Detti e Contraddetti 1995 – 1° semestre

DETTI E CONTRADDETTI 1995 – PRIMO SEMESTRE

5 gennaio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’artista e il successo. Un artista che vuole avere successo non è più un artista. È una persona che vuole avere successo (Piero Fornasetti). Una buona società in cui vivere. È necessario adoperarsi per costruire stili di vita nei quali la ricerca del vero, del bello, del buono e la comunione con gli altri uomini siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi, degli investimenti (Giovanni Paolo II). Se la citazione è azzeccata. Montesquieu, parlando di Rabelais, l’autore del famoso romanzo fantastico e burlesco Gargantua e Pantagruel, soleva dire: «Ogni volta che ho letto Rabelais, mi ha annoiato: non m’è mai riuscito di gustarlo. Ma ogni volta che l’ho sentito citare, mi è veramente piaciuto». Idolatria del Capo. 22 dicembre 1994, ore 13,55. Sullo schermo di Rete 4 si vede l’auto del presidente del Consiglio dimissionario, Silvio Berlusconi, imboccare il portone del Quirinale. Il direttore del Tg4, Emilio Fede, confida ai telespettatori il suo ultimo motivo di sconforto: «Non abbiamo neppure potuto vedere com’è vestito il Presidente!». E poi raccontano che il feticismo appartiene alle nostre origini ancestrali (Levi Appulo).

«IL SENSO DELL’UMANITÀ NON MI È ANCORA VENUTO MENO». «Nove giorni prima di morire Emanuel Kant ricevette una visita del suo medico. Benché vecchio, malato e quasi cieco, si levò e se ne stette in piedi, tremante di debolezza, mormorando parole incomprensibili. Alla fine il suo fedele amico comprese che egli non si sarebbe seduto finché lui stesso non si fosse accomodato. Il che egli fece e allora Kant si lasciò accompagnare alla sua poltrona e, ripresa lena, osservò: Das Gefuehl fuer Humanität hat mich noch nicht verlassen (Il senso dell’umanità non mi è ancora venuto meno). I due uomini erano commossi fino alle lacrime. In realtà, benché il termine Humanität significasse nel Settecento ormai poco più che educazione o buone maniere, per Kant aveva un significato molto più profondo che la particolare circostanza accentuava: una orgogliosa e tragica consapevolezza di principi liberamente accettati ed imposti a se stesso, di fronte alle imposizioni esterne della malattia, della decadenza e di tutto ciò che si intende per condizione mortale dell’uomo».

L’episodio è riferito dal biografo di Kant, Ehregott Andreas Christoph Wasianski in Ueber Immanuel Kant, vol. III, 1804; l’esegesi delle grandi parole pronunciate del filosofo di Königsberg è di Erwin Panofsky, in apertura del volume Il significato delle arti visive, Torino 1962.

L’ANGOLO DI SENECA. Il bene morale non è una metretica del piacere. Quelli che pongono al di sopra di tutto il piacere, ritengono che il bene sia sensibile; per noi, invece, che lo attribuiamo all’anima, appartiene all’ordine intelligibile. Se i sensi dovessero giudicare di ciò che è bene, noi non rifiuteremmo alcun piacere: non ve n’è uno, infatti, che non abbia una sua attrattiva, che non provochi un qualche diletto. Per le stesse ragioni non ci assoggetteremmo mai volontariamente al dolore, perché ogni dolore offende la sensibilità. Se il piacere è un bene, perché dovremmo biasimare chi ama troppo il piacere e teme soprattutto il dolore? Se si è coerenti al presupposto, non si vede proprio qual è il peccato di cui si macchiano i golosi, i lussuriosi, quelli che per paura di soffrire si ritirano da ogni virile ardimento (Ad Luc. 124, 2 – 3).

12 gennaio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Intelligenza senza carattere. In una persona intellettualmente vivace la capacità della manipolazione delle idee è spesso superiore al rigore morale del suo carattere. E questa disequazione produce disumanità (Levi Appulo). Il Dio dei viventi. E Gesù disse loro: e che i morti risorgano lo ha indicato anche Mosè, nel passo del roveto, quando chiama il Signore Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Egli non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui (Vangelo di Luca). Un uomo, cioè un combattente. Io sono stato un uomo e questo vuol dire essere un combattente. La storia, laboratorio dell’umanità. Chi non sa rendersi conto / dei millenni lontani, / resti inesperto all’oscuro, / e viva alla giornata. Essere e fare. Bisogna essere qualche cosa per fare qualche cosa. (Johann Wolfgang Goethe)

IL PROBLEMA ITALIA NEL TESTAMENTO DI IPPOLITO NIEVO. Tra le carte di Nievo, parecchi anni dopo la sua morte prematura, fu ritrovato un saggio cui fu dato il titolo Frammento sulla rivoluzione nazionale. Scritto di getto, probabilmente nei mesi che precedono la sua partenza per la Sicilia con i Mille, e non più riveduto. È il suo vero testamento politico e spirituale, ricco di concretezza e di profonde intuizioni etico-politiche, che fanno di lui un eccellente diagnostico, senza le banalità e le ubbie del socialismo francese e del marxismo. Il Frammento suona come un appello alla classe dirigente liberale perché eviti due grossi scogli che renderanno precaria e difficile l’unificazione nazionale.

La Scilla del liberalismo italiano era un furibondo anticlericalismo, chiuso alla comprensione sia del messaggio cristiano in sé, sia del suo costituirsi a giustificazione e coronamento della coscienza morale del nostro popolo. «Siate filosofi, panteisti, atei, se credete – dice Nievo ai suoi ideali interlocutori – ma siate in pari tempo retti estimatori del vostro secolo, e delle condizioni altrui sì materiali che morali. Consentite con me che non avete altro bene in vostra balia da compensare il popolo della perdita della sua fede, che non avete altro freno da sopperire alla mancanza della legge divina. Potrete sperimentare la vostra forza persuasiva in altri conati più utili, più giusti» (Opere, pp. 1088 – 1089, Milano-Roma 1952).

Il Cariddi in cui rischia d’incagliarsi la rivoluzione politica è la mancata «fusione del volgo campagnuolo nel gran partito liberale». La premessa per lavorare a conseguire in progresso di tempo un simile risultato – in cui in realtà consiste l’autentica rivoluzione nazionale – è l’educazione, ma, a sua volta, la «prima condizione per rendere l’educazione possibile è l’alleviamento della miseria e il retto soddisfacimento dei bisogni». Di qui l’invocazione appassionata di Nievo: «Migliorate adunque subito fin che n’è tempo la condizione materiale del volgo rurale se volete avere un’Italia… Voi dite che vi affretterete a compiere il rivolgimento politico senza la sua cooperazione o colla sua cooperazione passiva o forzata; che compiuta ed assicurata l’opera penserete a lui. Io vi consiglio a non vi fidare di questa massima» (pp. 1086 – 1087). Ed ecco, infine, due espressioni epigrafiche, di quelle che si ricordano come se fossero proverbi, perché il loro autore, scrivendole, e noi, leggendole, avvertiamo il peso della parola. «Mal s’insegna l’abbicì a uno che ha fame» (p. 1081); «… il tempo è vindice supremo della inutilità» (p. 1090).

L’ANGOLO DI SENECA. Contemplazione e azione. «Mi consigli di evitare la folla, di appartarmi, di cercare la gioia nella coscienza. E allora che ne è dei vostri principi stoici che impongono di morire sulla breccia?». Ti pare proprio che io ti raccomandi l’inerzia? Se mi sono ritirato e isolato, è stato piuttosto per giovare a molti (In hoc me recondidi, et fores clausi, ut prodesse pluribus possim). Non un giorno trascorre per me nell’ozio e allo studio rivendico anche una parte della notte: al sonno non mi dedico, ma cedo, e costringo al lavoro gli occhi che si chiudono affaticati dalla veglia. Io ormai curo gli affari dei posteri (Ad Luc. 8, 1 – 2).

26 gennaio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Non si fanno favori ai malvagi. Chi si aspetta una ricompensa dai malvagi per un favore, sbaglia due volte: prima perché aiuta gente indegna, poi perché non può sperare di cavarsela impunemente. I luoghi e la memoria. Nessuno torna volentieri nei posti dove ha sofferto. Ciò che è assurdo non attesta mai grandezza d’animo, ma irresponsabilità. I progetti assurdi non solo sono irrealizzabili, ma anche dannosi. Agitati, non attivi. Molti sono indaffarati a non fare nulla. Lo si dimentica di continuo. Il successo conduce molti alla rovina. Chi è genitore. I genitori li fa la bontà d’animo, non il vincolo naturale. Quando il disprezzo cela invidia e impotenza. Molti sviliscono a parole ciò che non sono all’altezza di fare. Il buon senso di uno può giovare a molti. Spesso ciò che sfugge alla superficialità di molti viene scoperto dal buon senso di una sola persona. (Fedro, 20 a.C. – 50 d.C., fatto prigioniero in Tracia ancora ragazzo e portato a Roma, fu liberato da Augusto. Sono celebri le su Favole. Subì un processo sotto Tiberio, ma se la cavò)

QUANDO LA SCIENZA SI SEPARÒ DALLA MAGIA? La storiografia ha messo in luce la rilevante presenza, nell’età rinascimentale e in quella posteriore, della tradizione magica, ed ermetica (nome che deriva dal mitico Ermete Trismegisto, cioè «il tre volte grande» e dalla raccolta di scritti diffusi sotto il suo nome del periodo ellenistico, a partire dal II secolo d.C.). Tra i pensatori moderni accanto a coloro che criticano con asprezza la magia, l’alchimia e l’astrologia (si pensi a Bacone e a Bayle), vi sono molti che vedono in esse tappe preparatorie, aspetti e componenti di quel processo che è la rivoluzione scientifica. I presupposti della magia e dell’ermetismo (il parallelismo e la corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, la simpatia cosmica, la concezione dell’universo come un unico grande essere vivente) erano diffusi nel contesto culturale del tempo. Non ci si deve meravigliare, pertanto, se all’inizio della rivoluzione scientifica la magia e le altre suggestioni analoghe si intrecciavano alla scienza; la separazione fra la pseudo-scienza e la scienza propriamente detta sarà il punto di arrivo del percorso che va dal 1543, l’anno in cui appare il De revolutionibus di Copernico, al 1687 in cui Newton pubblica i Philosophiae naturalis principia mathematica. Né si deve tacere che persino i rappresentanti più prestigiosi della rivoluzione scientifica pagarono il pedaggio a quei pregiudizi che proprio le loro scoperte avrebbero contribuito a confutare. Copernico fu astronomo, ma nell’esercizio della medicina fece sistematicamente ricorso alla teoria degli influssi astrali. Tycho Brahe cercava negli astri la chiave per capire gli avvenimenti umani e salutò l’inizio di un’era di pace e ricchezza nell’apparizione della stella nova nel 1572. Il suo discepolo Keplero consultò le stelle, oltre gli amici, quando decise di sposarsi la seconda volta e persino Galilei dovette occuparsi di oroscopi su richiesta della corte dei Medici. Insomma anche il cammino della scienza è stato faticoso, tutt’altro che una marcia trionfale.

L’ANGOLO DI SENECA. Dissonanze armonizzate. La natura è un tutto armonioso che compone in unità le dissonanze (Nat. Quaest. VII, 27, 4). Il mondo e il caso. Questo mondo così bello, così ben strutturato e regolato, qualcuno lo considera come il prodotto disordinato del caso. E questa demenza circola non solo tra gente ignorante, ma anche tra coloro che fanno professione di saggezza (Nat. Quaest., pr. 14).

2 febbraio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Bene qui, nella lotta. Spesso, quando si chiede a una portoricana come sta, come vadano le cose, ci si sente rispondere: Pues, ahì, en la lucha (Bene, qui, nella lotta)… Questa frase rappresenta perciò un’affermazione sulla sopravvivenza, un commento sulle circostanze economiche e sociali, un commento sulla voglia di affrontare le difficoltà e sulla perseveranza, e contiene i semi di un volersi impegnare, lottare (Elisabeth Schussler Fiorenza). Gli impenitenti. Se ti guardi intorno, ti accorgerai che la scena è occupata quasi sempre da coloro che, avendo sbagliato molto, vogliono insegnare tutto. Sì lo confesso. Di alcuni pensatori, poeti e uomini d’azione non posso accogliere né le pretese messianiche, né alcuni princìpi aberranti. E tuttavia, spesso, il vigore del loro genio mi appare ugualmente grande (Levi Appulo). L’oscillazione. Il mio emblema: un pendolo che oscilla tra un punto esclamativo e un punto di domanda (Michel Leiris). La libertà comincia dal sorriso. C’est à l’ironie qui commence la liberté (Victor Hugo). Chi disimpara a servire. Chi ha appreso a morire ha disimparato a servire. Il saper morire ci affranca da ogni soggezione e timore (Michel de Montaigne). Pronti a morire se vogliamo gioire. Essere pronto a morire è ancora il mezzo migliore di gioire della vita (André Lalande). Per ottenere la libertà. È soltanto rischiando la vita che si ottiene la libertà (Georg Wilhelm Friedrich Hegel).

NON È SOLO CATTIVA POLITICA. «Nessuno ha nostalgia dei partiti, degli uomini, dei comportamenti, del modo di far politica e del linguaggio della Prima Repubblica. Ma è anche un fatto che movimenti, uomini, comportamenti, modo di far politica e linguaggio della seconda Repubblica non si stanno rivelando migliori. Anzi. I movimenti non sono riusciti ad assolvere la duplice funzione propria dei partiti tradizionali che essi hanno sostituito: 1) selezionare in modo adeguato il personale politico; 2) esercitare una forte capacità di indirizzo. La maggior parte degli uomini “nuovi” sono politicamente incolti, tecnicamente impreparati ad assolvere i propri compiti, o, semplicemente “impresentabili”; il linguaggio e i comportamenti sono spesso più da “Bar Sport” o da “Tv-Spazzatura” che quelli di una democrazia matura. La verità nuda e cruda è che l’Italia sta attraversando, oltre che una crisi politica, anche e soprattutto una crisi culturale, morale, istituzionale, civile, sociale. E non ne uscirà facilmente, quale che sia l’esito della crisi politica» (Piero Ostellino, Corriere della Sera, 29 dicembre 1994).

IL SILENZIO CI INSEGNA A PARLARE. Il silenzio ci insegna a parlare. Una parola che reca frutto è una parola che torna al silenzio da cui è emersa, che ci ripropone il silenzio da cui viene e ci riconduce a esso. Una parola che non è radicata nel silenzio è una parola fiacca, inefficace, anche se fa rumore ed echeggia come «un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna» (1 Cor 13, 1).

Quando incarnano il silenzio dal quale emergono, le parole sono destinate a generare comunione e nuova vita. Ma non appena cominciano a servirci per spadroneggiare gli uni sugli altri, per difenderci e offendere, esse allora non ci parlano più del silenzio. Quando, invece, le parole esprimono la quiete risanatrice e ristoratrice del silenzio da cui scaturiscono, poche ne bastano: molte cose possono essere dette senza parlare molto.

Così, il silenzio e il mistero del mondo futuro, ci conserva pellegrini e ci impedisce di restare impigliati nelle cure della nostra epoca. Mantiene vivo il fuoco dello Spirito che dimora in noi. Ci rende capaci di dire parole che partecipano alla potenza creativa e ricreativa della Parola stessa di Dio.

L’ANGOLO DI SENECA. Il cielo stellato sopra di me. Il sole, anche se si limitasse soltanto a solcare il cielo, non sarebbe già uno spettacolo per i nostri occhi tale da riempirci di stupore? E non sarebbe degna di contemplazione la luna, anche se si limitasse a passare, come un astro inutile, da un punto all’altro del cielo? E chi può restare insensibile di fronte alla volta celeste, quando di notte sparge i suoi fuochi e risplende di una infinità di stelle? Chi, quando contempla queste cose, pensa alla loro utilità? (De beneficiis IV, 23, 2 – 3).

9 febbraio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Due condizioni molto semplici. Non fate nulla per invidia o per vanagloria… Badate agli interessi degli altri e non solo ai vostri. Dove si va e con chi si combatte. Io corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria. Il senso di una vita. È giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. (San Paolo)

Bisogna scendere tutto nella melma. Se vuoi sollevare un uomo dalla melma e dal fango, non credere di poter restare in alto e accontentarti di stendere una mano soccorrevole. Devi scendere giù tutto, nella melma e nel fango. Allora afferralo con forti mani e riconduci lui e te alla luce (Rabbi Shlomo, maestro della corrente mistica dell’ebraismo, i Chassidim).

È CONTINUO IL PROGRESSO VERSO IL MEGLIO? C’È UN LIMITE AL PEGGIO? Nell’ultimo decennio del diciottesimo secolo, nel decennio cioè della Rivoluzione francese, qualcuno ha posto e cercato di risolvere la questione «se il genere umano sia in continuo progresso verso il meglio». Questo qualcuno è Kant. Da un punto di vista puramente astratto, egli dice, ci sarebbero evidentemente tre possibilità di rispondere a quella domanda: Primo, «ascesa costante», secondo, «continua decadenza»; terzo,«permanenza al medesimo stadio, movimento più o meno, allo stesso livello». Di queste tre risposte possibili, una, la seconda, si elimina subito, a priori, senza discussione. E, invero, il «regresso verso il peggio» è una possibilità astratta, ma in concreto non esiste, è semplicemente inimmaginabile per Kant. Perché? Il chiarimento offerto su questo punto suona testualmente così: «La decadenza verso il peggio non può essere costante e continua nel genere umano, poiché, ad un certo grado della medesima, esso si annienterebbe». L’autodistruzione del genere umano, secondo l’opinione di Kant, è assolutamente fuori discussione per un pensiero storico realistico; una cosa simile non può accadere.

IL RADICALE MUTAMENTO. Ora, riguardo a questo punto, la coscienza dell’umanità ha subito una trasformazione evidente e radicale. Da Hiroshima in poi l’idea che l’umanità possa «annientare» se stessa non solo è pensabile, ma è divenuta un incubo, un’angoscia collettiva. Se si volge uno sguardo retrospettivo alla posizione di Kant, l’autosterminio dell’uomo era allora effettivamente di là da ogni concreta possibilità: era irrealizzabile, anche solo da un punto di vista puramente tecnico. Sulle possibilità, però, di distruzione che esistono nell’uomo di cui lo si può ritenere capace, Kant poteva illudersi più facilmente di quanto lo possiamo noi oggi; ma una illusione rimane pur sempre un errore. Noi, certamente, di fronte alle tre possibilità del corso della storia formulate da Kant, non saremmo più capaci di escludere a priori quella negativa.

SE VAGHIAMO QUA E LÀ, SE SIAMO INCOSTANTI E AGITATI… «Bisogna certamente sapere che non possiamo osservare nessun altro comandamento e neppure l’amore stesso per Dio o per il prossimo, se vaghiamo qua e là con la nostra mente da un oggetto all’altro. Non è possibile imparare un’arte o una scienza, se si passa di continuo dall’una all’altra e non si può certamente riuscire ad apprenderne anche solo una, se non si conosce quanto concerne il fine di quest’arte. Bisogna, infatti, che le nostre azioni siano conseguenti al fine, poiché con mezzi inadeguati non si può ottenere nulla di ragionevole. Quello che il fabbro si propone non lo si otterrà lavorando secondo l’arte del vasaio, né si vinceranno gare atletiche esercitandosi con impegno nel suonare il flauto, ma per ciascun fine è richiesta una fatica particolare ed appropriata. E così, l’esercizio per piacere a Dio, secondo l’evangelo di Cristo, si realizza con il ritirarsi dalle preoccupazioni del mondo e l’abbandonare assolutamente ogni distrazione» (San Basilio di Cesarea, 330 – 379, Regulae fusius tractatae, 5, 1, Magnano-Vicenza 1993).

16 febbraio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Dovrebbe essere il contrario, ma la stupidità ha sì gran parte nelle umane vicende. Chi detiene il potere sempre ha in odio e in sospetto chi è destinato a succedergli. Se non si sta in guardia. Spesso, se non si sta in guardia, a buone cause seguono perniciosi effetti. Occorre non lasciarsi incantare. Non bisogna mai fidarsi di chi è troppo potente. Ciò che non si esibisce e neppure si osa confidare. Quelli che si lamentano di più sono quelli che soffrono di meno. Verità da gridare forte. Più uno Stato è corrotto più fa leggi. Falsi e sinceri. I falsi in amore sono sinceri nell’odio. La più violenta di tutte. La più violenta delle passioni è la brama di potere. (Tacito)

L’infame convincimento dei Signori della Tangente. Che cosa conta il buon nome, una volta che si sono messi al sicuro i soldi? Gli sporcaccioni dall’aria severa. Non fidarti dell’apparenza: sono tanti gli sporcaccioni dall’aria severa. Occorrono uguali opportunità. Non è facile emergere per coloro ai cui meriti è di ostacolo la scarsezza di mezzi. Se il vizio dell’auto-stima è anche incoraggiato… Non c’è nulla che chi è potente non possa credere riguardo a se stesso quando qualcuno lo loda. (Decimo G. Giovenale, 60 d.C. – 140 d.C., nato ad Aquino. La sua musa è l’indignazione morale – facit indignatio versum – contro il servilismo interessato degli intellettuali, l’arroganza del potere, il cinico tirare a campare del popolino, la corruzione eretta a sistema)

UNA CERTA ARIA DI FAMIGLIA TRA BUDDHA E IL CIRCOLO VIENNESE. Nel suo nucleo centrale la concezione buddhista è formulata nel primo sermone di Benares, o dottrina delle «quattro verità». La prima è che «tutto è Sofferenza»: la nascita è Sofferenza, il declino è Sofferenza, la malattia è Sofferenza, tutto ciò che è effimero è Sofferenza. La seconda verità è che «l’originale della Sofferenza è il Desiderio». La terza è che «l’eliminazione del Desiderio porta all’eliminazione della Sofferenza». La quarta verità rivela l’Ottuplice Sentiero che conduce all’estinzione della Sofferenza: la corretta opinione, il corretto pensiero, la corretta parola, la corretta azione, i corretti mezzi di esistenza, la corretta attenzione, la corretta contemplazione. La contemplazione sembra essere, però, la forma più vicina al messaggio originale del Buddha. «In origine – osserva Mircea Eliade – si tratta di una dottrina molto caratteristica, nell’insieme delle religioni del mondo: una dottrina non affermativa, ma prima di tutto negativa. La via del buddismo è la via dell’annientamento del Sé e, attraverso ciò, del mondo dei fenomeni».

Di qui la conclusione radicalmente agnostica: qualsiasi affermazione su tutti i grandi interrogativi dell’uomo (se l’anima è il corpo o se l’anima e il corpo sono distinti, se l’anima sopravvive alla morte o non esiste più dopo di essa, se il nirvana è la pienezza di felicità o è il nulla, ecc.) non sarebbe altro che congettura senza fondamento, riguardando cose a cui non si può attribuire alcuna esistenza reale, designabili solo attraverso convenzioni linguistiche. A chi gli chiedeva lumi sulle questioni di fede, Buddha rispondeva, dicono le fonti, con «un nobile silenzio». Per questo alcuni hanno potuto percepire una certa aria di famiglia tra il metodo del Buddha e quello dei neo-positivisti del Circolo viennese.

L’EMOZIONE RELIGIOSA NEL LINGUAGGIO DELL’AMORE UMANO. Il cuore della rivelazione biblica sta nell’annunciare che Dio è letteralmente innamorato dell’uomo: «Sì, come una giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo Creatore» (Isaia 62, 5). Il rapporto tra il Creatore e l’anima è di tipo sponsale: Dio è l’amante fedele alla sua sposa. Il libro dell’Antico Testamento che dà espressione lirica a questo modo di concepire il rapporto uomo-Dio è il Cantico dei Cantici, cioè il cantico per eccellenza, il poema d’amore in cui l’amato e l’amata si cercano reciprocamente e si trovano. Ebrei e cristiani non hanno mai cessato nel corso dei secoli di commentare quel testo. Vogliamo anche noi prendere in mano la Bibbia e goderci quel piccolo, splendido libro di cui l’emozione religiosa più alta è trasposta immediatamente, direi senza residuo alcuno, sul piano dell’amore terreno? Anche per chi non legga la Bibbia con gli occhi della fede, dove trovare una poesia d’amore che possa reggere il confronto con quella del Cantico dei Cantici?

L’ANGOLO DI SENECA. Principio degli indiscernibili. Non c’è animale che sia uguale a un altro. Esamina bene i corpi di tutti: ciascuno ha un suo proprio colore, una sua figura, una sua grandezza. Tra le tante ragioni che fanno così ammirevole la mente del divino Artefice penso ci sia anche questa: in tanta prodigiosa ricchezza di esseri Dio non si ripete mai. Anche le cose che sembrano simili, a confrontarle risultano diverse (Etiam quae similia videntur, cum contuleris, diversa sunt). Di tante specie di foglie, non ce n’è una che non abbia una sua propria caratteristica; fra tanti animali, non uno che abbia esattamente le stesse proporzioni d’un altro: una differenza c’è sempre. L’Artefice divino ha voluto un universo in cui gli esseri fossero non uniformi, ma distinti e differenziati nella loro individualità (Ad Luc. 113, 15 – 16).

23 febbraio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Basta viverci accanto qualche giorno. Se vuoi sapere come stanno gli altri quanto all’essere felici o infelici, basta che tu vada a stare in casa di qualcuno, una volta soltanto e per pochi giorni: vacci e vivici qualche giorno, e poi, dopo che ne sarai uscito, vedi se hai ancora il coraggio di considerarti infelice. Vendetta e meschinità. La vendetta è un piacere solo per gli animi meschini. Il testimone non eliminabile. La pena più tremenda è portare in cuore, notte e giorno, il testimone delle proprie colpe. I vizi che trasmettiamo ai nostri figli. I vizi che i genitori con il loro esempio trasmettono ai figli sono numerosissimi. E per natura i cattivi esempi che vengono dalla famiglia corrompono più in fretta e più a fondo, perché penetrano nell’animo attraverso autorevoli modelli. Multa debetur pueris reverentia. I bambini meritano il più grande rispetto. Più si ha denaro, più se ne vuole. L’amore per il denaro cresce quanto più cresce il denaro stesso. (Giovenale)

NO, NON È COLPA DELLA SCIENZA. Molti pensano che sia stata l’invenzione meccanica in genere a sviluppare il gusto del lusso, come anche del benessere. Se inoltre si ammette che i nostri bisogni materiali andranno sempre crescendo e esasperandosi, è perché non si vede la ragione per cui l’umanità dovrebbe abbandonare la via dell’invenzione meccanica, una volta che l’abbia imboccata. Aggiungiamo che più la scienza avanza, più le sue scoperte suggeriscono invenzioni: spesso dalla teoria all’applicazione non c’è che un passo; e poiché la scienza non potrebbe fermarsi, sembra in realtà che non ci debba esser fine sia alla soddisfazione dei nostri antichi bisogni, sia alla creazione di bisogni nuovi. Ma occorre prima di tutto domandarsi se lo spirito inventivo susciti necessariamente dei bisogni artificiali, o se sia stato piuttosto il bisogno artificiale ad orientare in questo senso lo spirito inventivo. La seconda ipotesi è di gran lunga più probabile.

L’uomo ha sempre inventato delle macchine e anche l’antichità ne ha conosciuto di notevoli; dispositivi ingegnosi furono immaginati molto prima della nascita della scienza moderna, e poi, molto spesso, indipendentemente da essa. Ancora oggi semplici operai, senza cultura scientifica, trovano dei perfezionamenti, a cui provetti ingegneri non avevano pensato. L’invenzione meccanica è un dono naturale, i cui effetti sono stati ridotti fino quando essa si è limitata a utilizzare delle energie presenti e, in qualche modo, visibili: lo sforzo muscolare, la forza del vento o di una cascata d’acqua. La macchina ha dato tutto il suo rendimento solo dal giorno in cui si è stati capaci di mettere al suo servizio alcune delle energie potenziali immagazzinate durante milioni di anni, chieste in prestito al sole e messe a disposizione nel carbon fossile, nel petrolio, nell’atomo. Quel giorno fu segnato dall’invenzione della macchina a vapore che non è certo uscita da considerazioni teoriche. Affrettiamoci ad aggiungere che il progresso, dapprima lento, si è compiuto a passi di gigante, quando la scienza si mise dalla sua parte. È ugualmente vero che lo spirito d’invenzione meccanica, che scorre in un letto stretto finché è lasciato a se stesso e che si allarga indefinitamente dopo aver incontrato la scienza, resta distinto da essa e potrebbe, a rigore, separarsene.

Non è che la scienza, come si sarebbe portati a credere, abbia imposto agli uomini, per il solo fatto del suo sviluppo, dei bisogni sempre più artificiali. Se così fosse, l’umanità sarebbe condannata ad un sempre crescente materialismo, poiché il progresso della scienza non è destinato ad arrestarsi. La verità è che la scienza ha dato ciò che le si chiedeva e non ha preso l’iniziativa in questo campo; è lo spirito d’invenzione che ha creato una folla di nuove esigenze e non si è preoccupato abbastanza di assicurare alla maggior parte degli uomini, o meglio a tutti, la soddisfazione degli antichi bisogni. Più semplicemente: senza trascurare il necessario, ha pensato troppo al superfluo. Si può dire, in generale, che l’industria, a sua volta, non si è occupata abbastanza della maggiore o minore importanza dei bisogni da soddisfare. Volentieri essa si è posta al seguito della mentalità prevalente, per cui si doveva produrre senz’altro pensiero che quello di vendere.

2 marzo 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. I mali e i rimedi. I rimedi sono più lenti dei mali. Qualche volta è ben meritata. La fama non sempre sbaglia: qualche volta sa anche scegliere bene. Sono sempre numerosi alla corte del padrone di turno. La peggior razza di nemici è quella degli adulatori. Il passatismo talora nasce da disposizioni d’animo non ceto nobili. L’uomo, a causa delle sue cattive disposizioni d’animo, è portato a lodare sempre le cose passate ed a criticare le presenti. Spesso è così, ma non sempre. La forza dell’ingegno cresce con il crescere dei compiti. (Publio Cornelio Tacito, 55 d.C. – 123 d.C. Brillante ufficiale in Germania, proconsole in Asia sotto Traiano, sommo storico. Le grandi opere, le Storie e gli Annali, restano tali malgrado le lacune)

TRE VOCI DAL PROFONDO. Chi furono coloro che nei lunghi mesi dopo l’8 settembre presero la via della montagna per combattere contro i tedeschi ed i fascisti? Rispondere a questa domanda può aiutare a comprendere la loro scelta e le motivazioni più profonde che li mossero.

Innanzi tutto furono dei giovani. Ha del prodigioso pensare che dei ragazzi, poco più che adolescenti, abbiano saputo, da soli, tra insicurezze ed esitazioni drammatiche, compiere una scelta contro ciò cui erano stati educati, contro l’esaltazione della guerra, contro il dominio della razza superiore, contro il disprezzo della democrazia. E questa scelta era difficile. «Per molti dei miei coetanei – ricorda Italo Calvino, nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno – era stato solo il caso a decidere da che parte dovessero combattere». Ma per alcuni a decidere furono motivazioni profonde, che si manifestarono in tutta la loro nobiltà nella situazione-limite della morte.

Per tentare di capirlo occorre, allora, riprendere in mano le lettere che hanno lasciato coloro che sono stati fucilati, i condannati a morte. Si scopre con sorpresa che quelle loro ultime parole, scritte in fretta, spesso su dei piccoli fogli di carta, non furono di disperazione e neppure di odio, come sarebbe stato logico aspettarsi, ma di speranza e di perdono. Così il giovanissimo Poldo, Bortolo Fioletti (ucciso a Monno a 19 anni, a guerra finita, il primo maggio del 1945), con ingenua e toccante semplicità fa affiorare le ragioni più alte della guerra partigiana: «Cara mamma non piangere per me. Perdonami e pensa se io fossi tra coloro che martirizzano la nostra gente (…) Io sono qui per nessun altro scopo che la fede, la giustizia e la libertà e combatterò sempre per raggiungere il mio ideale (…) Presto verremo giù, e vedrai che uomini giusti saremo. Allora si vivrà con la soddisfazione di vivere e non con l’egoismo di oggi».

E che dire del camuno Giovanni Venturini, Tambia, che i suoi stessi aguzzini riconobbero «elemento di carattere fermo, deciso a non lasciarsi sfuggire alcuna informazione»? Sottoposto alle più violente torture ed alle più crudeli mutilazioni, seppe dire parole di perdono: «Ormai sono ridotto a misera cosa, non sono più uomo e qualche volta piango dal dolore dei miei piedi che non mi serviranno più (…) Perdono a tutti ed auguro a nessuno quello che ho sofferto e soffro io, nemmeno a chi lo ha fatto a me, nemmeno alle bestie».

Un’ultima lettera-testamento: «Chiudo questa mia vita serenamente. Non ho rimpianti nel lasciarla perché coscientemente l’ho offerta per questa terra. Anche ora offro questo mio ultimo istante per la pace nel mondo, e soprattutto per la mia diletta patria, alla quale auguro figli più degni di me ed un avvenire splendente». Sono parole di un ufficiale bresciano, Peppino Pelosi, entrato a far parte del movimento partigiano e fucilato il 29 febbraio 1944.

9 marzo 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Problema etico-politico di ogni tempo e forma di governo. Chi sorveglierà i sorveglianti? Non si eredita. L’unica nobiltà è la virtù. Il vivere a qualunque prezzo non è il valore più alto. È veramente vergognoso preferire la vita all’onore e pur di salvare la vita perdere la ragione stessa di vivere. Che cosa chiedere. Se proprio vuoi chiedere qualcosa agli dei, chiedi di avere una mente sana in un corpo sano. Chiedi un animo forte, che non conosca la paura della morte, che consideri una vita lunga l’ultimo dei doni della natura, che sappia sopportare qualunque fatica, che non conosca l’ira, che non desideri nulla e che ritenga le dure fatiche di Ercole e le sue sventure preferibili agli amori venali, ai banchetti e all’ozio. L’ostacolo accresce il valore. Piace di più ciò che costa di più. Tener presenti i propri limiti. Nelle piccole come nelle grandi cose ognuno deve conoscere e tenere ben presenti i propri limiti. Per la razza padrona è solo questione di stile e di svago. Per i poveri darsi al gioco o praticare l’adulterio sono vizi turpi; ma se le stesse cose le fanno i ricchi, ecco che diventano cose eleganti e divertenti. (Giovenale)

FU PAGATA A CARO PREZZO. Sulle perdite dovute a tedeschi e fascisti nel periodo tra l’8 settembre 1943 e la liberazione dell’ultimo lembo di territorio nazionale, nei primi giorni di maggio del 1945, non esistono dati analitici di fonte ufficiale. Bisogna, perciò, rifarsi ai dati parziali elaborati in diverse sedi. Il quadro d’insieme che ne risulta va conosciuto per capire di che lacrime grondi e di che sangue la riconquista della democrazia. Sono 30.896 i partigiani caduti o giustiziati in Italia su 336.516 a cui è stata riconosciuta la qualifica di partigiano. Le donne partigiane cadute o giustiziate sono 623. Da 33.000 a 35.000, a seconda delle valutazioni di diverse fonti, sono i partigiani caduti o giustiziati combattendo nei movimenti di liberazione all’estero: si tratta di militari sorpresi dall’armistizio in altri Paesi (Albania, Grecia, isole dello Ionio e dell’Egeo, Francia, Iugoslavia). Circa 40.000 su 43.000 sono i deportati, per ragioni politiche o razziali, morti o uccisi in campi di concentramento nazisti (soprattutto a Mauthausen, Buchenwald, Auschwitz, Flossemburg, Gusen). Gli ebrei rastrellati in Italia l’8 settembre e deportati oltralpe sono 8.360, di cui 533 bambini. Di essi solo 611 fecero ritorno. Circa 33.000 militari su quasi 700.000 deportati in Germania morirono a causa di stenti, maltrattamenti, o uccisi in seguito a tentata fuga. Sono 9.980 le vittime civili per eccidi, rappresaglie, atrocità dei nazifascisti.

Fu pagata a caro prezzo la libertà. Occorre farne memoria. Un popolo senza memoria storica non merita la libertà di cui gode ed è sempre in procinto di perderla.

ABRAMO E L’ANGELO. Abramo, ormai vecchissimo, era seduto su una stuoia nella sua tenda di capotribù, quando vide sulla pista del deserto un angelo venirgli incontro. Ma quando l’angelo gli si fu avvicinato, Abramo ebbe un sussulto: non era l’angelo della vita, era l’angelo della morte. Appena gli fu di fronte, Abramo si fece coraggio e gli disse: «Angelo della morte, ho una domanda da farti: io sono amico di Dio, hai mai visto un amico desiderare la morte dell’amico?». L’angelo rispose: «Sono io a farti una domanda: hai mai visto un innamorato rifiutare l’incontro con la persona amata?». Allora Abramo disse: «Angelo della morte, prendimi» (Mirko Bellora su La buona sera, «periodico di vita, morte e miracoli», Torino 1995).

L’ANGOLO DI SENECA. La natura e il destino dell’uomo ne definiscono la condotta. Non t’affrettare a dire: «Questo non centra con il problema della condotta umana». Non è detto che incida direttamente sul perfezionamento morale tutto ciò che concorre a farci meglio comprendere quel problema della diversità dei suoi aspetti. Vi sono scienze che indagano aspetti diversi della vita dell’uomo (ad esempio l’alimentazione, l’acquisizione di determinate abilità, il modo di vestire, il divertimento) e tuttavia solo in parte mirano anche a correggere e a ricondurre ad una norma gli atteggiamenti pratici corrispondenti. Quando poi io passo a chiedermi perché la natura ha prodotto l’uomo, perché gli ha conferito la preminenza su tutti gli altri esseri, pensi tu che io metta da parte il problema morale? È del tutto falso. Come potresti sapere in che modo bisogna vivere, se non sai qual è il bene più alto per l’uomo e non ne approfondisci la natura? (Ad Luc. 121, 2,-3).

16 marzo 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Pura follia. Darsi la morte per paura della morte è pura follia. Occorre pure ridersela delle follie del mondo. Ridi, se sei saggio. Se a te non piace proprio nessuno, vuol dire che l’anormale sei tu. Colui al quale nessuno piace è un infelice. Io ho quel che ho donato. Le uniche ricchezze che avrai per sempre saranno quelle che hai donato. A forza di parlarne. Un dono, anche grande, perde valore se il donatore ne parla troppo. La legge di reciprocità. Se vuoi essere amato, devi amare. L’essere ritenuto e l’esserlo davvero. C’è differenza tra l’essere buono e voler essere ritenuto tale. Il mecenate e il poeta. Se ci saranno i Mecenati, non mancheranno i Virgilii. La certezza da cui muovere. Ogni giorno porta i suoi doni. (Marco Valerio Marziale, 40 d.C. – 104 d.C., ispanico vissuto a Roma, acuto e mordace autore di epigrammi)

SE C’È MONOPOLIO NON C’È LIBERTÀ. Pensatori seri e politici liberali come Max Weber, Luigi Einaudi, Luigi Sturzo, Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, ahimè tutt’altro che conosciuti nel nostro Paese, hanno sottolineato con estremo vigore che il mercato è un’istituzione indispensabile per garantire la razionalità delle scelte da effettuare in una società che voglia essere e rimanere libera. Il principio della libera concorrenza garantisce, nel campo economico e nel campo scientifico, superiori livelli di razionalità, nonché la possibilità di mettere in moto la «macchina del progresso» attraverso il perfezionamento continuo delle soluzioni ideate. La stessa democrazia liberale può essere analizzata ricorrendo al modello del mercato. In un sistema politico liberal-democratico opera, come in un’economia di mercato, la legge della concorrenza. Due o più élites cercano di conquistare gli elettori promettendo, in cambio della delega di potere, di difendere certi interessi e certi valori. Per usare la felice formula di Filippo Burzio, esse anziché «imporsi» con la forza, come avviene nei regimi autocratici, si «propongono». La lotta politica così è «ritualizzata», con notevole riduzione dei costi umani, e razionalizzata, nel senso che i governanti hanno la possibilità di scegliere e di controllare coloro che occuperanno, per un limitato periodo di tempo, la città del comando. Ma come in economia, così in politica il monopolio uccide il libero mercato e rende impossibile un confronto corretto fra le parti in gioco. E il monopolio in politica oggi lo esercita chi ha il monopolio pubblico e privato dei mezzi di informazione ed in particolare del più diffuso ed incisivo di essi, la televisione. Chi controlla i mezzi, controlla i fine a cui vuol condurre i cittadini degradati a sudditi. Questo è non l’unico, ma è certamente il primo dei problemi politico-istituzionali che occorre risolvere al più presto. Liberali e democratici, autentici e non truffaldini, oggi sono quelli, e solo quelli, che sottoscrivono apertamente questo pensiero elementare del liberal-socialista Pierre-Joseph Proudhon: «Sopprimere in economia e in politica la concorrenza significa sopprimere la libertà stessa».

L’ANGOLO DI SENECA. Dalla realtà del mondo a Dio. L’uomo che penetra profondamente il mistero dell’universo, si inoltra nel senso della natura e si volge verso l’alto, verso il cielo sua patria d’origine, donde poi torna a guardare le miserie e le illusioni degli uomini. Allora egli è in grado di cominciare a conoscere Dio (Naturales quaestiones I, Praef. 7, 8, 13 passim). Nessuno è giusto con Dio. «Ho incontrato molti uomini giusti nei confronti dei propri simili, nessuno con Dio». Ad Luc. 93, 1.

23 marzo 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il gioco, test insuperabile. Nel gioco i costumi dei bambini vengono alla luce più facilmente. Onestà e utilità vera. La provvidenza ha fatto un grande dono agli uomini stabilendo che le cose oneste fossero anche le più utili. Troppa indulgenza troppi guasti. Un’educazione troppo indulgente è dannosa perché fiacca tutti gli slanci della mente e tutto il vigore del corpo. La parte degli insegnanti e quella degli alunni. Il dovere degli insegnanti è sapere insegnare, quello dei discepoli essere disponibili a imparare. Se le cose non stanno così, tutto è perfettamente inutile. La coscienza non si dà in cambio di nulla. La propria coscienza vale mille testimoni. La malattia di molti politici. Molti sono disposti a rinunciare a un amico piuttosto che a un bel motto. Quando il riso diventa un ghigno. Costa troppo il riso se ne fa le spese l’onestà. (Marco Fabio Quintiliano, ispanico, intorno al 35 d.C. Si trovò ad essere il primo insegnante di retorica retribuito dallo Stato. Morì verso il 95 d.C. Di lui rimane l’opera maggiore, le Istitutiones oratoriae)

GRATTA LA SUPERFICIE E SALTA FUORI LA SUPERSTIZIONE. Appena ci distraiamo dalla scienza, o mettiamo la sordina al senso religioso, la superstizione vien subito a galla, e senza il minimo pudore. L’animale di natura, il primitivo, ha allora la meglio sull’animale di cultura, l’istinto atavico sconfigge l’intelligenza. Ci sono varie forme di superstizione e una delle più diffuse è quella del genere iettatorio. In proposito ho un ricordo divertente su cui mi sono più volte sorpreso a riflettere. Giovanni Battista Montini era stato eletto Papa e una folta rappresentanza della sua città natale andò a Roma a rendergli l’omaggio dovuto. Dopo la visita, molti di essi si recarono in gran fretta all’aeroporto di Fiumicino per il viaggio di ritorno. Sull’aereo, però, aveva preso posto una cara persona di Bergamo, politico integerrimo e uomo di buona cultura, ma in fama di iettatore. Ebbene, ad uno ad uno, non tutti certo, ma quasi tutti coloro che avevano prenotato quel volo lasciarono l’aereo. Per me, invece, fu una gioia sedere accanto al presunto iettatore e conversare animatamente con lui di Balbo e Gioberti, su cui stava svolgendo delle interessanti ricerche.

SE SCATTERÀ LA CENSURA… Prima che arrivi, l’ordine del padrone di turno è sempre preceduto da moltissimi atti che ne prevengono i desideri. Prima che scatti la censura, scatta sempre una molteplicità di autocensure. E allora che cosa fare? Il poeta polacco Ryszard Krynicki ce lo ha detto in una breve composizione intitolata Il principio del come se: «… Vivendo qui ed ora, / devi fingere di vivere altrove e in altri tempi, / e, nel migliore dei casi, di combattere i morti / attraverso la cortina di ferro delle nuvole».

L’ANGOLO DI SENECA. Attraverso l’esperienza l’intuizione del valore. Come giunge a noi la prima notizia del bene e dell’onesto? La natura non ha potuto insegnarcelo: ci ha dato i semi di questa conoscenza, non la conoscenza stessa. Né si può credere che il vero volto della virtù si disveli a noi per caso. A nostro giudizio essa risulta dall’attività intellettiva che esplicita l’intuizione originaria con l’osservazione e il confronto. È, infatti, in virtù del procedimento analogico che lo spirito desidera fortemente il bene morale. Ecco qualche esempio di analogia. Noi sapevamo già cos’era la salute del corpo; da questa argomentiamo che ci fosse anche una salute dell’anima. La forza fisica c’è; noi abbiamo dedotto che c’è anche una forza morale. Certi atti di generosità, di umanità, di coraggio ci colmano di ammirato stupore; noi abbiamo cominciato ad apprezzarli come perfetta realizzazione di un valore. Nei fatti di esperienza sono molti i difetti, però sono nascosti dalla splendida bellezza che traluce dalle azioni insigni. La natura tende a magnificare le azioni degne di lode e non v’è nessuno che, nell’atto di evocarle, non veda oltre la loro reale portata. È di lì, infatti, che induciamo l’idea di quel bene la cui bellezza non teme confronti (Ad Luc. 120, 3-5 passim).

30 marzo 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il sole e la ragione. Al sole spesso fanno ombra le nubi, alla ragione le passioni. Un’ingiustizia e una turpitudine. L’autorità che si fonda sul terrore, sull’oppressione e sulla violenza è un’ingiustizia e una turpitudine nello stesso tempo. La condizione per godere il riposo. Il riposo è il condimento della fatica. Giovano buoni amici ed anche acerrimi nemici, ma i politici da strapazzo non vogliono né consigli, né critiche. Per essere onesto nella vita privata e in quella pubblica, l’uomo ha bisogno di buoni amici o di acerrimi nemici. I primi con i loro consigli e i secondi con i loro insulti gli impediscono di fare il male. (Plutarco di Cheronea, città greca della Beozia, dove morì nel 120 d.C. Filosofo e sacerdote del santuario di Delfi. Celebri le sue Operette morali e le Vite parallele)

IL PERCHÉ DI QUESTI DETTI E CONTRADDETTI. Ci sono cose da ri-dire, da far conoscere, se tenute nascoste, da riproporre perché vere e coraggiose; e ce ne sono altre da contra-dire, perché in tutto o in parte non vere. Parlarne senza circonlocuzioni, scopertamente (alternando documenti, riflessioni personali e citazioni capaci di conferire il fascino della bellezza a valori universalmente umani), è un privilegio che mi è stato concesso, in una sorta di appuntamento del Giovedì con la mia città, attraverso le colonne del Giornale di Brescia. Il colloquio si estende a quanti idealmente fanno parte di quella Società degli Apòti, cara a Giuseppe Prezzolini, i cui soci sono appunto «quelli che non la bevono» e che, pur non rinunciando alla pietà per l’uomo, intendono resistere alla stupidità e alla prevaricazione. Apòti, quindi, sono in primo luogo quanti vogliono giudicare uomini ed eventi attraverso la riflessione personale e il libero confronto con le idee degli altri. Senza iattanza, ma anche senza lasciarsi intimidire dagl’idoli di turno.

Il desiderio di verità, ben più forte di qualsiasi calcolo e istinto, è il primo dei nostri doveri ed è la sostanza stessa di ogni ricerca. In un mondo che rischia di annegare coscienza e intelligenza nell’oceano della chiacchiera, al desiderio di verità oggi occorre accompagnare, quasi suo corollario e come atto di rispetto per i lettori, uno stile di assoluta essenzialità, attento alle sfumature e insieme capace di andare diritto al nocciolo di una questione. L’essenzialità, dunque, è d’obbligo, come pure l’umile capacità di ascolto e di messa in valore di tutto quello che di vero, di bello, di grande e magnanimo è stato pensato, contemplato, voluto dai nostri simili nel cammino della storia.

DA OGNI RIGA DOVREBBE RISULTARE EVIDENTE. Denudare i sofismi che si annidano in tanti slogans, gli assunti nascosti dietro le parole, la vigliaccheria morale e il dogmatismo mentale di non pochi è una dolorosa fatica, ma a quel compito non posso sottrarmi in un «diario pubblico» come questo. Vorrei, però, che da ogni riga risultassero evidenti le ragioni della denuncia delle illusioni più dure a morire e della critica di quei maîtres à penser che hanno consegnato l’uomo contemporaneo all’indifferenza etica: sono originate dall’ansia per l’uomo e dalla speranza di una città futura più fraterna, non dalla retorica del disincanto.

Un’ultima dichiarazione d’intenti. L’autore di queste «schegge» ritiene di dover documentare, anche con l’assiduo ricorso alla poesia, l’incoercibile aspirazione dell’uomo a ciò che lo fonda e lo trascende, così come l’animazione in ultima analisi evangelica di ogni autentico umanesimo. Nel clima culturale odierno ciò che più conta, ai suoi occhi, è che si esca da un atteggiamento di rifiuto aprioristico, dal «pre-giudizio» che vieta la domanda metafisica e religiosa, dichiarando insensata la stessa domanda di senso. «Se si ha paura della verità – osservava Wittgenstein – non si sospetta mai la piena verità». E ciò comporta per l’uomo una perdita secca.

L’ANGOLO DI SENECA. Decide la ragione. La decisione su ciò che vale di più non spetta alla facoltà più vile che ci sia nell’uomo, non è compito dei sensi. Non possono essere loro i giudici del bene e del male. È evidente che a queste distinzioni presiede la ragione. Della felicità, della virtù, dell’onesto e dunque anche del bene e del male, decide la ragione. Puoi vedere da te quanto grande sia l’ignoranza della verità e come siano stati gettati in basso quei valori che sono di una elevatezza divina da coloro che pretendono visualizzare e tattilizzare il giudizio del sommo bene e del massimo dei mali. Non esiste il bene se non dove c’è la ragione (Nisi ubi rationi locus est, bonum non est). Ciò che ha valore assoluto è prerogativa dei soli esseri razionali: a loro è dato sapere perché, fino a qual punto, in qual modo bisogna agire. Il bene non può ritrovarsi se non in colui che è dotato di ragione (Ad Luc. 124, 4 – 5; 13 e 20 passim).

6 aprile 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Anche Giobbe la pensava così. Dio ascolta con maggior amore il grido quasi blasfemo di un disperato che non le lodi compassate e fredde di chi sta bene e se la gode (Martin Lutero). Se l’uno è intelligente e l’altro pure. Un uomo intelligente non ha paura di sembrare stupido ad un altro uomo intelligente. La sola cosa che conti. La magnanimità è la sola cosa che importa e che dà pregio in questo mondo. Come diventiamo ciechi e sordi. L’idea che da tempo ci siamo fatti di una persona ci tappa occhi e orecchi. Dopo il sorriso, emerge la volgarità di fondo. Nelle cosiddette élites l’asservimento alla volgarità è di regola. Dietro il nuovo che avanza. Gli uomini cercano in ogni nuovo regime la continuazione dell’antico. (Marcel Proust)

Soave vento. Un’aura dolce, senza mutamento (Dante Alighieri, Purgatorio 28, 7). Schiavi dei sensi e senza carattere. La ragion sommettono al talento (Inferno 5, 39). Andare forte. Ragionando andavam forte, / sì come nave pinta da buon vento (Purgatorio 24, 2 – 3).

NON IL «COMANDO SOLO IO E LA MIA FAZIONE», MA LA DISTINZIONE DEI POTERI. Non basta elencare i diritti di libertà se mancano le leggi che quei diritti devono riconoscere e far esistere in concreto. Insomma, come diceva già nel 1748 Montesquieu, per la tutela della libertà «bisogna che il potere freni il potere» (Lo spirito delle leggi, trad. it., Torino 1965, 1, p. 274). Di qui la divisione dei tre poteri. «Se il potere giudiziario non è indipendente dal potere legislativo e da quello esecutivo, non vi è libertà per i cittadini. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario. Se poi fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere allora la forza di un oppressore» (ibid. 1, p. 276). I tre poteri sono insostituibili e non vanno sommati nelle stesse mani. La funzione legislativa è la volontà generale, i giudici sono «la bocca stessa che pronuncia le parole della legge» (ibid. I, p. 287).

LA MEMORIA E LA SPERANZA. «Non c’è ricordo degli antichi, come non vi sarà dei posteri che verranno, presso coloro che vivranno dopo» (Qohelet 1,11). Queste parole, che chiudono il prologo del più inquietante ed enigmatico libro della Bibbia, danno la chiave per intendere la scena del mondo in cui la vita umana si descrive come un qualsiasi fenomeno naturale: nessuno lascia traccia di sé, tutti si seppelliscono dimenticati. Le generazioni smemorate, presenti e venture, strutturano un futuro senza senso: una generazione passa, un’altra sopravvive, la terra resta sempre la stessa; che rimane all’uomo di tutte le fatiche in cui si affanna sotto il sole? Ripetendo con quell’inquieto e sconosciuto Qohelet «tutto è vanità», ne rivivremo lo scorato sentimento che la nostra esistenza è vuota e senza valore? No. Quella scena immota ed inutile – «tutti i fiumi se ne vanno al mare, ed il mare non si riempie» (Qohelet I, 7) – può animarsi di significati, energie, progetti, come in una prodigiosa resurrezione dei morti affidata alla sola forza della coscienza umana. La vita vale la pena di essere vissuta, se lascia memoria, se il futuro si fa intelligibile come storia, se il quotidiano si illumina di speranza nella implorazione dell’«adveniat regnum tuum» (Franco Casavola, L’appello del futuro, Roma 1994, pp. 9 – 10).

POESIE D’OGGI. Canzone d’amore. Potrei vivere senza di te, senza baciarti, / senza toccare le tue mani, senza sognare / insieme a te. // Mi basta scrivere queste righe / in cui tu vivi, in cui ti bacio, / in cui tocco le tue mani, in cui sogno / insieme a te.

Gioco comune. Tutti abbiamo amici / che giocano a fare i nemici. / Ci incrociamo nel viaggio / di andata e ritorno / come uccelli migratori già segnati / da un ritorno prematuro. / Stufi come siamo del sogno / dolcemente ci nascondiamo / la verità (Miguel Barnet, L’immaginazione, n.15, trad. di Roberto Bugliani).

13 aprile 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Contro la sopraffazione. Poni fine al male degli empi, / rendi stabile il giusto, / tu che scruti reni e cuore, Dio giusto!. Se il delitto si trasformasse in boomerang per chi lo compie. Ecco, l’empio produce iniquità, / concepisce malizia, partorisce menzogna. / Scava un pozzo profondo / e cade nella fossa che ha fatto. / La sua malizia ricade sul suo capo, / la sua violenza gli piomba sulla testa (Libro dei Salmi). L’avvenire, sola prospettiva dei capolavori. Bisogna che l’opera si crei da sé la propria verità. L’eliminazione del luogo comune. Ogni novità ha come condizione pregiudiziale l’eliminazione del luogo comune a cui eravamo abituati e che ci sembrava la realtà stessa. La malattia e la mente. I trequarti delle malattie delle persone intelligenti provengono dalla loro intelligenza. (Marcel Proust) Plagiati, anche perché non cercano di documentarsi e di capire. Sì fatte favole per anno / in pergamo [ora in tv] si gridan quinci e quindi: / sì che le pecorelle, che non sanno, / tornan dal pasco pasciute di vento, / e non le scusa il non vedere lo danno (Dante Alighieri, Paradiso 29, 104 – 108).

I PENSATORI PIÙ INTERESSANTI SONO NELLA ZONA-LIMITE. L’Ottocento che merita di essere meglio conosciuto e apprezzato non è quello che si studia a scuola, il secolo dei massimi sistemi: l’idealismo storicistico, il materialismo dialettico, il positivismo. Di gran lunga più interessanti e attuali sono quei pensatori che dettero vita alla rivoluzione liberale, all’associazione tra patria e umanità, all’umano riscatto delle classi subalterne e al loro inserimento nella democrazia, al risveglio della coscienza cristiana, al superamento di ogni clausura e intromissione clericale. I pensatori più ricchi di stimoli per noi sono quelli che hanno colto il punto d’incontro tra concezioni che apparivano opposte. Penso al tedesco Wilhelm Humboldt, all’inglese Henry Newman, al francese TocquevilIe, al nostro Manzoni; ma anche a John Stuart Mill, impegnato a cogliere la compossibilità o meno di liberalismo e socialismo.

IL PUNTO DI INCONTRO TRA LIBERALISMO E SOCIALISMO. Aperto all’influenza di Claude Henri Saint-Simon, iniziatore del positivismo in Francia, e per qualche tempo in relazione diretta con Augusto Comte, Stuart Mill non aderì mai al socialismo dell’uno e alle teorie politiche, di ben diverso orientamento, dell’altro; cercò, invece, a più riprese, un punto d’incontro tra il liberalismo e il socialismo, affinché la soluzione del problema sociale conseguisse lo scopo di limitare il più possibile le ingiustizie, senza per questo far naufragare la libertà in un sistema politicamente oppressivo, che a sua volta genera un’economia improduttiva. Occorre tener distinti per Stuart Mill il processo che produce la ricchezza e quello che la ridistribuisce nel corpo sociale. Il primo non può non tener conto delle leggi economiche, che sono pressoché immodificabili; il secondo può essere modificato dalla volontà politica e morale. Rimane comunque fermo il principio che l’azione dello Stato è sempre finalizzata alla libertà dell’individuo ed è soltanto a difesa dei diritti dell’individuo che si giustifica l’intervento statale, assegnando ad esso nello stesso momento precisi limiti.

Insomma la riflessione politica di Stuart Mill segna l’avviamento del liberalismo verso la democrazia; ma egli, avendo assimilato la lezione di Alexis de Tocqueville, vide con chiarezza i due pericoli a cui la democrazia è esposta. Il primo è di carattere politico e consiste nell’oppressione esercitata sul corpo sociale da una maggioranza dove predominano gli interessi di una classe o di pochi demagoghi. Più insidiosa è la tirannia che la società stessa esercita non tanto con le leggi quanto con la routine, le abitudini passive, il disorientamento di un’opinione pubblica plagiata da miti e pregiudizi. Contro l’uno e l’altro pericolo occorre svolgere efficace azione di contrasto, se si vuol evitare quel livellamento nel basso, che rende tutti gli uomini ugualmente mediocri. Alla schiavitù sociale si deve opporre la libertà morale, la riscoperta da parte del maggior numero di cittadini della sfera intangibile dell’«io».

Mi chiedo: possiamo, noi democratici del XX secolo, essere meno lungimiranti e coraggiosi di Stuart Mill? E allora perché trincerarci dietro vecchi schemi ideologici e accecarci al punto di confondere il liberalismo truccato degli affaristi e dei monopolizzatori con il liberalismo umano e progressivo dei Cavour, dei Mill, degli Einaudi, dei von Mises e dei von Hayek?

20 aprile 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Quali che siano le ragioni, gli effetti sono disastrosi. I nostri giovani sono stati defraudati di un patrimonio che veniva da lontano. La loro generazione ha perduto la pietas erga parentes, come dicevano i romani. Pietas nel duplice, pregnante significato di simpatia e di pena, di amore delicato e di compassione per la mamma e il papà, per i fratelli e le sorelle. E quale pietas avranno per essi i loro figli? Non lasciar perdere i più deboli. La società civile da sola non garantisce equilibri stabili e giusti tra i gruppi sociali, dato che la sua ineluttabile inclinazione è per la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani dei gruppi più forti. Di qui l’impegno etico di ogni politica umanistica: garantire a tutti uguali punti di partenza nella gara della vita. A tutti, e dunque in primo luogo ai più deboli. (Levi Appulo) Molto spesso accade. Spesso i grandi artisti, pur essendo cattivi, si servono dei loro vizi per giungere a concepire la regola morale che dovrebbe valere per tutti. Può anche servire, se piccola. Siamo tutti costretti, per rendere sopportabile la realtà, a coltivare in noi qualche piccola pazzia. (Marcel Proust)

CHE COSA NON È LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. La «dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte; essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l’impegno per la giustizia secondo il ruolo, la vocazione, la condizione di ciascuno».

Queste parole sono chiare e non autorizzano i credenti ad attendersi dalla Chiesa quello che essa non deve dare: un manifesto, o un programma politico che ordini società ed economia in questo o in quel Paese, e tanto meno il farsi essa stessa parte della contesa politica. La sua missione è ben più alta! Il brano riportato è tratto del paragrafo 41 dell’enciclica Sollicitudo rei socialis del 30 dicembre 1987 di Giovanni Paolo II.

FUNZIONARI E MAGISTRATI, SERVITORI DEI CONCITTADINI. Lo Stato-amministrazione deve progressivamente identificarsi con lo Stato-comunità. Come lo Stato moderno emerse sconfiggendo il particolarismo feudale, così lo Stato democratico deve fare in modo di sottrarsi all’ingerenza e al dominio dei soli potenti, perché anche i cittadini possono contare e divenire consapevoli dei loro diritti. E tuttavia non facciamoci illusioni, sarà un passaggio difficile e le resistenze a una tale trasformazione dello Stato saranno forti. In una fase di confuso trapasso, e dunque di crisi, i funzionari si limitano a servire se stessi o quei gruppi di interessi privati che comandano attraverso le istituzioni. Si impone, pertanto, un’educazione nuova per gli uomini dell’Amministrazione e della giustizia. Che imparino a mettersi nei panni dei cittadini, a praticare nei loro confronti la regola dell’uguaglianza giuridica sociale e politica, a rispettare in ciascuno di essi la dignità umana, facendola finita con l’arroganza, le discriminazioni o, peggio, l’indifferenza burocratica. Che imparino, funzionari e magistrati, qualunque sia il livello e la natura del loro compito, a sentirsi servitori solo dei cittadini; dedizione a un dovere che tocchi il suo fine in risultati di utilità pubblica, efficienza, partecipazione cordiale alle attese soprattutto dei ceti più deboli. «Se non si ha la vocazione per servire così – diceva Vittorio Bachelet, il giurista cattolico assassinato dalle brigate rosse l’11 febbraio 1980 – si vada altrove, ma non nell’amministrazione pubblica, non nella giustizia. Che cosa legherà i cittadini alle istituzioni, la comunità alla Stato se non questo saper servire degli uomini attraverso le istituzioni dello Stato?»

DÀ A CIASCUNO LA SUA MORTE. Mio Dio, / dà a ciascuno la sua morte, / la morte che fiorì / da quella stessa vita / in cui ciascuno / amò, pensò, sofferse (Rainer Maria Rilke).

27 aprile 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. O potenti della terra! Riflettete con impegno, / lasciatevi correggere, o potenti della terra! Il nulla e l’illusione. Fino a quando, o figli dell’uomo, adorerete il nulla e ricercherete l’illusione? (Libro dei Salmi) È solo bisogno di una giustizia a cui non si deve rinunciare. Quando ero giovane mi scandalizzavo per le espressioni durissime che si incontrano nei Salmi contro gli oppressori, gli sfruttatori, gli ingannatori. Oggi vedo in esse un ardente bisogno di giustizia di fronte alle potenze del male sempre attive nel mondo e, come cristiano, le accolgo con tutta l’anima (Levi Appulo). Il bene più grande, l’amore più grande. Ché ‘l bene, in quanto ben, come s’intende, / così accende amore, e tanto maggio / quanto più di bontate in sé comprende (= il bene, appena lo si comprende in quanto bene, subito suscita amore, e un amore tanto più grande, quanto più bontà racchiude in sé) (Dante Alighieri, Paradiso 26, 28 – 30).

L’OROSCOPO? TUTTO DA RIFARE, SIGNORI. Jacqueline Mitton, inglese e membro della Royal Astronomical Society, è apparsa sulle prime pagine dei giornali per le sue critiche all’astrologia tradizionale. Alcune critiche sono ben note: i segni zodiacali non corrispondono affatto alle costellazioni che coprono intervalli di tempo disparati, meno di una settimana per lo Scorpione, un mese e mezzo per la Vergine. Inoltre la processione degli equinozi, lenta ma inesorabile, ha cambiato i tempi di ingresso del Sole nelle costellazioni. La Mitton propone quindi un’astrologia revisionata con ben tredici segni dello zodiaco, ai tradizionali vorrebbe, infatti, aggiungere l’Ofiuco. Tullio Regge precisa, ironicamente, che dovremmo tener conto anche dei satelliti dei pianeti: in fondo Titano, satellite di Saturno, è più grande di Mercurio. Inoltre la scoperta dei nuovi pianeti, come Urano, Nettuno e Plutone, invalida tutta l’astrologia tradizionale che di essi non poteva tenere conto.

L’astrologia è mito ed è inutile cercare punti di contatto tra mito e scienza, anche se Galileo e Keplero ci campavano pure loro. Ci si può chiedere, invece, il perché del suo continuato successo e popolarità. Fruiscono dell’astrologia coloro che sono cronicamente indecisi e cercano nelle stelle una via d’uscita alle loro paure e ubbie. In questo compito credo che l’astrologia non sia affatto dannosa: a volte è meglio una decisione qualsiasi del fare nulla.

Essa non è l’unica forma di futurologia; di certo è una disciplina altamente strutturata e ramificata, quasi come il diritto romano o il Talmud. Ad essa si affiancano altre futurologie egualmente inattendibili quali le carte, i fondi di caffè e tè, il volo degli uccelli, il palmo della mano. E perché mai non ricorrere anche alla pianta dell’uno o dell’altro piede?

L’EMOZIONE – CREATRICE E L’IDEA. Confrontiamo la dottrina degli stoici con la morale cristiana. Gli stoici si proclamavano cittadini del mondo e aggiungevano che tutti gli uomini sono fratelli, essendo nati dallo stesso Dio. Erano quasi le stesse parole, eppure non ebbero la stessa eco, perché non erano state dette con lo stesso accento. Gli stoici hanno dato molti begli esempi, ma non sono riusciti a trascinare con sé l’umanità: la divinizzazione dell’ordine cosmico e l’apatia non sono il Dio vivente e il dono di sé. Il filosofo che si innamora di una dottrina così alta e che s’inserisce in essa, senza dubbio l’ama e la pratica: tal era l’amore di Pigmalione che insufflò la vita nella statua scolpita. C’è una bella distanza da questo all’entusiasmo che si propaga di anima in anima, indefinitamente, come un incendio. Una tale emozione potrà evidentemente rendersi esplicita in idee strutturate in una dottrina, o anche in molte dottrine aventi tra loro una certa comunanza di spirito; ma l’emozione che illumina e cambia la vita, precede l’idea invece di seguirla. Per trovare qualcosa di analogo nell’antichità classica non bisognerebbe rivolgersi agli stoici, ma piuttosto a Socrate, che ispirò tutte le grandi filosofie della Grecia senza aver elaborato una dottrina e senza aver scritto nulla. Socrate, però, è un filosofo che svolge una missione di ordine religioso e il suo insegnamento, così perfettamente razionale, è sospeso a qualcosa che sembra sorpassare la pura ragione. Socrate è il profeta laico di Cristo, il Giovanni Battista di Atene.

4 maggio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’amuleto che preserva non dal pericolo, ma dalla paura del pericolo. Il soldato è convinto che una certa dilazione indefinitamente prolungabile gli sarà accordata prima di essere ucciso, il ladro prima d essere preso, gli uomini in generale. prima di dover morire. È questo l’amuleto che preserva gli individui – e talvolta i popoli – non dal pericolo, ma dalla paura del pericolo. Il guazzabuglio del cuore umano. Un unico sentimento è fatto a volte di contrari. Un medesimo fatto ha ramificazioni opposte e l’infelicità che genera annulla la felicità che aveva causata. (Marcel Proust) Dante e il… tricolore. Sovra candido vel cinta d’uliva / donna m’apparve, sotto verde manto / vestita di color di fiamma viva. (Dante Alighieri, Purgatorio 30, 31 – 33). Tremito d’amore. E lo spirito mio… / per occulta virtù che da lei mosse / d’antico amor sentì la grande potenza (Purgatorio 30, 34, 37-38). Veteris vestigia flammae. Conosco i segni de l’antica fiamma (Purgatorio 30, 48). Partire di lì. Non vogliate negar l’esperienza (Inferno 26, 116).

MIA FIGLIA, BUDDISTA PENTITA. «Mia figlia Francesca è stata per molti anni membro di una importante comunità buddista. Questa aveva un’etica fondata sulla dottrina del karma, secondo cui la nostra felicità o il nostro dolore sono la conseguenza delle azioni buone o cattive compiute nelle vite precedenti. Il bene o il male che facciamo oggi, d’altronde, determina il nostro destino futuro. Dobbiamo quindi comportarci bene, ma per egoismo. E, se ci comportiamo negativamente, non dobbiamo provare senso di colpa, perché sappiamo che ne ricaveremo un danno. Non dobbiamo provare nemmeno pietà per gli ammalati, i poveri, gli infelici perché le loro sofferenze sono soltanto il frutto delle loro cattive azioni del passato. Francesca se ne è distaccata perché, ad un certo punto, ha avvertito senso di aridità, come un vuoto interiore. Ha sentito la mancanza dei valori caldi tipici della nostra tradizione: l’altruismo, l’azione fatta senza attesa di ricompensa, per puro amore, per pura dedizione. La mancanza della pietà, del dolore per le sofferenze del mondo, del senso di colpa. Intendiamoci, anche la morale ebraico-cristiana ha sempre avuto il concetto di premio e di punizione. Però tutti i grandi dottori cristiani, come tutti i grandi rabbini, hanno insegnato che non bisogna agire in vista del premio o per paura della punizione. Antigono di Sokho, in una nota massima del Talmud, dice che l’uomo deve servire il Signore anche se non riceve un salario, ma per amore. L’etica cristiana è fondata sulla imitazione di Cristo che si sacrifica per gli uomini per puro amore, per pura generosità. Lutero polemizzerà ferocemente contro coloro che fanno delle opere buone per acquistare dei meriti, cioè per egoismo. La nostra civiltà affonda le sue radici in un mondo spirituale che ci invita a provare senso di colpa per le sofferenze che abbiamo procurato agli altri. Che ci fa sentire responsabili. Che ci fa provare rimorso. Che ci invita a metterci dalla parte di chi prova dolore e fare qualcosa per lui. Un patrimonio prezioso, da conservare con cura» (Francesco Alberoni, Corriere della Sera, 24 ottobre 1994).

CHE L’UOMO SIA GRANDE E SANTO. Fa’ o Signore, che l’uomo / sia grande e santo. / Dagli il dono della notte: / una notte profonda, / in cui si spinga il più lontano possibile, / una notte che profumi di glicine / leggera al soffio dei venti… // E perché l’uomo giunga / alla sua maturità, / risuscitagli il cuore dell’infanzia / e allo stupore riaprilo / dei primi anni densi di presagio. // Rivela a lui, Signore, / ciò che giace in fondo / alla sua anima / e donagli di vegliare / fino all’ora della morte. (Rainer Maria Rilke)

L’ANGOLO DI SENECA. Il solo bene che sia veramente tale. Niente è bene se non ciò che è onesto; ciò che è onesto è sempre un bene (Ad Luc. 120, 3). I «negotia» che sono di tutti gli uomini. Se parlo con me stesso e parlo con i posteri di cose che riguardano il valore stesso della vita, non ti sembra che mi renda più utile di quando esercitavo l’avvocatura, convalidavo con il mio sigillo un testamento o prestavo in senato la voce e i gesti a sostegno di un candidato? Credimi: quelli che sembra non facciano nulla, fanno le cose più alte, se si occupano di ciò che riguarda l’uomo e Dio (Ad Luc. 8, 6).

11 maggio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Chi è privo di discernimento non faccia il leader. L’error de’ ciechi che si fanno duci (Dante Alighieri, Purgatorio 18, 18). Tutto si riconduce all’amore. Amore, a cui riduci / ogni buono operare e il suo contrario (Purgatorio 18, 14 – 15). Il dinamismo dell’amore. Così l’animo preso entra in disire, / ch’è moto spirituale, e mai non posa / fin che la cosa amata il fa gioire (Purgatorio 18, 31 – 33).

È urgente… attendere. Prima ho riso, beffardo, nel leggere in un documento diplomatico quelle parole, che sembrano enunciare una contraddizione di termini. Poi mi sono reso conto che, nel contesto in cui è usata, l’espressione sta a significare: se fatto nel momento sbagliato, un passo, per giusto che sia, non ci porterà affatto all’esito sperato. D’accordo. Ma chi ci dirà quand’è il giusto momento? Vorrei poterlo dire anch’io. Molte illusioni ho superato, da poche mi sono lasciato superare. (Levi Appulo)

SERVE L’UOMO, NON È L’UOMO. «Va innanzitutto sgombrato l’orizzonte dell’ombra di un computer emulo dell’uomo con una intelligenza per gradi successivi perfezionata sino a farsi, pur nella sua artificialità, identica e antagonista e superiore rispetto a quella dell’uomo. La razionalità del computer sembra invece confinarsi ai processi formali di deduzione e di induzione, privi di dimensione semantica, di capacità astrattiva,. di intenzionalità, di intuizione. I ragionamenti non formali della nuova retorica, della dialettica moderna ed antica, della ermeneutica, della filosofia pratica restano un dominio dell’intelligenza dell’uomo vivo non trasferibile in un calcolatore. Anzi l’uomo vivo, aiutato dall’intelligenza artificiale del computer, risparmierà quelle energie della mente spese per il passato nella razionalità formale, per trasferirle nella più corretta acquisizione e in un più diffuso e incisivo esercizio delle forme di ragionamento ermeneutico-argomentativo-pratico-dialettico. Il che è come dire che, ben lungi dall’eclissare la ragione dell’uomo vivo, il computer la potenzierà, liberandola dal compito di mere operazioni logico-formali e restituendola a quella razionalità superiore creativa-intuitiva-contemplativa che sola fonda la costruzione del mondo storico dell’uomo nella cultura materiale e intellettuale, nell’ordine etico, politico, giuridico, religioso».

Questa lucida puntualizzazione sul computer e l’intelligenza umana è di Franco Casavola. L’ho letta nel suo libro L’appello del futuro (Roma 1994).

UN POTERE È POLITICO SOLO SE NON È ESERCITATO IN FUNZIONE DI INTERESSI PARTICOLARI (E, PEGGIO ANCORA, PERSONALI). Conforme alla propria vocazione, il potere politico è per la polis, per la Città, cioè per il popolo, per l’intero, e dunque deve sapersi disimpegnare dagli interessi particolari per considerare attentamente la propria responsabilità nei riguardi del bene di tutti, superando non solo il tornaconto di una lobby, o quello personale, ma anche i limiti nazionali. Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli – locale, regionale, nazionale e mondiale – significa affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità. La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri. Senza certamente risolvere ogni problema, essa si sforza di dare soluzioni ai rapporti fra gli uomini. Di essa non possiamo fare a meno.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Che sia un giorno bello e puro. Mio Dio, / fa’ che il giorno della mia morte / sia bello e puro. // Che sia di grande pace quel giorno, / in cui forse la mia fronte / non sarà più affaticata / da scrupoli, ironia o altro. // Mio Dio, / fa, che io prenda le mani / dei miei figli tra le mie / e possa andarmene / con una grande calma nel cuore. (Francis Jammes)

18 maggio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché sono degni di ammirazione. Zenone di Elea fu in tutto persona di pregio e, in particolare, dispregiatore dei potenti. Allo stesso modo di Eraclito (Diogene Laerzio). A chi dice: Non potevo fare diversamente. E più facile mandare sott’acqua un otre pieno d’aria che costringere una qualsiasi delle persone oneste e fare contro volontà qualcosa di riprovevole (Zenone di Elea).Un qualche bene può venire persino dalla simulazione. Coloro che chiamavano desiderio di considerazione o superbia la gravità di Pericle, furono esortati da Zenone ad avere un analogo desiderio di considerazione, in quanto la simulazione stessa delle cose belle produce a poco a poco inavvertitamente riguardo ad esse un certo zelo e una certa consuetudine (Plutarco). Solo se è saggio, però. Rimprovera il saggio, ed egli ti amerà» (Libro dei Proverbi). Le aquile e le galline. Le aquile possono volare all’altezza delle galline, ma le galline non voleranno mai all’altezza delle aquile (Romain Rolland).

CREAZIONE MORALE E CREAZIONE ARTISTICA. Si pensi al miracolo della creazione artistica. Una grande opera d’arte comincia con l’apparire sconcertante, ma poi, a poco a poco, crea con la sua sola presenza una concezione dell’arte ed un’atmosfera estetica che permetteranno a molti di comprenderla e di ammirarla: diventerà, allora, retrospettivamente geniale. Il successo che finisce con l’arridere a un’opera, che al principio aveva urtato, dipende da una trasformazione del gusto del pubblico provocata dall’opera stessa. Questa, infatti, ha impresso al pubblico lo slancio che l’artista le aveva comunicato, o piuttosto lo stesso slancio dell’artista, invisibile e insieme presente nella sua opera.

Si può dire altrettanto dell’invenzione morale, e più specialmente delle creazioni successive che arricchiscono sempre più nel corso della storia l’idea di giustizia? Ogni balzo in avanti, in questo campo, oltrepassando sempre di nuovo gli obblighi della pressione sociale, non si fonda sull’affermazione pura e semplice di un diritto inviolabile dell’uomo in quanto tale? E come si giunge ad un’affermazione così sconcertante, che osa comandare una giustizia vera, necessaria e non facoltativa, anche per chi non ha voce e mezzi per farsi valere?

I «COLLABORATORI DI DIO». In qualsiasi maniera la si rappresenti, la transizione da una giustizia relativa alla giustizia come valore assoluto è sempre il frutto di una creazione morale e religiosa prima che sociale e politica. Qualcosa è sopravvenuto che avrebbe potuto non esserci e che non sarebbe stato senza certi uomini, forse senza un certo uomo. Tutto ha origine dal cuore e dall’azione di uomini interamente dediti al bene. La loro testimonianza all’inizio è sconcertante, dirompente, tale da scuotere profondamente ed urtare; poi, a risultato acquisito, essa appare geniale, persino richiesta dal progresso dell’umanità. Quegli uomini, veri coadiutores Dei, come li chiama San Paolo (I Corinti 3, 9), per il fatto stesso di esserci, cambiano lo stato d’animo delle società in cui vivono, aprendole ad una visione più alta della dignità umana, visione a cui in realtà esse riluttavano profondamente.

L’analogia tra la creazione morale e quella artistica appare quindi evidente. I creatori di vita morale anticipano il futuro, come i grandi artisti. Essi si rappresentano col pensiero una nuova atmosfera sociale, un ambiente nel quale sarebbe meglio vivere, una società tale da non far più desiderare quella in cui sono, se gli uomini potessero farne l’esperienza. Così facendo, essi creano un nuovo modo di sentire la vita, qualcosa di simile ad una nuova musica.

SULL’ESPRESSIONE «IL GIUDIZIO DI DIO». Uno degli attori più in vista dell’attuale momento politico ricorre di continuo ad espressioni per lo meno desuete e comunque molto ambigue. Una di queste è l’appello al «giudizio di Dio», a cui ricorrevano anche i barbari invasori della nostra penisola nell’alto Medioevo. Allora il preteso «giudizio di Dio» non coincideva, come sembra oggi accada, con i sondaggi favorevoli alle proprie tesi ed ai propri interessi. Qui mi permetto solo di riportare sull’ormai famosa espressione i chiarimenti che si possono leggere nel curioso libro di Piero Petrosillo, Il cristianesimo dall’A alla Z, Milano 1995.

«Giudizio di Dio e ordalia. L’espressione indica due realtà distinte: a) manifestazione ultraterrena della giustizia divina; tale manifestazione è duplice: nel giudizio particolare, ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna; nel giudizio universale (o finale o escatologico) esteso a tutti gli uomini ed al cosmo intero; b) prova giudiziaria (detta anche ordalia) conosciuta da tempo immemorabile, per determinare la colpevolezza o l’innocenza di un accusato, il cui risultato si riteneva manifestasse il volere della divinità. Sulla convinzione che la divinità difende gli innocenti e punisce i colpevoli, si sottoponevano gli indiziati di un delitto alla prova del fuoco o al iudicium feretri (il cadavere avrebbe reagito al contatto con l’assassino) o al iudicium offae (dopo aver mangiato una certa quantità di pane e formaggio, il colpevole sarebbe morto) o al duello. L’esito negativo di una di queste prove veniva inteso come giudizio di colpevolezza da parte della divinità. Nel Medioevo l’uso di questi giudizi di Dio si trova anche presso gli ecclesiastici; furono però condannati dal Concilio Laterano IV».

25 maggio 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Ritratto dell’empio megalomane. Dall’alto della sua insolenza, / si vanta di se stesso. / Egli attua sempre progetti grandiosi. / Disprezza tutti i suoi avversari… / Di maledizioni, frodi e inganni ha colma la bocca, / sotto la sua lingua sono sopruso e iniquità. Occorre cercarlo, però. Tu, Jahweh, non abbandoni chi ti cerca. Non può essere diversamente. Jahweh odia chi ama la violenza. Chi contemplerà il volto di Dio? Jahweh è giusto e ama le azioni giuste, / gli uomini retti contempleranno il suo volto. (Libro dei Salmi). I presentimenti. Chi crede ai presentimenti trascura tutti i casi in cui i suoi non si sono avverati. Sul parlare di sé. Si dovrebbe, almeno per prudenza, non parlare mai di sé, perché è un argomento su cui si può esser certi che la visione degli altri e la nostra non concordano mai. (Marcel Proust)

IN CHE SENSO «TUTTA LA MORALE È DI ESSENZA BIOLOGICA»? L’unico grande libro di etica di questo nostro secolo, che ormai volge al tramonto, è Le due fonti della morale e della religione di Henri Bergson, pubblicato nel 1932 e, purtroppo, mai entrato a far parte integrante della cultura viva del nostro Paese. Comunque ha fatto discutere anche in Italia, la frase con cui si chiude il primo capitolo delle Due fonti: «tutta la morale, pressione o aspirazione, è di essenza biologica (toute morale, pression ou aspiration, est d’essence biologique)». L’affermazione, staccata, dal contesto, rischia di essere fraintesa. Bergson ne ha, comunque, precisato il significato: «Pressione sociale e slancio d’amore non sono che due manifestazioni complementari della vita, che di norma è impegnata a conservare la forma sociale che fu caratteristica della specie umana fin dall’origine, ma è eccezionalmente capace di trasfigurarla grazie ad individui ognuno dei quali rappresenta qualcosa come l’apparizione di una nuova specie, uno sforzo vittorioso dell’evoluzione creatrice». Giova, tuttavia, esplicitare i passaggi del ragionamento che portano l’Autore a fare quell’affermazione: 1) la morale, considerata nella sua integralità, non è riconducibile a una sola sorgente, ma a due, la pressione e l’aspirazione; 2) la pressione sociale – intessuta di credenze, abitudini, obblighi che assicurano permanenza, funzionalità e coesione a una «società chiusa» – è una manifestazione e, nello stesso tempo, un punto d’arresto dello slancio vitale; 3) lo slancio vitale riprende la sua marcia in avanti, ma questa volta in virtù dell’eroismo morale e della santità, il cui flusso nelle coscienze e nella storia apre il varco al sorgere della «società aperta».

LA VITA MORALE AL LIVELLO PIÙ BASSO E AL LIVELLO PIÙ ALTO. La morale può essere definita «di essenza biologica» al livello più basso, in rapporto alla prima fonte, la pressione sociale, perché l’insieme degli obblighi e dei divieti che ne derivano, a prescindere dall’irrompere in essi di variazioni talora aberranti, è necessario a generare e a sviluppare la forza coesiva e l’ethos dei gruppi umani che si fondano pressoché esclusivamente sulla pressione sociale. Ma la morale può essere detta «di essenza biologica» anche al livello più alto, in rapporto alla seconda fonte, l’aspirazione, che tende a realizzare un nuovo tipo di vita, spezzando clausure e servitù della pressione sociale, e liberandone e trasfigurandone le energie per costruire la «società aperta». La morale è «di essenza biologica» perché il suo scopo è immettere in ciò che è biologico uno «slancio d’amore», una forma superiore di esistenza spirituale che rivela l’intenzione profonda della creazione.

PER IL CRISTIANESIMO È COSÌ. La religione guadagna non ad amministrare questo mondo, nelle sue strutture organizzative e normative, ma a fare profezia, cioè a proclamare il primato della salvezza personale rispetto ai fini ed alle forme storiche della vita collettiva, beninteso legando il destino futuro di ogni uomo al bene ch’egli avrà fatto al suo prossimo: «Chi ha trovato la sua vita, la perderà; e chi ha perduto la sua vita per me, la troverà» (Vangelo di Matteo 10,33).

L’ILLIMITATO POTERE. La verità non ha mai avuto tanti difensori. Ma essa scade a pretesto per riconoscere un illimitato potere alle grandi agenzie di informazione sociale diventate strumento di condizionamento dei poteri pubblici e di invasione degli spazi anche più riservati e sacri della privatezza personale. La libertà stessa è nelle sue manifestazioni decisive, come quella del voto politico di decine e decine di milioni di individui, una finzione quando le scelte reali che segnano il destino collettivo sono esercitate da ristrette oligarchie.

1 giugno 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Significato agostiniano di uomo libero. Soltanto chi è giusto è libero / Solus iustus liber (Sant’Agostino). La via più breve. Per quanto possa sembrare paradossale, la via più breve tra uomo e uomo passa per Dio (Michael von Faulhaber). Quando la ricchezza divide e immiserisce. La nostra assuefazione all’opulenza ci impedisce di vedere e capire con gli occhi e l’esperienza della penuria. Il cuore si riempie prima di desideri e poi di aridità. L’Occidente produce oggetti che sono oltre la capacità non dei bisogni, ma dei sogni. Facendosi spreco e ostentazione, la ricchezza divide gli uomini (Franco Casavola). Quello che non c’è. Quello che nel testo non c’è è altrettanto importante di quello che c’è (Wolfgang Iser). La divisa di coloro che terminano gli studi. Studenti non siamo più; studiosi vogliamo rimanere. Studio è amore (Igino Righetti). Spetta ai laici. Spetta ai laici, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne e direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità ed i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità di vita (Paolo VI).

LA RELIGIONE CRISTIANA ED IL CAPITALISMO DEMOCRATICO. «Quanti credono che “il cristianesimo è la religione di cui il socialismo è pratica” potrebbero anche avere ragione. Io non lo credo e ho cercato di esporre i motivi di questo mio giudizio. Da parte mia, non pretendo che il capitalismo democratico sia la pratica di cui il cristianesimo ed il giudaismo sono le religioni. Questa non è la mia opinione …Cristianesimo e giudaismo sono entrambi fioriti, o almeno sopravvissuti, in ogni tipo di sistema sociale. Se il capitalismo democratico dovesse perire nei prossimi cinquant’anni, cosa che potrebbe anche verificarsi, il cristianesimo ed il giudaismo non per questo perirebbero; stando alla promessa di Dio, essi sopravviveranno fino alla fine dei tempi. È essenziale, dunque, non confondere la trascendenza del cristianesimo e del giudaismo con la sopravvivenza del capitalismo democratico …Se il capitalismo democratico dovesse scomparire, il genere umano cadrebbe in una relativa oscurità, mentre giudei e cristiani soffrirebbero sotto regimi molto più ostili alla loro libertà ed al loro dinamismo. Tuttavia, il giudaismo ed il cristianesimo non hanno bisogno del capitalismo democratico. In teoria ci potrebbe anche essere un’economia politica migliore del capitalismo democratico e della sua capacità di autocorrezione. Ammesso che sia così, essa però non è ancora in vista».

Questa è una pagina del libro Lo spirito del capitalismo democratico ed il cristianesimo di Michael Novak, tradotto in italiano dall’Editrice Studium (Roma 1987). È un’opera fondamentale, che bisogna leggere per metter da parte una serie di luoghi comuni. Il capitalismo non è democratico se non unisce un’economia di mercato, un sistema politico di libertà e di pari opportunità, una cultura animata da ideali di giustizia per tutti, anche per quelli che sono deboli sul piano economico e su quello elettorale.

UN LAVORO DI GENIALE SEMPLIFICAZIONE DELLE LEGGI. Occorre in Italia uno studio penetrante ed analitico dell’immenso telaio dell’amministrazione, per semplificare, razionalizzare, raddrizzare le innumerevoli storture ed incongruenze che in esso si sono accumulate per alluvionalità storica o per eccessive cautele, intrise di pigrizia e della falsa saggezza del non muovere. Un compito da affidare sopra ogni altro a giuristi, che si sentano anch’essi finalmente protagonisti di riforme, creatori di vita sociale e non tutori di ordinamenti che rendano lo Stato solo un inciampo per la realizzazione effettiva dei diritti umani e costituzionali dei cittadini.

IL PARADOSSO DI CAPOGRASSI. «Il motivo maggiore di fiducia per l’avvenire è proprio questo: che tutto lascia prevedere che l’individuo e per conseguenza i popoli saranno sempre più messi in croce. Terribili ordigni e ritrovati capaci di scatenare tempeste di apocalisse non solo sull’umanità, ma su tutti gli esseri viventi alla superficie della piccola terra: regimi sociali sempre più spietati; lotte politiche che saranno sempre più «ostinatissime fazioni e disperate guerre civili», già mettono, ma sempre metteranno, l’individuo e quindi i popoli in una continua concreta universale situazione di morte […]. In questo senso, poiché è certo l’aumentare del dolore nel mondo, l’avvenire dell’individuo è sicuro».

Giuseppe Capograssi (1889 – 1956), il maggior filosofo italiano del diritto in questo secolo, non si faceva illusioni. Lo stordimento delle coscienze e l’apatia gli apparivano così gravi da riporre, vichianamente, la speranza di un risveglio solo nell’accresciuto peso della sofferenza.

8 giugno 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Se non ci disgusta la volgarità! Di certe dichiarazioni, pretese e messinscene si deve percepire la volgarità estetica, morale, umana, prima ancora che politica. Se non ci disgusta la volgarità, allora vuol dire che anche noi siamo divenuti volgari. Non essere dispersivi. Occorre essere socievoli, ma non dispersivi nei rapporti umani, scegliere a ragion veduta nelle amicizie, non saltare di continuo da un problema a un altro senza approfondire alcunché. La multilateralità degli interessi è feconda solo se armonizzata da una forte personalità (Levi Appulo). La terribile domanda. Come ci si può attendere che il destino assegni la vittoria ad una causa giusta, visto che non si trova quasi nessuno che si offra totalmente per una causa giusta?. Il primo dei criteri per giudicare politicamente. Anche se non capisco molto di politica, tuttavia possiedo un pochino il senso di che cosa è giusto e di che cosa è ingiusto, perché questo va ben oltre i partiti e le nazioni. Quando la politica si fa confusa e malvagia, è da vigliacchi tirarsi indietro. (Sophie Scholl)

SE LA LIBERTA NON SFOCIA NELLA SOLIDARIETÀ… Se la libertà serve solo all’interesse privato, se si esaurisce nel favorire la corsa al profitto, cancellando quando fa comodo anche la libertà di mercato; se la libertà sta a significare abbandono dei più deboli al loro destino, o indifferenza alla verità; se la libertà non sfocia nella solidarietà, allora la democrazia arretra e con l’ingiustizia avanza la lotta di classe. Oggi, grazie a Dio, non ci troviamo di fronte al satanismo innalzante il male a norma e a segnale luminoso, come negli anni del totalitarismo apertamente professato e imposto; tuttavia lo svuotamento morale e politico della democrazia è una minaccia reale, come reale è il pericolo di una sua deriva plebiscitaria. Nel nostro Paese sono in gioco la solidità dei legami sociali, la disponibilità a farci carico dei diritti dei meno fortunati, la certezza che i grandi ladri e i grandi evasori paghino anche da noi, come in ogni Stato di diritto. È di decisiva importanza politica sapere, volere e condividere ciò che ci unisce nella nostra democrazia. Una democrazia funziona, nel lungo periodo, solo se non è la semplice somma di interessi privati o di gruppi, ma una convivenza attraverso la quale e in nome della quale si riscoprono i valori che fanno del nostro Paese una nazione, uno Stato, un popolo. Senza solidarietà la democrazia diventa incapace di risolvere i problemi della comunità nazionale e la politica si riduce a volontà di dominio, a potere. Il che alla fine va sempre a danno della libertà.

IL ROVESCIAMENTO DELLE PRIORITÀ. La democrazia in Italia sembra sia contrassegnata sempre più da un rovesciamento delle priorità. Nella visione rozzamente utilitaristica che pervade di sé giudizi e atteggiamenti, il cittadino tende a considerarsi sempre meno titolare e sempre più consumatore della politica. Egli organizza i suoi interessi, personali o di lobby, li esplicita e si adopera con ogni mezzo perché vengano soddisfatti. Si comporta, insomma,come in un normale mercato, in cui compra o non compra con la sua scheda elettorale: il suo compito esclusivo è quello di politicizzare i propri interessi. E in tal modo non è lo statalismo che si colpisce, ma lo Stato come strumento di bene comune ed espressione di vita sociale. Una perversione del genere non rappresenterebbe un rischio mortale, se non fosse molto diffusa, così come diffuso è il benessere.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Non lasciare che abusi delle parole. Padre di verità, non permettere scarti / tra pensieri e parole. / Se ti dico che ti amo, / non lasciarmi mentire. / Se ti esprimo rimorsi, / che siano veramente sinceri. / Non lasciare, Padre, / ch’io abusi delle parole: / penetra l’universo delle mie riflessioni, / vagliale, perché non m’inganni. // Difendimi dal «far letteratura», / dall’arte fabulatoria, / dall’inflazionare parole. / Tacciano anche i pensieri / davanti a te, / che leggi nei pensieri e nei cuori… (Stefan Wyszynski).

15 giugno 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il diritto ad avere un’infanzia serena. Ho aperto gli occhi verso i quattro o cinque anni. Fra me stesso e le cose che mi circondavano non c’era lo schermo dei pregiudizi, quelli son venuti più tardi. Vivevo nell’immediatezza. Il mondo nasceva con me. La musica, la campagna, il vento, il fiume riempivano la mia anima. Ogni momento aveva il suo odore…Vedevo l’universo attraverso il mio microcosmo e, senza conoscere il mondo, lo dominavo (François Mitterrand).

Il tempo per riflettere. Gli uomini con mille occupazioni difettano di riflessione. Splendore e dolcezza. Solo le donne che non sanno vestirsi hanno paura del colore. Si può essere splendente senza volgarità e dolce senza leziosaggine. Nessuna eccezione. Ogni classe sociale ha la sua patologia. L’oblio. Si dimentica presto ciò che non si è pensato profondamente. (Marcel Proust)

KANT E BERGSON, DUE FILOSOFI PER LA PACE. Bergson è il filosofo europeo che ha difeso con più vigore l’idea di un’organizzazione mondiale sia per risolvere pacificamente le controversie tra i popoli, sia per avviare ogni possibile forma di conoscenza, di scambio, di giusta integrazione economica. Tra il 1919 e il 1925 egli si adoperò con incredibile generosità all’attuazione di quel grande ideale storico, lavorando all’interno della Società delle Nazioni, allora agli esordi pur tra mille ostacoli, a promuovere la cooperazione intellettuale. L’opera svolta tra il 1919 e il 1925, in qualità di presidente della Commissione internazionale di Cooperazione intellettuale, malgrado le non buone condizioni di salute, è un capitolo della sua vita che onora altamente la filosofia e l’umanità.

L’altro pensatore europeo che sul finire del Settecento si pose realisticamente gli stessi interrogativi fondamentali sul senso della storia, pervenendo a conclusioni molto simili, talora identiche, a quelle che Bergson avrebbe poi delineato nel quarto capitolo delle Due fonti, è Kant. È il Kant, ancora oggi purtroppo poco conosciuto, degli scritti di diritto, di politica e di storia, scritti piccoli di mole, ma densi di pensiero. Per il filosofo di Könisberg l’uscita dell’uomo dallo stato di natura all’esercizio della libertà non è un fatto che appartiene al passato, ma una situazione drammatica che è vissuta da ogni individuo, come da ogni corpo sociale, perché l’istinto ferino dell’egoismo è sempre in agguato, pronto a farsi valere. La storia, però, malgrado i troppi frequenti scacchi della ragione e il suo corteo di passioni e conflitti, per la sopravvivenza stessa della specie e per l’affermarsi della coscienza morale, è orientata alla progressiva attuazione del diritto. Come i singoli individui, disciplinando attraverso tragiche esperienze la loro «insocievole socievolezza» (ungesellige Geselligkeit), sono usciti dallo stato di natura e hanno cercato nell’equilibrio instabile di un’organizzazione statale una limitazione della libertà dei singoli, che ne evitasse la reciproca soppressione, così i singoli Stati, in virtù di quel medesimo antagonismo che sussiste fra di essi e che fa sì che i rapporti internazionali si trovino ancora nello stato di natura, si orientano verso un ordinamento cosmopolitico, che non è necessariamente e non può essere una monarchia universale, uno Stato di popoli (Völkerstaat), ma semplicemente una federazione di popoli (Völkerbund).

L’ORDINE INTERNAZIONALE FONDATO SUL DIRITTO. La sola costituzione interna dei singoli Stati, anche se raggiungesse la massima perfezione, non varrebbe a garantire l’equilibrio e la sicurezza vagheggiata: le condizioni e i rapporti internazionali non possono restare, infatti, senza ripercussioni sulla vita interna di ogni singolo Stato. La storia inizia e prosegue lo sviluppo delle disposizioni naturali dell’uomo, attraverso il gioco degli antagonismi individuali e internazionali, avvia il genere umano ad un ordinamento cosmopolitico che coronerà l’opera della natura, consentendo alle facoltà umane la libera pienezza del loro sviluppo.

Per Kant, insomma, l’attuazione del fine morale a cui tende la specie umana ha bisogno del momento giuridico-istituzionale, cioè di una costituzione civile, la migliore possibile, sia all’interno degli Stati, sia a livello cosmopolitico, cioè mondiale, tra gli Stati. Al diritto spetta preparare e insieme garantire esteriormente il libero svolgimento della vita morale. Il diritto ha una priorità pratica e cronologica rispetto alla morale, essendo la condizione imprescindibile della sua presenza; ma il diritto attinge proprio dalla morale e dal livello di consapevolezza etica di un popolo il suo principio regolatore e insieme la spinta propulsiva a umanizzare lo Stato, la società, le relazioni internazionali.

22 giugno 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Per non svanire nel nulla, ricordare. Brucio di sete e muoio: datemi subito la fresca acqua che sgorga dalla fonte divina, dal lago del Ricordo (su di una laminetta d’oro di Petelia). Di concisione laconica. È difficile essere buoni (Pittaco). Ottima è la misura. Essere avido di ascoltare e non di cianciare. Odiare l’ingiustizia, salvaguardare la pietà. Non far nulla con violenza (Cleobulo). Mal comune. Ci si sente più vicini a chi ha la nostra stessa malattia. Il segreto del singolo. Non appena ci si avvicina agli esseri, alle esigenze, le etichette e le suddivisioni fatte a priori appaiono troppo semplicistiche. Non appendere una persona all’uncino di una sua cattiveria. Non bisogna mai avercela con gli uomini, mai giudicarli in base al ricordo di una cattiveria, poiché non sappiamo tutto quello che in altri momenti la loro anima ha potuto sinceramente desiderare e realizzare di buono. (Marcel Proust)

CRISTIANESIMO, SORTE COMUNE DELLO SPIRITO EUROPEO. Quali che siano le differenze fra la Dichiarazione dell’indipendenza americana e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, l’una e l’altra hanno la loro sorgente originaria nel Vangelo, che ha immesso per sempre nel mondo un nuovo e più alto senso della dignità dell’uomo. La presa di coscienza della novità del messaggio cristiano e delle conseguenze che esso comporta si svolge nella storia e ha i suoi tempi di maturazione; il cammino dei popoli e delle stesse Chiese in quella direzione non è, infatti, una marcia inarrestabile, ma una conquista eroica, uno sforzo doloroso, esposto com’è all’errore, allo scacco, a pericolosi slittamenti e arretramenti.

Si aggiunga che, soprattutto in Europa, gli ideali di matrice cristiana spesso sono stati difesi, nel campo dei grandi principi dello Stato di diritto e della democrazia, da pensatori e uomini d’azione che non erano credenti, non per questo, però, essi erano meno tributari del cristianesimo «il gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, che ha plasmato il nostro modo di sentire e pensare in guisa incancellabile, sì che anche i cosiddetti liberi pensatori, anche gli Anticlericali non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo» (Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Bari 1992).

A semplificazione di quanto s’è detto val la pena di ricordare un episodio della rivoluzione francese. Quando la notte del 4 agosto 1789 i capi della borghesia rivoluzionaria indussero alcuni dei maggiori proprietari di Francia a presentare le proposte più ardite sull’abolizione dei privilegi feudali, e quelle proposte furono quasi tutte accolte, la consapevolezza di aver scritto una grande pagina di storia afferrò l’Assemblea Nazionale. I suoi membri stabilirono allora di togliere la seduta, alle due del mattino, al canto del Te Deum, il più celebre e solenne inno di lode a Dio.

LA DEMOCRAZIA HA BISOGNO DELL’ISPIRAZIONE EVANGELICA. È famosa la frase bergsoniana: «la democrazia è per essenza evangelica». Maritain non ha fatto che commentarla nello scritto Cristianesimo e democrazia, apparso nella primavera del 1943, a New York. L’ex-discepolo di Bergson, ormai in pieno accordo con il maestro su questi temi, osserva giustamente: «Ciò che interessa la vita politica del mondo e la soluzione della crisi della civiltà non è affatto la pretesa che il cristianesimo sia legato alla democrazia, e che la fede cristiana obblighi i fedeli ad essere democratici; ma è constatare che la democrazia è legata al cristianesimo e che è sorta nella storia umana come manifestazione temporale dell’ispirazione evangelica. La questione non verte sul cristianesimo come credo religioso e come via alla vita eterna, ma sul cristianesimo come lievito della vita sociale e politica dei popoli e come apportatore agli uomini di speranza terrena, sul cristianesimo come energia storica che opera nel mondo».

INDOVINATE VOI LE DEDICHE… E BUON DIVERTIMENTO. 1) «Uno storico dell’arte parolaio merita di essere cacciato a colpi di frusta» (Thomas Bernhard). 2) «Se non sei dritto, drizzati» (Marc’Aurelio). 3) «Gratta un uomo d’affari e troverai un pittore della domenica» (Alf Schneditz). 4) «Showman sanguigno, ha tutte le astuzie del sofista che fa politica. Aggredisce, straparla, gigioneggia. Noto come Peso d’Oro, visti i compensi percepiti in Tv e la stazza. Legato a filo doppio a un progetto politico, che porta due nomi: B. e C.» (Levi Appulo).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Preghiera d’un cristiano che dubita. Il coraggio m’abbandona e il cuore mi si vuota. / Pietà, Signore, del cristiano che dubita, / pietà di questo incredulo / che vorrebbe credere. // Pietà del forzato della vita che si imbarca, / solo nella notte, / né più il firmamento rischiara / le luci dell’antica speranza. (Joris-Karl Huysmans).

29 giugno 1995.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La frase scritta sulla tomba di Willy Brandt. Ho fatto ciò che ho potuto. La saggezza politica. La saggezza del politico sta nel ricercare sempre la presenza e il controllo dei contropoteri. Ogni sera un pensiero riconoscente per i nostri morti. Ho sempre detto che nella vita bisogna essere fedeli ai propri morti. Ogni sera consacro un po’ di tempo alla riflessione. Non dimentico mai quelli che mi hanno circondato, quelli che mi hanno accompagnato per tratti brevi o lunghi della mia vita. (François Mitterrand)

Il viso rivelatore. I lineamenti del nostro viso sono soltanto gesti diventati, per l’abitudine, definitivi. La natura, come la catastrofe di Pompei, ci ha immobilizzati nel movimento consueto. Più bello se distante. A ciascuno appare più bello ciò che vede a distanza, ciò che vede negli altri. (Marcel Proust)

LA RIVOLUZIONE TECNICO-SCIENTIFICA NON È IL VELENO DELL’OCCIDENTE. Bergson, che aveva criticato a fondo i miti dello scientismo, rifiuta la visione catastrofica della scienza e della tecnica come «veleno dell’Occidente», via che conduce all’«oblio dell’essere» e, dunque, al nichilismo. Egli sa fin troppo bene che le grandi innovazioni tecnico-scientifiche, slargando enormemente la conoscenza e i poteri dell’uomo, comportano sempre squilibri, costi da pagare e nuove sfide a cui far fronte, ma non per questo esse costituiscono il trionfo del male. L’Autore delle Due fonti osserva innanzitutto che la rivoluzione tecnico-scientifica ha avuto conseguenze straordinarie e a loro modo liberanti: ha sollevato la fatica umana da pesi opprimenti e ha moltiplicato per tanta parte dell’umanità beni e servizi che prima erano privilegio esclusivo di ristrette cerchie. Di qui anche il legame tra industrializzazione e democrazia. In secondo luogo, è arbitrario ritenere la scienza e la tecnica in quanto tali responsabili della folle rincorsa tra produzione e consumo che minaccia la sopravvivenza stessa della Terra. Al contrario, almeno in virtù delle capacità di previsione che loro competono, esse autorizzano solo uno sviluppo compatibile con le risorse del pianeta e con la salvaguardia dell’ambiente. È, inoltre, ancora alla scienza e alla tecnica che bisogna far ricorso sia per riparare i gravissimi danni prodotti da uno sviluppo incontrollato, sia per progettare il futuro. In realtà, lungi dall’essere una maledizione la scienza e la tecnica costituiscono una speranza per l’umanità a patto che siano ordinate allo scopo stesso della storia, cioè al compimento perfettivo del genere umano. Affinché a quello scopo siano orientati gli sforzi degli uomini di buona volontà si richiedono, però, due condizioni: da un lato, un’organizzazione internazionale capace di assicurare la solidarietà e l’integrazione tra gli Stati nella ricerca scientifica, nell’uso delle tecnologie e in economia; dall’altro lato, occorre un’appassionata, incessante opera di risveglio delle coscienze, per la quale è decisivo l’apporto degli eroi della vita morale e dei grandi testimoni di Dio, cioè dei mistici e dei santi.

SE UNA CIVILTÀ DIVENTA «AFRODISIACA». L’isolamento e la scissione dell’eros dall’amore interpersonale, al punto che il piacere sessuale è cercato come qualsiasi altra cosa per cui valga l’«usa e getta», è una possibilità negativa che fa parte della natura umana. Quella possibilità negativa, peraltro così conforme alle spinte egoistiche della natura – per cui l’altro è degradato a res, a mero strumento – nel nostro tempo di massificazione e di epidemie psichiche assume i caratteri di un vero e proprio condizionamento sociale alimentato in modo ossessivo dai più diversi fattori. La mentalità pansessualistica ed erotomane tende, così, ad avvolgere indebitamente tutte le sfere e i momenti dell’esistenza, facendo da «suggeritore», ora occulto ora palese, in ogni rapporto e in ogni azione. Ma quando una civiltà diventa «afrodisiaca» – dominata cioè dal desiderio morboso dei piaceri del sesso e, dunque, dall’urgenza di procurarsi ad ogni costo i mezzi per soddisfarli – il senso di umanità rischia di arretrare paurosamente. Una «civiltà afrodisiaca» è una civiltà drogata, che cammina verso l’auto-distruzione.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Signore, / che io non abbia paura dei peccati degli uomini, / ma che ami l’uomo anche col suo peccato. / Che nessuno dica: «Il male è grande e noi siamo deboli e soli. / Il mondo è cattivo e c’ impedirà ogni ora di bene», / perché Tu ci insegni ad amare non casualmente, / e per brevi istanti, ma per sempre e sino alla fine, / la tua creazione nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. / Non permetterci di scaricare addosso agli altri / la nostra debolezza e la nostra pigrizia. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij)

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.