazie a Dio, non sarà certamente negato ai reduci delle aule parlamentari.

4) Infine un’ultima preghiera solo in apparenza di poco conto. Il mandato parlamentare non è una qualifica che si riceve sub specie aeterni: quindi anche il titolo di onorevole e di senatore deve realmente cessare di essere usato quando non si esercita più la funzione corrispettiva. Anche questo è un modo semplice e significativo per finirla di credere o di lasciar credere ciò che non si è, comunque per rifiutare adulazioni servili e spagnolismi sempre duri a morire.

L’ANGOLO DI SENECA. Il rinviare ostacolo al vivere. Il peggiore ostacolo al vivere è il rinviare, che è condizionato dal domani e frattanto perde ciò che è nell’oggi. Tu ti dai premura di disporre del tempo che è nelle mani della fortuna, ed intanto lasci perdere quello che è in mano tua. Dove guardi? A che tendi? Tutto quello che ha da venire giace nell’incertezza: decidi, dunque, di vivere subito (Brev. 9, 1).

10 marzo 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Quando la parola è dolce indizio di affetto. Ogni tuo dir d’amore m’è caro cenno (Dante Alighieri, Purgatorio 22, 27). Le parole che ogni educatore vorrebbe pronunciare. Non aspettar mio dir più né mio cenno; / libero, dritto e sano è tuo arbitrio, / e fallo fòra (= sarebbe) non fare a suo senno (= non operare secondo i tuoi intenti): / per ch’io sovra te corono e mitrio (= perciò io ti proclamo unico signore di te stesso (Purgatorio 27, 139-182).

Stoltezza e avidità. Stolto è chi rinuncia ai beni che ha già, nella speranza di ottenerne di maggiori. Se sparlano degli amici di ieri… Non dobbiamo fidarci delle persone con cui stringiamo amicizia e che mostrano di preferirci ai loro vecchi amici, perché si comporteranno così anche con noi non appena ne incontreranno altri nuovi. Prevedere il brutto tempo. Nessuno deve pensare che, nel corso della vita, tutto debba sempre andargli bene, perché la sorte è volubile: e dopo un lungo periodo di sereno è inevitabile che venga il brutto tempo. Se il momento è inopportuno. Fatta in un momento inopportuno la cosa più bella suscita biasimo. Non lusingare mai chi è malvagio. Se viene lusingata, la malvagità diventa ancora più temibile. (Esopo)

I DOVERI DELL’INFORMAZIONE PUBBLICA SONO SUPERIORI. «Nessun giro di parole e nessun anatema lanciato da questo o quel bonzo dell’informazione di Stato, possono oscurare il fatto che i doveri dell’informazione pubblica sono sicuramente superiori a quelli dell’informazione privata: posso infatti scegliere di non finanziare un giornale la cui linea politica non mi piace evitando, semplicemente, di comprarlo e danneggio, in termini di ritorni pubblicitari, una televisione privata la cui posizione politica disapprovo se, insieme a molti altri cittadini, smetto di guardarla, ma non posso, comunque, mi piaccia o no, che io la guardi o no, evitare di finanziare la televisione pubblica. Ed ecco perché a quest’ultima competono (sempre, non soltanto durante le campagne elettorali) particolari doveri di imparzialità e di correttezza. Non so come usciremo dal pasticcio attuale di una comunicazione (non solo) televisiva così spasmodicamente “abbarbicata alla politica”, ma so che dovremmo uscirne» (Angelo Panebianco, Corriere della Sera, 21 febbraio 1994).

L’ONDATA DA CUI NON DOBBIAMO LASCIARCI SOMMERGERE. Ricevo da Torino un biglietto che riporto perché fotografa molto bene il clima di queste settimane. «Carissimo professor Perrini, resto a disposizione della sua iniziativa, magari sul tema “Nuovo regionalismo e unità nazionale”, quando si sarà placata l’ondata di volgarità pre-elettorale. Suo Piero Gastaldo».

PREGHIERA DI UN CIECO. Dio Bellezza, donami la pace! / Della tua grande potenza / io non sperimentai che le tenebre. / Fammi dono della tua grazia, / fa’ che io veda te / ininterrottamente! (Egitto, XIX dinastia, 1304-1184 a.C. Dal volume Preghiere dell’umanità di Pierre Miquel e Matteo Perrini, Brescia 1993).

SI PUÒ VIVERE LA MORTE? Vivere la morte è certamente una contraddizione nei termini, se per morte s’intende il decesso: perché questo interviene quando la vita finisce ed è un fatto constatabile solo per un altro, non per chi lo subisce. Ma se per morte si intende possibilità della morte, si vede subito che l’esperienza della morte accompagna e condiziona tutta la vita (Nicola Abbagnano, 1901-1990, La Stampa, 1 febbraio 1966).

L’ANGOLO DI SENECA. Questo viaggio celerissimo… Quando la vecchiaia li coglie, gli affaccendati hanno ancora una mentalità infantile. Non si sono preparati e sono inermi di fronte ad essa. Ci son caduti tutt’ad un tratto senza accorgersene, giacché non percepivano il suo avvicinarsi giorno dopo giorno. Così come chi, durante un viaggio, discorre con qualcuno, o legge, o è assorto nel pensiero di qualcosa d’importante: ed ecco, è già arrivato a destinazione e non s’era neppure accorto che la méta stava avvicinandosi. Questo viaggio continuo e celerissimo della vita dalle persone soverchiamente occupate non è avvertito se non nel momento in cui finisce (Brev. 9, 4-5). Dolce infanzia. I figli già cresciuti possono esserci più utili, ma era più dolce la loro infanzia (Ad Luc. 9, 7). A una certa età è doveroso fare i bagagli. Se puoi, liberati con le buone dalle attività che ti tengono occupato; altrimenti lasciale tu una volta per sempre. Abbiamo già sciupato molto tempo. Cominciamo a fare i bagagli, ora che siamo entrati nelle vecchiaia. Qualcuno avrà qualcosa da dire? Siamo vissuti fra i rischi del mare aperto, moriremo in porto (Ad Luc. 19, l-2).

24 marzo 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Nella luce senza tramonto. Lassù di sopra, in la vita serena (Dante Alighieri, Inferno 15, 49). C’è vita morale perché l’uomo è capace di scegliere. Poniam che di necessitate / surga ogni amor che dentro a voi s’accende, / di ritenerlo è in voi la potestate (Purgatorio 18, 69-72). La sapienza creatrice. Colui lo cui saver tutto trascende (Inferno 7, 73). Quando la parola esprime la letizia del cuore. M’avea parlato sorridendo (Paradiso XI, 17).

L’illusione e l’infelicità. Abbiamo finito col credere che tutto sia come la scienza e la tecnica, dove il progresso è infinito, e invece in politica e in economia non c’è progresso infinito. Le merci non possono produrre offerte a ripetizione, né tanto meno felicità. Abbiamo trasformato il lusso in una necessità: siamo forse per questo felici? (Christopher Lasch). Che cos’è la rivoluzione? Un delirio inspiegabile, un impeto cieco, un disprezzo scandaloso di quanto c’è di rispettabile fra gli uomini: un’atrocità di nuovo tipo che non prende sul serio i propri fallimenti; una prostituzione impudente della ragione e di tutte le parole nate per esprimere le idee di giustizia e di virtù (Joseph de Maistre).

L’uscita dal comunismo. Ci sono voluti 75 anni in Russia per cadere così in basso, ce ne vorranno 150 per risollevarla. Un passaggio sereno. Non ho paura di morire. Sarà un passaggio sereno. Come cristiano, so che la morte è solo uno stadio, qualcuno potrebbe dire persino una liberazione. (Aleksandr Solzenicyn)

IL PARADOSSO CHE SCUOTE E CAMBIA LA VITA. La morale del Vangelo è essenzialmente quella dell’anima aperta; eppure, non rasenta essa il paradosso, e persino la contraddizione, nelle sue raccomandazioni più precise? Se la ricchezza è un male, non nuoceremo ai poveri abbandonando loro ciò che possediamo? Se colui che ha ricevuto uno schiaffo porge l’altra guancia, che cosa diventa la giustizia, senza la quale peraltro non c’è carità? Ma il paradosso cade e la contraddizione svanisce, se si considera l’intenzione di queste massime, che è di creare uno stato d’animo. Non solo per soccorrere i poveri, ma in primo luogo per se stesso, per non sprecare la sua vita, il ricco deve essere interiormente libero di fronte alla ricchezza; quale che sia il ceto a cui appartiene, beato è chi è povero «in spirito». Quello che è bello, dunque, non è essere privato di qualcosa e neanche privarsi; è non sentire la privazione.

L’atto col quale l’anima si apre ha l’effetto di allargare e di innalzare alla pura spiritualità una morale che diversamente sarebbe imprigionata e materializzata in formule. Questo è il senso profondo delle opposizioni che si succedono nel Discorso della Montagna: «Vi è stato detto che… Ma io vi dico che…». Da una parte il chiuso, dall’altra l’aperto. La legge morale in vigore, sia ben chiaro, non è abolita, bensì vista come una tappa lungo un itinerario progressivo. Non si rinuncia all’antico metodo, ma lo si integra in uno più ampio e profondo, in cui l’elemento dinamico riassorbe in sé quello statico e l’uomo accetta di farsi collaboratore di Dio.

UN ESEMPIO DI «ANTILINGUA». Il brigadiere – ha scritto in una celebre pagina Italo Calvino – è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Impassibile il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per seguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara di essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante». (Italo Calvino, Per ora sommersi dall’antilingua, in Aa. Vv., La nuova questione della lingua, Bari 1969).

L’ANGOLO DI SENECA. Il tempo sfugge. Inafferrabile è la condizione della vita e il tempo fugge alla nostra presa (Naturales quaestiones VI, 32, 11). Il tempo guarisce. Qualunque sia la causa della tua agitazione, dà a te stesso tempo e spazio. Spesso il tempo risana le piaghe che la ragione non può risanare (Agamemnon 1, 129-130). Memori della brevità del tempo. La pace senza affanni appartiene a quei pochi che, memori della brevità della vita, utilizzano il tempo che non tornerà mai più (Hercules furens 1, 174-177).

31 marzo 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Oltre ogni misura, oltre ciò che può esser detto. Quello infinito ed ineffabil Bene (Dante Alighieri, Purgatorio 15, 67). Quando una personalità superiore desta in noi una vita più alta. Virgilio inverso me queste cotali / parole usò; e mai non furo strenne / che fosser di piacere a queste iguali. / Tanto voler sopra voler mi venne / de l’esser su, ch’ad ogni passo poi / al volo mi sentia crescer le penne (Purgatorio 27, 118-123).

Miele e fiele. L’amore è fecondo di molto miele e di molto fiele. Il gheriglio e la noce. Chi vuol mangiare il gheriglio della noce, deve prima rompere la noce. Decisione nell’agire. Quando fai qualcosa, fallo. La serenità e il male. Nelle avversità, un animo sereno riduce il male a metà. Meglio sapere. Un male noto è meglio di uno sconosciuto. Ci son testi e testi. Un solo teste oculare vale molto di più di dieci testi auricolari. (Tito Maccio Plauto)

Tipico dell’infanzia. Quanto più seria, pura e rispettosa sarebbe la vita di molti uomini se potessero conservare, oltre la giovinezza, anche quel cercare, quel chiedere il nome delle cose, tipico dell’infanzia! Che cos’è l’arcobaleno? Perché il vento geme? Perché i prati appassiscono e perché rifioriscono, da dove viene il vento, da dove la neve? Perché noi siamo ricchi e il vicino Spengler povero? Dove va il sole, la sera? (Hermann Hesse).

LA NOTTE DI FUOCO DI PASCAL. La sera del 23 novembre 1654, mentre legge la Bibbia e prega, Pascal per due ore sperimenta la gioia trasfigurante dell’unione con Dio e la luminosa certezza di voler camminare «per le vie insegnate nel Vangelo». Egli ne fissa, con mano febbrile, su un foglio il ricordo per sé soltanto, attraverso l’incalzare di espressioni bibliche di straordinaria sinteticità e forza. Quel testo Pascal poi lo ricopiò fedelmente su pergamena. Per otto anni, da quella notte di fuoco alla notte del 19 agosto del 1662 in cui spirò, Pascal cucì di volta in volta nella fodera della giacca che indossava il foglio originario ripiegato con cura nella pergamena. La scoperta fu fatta casualmente pochi giorni dopo la morte, da un domestico. La pergamena è andata perduta (essa, però, era stata riprodotta nei minimi dettagli dal nipote di Pascal, Louise Périer); si conserva, invece, il foglio di carta su cui Pascal tracciò i pensieri che Dio gli ispirò e la nostra traduzione ne rispetta la disposizione. Il documento-preghiera che qui riportiamo fu ben presto designato col termine Mémorial perché l’autore lo aveva scritto solo per sé e lo aveva custodito con grande cura allo scopo di conservare la «memoria» di un evento che egli voleva sempre presente ai suoi occhi e al suo cuore.

IL MEMORIALE. L’ANNO DI GRAZIA 1654. Lunedì 23 novembre, giorno di S. Clemente papa e martire / e di altri nel martirologio. / Vigilia di S. Grisogono martire, e d’altri. / Da circa le ore dieci e mezzo della sera, fino / a circa mezzanotte e mezzo. / FUOCO. / Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, / non dei Filosofi e dei sapienti. / Certezza, Certezza. Sentimento, Gioia, Pace. / Dio di Gesù Cristo. / Deum meum et Deum vestrum. / Il Dio tuo sarà il mio Dio. / Oblio del mondo e di tutto, fuorché di Dio. / Non si trova che per le vie insegnate nel Vangelo. / Grandezza dell’anima umana. / Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto. / Gioia, Gioia, Gioia, lacrime di gioia. / Io me ne sono separato. / Dereliquerunt me fontem acquae vivae. / «Mio Dio, mi abbandonerete voi?» / Che io non ne sia separato eternamente. / Questa è la vita eterna, che riconoscano te solo vero / Dio, e colui che tu hai mandato G. C. / Gesù Cristo / Gesù Cristo / Io me ne era separato. Io l’ho fuggito, rinnegato, crocifisso. / Che io non ne sia mai separato! / Non si conserva che per le vie insegnate nel Vangelo. / Rinunzia totale e dolce.

L’ANGOLO DI SENECA. Timore e speranze. Come un’unica catena tiene legati il prigioniero e il suo guardiano, così queste cose, che sono tanto dissimili, procedono insieme: il timore tien dietro alla speranza. L’uno e l’altra sono tipici di un animo incerto, reso ansioso dall’attesa trepidante del futuro. Noi, infatti, siamo incapaci di vivere del presente e vogliamo anticipare col pensiero ciò che è ancora lontano (Ad Luc. 5, 7-8). Siamo tormentati sia dal futuro, sia dal passato. La previdenza è uno dei più grandi beni concessi all’uomo e tuttavia l’uomo la trasforma in un male. Infatti, mentre la memoria ci riporta il tormento del timore, la previdenza lo anticipa. Noi siamo così tormentati sia dal futuro, sia dal passato. Molte qualità, di per sé positive, possono nuocerci (Ad Luc. 5, 9). Temiamo tutto da mortali, desideriamo tutto come se fossimo immortali. Voi vivete come se doveste vivere sempre, non vi si prospetta mai la vostra fragilità, non considerate quanto tempo è già passato. Il tempo lo sprecate, come se attingeste ad una scorta completa e abbondante: in realtà, proprio questo giorno che ci è concesso, forse è l’ultimo. Voi temete tutto da mortali, ma desiderate tutto come se foste immortali (Brev. 3, 4).

14 aprile 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Quando si riesce a far politica. Una politica si riesce a farla se esistono dei capi, cioè degli uomini che intendono tener ferma una data scala di valori (Altiero Spinelli). La differenza. I veri politici riescono a tener ferma una determinata scala di valori, i politicanti riescono a tener ferma una determinata scala di favori (Levi Appulo). La prima radice. Donare viene dal cuore, non dalla ricchezza (massima tanzaniana). Il dare e il ricevere. Vi è più gioia nel dare che nel ricevere (Atti degli Apostoli). Il sogno, il risveglio, il risultato. Sognavo che la vita fosse gioia. / Mi svegliavo: la vita era servizio. / Ho servito e nel servizio ho trovato la gioia (Rabindranath Tagore). Come si sciupa la vita. Ecco che muore uno dei nostri conoscenti e di nuovo ci si deve dire: L’ho amato troppo poco (Ferdinand Ebner). Al freddo fuoco del televisore… oggi / per scaldarsi il cuore / l’uomo alza le mani / tremanti, quasi una resa naturale, / al freddo fuoco del televisore (Giovanni Cristini). La bambinaia elettronica. Ci sono dei genitori che si servono abitualmente e a lungo della televisione come di una specie di bambinaia elettronica. Altro che nuovo focolare domestico. La televisione può invogliare i membri della famiglia ad isolarsi nei loro mondi privati, tagliandoli fuori dagli autentici rapporti interpersonali, ed anche a dividere la famiglia, allontanando i genitori dai figli e i figli dai genitori. (Giovanni Paolo II)

ANACRONISMI CHE NON SCOMPAIONO. In occasione delle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 ci siamo trovati ancora una volta di fronte ad atteggiamenti e fenomeni che ci auguravamo fossero ormai superati. Si pensi al pronunciamento elettorale di un vescovo, mons. Bettazzi di Ivrea: «Se Gesù Cristo fosse in Italia, voterebbe per la lista dei progressisti»; e, sul lato opposto, all’abitudine mentale di quanti persistono nel confondere, ai loro propri occhi prima che a quelli degli altri, la presenza religiosa della Chiesa nel nostro Paese con le vicende elettorali di una formazione politica.

Per grazia di Dio, però, il cristianesimo non è un’ideologia, né ha il compito di far da supporto a un determinato assetto della società, essendo messaggio universale di salvezza, e la Chiesa può e deve proporre a tutti un’alta visione della vita personale e sociale proprio perché non è una delle parti in gioco, non è «partito». Questi principi elementari dovrebbero ormai essere evidenze acquisite per i cattolici italiani alle soglie del Duemila, ma io temo che il moltiplicarsi di sottigliezze ed eccezioni intorno ad essi consegua un solo risultato, quello di renderli irriconoscibili. Con grave danno per tutti.

PADRI E FIGLI. Parlo di rado dei sacrifici e delle prove per cui sono passato nella mia adolescenza. Possono capire gli uditori giovani che negli anni 1940-45, nelle città in cui era severo il controllo annonario, che cosa significasse sperimentare la fame ogni giorno? Loro che dispongono di qualsiasi classico, e a buon mercato, mi crederebbero se raccontassi che, grazie alla complicità di un custode, potei copiare a mano su di un quaderno il testo latino delle Elegie di Tibullo, restando rinchiuso due notti nella biblioteca perché c’era una sola copia a disposizione di cinquecento studenti? E come mi giudicherebbero se dicessi loro che La Scienza Nuova di Vico, acquistata presso l’editore, ma a prezzo di mercato nero, mi costò l’equivalente di tre mesi di stipendio di giovane supplente?

Sarebbe bello e utile comunicare almeno alle persone che ci sono più care le proprie esperienze di vita, ma oggi questo non si può fare se non indirettamente, per accenni, quasi per caso e ciò per una precisa ragione. Le nuove generazioni, non avendo esperienza degli antichi mali, non hanno dovuto faticare per superarli. Così, mentre i genitori si rallegrano dello stato presente come di un acquisto che ricordano di aver pagato caro, i figli vi prestano tanta attenzione quanto all’aria che respirano. In compenso, sono sensibili, talora ipersensibili, ai fastidi che sono soltanto il risvolto dei vantaggi da noi faticosamente conquistati per loro.

L’ANGOLO DI SENECA. Lo spirito di piccineria. Quando avrai deposto modi di pensare e atteggiamenti infantili, la filosofia avrà fatto di te un uomo. Non perdura in noi l’età puerile, ma, quel che è peggio, la puerilità. E questa è tanto più riprovevole in quanto abbiamo l’autorità dei vecchi e i vizi dei bambini (Ad Luc. 4, 2). Le promesse della filosofia. La filosofia promette soprattutto buon senso, umanità, socialità (Ad Luc. 5, 4). Filosofia liberatrice. «Per ottenere la vera libertà, scrive Epicuro, devi farti schiavo della filosofia». Chi ad essa si affida completamente non ha da aspettare neppure un giorno per essere affrancato. Questo stesso servire la filosofia è libertà (Ad Luc. 8, 7).

21 aprile 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Sono poche le cose importanti. Prendi a cuore solo le cose importanti. Non tutto né a chiunque. Guardati bene dal dire tutto quello che sai. I giudici devono obbedire alle leggi. Uno Stato è governato bene quando i cittadini obbediscono ai magistrati e questi alle legge. Solo allora ci sarà più giustizia. Gli uomini impareranno a commettere meno ingiustizie quando anche chi non ha patito ingiustizie parteciperà al dolore e allo sdegno di chi le ha patite. Scegliere significa anche recar dispiacere a qualcuno. Nelle faccende importanti è difficile piacere a tutti. (Solone)

LE DUE FACCE DEL «CASO ITALIANO». Secondo un’acuta annotazione di Antonio Acerbi sembra che in Italia, fatte le debite eccezioni, la risposta cattolica all’ondata di laicizzazione, verificatasi a partire dal ‘68, sia stata in prevalenza di tipo neo-intransigente. Questa mentalità la Chiesa italiana se la porta appresso, malgrado la mirabile apertura di orizzonti operata dal Concilio, e finisce, in un modo o nell’altro, con legittimare giudizi e atteggiamenti che molti sentono ormai di non dover condividere: una visione strumentale dell’azione sociale e politica, la pretesa di dare risposte esaustive anche in campi che non sono quelli della fede e della vita morale, la tendenza ad individuare i rischi per la fede non tanto all’interno del campo religioso quanto nella secolarizzazione delle strutture politiche ed economiche o nel restringersi dei consensi intorno al partito che doveva rendere visibile la cosiddetta «unità politica dei cattolici».

Questo, però, è solo un aspetto del «caso italiano» e anch’esso non esiste mai allo stato puro; c’è, infatti, anche l’altro, quello strettamente congiunto allo spirito innovatore del Concilio. C’è quella parte del popolo di Dio, assai più numerosa di quanto non si creda, che coniuga coerentemente nel quotidiano presenza sociale e approfondimento interiore, senso dello Stato e fedeltà al Vangelo, mediazione culturale e testimonianza religiosa. Nessuno, certamente, si nasconde la gravità della crisi morale che l’Italia attraversa e il parziale svuotamento del senso religioso; ci sono, però, mille segni di una primavera cristiana. C’è lo slancio missionario della Chiesa italiana al servizio dei popoli più poveri e oppressi. C’è la risposta plebiscitaria dei giovani per il mantenimento nelle scuole dell’ora di religione. C’è la straordinaria vitalità di tante piccole comunità e parrocchie in cui la Scrittura e la Liturgia hanno un posto centrale, non meno dell’azione caritativa. C’è, infine, il miracolo quotidiano del volontariato cattolico, senza il quale l’Italia precipiterebbe nel caos e proprio nei settori più a rischio.

ITALIA MIA… A tre settimane dalle elezioni del 27-28 marzo 1994 la situazione politica sembra essere proprio quella indicata dalla vignetta di Elle-Kappa apparsa su L’Unità del 7 aprile. All’elettore «progressista» che dice: «La destra è divisa, rissosa, confusa», il compagno risponde con un ironico: «Vuol dire che combatteremo ad armi pari», perché anche la sinistra è divisa, rissosa, confusa. Ed è perdente. Dobbiamo constatare con dolore che alcuni degli aspetti peggiori della partitocrazia (la teatralità pacchiana dei soliti riti, delle solite astuzie, dei soliti gesti; l’insulto plateale, l’enfatizzazione dei contrasti, la disinvoltura cinica nel contraddirsi di continuo, ecc.) dominano ancora la mentalità e i comportamenti di parecchi tra coloro che pure si ergono a rappresentanti del «nuovo». E se le cose stanno così, la transizione a una democrazia meno corrotta e più efficiente non sarà né facile né breve. Tuttavia qualcosa di essenziale può già cominciare ad esistere, qualcosa che, malgrado tutto, è lecito e doveroso attendersi dal nuovo Parlamento: che nessuna delle forze politiche cerchi la propria legittimazione solo nelle insufficienze e nelle disgrazie altrui; che la prassi corruttrice del consociativismo finisca una volta per sempre; che maggioranza e opposizione assolvano i loro ruoli, senza settarismi e senza demagogia; che un centro rinnovato lasci tutte le poltrone e ritrovi finalmente una forte capacità di elaborazione culturale e di concrete proposte politiche.

28 aprile 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Non perdere la nostra identità. Stiamo attenti noi italiani a non perdere la nostra identità, non solamente etnica, ma storica ed estetica, formatasi nei secoli. Un popolo senza stigmate caratteristiche è facile preda all’invadenza altrui e destinato ad imbarbarirsi (Gillo Dorfles). I voti non sono assegni in bianco. Nessun uomo politico, in una democrazia, ha il diritto di usare i voti come se fossero assegni in bianco, di manovrare come se le posizioni politiche fossero le palle di un giocoliere e di trattare i propri connazionali come bambini sciocchi a cui si possono fare impunemente da un giorno all’altro dichiarazioni stravaganti, contraddittorie, irragionevoli e burlesche (Sergio Romano).

Attenti a non ammazzare il tempo. Quando lavorate, lavorate; quando pregate, pregate; quando vi riposate, riposatevi. Ma non fate niente come capita, mediocremente. Non restate mai in ozio, senza far nulla. State attenti a non «ammazzare il tempo», perché mentre ammazzate il tempo, ammazzate la vostra vita (Padre Aleksandr Men’).

IL FRANCESCANESIMO AUTENTICO. Ho avuto la gioia di conoscere di persona il prete ortodosso Aleksandr Men’ nel novembre del 1989, quando gli fu permesso per la prima volta di recarsi all’estero. Egli era un autentico cristiano, un russo che amava profondamente la sua patria, uno spirito ecumenico. Il suo brutale assassinio il 9 settembre del 1990, certamente a causa della sua fede, accresce il dolore di quanti lo stimavano e lo amavano anche fuori dell’Unione Sovietica. Men’ aveva una predilezione per San Francesco, ma quel che più conta era francescana la sua stessa spiritualità. «Sin da quando ero bambino, ha scritto in una pagina autobiografica, la contemplazione della natura è stata la mia Theologia prima. Entravo in un bosco o in museo di paleontologia come in una chiesa. Ed ancora adesso un ramo con le foglie o un uccello in volo hanno per me più significato di cento icone. E tuttavia, il panteismo come tipo di psicologica religiosa mi è sempre stato estraneo. Ho sempre percepito Dio come una persona, come Colui che è rivolto verso di me».

TOTALITARISMO CONCLAMATO E TOTALITARISMO SUBDOLO. «Nell’ambito politico la veridicità nei rapporti tra governanti e governati, la trasparenza della pubblica amministrazione, l’imparzialità nel servizio della cosa pubblica, il rispetto dei diritti degli avversari politici, la tutela dei diritti degli accusati contro processi e condanne sommarie, l’uso giusto ed onesto del pubblico denaro, il rifiuto di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere, sono principi che trovano la loro radice prima, come la loro particolare urgenza, nel valore trascendente della persona e nelle esigenze morali oggettive di funzionamento degli Stati».

Se questi principi non vengono realmente osservati nella pratica politica quotidiana, allora viene a stabilirsi una perversa alleanza tra democrazia e relativismo morale. A quel punto, al vuoto delle ideologie si sostituisce un altro vuoto non meno grave e distruttivo. Infatti, se non esistono principi morali universalmente validi, che ispirino ed orientino l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto e subdolo, come dimostra la storia». I passi riportati tra virgolette sono tratti dai paragrafi 101 e 46, dell’enciclica Veritatis splendor, pubblicata il 3 agosto 1993.

L’ANGOLO DI SENECA. I grandi maestri del passato sono nostri contemporanei. Fra tutti, i soli che davvero dispongono del loro tempo sono coloro che attendono alla sapienza; sono i soli che vivono e non si limitano ad amministrare bene i loro anni, ma aggiungono tutte le età alla loro. Tutti gli anni trascorsi prima che essi esistessero fanno parte del loro patrimonio. Se non vogliono essere più che ingrati, i famosissimi fondatori delle sacre scuole sono nati per noi, ci hanno preparato un cammino di vita. Veniamo guidati verso realtà meravigliose che le fatiche altrui hanno estratto dalle tenebre e portato alla luce: nessun’epoca ci è vietata, in tutte ci sentiamo accolti e, se vogliamo uscire mediante un alto sentire dalle strettoie delle caducità umana, abbiamo molto tempo in cui spaziare. Ci è possibile disputare con Socrate, dubitare con Carneade, riposare con Epicuro, dominare la natura umana con gli stoici, oltrepassarla con i cinici. E poiché la natura ci permette di subentrare da compartecipi in tutta la storia, perché non dovremmo uscire da questa angusta e provvisoria parentesi cronologica e darci con tutta l’anima a ciò che, essendo grande ed eterno, è condiviso dai migliori? (De brevitate vitae 14, 1-2).

5 maggio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La speranza. La speranza è il solo bene comune a tutti gli uomini. Le molte parole. Molte parole non sono mai indizio di molta sapienza. Il dominio di sé. Chi non sa controllarsi è pericoloso per sé e per gli altri. La cosa più bella. La cosa più bella è l’universo, perché è opera di Dio. La cosa più difficile e la più facile. La cosa più difficile è conoscere se stessi. La cosa più facile è dare consigli agli altri. (Talete) Il rispetto di sé. Se non hai tu per primo rispetto di te, nessuno può averne per te (Afranio). L’incertezza dell’esito. Nessuno sa cosa gli porterà la sera (Marco Terenzio Varrone). L’eccesso di zelo. Non amo le persone troppo zelanti. Farsi ingannare è… Farsi ingannare una volta è spiacevole, due volte stupido, tre volte vergognoso. Dimmi con chi vai. Ciascuno si unisce di preferenza a coloro cui si sente simile. (Marco Tullio Cicerone)

Il lato diabolico della malinconia. Il lato diabolico della malinconia è quello non solo di ammaliare le sue vittime, ma anche di renderle presuntuose e miopi, addirittura quasi superbe. Il malinconico crede di essere come Atlante, che da solo deve reggere sulle spalle tutti i dolori e gli enigmi del mondo, come se mille altri non sopportassero gli stessi dolori e non vagassero nello stesso labirinto. A proposito di San Francesco. Osservando la vita e la natura di Francesco d’Assisi non si può fare a meno di pensare che quell’uomo deve aver avuto una madre dolcissima. (Hermann Hesse)

CHIESA CATTOLICA E LAICITÀ. «1. Se si intende proclamare la sovrana autonomia dello Stato nel campo dell’ordine temporale, il suo diritto di reggere da solo tutta l’organizzazione politica, giudiziaria, amministrativa, fiscale della società temporale, e, in termini generali, tutto ciò che rientra nella tecnica politica ed economica, noi dichiariamo decisamente che questa dottrina è pienamente conforme alla dottrina della Chiesa. Se il clericalismo è l’intromissione del clero nel campo politico dello Stato, o quella tendenza che potrebbe ritrovarsi in una società spirituale a servizio dei poteri pubblici per soddisfare la propria volontà di dominio, noi dichiariamo solennemente che condanniamo il clericalismo come contrario all’autentica dottrina della Chiesa.

2) La “laicità dello Stato” può anche essere intesa nel senso che, in un Paese in cui sono presenti diverse credenze, lo Stato deve lasciare che ciascun cittadino pratichi liberamente la sua religione. Questo secondo senso, se ben compreso, è anch’esso conforme al pensiero della Chiesa».

La dichiarazione qui riportata fu fatta collegialmente dai cardinali e arcivescovi di Francia nel lontano 13 dicembre 1945, vent’anni prima delle conclusioni a cui sarebbe pervenuto il Concilio Vaticano II. Si può leggerla nel volume Chiesa e politica di Hippolyte Simon (Brescia 1993).

LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE. «Ogni tre minuti una donna è molestata. / Ogni cinque minuti una donna è picchiata. / Ogni dieci minuti una donna è violentata… / Ogni giorno / i corpi delle donne vengono trovati, / in vicoli e stanze da letto, / orrendamente sfigurati». Sono alcuni versi della poesia dell’afro-americana Ntozake Shange. Pubblicati nel 1972, a New York, nel volume Nappy Edges, quei versi raccontano una vergogna universale, una tragedia che è di ogni tempo e di ogni luogo.

Non c’è bisogno, infatti, di «una causa immediata» per molestare, picchiare, stuprare una donna proprio perché la violenza contro le donne è originata in primo luogo da un modello socioculturale, quello della subordinazione al maschio. È pertanto da considerare uno degli eventi più importanti per il futuro dell’umanità che, in questa fine del secondo millennio, le vittime di tanta atrocità abbiano cominciato a ribellarsi.

L’ANGOLO DI SENECA. La filosofia è vita. Non è la filosofia un artificio per acquistare la simpatia della gente; essa risiede non nelle parole, ma nelle cose. Non è un diversivo per far passare il tempo, per vincere la nausea che nasce dal non far nulla. Essa forma e forgia l’anima, dà ordine all’esistenza, ispira le azioni, mostra quel che si deve e non si deve fare, siede al timone e guida la rotta di chi attraversa i pericoli. Senza di essa nessuno può vivere con intrepidezza, nessuno nella sicurezza. In ogni momento i più vari eventi richiedono consigli che essa soltanto può darci. Bisogna in ogni caso filosofare ed è nella filosofia che noi dobbiamo cercare la nostra difesa. Essa ci esorterà a fare con tutta l’anima la volontà di Dio e a resistere sempre di nuovo alla fortuna. C’insegnerà a seguire Dio e a sopportare i colpi e i capricci del caso (Ad Luc. 16, 3-5).

12 maggio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La lingua e il pensiero. Non permettere alla tua lingua di correre avanti al tuo pensiero. Quando il ritardo non è consentito. I tuoi amici ti invitano a pranzo; arriva pure tardi, se vuoi. I tuoi amici ti chiamano perché tu li consoli: affrettati. Tre sono le cose più difficili. Tre sono le cose più difficili per l’uomo: mantenere i segreti, impiegare bene il tempo libero e sopportare le offese. (Chilone)

Veramente intelligente è. Veramente intelligente è colui che capisce da solo quello che convenga fare: subito dopo viene colui che sa almeno capire le buone indicazioni che gli vengono dagli altri (Marco Tullio Cicerone). Pubblica confessione. Sì, lo confesso, non amo il libro celebrato dagli spot (Giovanni Mariotti). Dinanzi a noi c’è il mondo, non il vuoto. Noi non abbiamo mai, fosse per un giorno solo, / il puro spazio innanzi a noi… è sempre il mondo / e giammai il vuoto, senza cosa alcuna (Rainer M. Rilke). E dentro l’infinito. Il quadro è uno spazio finito, limitato da, una cornice; è necessario che vi sia incluso l’infinito (Simone Weil).

LE LETTERE TRA COCTEAU A MARITAIN. L’11 ottobre 1963 moriva Jean Cocteau, artista nel significato molteplice della parola, poeta, pittore, autore di teatro, uomo di cinema. Trent’anni dopo sono state pubblicate le lettere scambiate col filosofo francese Jacques Maritain. La Correspondance Cocteau-Maritain 1923-1963 è un documento rivelatore di due personalità abissalmente diverse e tuttavia legate tra loro da una schietta amicizia, perché se l’uno non nasconde il suo disordine morale, l’altro non tace le esigenze imprescrittibili della legge morale.

Maritain era riuscito a riportare Cocteau alla fede nel 1925, aiutandolo in un momento di grave crisi psicologica e morale, dovuta all’oppio e alla omosessualità. La conversione era stata sincera e tra il filosofo e il poeta nel medesimo anno ci fu uno scambio di lettere. Scrive Cocteau: «Vorrei che l’intelligenza fosse sottratta al diavolo e restituita a Dio». Risponde Maritain: «Religione e poesia hanno le loro dispute, ma sono dispute di sorelle. L’artista fatica assai a fare uso senza ferirsi di una virtù troppo dura per la sua sensibilità. Ma l’arte va spontaneamente a Dio. A Dio come principio universale di ogni forma e di ogni chiarezza».

Tra i due nasce un’amicizia sincera, anche se Cocteau ritorna all’oppio e alle amicizie maschili. Maritain, «dolce di cuore ma duro di testa» non abbandona l’amico, pur condannando il suo comportamento. In una lettera del 6 luglio 1927 gli scrive: «L’amore è unitivo ed è fecondo. L’omosessualità distrugge quest’ordine. Essa sta all’amore come la magia sta alla saggezza. Non è per un pregiudizio di San Paolo, ma è per ragioni eterne che la Chiesa condanna l’omosessualità. Non dimenticate la severità di Dio nell’antico Testamento, la storia di Sodoma. Aggiungo che non basta amare Dio attraverso le sue creature e in esse. La grazia mette in noi un amore diretto e immediato di Dio, essendo lui stesso nostro amico e commensale. Ma Dio è esigente, come lo sono coloro che amano veramente». Dall’America Maritain gli si rivolge con queste parole: «Che io sia di qua o di là dell’Atlantico vedo sempre nel cielo una stella il cui riflesso porta il vostro nome e che è uno sguardo della bontà di Dio» (7 novembre 1934). E quando Cocteau affresca la cappella di San Pietro a Villefranche scriverà a Jacques in America: «Vi lascio immaginare come io pensi a voi e a Raïssa tra gli angeli delle mie volte e come la vostra amicizia lontana e insieme vicina mi guidi».

L’ANGOLO DI SENECA. Il metodo filosofico: cerca ovunque l’anima di verità. La procedura che si applica in senato è, secondo me, valida anche per filosofare. Qualcuno avanza una proposta che in parte condivido? Lo invito a suddividere la sua mozione in punti distinti; io appoggerò solo quei punti che approvo (Ad. Luc. 21, 9). Le cose come sono. Poni bene attenzione a considerare le cose come sono e non come vengono chiamate (Ad. Luc. 110,3). In profondità. Dobbiamo impegnare ogni nostra energia a indagare dove è stata riposta quella verità che noi ora cerchiamo in superficie e con leggerezza (Naturales quaestiones VII, 32 a 11). La vera gioia. Scriverò cose che possano giovare sia a te che a me (Ego aliquid, quod et mihi, et tibi prodesse possit, scribam). Ti esorterò alla saggezza, il cui fondamento e il cui vertice sono ben individuati da queste parole: «Non godere di cose vane» (Ne gaudeas vanis!) Ha raggiunto la vetta più alta chi sa di che cosa godere e non pone la sua felicità nelle mani degli altri (Ad. Luc. 23, l-2).

19 maggio 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La grazia segno di nobiltà spirituale. Quando le parole e l’intelletto non hanno grazia, che cosa vale essere nobili? (Focilide di Mileto). Sarebbe ben strano il contrario. Non si può piacere a tutti. Ma in questo non c’è niente di strano. Bravo, ma non in tutto. Nelle singole cose c’è chi è migliore di un altro e c’è chi è peggiore, ma non c’è nessuno che sia bravo in tutte. Il più turpe e facile degli inganni. Ingannare un nemico non è facile, anche per chi lo odia; ma facile all’amico è ingannare l’amico. (Teognide) Anche chi è saggio deve temerla. La buona fortuna fiacca anche l’animo del saggio. Il fondamento della vera amicizia. Volere le stesse cose e non volere le stesse cose: questo è, in definitiva, il fondamento della vera amicizia. Fama e libertà, inversamente proporzionali. Più si è in vista, meno si è liberi di fare ciò che si vuole. Se fossimo determinati nel volere le cose belle e buone… Se si dessero tanto pensiero delle cose belle e buone quanto se ne danno di quelle sconvenienti e inutili per non dire dannose, gli uomini non sarebbero retti dai casi della vita, ma li reggerebbero essi stessi. (Gaio Sallustio Crispo)

BEN VENGA L’ALTERNANZA, PURCHÉ SIA INTELLIGENTE. Il regime parlamentare è stato proprio concepito, in gran parte, per incanalare il malcontento. I governanti non raccolgono che elogi moderati per ciò che fanno di buono, giacché sono lì proprio per operare il bene; ma le loro colpe, anche le più piccole, pesano, e il loro accumularsi trascina con sé la caduta di un governo o di un regime. Se si trovano di fronte due partiti avversi e soltanto due, il gioco continuerà con una certa regolarità; se son più di due, vuol dire che la terza forza farà da ago della bilancia, come hanno fatto in Germania i liberali, sostegno indispensabile ora ai governi a guida socialdemocratica, ora a quelli presieduti da democristiani. Ciascuna delle due parti tornerà al potere con il prestigio offerto dai principî rimasti apparentemente intatti durante tutto il tempo in cui non c’erano responsabilità da prendere: i principî, come si sa, stanno per così dire di casa nell’opposizione. In realtà ciascuno dei contendenti avrà beneficiato, se sarà intelligente, dell’esperienza compiuta dall’altro, modificando più o meno il contenuto delle sue idee e, di conseguenza, il significato stesso dei suoi orientamenti di fondo. Così diventa possibile il progresso, nonostante l’oscillazione, o piuttosto per mezzo di essa.

L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO. La vigilia della sua morte, padre Aleksandr Men’ aveva tenuto una conferenza sul cristianesimo che aveva terminato così: «E se noi ci domandiamo ancora una volta quale sia l’essenza del cristianesimo, dovremo rispondere: è la divino-umanità, l’unione dello spirito umano che è finito, limitato nel tempo, con il divino che è infinito. È la santificazione della carne, poiché a partire dal momento in cui il Figlio dell’Uomo ha assunto le nostre gioie e le nostre sofferenze, ciò che noi costruiamo, il nostro amore, il nostro lavoro, la natura, il mondo, tutto ciò in cui Egli si è trovato immerso, in cui è nato come uomo e Dio-uomo, tutto questo non è respinto, non è umiliato ma elevato a un nuovo livello. Nel cristianesimo il mondo è santificato, il male, le tenebre e il peccato sono vinti. Ma è la vittoria di Dio. Questa vittoria è cominciata la notte della resurrezione e continuerà finché il mondo esisterà».

L’ANGOLO DI SENECA. Lo strappo necessario. Dagli atti ti vengono noie, ma i crucci più grandi sei tu a darteli. Tu sei molesto a te stesso, non sai quello che vuoi. Approvi i retti principi con una convinzione che poi si smorza quando devi metterli in pratica. (Vides, ubi sit posita felicitas, sed ad illam pervenire non audes). Ecco quello che, in ultima analisi, ti impedisce di progredire e che tu non scorgi chiaramente: dai troppa importanza a ciò che stai per lasciare e, quando ti sei proposto di raggiungere la tranquillità, ti trattiene il falso splendore del tuo modo di vivere. Sei in errore: dalla vita presente a quell’altra, si sale. C’è la stessa differenza che corre tra la luce naturale e quella artificiale: quella ha in sé la fonte della sua luminosità, questa rifulge di luce riflessa, per cui qualsiasi cosa si interponga subito l’offuscherà, proiettando una fitta ombra. L’esercizio del filosofare farà risplendere la luce che è dentro di te (Ad Luc, 21, 1-2).

2 giugno 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’ideale della libertà. L’ideale della giustizia e dell’eguaglianza è lo stesso ideale della libertà, quando essa sia intesa non come la libertà che si possiede, ma come la libertà che si vuole, cioè come l’altrui libertà (Alessandro Galante Garrone). Ognuno deve osare personalmente. Ognuno deve osare personalmente, non c’è nessuna garanzia. Il futuro può fiorire soltanto da ciò che i singoli osano (Rudolf Bultmann).

DIREZIONE SPIRITUALE, NON TIRANNIA. Uno degli spiriti più religiosi che io conosca, un laico coraggioso che sa rivendicare il primato della coscienza e del Vangelo su tutto il resto, si reca di frequente da Roma a Torino, per incontrare il suo venerato direttore spirituale. Non è vero, dunque, che oggi non si avverta il bisogno di autentici maestri di vita, di autentici interpreti della Parola.

Oggi, però, la coscienza del credente rifiuta con forza la falsa direzione spirituale, cioè quell’atteggiamento per cui il consigliere e la guida si trasforma in tiranno e giudice esorbitante. Anche su questo punto Padre Aleksandr Men’ aveva visto giusto. Ecco le sue testuali parole: «Spesso si crede che, nel rapporto col proprio padre spirituale, si debba osservare il principio dell’obbedienza. In realtà questo principio riguarda essenzialmente la vita monastica. Il monaco fa voto di obbedienza e si impegna a compiere tutte le richieste del padre spirituale. Un parroco non deve proporre la stessa cosa a un laico e non può arrogarsi il diritto di dare degli ordini perentori. Deve contentarsi di richiamare i comandamenti della Chiesa, di orientare la vita spirituale del fedele, aiutarlo nei suoi sforzi interiori». Deve evitare il paternalismo e l’autoritarismo (Yves Hamant, Aleksandr Men’ pastore e martire, Milano 1994).

L’ANGOLO DI SENECA. Filosofia e sanità mentale. Senza filosofia l’anima è malata e il vigore stesso del corpo, per quanto grande, è sregolato, come la forza dei furiosi e dei deliranti. Cerca, dunque, innanzi tutto la salute dell’anima e poi, senza affaticarti molto e senza sprecare molto tempo, anche quella del corpo, se vorrai star bene nel senso buono della parola (Ad Luc. 15, 1-2). Scienza ed arte della vita. La vita non può essere felice e neppure tollerabile senza l’amore della sapienza. Bisogna accrescere vigore alle nostre forze spirituali, con un continuo impegno e con la meditazione quotidiana, affinché la buona volontà diventi condotta di vita (Ad Luc. 16, 1). Nelle più grandi crisi e nei piccoli problemi. Rigetta da te ogni futilità, se sei saggio; anzi, per essere saggio. Tendi con lena e con tutte le tue forze a formarti una retta coscienza. Se qualche nodo ti trattiene, scioglilo o taglialo. Tu non sai quanto sia di aiuto la filosofia in ogni circostanza: essa ci soccorre, per dirla con Cicerone, nelle grandi crisi, ma ci viene incontro anche nei più piccoli problemi (Ad Luc. 17, 1,2, 3).

9 giugno 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Quattro paradossi quotidiani. 1. Abbassando la testa mi si alza lo stipendio. 2. Il mio torto è che ho ragione. 3. Pur di arrivare in cima è disposto a toccare il fondo. 4. Tutte le mie schiavitù sono frutto di una libera scelta (Fulvio Fiori). Il silenzio, alito di eternità. Ciò che in campagna è naturale, cioè il silenzio della notte, rimane per un uomo di città sempre un prodigio. Chi, dalla città, giunge in un podere o in una fattoria e, la prima sera, si mette alla finestra o a letto, percepisce questo silenzio come la magia di un porto sicuro, come se si fosse avvicinato a quel che è vero e sano e come se avvertisse un alito di eternità (Hermann Hesse). Se accade solo per amore. Anche con le cose più umili, non appariscenti, / se accade solo per amore, / noi cominciamo (Rainer M. Rilke).

VENERDÌ 14 ADAR, 25 FEBBRAIO, TRE MESI FA. Uno dei crimini più ripugnanti è certamente quello commesso da un medico israeliano, amico personale del rabbino fondamentalista Kahane. Ecco il modo in cui il primo ministro dello Stato di Israele Rabin ne dette l’annuncio il 28 febbraio alla Knesset, il Parlamento: «Venerdì 14 Adar, 25 febbraio, nelle prime ore del mattino una tragedia si è abbattuta sulle famiglie degli uccisi, sulla gente di Hebron, sul popolo palestinese, sullo Stato di Israele e sul popolo ebraico. A Hebron, la città dove visse il padre di Israele e di Ismaele, la città che ha conosciuto sia la convivenza che la tragedia dei pogrom antiebraici, a Hebron un ebreo ha profanato la santità della tomba dei patriarchi. Mentre dei musulmani erano in preghiera, in piena festa del Ramadan, un ebreo degenerato ha aperto il fuoco uccidendo decine di fedeli musulmani e ferendone altre decine».

Yizchak Rabin confessa il suo smarrimento dinanzi a tanta efferatezza: «Signori della Knesset, nei miei peggiori incubi non avrei mai immaginato di trovarmi qui oggi, davanti a voi, in circostanze così dolorose. Spero e credo che questo incubo sia destinato a passare, che ci sia speranza di dare soluzione al sanguinoso conflitto che sembra non finire. E quella speranza è la pace. Vorrei concludere con le parole del poeta Bialik: Il dolore è grandissimo, / grandissima è la vergogna. / Quale è più grande? / Decidi tu, o mortale». Il giorno stesso della strage Ezer Weizman, presidente dello Stato d’Israele, aveva detto: «Oggi è un giorno terribile e grave per ebrei e arabi in questa terra. Nessuna giustificazione, nessuna indulgenza, nessuna riparazione è possibile per questo orribile gesto. Esprimo le mie condoglianze alle famiglie, ai cittadini della città di Hebron e alla popolazione araba in tutto il mondo». I testi integrali delle dichiarazioni di Rabin e Weizman si possono leggere nel notiziario Nes (Via Eupili 8, Milano) del marzo 1994.

Fra i membri della Jihad islamica che spararono ai fedeli ebrei in preghiera nelle sinagoghe di Istanbul, di Parigi, di Amsterdam, e il membro della Hamas ebraica che ha ucciso vigliaccamente a Hebron c’è, evidentemente, una perfetta corrispondenza che attesta la comune, radicale disumanità di chi si è votato alla violenza, all’odio, al terrore. Il linguaggio di Rabin e Weizman onora, invece, l’umanità e ha la forza di costruire la pace.

L’ANGOLO DI SENECA. La povertà, il viatico migliore. Molti avevano la vocazione filosofica, ma le ricchezze sono state loro di ostacolo; chi è povero procede più spedito, più tranquillo. La povertà è il miglior viatico della filosofia. La saggezza paga in contanti: rendendo del tutto inutili le ricchezze, è come se ce le avesse già date (Ad Luc. 17, 3;10). Di fronte al denaro. Il sapiente non si ritiene indegno di nessun dono della sorte. Non ama le ricchezze, però le preferisce ad uno stato di indigenza e non rifiuta quelle che possiede: egli le controlla e vuole servirsene per ampliare il campo d’azione della sua virtù. Smetti dunque di proibire il denaro ai filosofi: nessuno ha mai condannato la sapienza alla povertà. Il filosofo può avere abbondanti ricchezze, purché non siano né sottratte ad altri, né siano lorde di sangue altrui. Le ricchezze siano acquistate senza far torto a nessuno, senza lucri disonesti,e possono andarsene pulitamente, come pulitamente sono venute; e non facciano gemere nessuno, eccettuati i maligni (De vita beata 21, 4; 23, 1).

16 giugno 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Si vuol aprire gli occhi, ma dopo. Abbiamo fretta di commettere una sciocchezza, perché riflettendo non la commetteremmo più. La ragione dissolve il fascino perverso della tentazione. Il dire e non fare. Se cerchi di migliorare una persona dando il buon esempio, ne migliori due. Se cerchi di migliorare qualcuno senza dare il buon esempio non migliori nessuno. Solo chi ci vuol bene. Quando da bambini accusavamo la mamma di rimproverarci troppo, la sua saggia risposta era: «Dagli estranei non avrete che cordialità superficiale o indifferenza. Soltanto chi vi vuol bene, vi critica». Il narcotico più deleterio. L’autocommiserazione è il più deleterio dei narcotici: crea assuefazione, dà un piacere momentaneo ed allontana la vittima dalla realtà. Ogni parola un’idea. La forma più grave di spreco? Spendere un numero di parole superiore al reddito delle idee. Non c’è padre che gli assomigli. In un vecchio taccuino trovo un’annotazione: Deus! nemo tam Pater / Dio, non c’è padre che gli assomigli. Non so di chi sia quel pensiero, ma esso basta a farci superare d’un balzo la spiegazione psicoanalitica, in verità fin troppo parziale, dell’esperienza religiosa… Il segreto della maturità. Sforzati di andare adagio, scrisse Novalis. Infatti il segreto della maturità sta nell’evitare le fruttificazioni artificiose, premature, affrettate. La natura si svolge nel tempo. L’insuperabile comunicativa. Un bambino che spiega una cosa che lo ha entusiasmato è il più bell’esempio di comunicazione che si possa sentire e vedere. (Levi Appulo)

LO FA PERFINO LA CIA. «Esiste in tutti i Paesi una zona del potere dove la luce chiara della democrazia non penetra, o penetra molto poco e soprattutto in ritardo. E il luogo nel quale si prendono le decisioni difficili che riguardano (o dovrebbero riguardare) la sicurezza dei cittadini. Ed è superfluo aggiungere che gli strumenti con i quali queste decisioni vengono prese non possono essere trasparenti per la semplice ragione che se fossero trasparenti non sarebbero efficaci. Ma ci vuole misura, intelligenza ed onestà per amministrare questa zona ambigua e pericolosa del potere che tutte le Costituzioni affidano ai governanti. Si deve garantire ai cittadini la possibilità di controlli, magari in tempi differiti, come avviene ad esempio, in America, dove perfino la Cia apre i suoi archivi ogni quindici anni a chiunque li voglia esaminare. Se questa consuetudine viene meno, si concede di fatto una strana e pericolosa immunità a chi opera nella penombra». (Saverio Vertone, Corriere della Sera, 30 maggio 1994).

L’ANGOLO DI SENECA. Senza pompa, con simpatia. Per quanto ti è possibile, rifugiati nella filosofia (Quantum potes, in philosophiam recede). Essa ti accoglierà nel suo santuario, in cui troverai la libertà, o per lo meno una libertà maggiore rispetto a quella attuale. Della filosofia, però, non dovrai fare ostentazione: sono molti ad esercitarla con presunzione in modi e tempi inopportuni, ed essa è stata per loro cagione di pericolo. La filosofia ti insegni a sottrarre a te stesso i vizi ed a non rompere con i costumi e gli usi correnti, a non darti mai l’aria di disprezzare tutto quello che non sei tu a fare. Si può essere saggi senza pompa e senza attirarsi antipatie (Ad Luc. 103, 4-5). Il tempo dischiude la verità. Ci son delle cose false che hanno l’apparenza del vero e bisogna conceder sempre a noi stessi un lasso di tempo: il tempo dischiude la verità (De ira II, 22, 2-3). Ogni cosa di cui vorrai conoscere il modo di essere, affidala al tempo: non si riesce mai a discernere accuratamente un oggetto che è in preda ai flutti (De ira III, 12, 4). Tenerla tra le mani. La verità viene meglio in luce se la si tiene più spesso tra le mani (De ira II, 29, 3).

23 giugno 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Un verso meritatamente famoso. La bellezza è. L’incessante guerra. In questa guerra / contro l’ottuso e il grasso. Uomini vuoti. La mente diviene satura quando nient’altro vi entra. La qualità dell’affetto. Nulla ha valore, solo la qualità / dell’affetto. Le paradis n’est pas artificiel, l’enfer non plus. Il paradiso non è artificiale, neppure l’inferno. Perché certi signori non correggono mai in tempo la loro rotta. Avendo ottenuto vantaggi e privilegi, / non c’è nulla, un nulla da scrivere in corsivo, che non faranno / per tenerseli. Amo, dunque sono. Amo ergo sum, e proprio nella stessa misura. Di chi son figlie le Muse? Le Muse sono figlie della memoria. (Ezra Pound)

GLI «UNERLOEST», CIOÈ GLI IRREDENTI. Nietzsche è un critico assai maligno del cristianesimo, di cui gli sfuggirono del tutto l’essenza e la funzione, ma come fenomenologo delle forme malate della coscienza religiosa non ha pari. Nietzsche diceva, ad esempio, che quello che non lo convinceva nei cristiani era proprio il loro aspetto, perché guardandoli non si aveva la sensazione che Cristo li avesse realmente liberati dal giogo del male, dalla maledizione dello scoramento e della tristezza. Essi sembrano, infatti, essere dolorosamente unerlöst, «irredenti» e, dunque, sempre vestiti a lutto, sospettosi e maledicenti. Sì, è proprio maledicenti, da «maledire», nel senso forte delle parole.

È un’osservazione che fa pensare. Si può essere cristiani senza che un riflesso della gioia cristiana ci scaldi il cuore? E perché mai l’allegria dovrebbe essere incompatibile con l’ascesi spirituale? Nel Vangelo le due cose sono appaiate di continuo e proprio per questo Gesù scandalizzò, fino a esasperarli, i «religiosi benpensanti» del suo tempo, della cui «serietà» mise a nudo il lato meschino oltre che l’ipocrisia. È stato Gesù a rivolgere queste grandi parole ai suoi discepoli: «Il Padre mio è glorificato in questo: che voi portiate molto frutto… Rimanete nel mio amore… La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa» (Vangelo di Giovanni 15, 8; 9-11). Chi poi volesse censurare, sia pure inconsciamente, quelle parole (e tante altre simili del Nuovo Testamento), dovrebbe spiegarci come mai il messaggio di Gesù fu detto appunto «vangelo», cioè «buona notizia».

PADRI E FIGLI. Parlando di mio padre devo in qualche modo parlare di me. Perché alla fine, dopo la polemica con il padre, il figlio finisce con l’assomigliargli, confondersi con lui, continuarlo. Io mi sento ora il suo viso, i suoi modi, il suo corpo, le sue mani. Mi sento in qualche modo il suo animo, e senza aver saputo per anni gran che della sua vita, mi sono bastati pochi accenni per capire come passò i trent’anni che precedettero la mia venuta al mondo (Corrado Alvaro, Il viaggio, Brescia 1942).

L’ANGOLO DI SENECA. Diciamo abitualmente di non aver avuto la facoltà di sceglierci i genitori che il caso ci ha assegnati: gli uomini buoni, invece, hanno la facoltà di nascere per propria scelta (bonis vero ad suum arbitrium nasci licet). I geni più insigni hanno formato delle famiglie: scegli quella cui vuoi associarti. Con l’adozione non condividerai soltanto il nome, ma anche i beni, e non dovrai custodirli con avarizia o gelosia, perché aumenteranno quanto più li distribuirai. Quegli uomini ti avvieranno all’eternità e ti eleveranno ad una dignità dalla quale non si può essere deposti. Questo è il solo modo di allungare la tua vita mortale, anzi di mutarla in immortalità.

Gli onori, i monumenti, tutto ciò che l’ambizione ordina con i suoi decreti o realizza con le sue costruzioni, ben presto crolla. Non c’è nulla che, col tempo, la vetustà non distrugga o non rimuova, ma essa non può nuocere a ciò che è stato consacrato dalla sapienza. Nessuna epoca lo cancellerà, nessuna lo sminuirà, anzi l’epoca che segue e le successive aggiungeranno motivi di venerazione, poiché l’odio si sfoga sulle cose vicine, mentre guardiamo con maggior schiettezza alle lontane. La vita del sapiente è dunque molto spaziosa; egli non è prigioniero del limite che racchiude gli altri, è il solo esente dalle servitù dell’umana progenie. Le età gli sono tutte soggette come sono soggette a Dio. Un tempo è passato? Egli lo abbraccia con il ricordo. È presente? Lo mette a frutto. È futuro? Lo pregusta (De brevitate vitae 15, 3-5).

30 giugno 1994.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Nemico, ma non per sempre. Quando parli di un nemico, non dimenticare mai che forse un giorno diventerai suo amico. Innanzi tutto prevenire. Non accontentarti di rimproverare coloro che hanno commesso una colpa: cerca anche di trattenere chi sta per commetterne una. (Periandro) Le parole e le cose. Studia le parole a partire dalle cose, non le cose a partire dalle parole (Misone). Ai posteri l’ardua sentenza. I giorni ancora di là da venire sono i giudici più saggi. Il rischio. Imprese compiute senza rischi non contano niente. La misura. C’è una misura in ogni cosa e tutto sta nel capirlo. (Pindaro) Se lo si fa a ragion veduta. Nessuna persona intelligente ha mai detto che cambiare opinione è sintomo di incostanza. L’assurda pretesa. Non si può avere tutto subito. Di più anime una sola. La forza dell’amicizia consiste nel fatto che fa di più anime un’anima sola. Il vero amico. Il vero amico è un altro se stesso. Amicizia e non complicità mafiosa. La prima legge dell’amicizia è che agli amici si debbono chiedere solo cose oneste (Marco Tullio Cicerone).

«STRAPPA DA TE LA VANITÀ, TI DICO, STRAPPALA». Mi è capitato molte volte di prendere in mano l’opera di un poeta, rileggermela per intero e, nel momento di scegliere le sole cose alte e degne che meritano di essere proposte ai lettori, non sono stato in grado di citare più di 15-20 versi. Questa regola ha pochissime eccezioni; una fin troppo evidente, è Dante. In queste settimane l’esperienza si è ripetuta con I Canti Pisani di Ezra Pound. I versi citati nella Linea recta brevissima del 16 giugno u.s. sono mirabili. Ma che cos’altro si può aggiungere ad essi?

Si deve aggiungere la parte finale del Canto 81. Eccola: «Quello che veramente ami rimane, / il resto è scorie. / Quello che veramente ami non ti sarà strappato. / Quello che veramente ami è la tua vera eredità… / Strappa da te la vanità, non fu l’uomo / a creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia. / Strappa da te la vanità, ti dico strappala… // Come son meschini i tuoi rancori / nutriti di falsità. / Strappa da te la vanità, / avido di distruggere, avaro di carità, / strappa da te la vanità, / ti dico, strappala. // Ma avere fatto in luogo di non avere fatto / questo non è vanità… / Aver raccolto dal vento una tradizione viva / o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata / questa non è vanità. / Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, / nella diffidenza che fece esitare».

In questi versi la magniloquenza, le maschere superumane e la stessa abilità del grande fabbro cedono finalmente, come d’incanto, all’imperativo di mettersi in chiaro prima di tutto con se stesso. Non c’è più bisogno allora d’incastonare ideogrammi cinesi e citazioni greche, o di affidarsi alla pesante intrusione di inserti tedeschi francesi italiani e spagnoli. La ritrovata purezza dell’umiltà rende il verso espressivo e in sé, compiuto, bello e verace.

ISRAELIANI-PALESTINESI: CHI HA PAURA DELLA PACE? «Gli israeliani vivono nel territorio di Israele perché non c’è, né può esserci, per gli ebrei altra patria che questa. I palestinesi si trovano in Palestina perché qui vivevano più di mille anni or sono i loro antenati. Laddove si scontrano due posizioni entrambe giuste, deve prevalere un valore ancora più alto, e questo valore è la vita» (Amos Oz, Non dobbiamo avere paura della pace, in L’Unità, 16 settembre 1993).

Dedico questo brano a quelli che hanno paura della pace, a Gaza, come a Tel Aviv, o a Brescia, perché hanno concepito la loro esistenza come una «missione di odio» per l’una o per l’altra parte. Vittime degli opposti fondamentalismi, costoro hanno l’impressione di essere defraudati di qualcosa di essenziale se «il nemico» cessa di essere odiato, se la fatica per costruire un avvenire di fraternità sostituisce l’ubriacatura ideologica e la pratica criminale del terrore.

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.