DETTI E CONTRADDETTI 1995 – SECONDO SEMESTRE
6 luglio 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché è una grande avventura. La vita è una grande avventura verso la luce! (Paul Claudel). Se non lo fate, non meritate di vivere. Non fatevi traviare e convincere a tacere se la coscienza vi ordina di parlare (Ernst Wiechert). L’errore classico delle democrazie deboli. Nelle democrazie deboli il dittatore allo stato nascente prima non chiede altro che l’investitura parlamentare per far uscire il Paese dalla crisi; poi risolve la crisi abolendo il… Parlamento (Levi Appulo). L’insegna che ognuno dovrebbe far sua nel proprio cuore e pubblicamente. Per la verità, il diritto, la libertà! Non cedere alla tentazione dell’isolamento. Finché trovi ancora persone con cui puoi stare insieme, il tuo idealismo non va perduto. Non voltarsi dall’altra parte. La miseria ci guarda. Noi ci voltiamo dall’altra parte. (Willi Graf)
LA RADICE DELLA LIBERTÀ DI COSCIENZA. Riprendo tra le mani, dopo tanti anni, i due ponderosi volumi del Saggio teoretico di Diritto naturale del padre gesuita Luigi Taparelli D’Azeglio, pubblicato a Palermo negli anni 1840 – 43. L’edizione in mio possesso è quella del 1949. In un foglio avevo annotato i passaggi più importanti. Nel I volume, a pagina 314, il fratello di Massimo D’Azeglio riporta in nota una illuminante osservazione di François Guizot, l’eminente storico francese di formazione calvinista. Scrive il Guizot: «La Chiesa dette inizio a un grande fatto, la separazione del potere spirituale e del potere temporale. Questa separazione è la sorgente della libertà di coscienza (Cette séparation c’est la source de la liberté de conscience). La separazione si fonda su questa idea, che la forza materiale non ha né diritto né competenza sugli spiriti, sulle convinzioni, sulla verità».
Questo è uno dei più grandi doni che il Vangelo ha fatto ai popoli che ne hanno accolto il messaggio. Gli integralisti di casa nostra, anche se nell’ultimissima versione vestono panni liberal-democratici, potranno mai capire che la tirannia più micidiale è proprio quella originata dall’unità del potere temporale e spirituale che il Cristianesimo ha bollato per sempre come peccato? Quei signori hanno meditato sulle pagine della Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij?
È semplicemente assurdo pensare che l’attiva presenza del cristiano nel mondo possa essere confusa con una sorta di versione cattolica del fondamentalismo islamico. L’incarnazione della fede si muove nello spirito delineato già nel II secolo, del celebre testo A Diogneto e non in quello dell’occupazione del potere a qualsiasi prezzo per meglio servire la Chiesa.
POESIA DEL NOVECENTO. A e B. «A e B litigano a lungo all’osteria / e restano su punti contrapposti. / Poi ubriachi e commossi / concilianti si vengono incontro. Tengono i loro discorsi con tanto slancio / che B approda alle posizioni di A, / e A alle posizioni di B. / Con occhio attonito si danno la mano» (Paul Klee, da Poesie, Parma 1978).
Il limite e il valore. «Ricordo sempre / il limite / oscuramente dentro lo creo, / lo stravolgo per cercare / il costrutto che mi chiarisca, / un valore che mi vivifichi. / Stravolgere il limite è un fatto puro, / è il silenzio delle cose. / Lì, nel ritrovato disaccordo, / vi è il punto / che mi fa passare oltre» (Paola Davite, Scogli, Firenze 1995).
13 luglio 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Secondo quali convinzioni tu vivi e agisci? Più che domandarsi quali opinioni politiche uno abbia, per quale partito voti, che cosa pensi delle questioni discusse pubblicamente, è importante invece chiedersi secondo quali convinzioni uno vive e agisce. Responsabilità e corresponsabilità. Ognuno è responsabile per ciò che fa e corresponsabile di ciò che lascia fare. (Richard von Weizsaecker) Quando il lusso è un crimine. Il lusso è un crimine tutte le volte che un membro della società soffre e lo si sa (Jean-Baptiste D’Alembert). Intuizione creatrice e tecnica si alimentano a vicenda. Un pittore vuol rappresentare il bello da lui concepito, e tanto maggiore è il bello che egli concepisce,quanto maggiore è la sua abilità nell’arte (P. Luigi Taparelli D’Azeglio). La battuta di Cipputi. I politici hanno gli italiani che si meritano. L’ombra e la luce. L’ombra non sarebbe se non conservasse un grado di opacità anche nello splendore di mezzogiorno. (Levi Appulo)
LA VOGLIA DI VINCERE E LA SUPERSTIZIONE. C’è una forma di superstizione direttamente originata dalla voglia di vincere. Ciascuno di noi può farne esperienza, se vuole, quando, ad esempio, prova a puntare una somma di danaro su un numero della roulette e aspetta che la pallina giunga alla fine della corsa. Ebbene, nel momento in cui essa sta forse per giungere al numero che abbiamo scelto, la nostra mano si stende quasi per spingerla o per fermarla. In quei secondi di trepidazione, la nostra volontà riempie l’intervallo fra la decisione presa e il risultato atteso. Il frequentatore abituale delle sale da gioco, invece, rinuncia a muovere la sua mano; nel suo interno, però, si insedia un’entità, cui affida la sua delega: la dea bendata della Fortuna. E tacitamente, ossessivamente la invoca. Proprio come il selvaggio, il quale ad essa domanda che la freccia centri il bersaglio.
CHI PREGA PER I GRANDI MUSICISTI? Il 12 giugno scorso cessò di battere il cuore di Arturo Benedetti Michelangeli. Ci sono stati nel nostro secolo grandi pianisti, ma per chi ama la musica il pianoforte era lui. Ne era divenuto giustamente il simbolo. Le sue rare incisioni sono tesori inestimabili. Poche emozioni possono pareggiare quelle che ci sono donate dall’ascolto delle sue interpretazioni. Quale fu il segreto di un’arte così totale, assoluta, perfetta? «È come se egli avesse rinunciato del tutto a vivere – ha scritto Paolo Isotta – per consentirsi, attraverso lo studio matto e disperatissimo, quella perfezione, quell’idea del suono come pura bellezza: luce e gioia per gli altri». Il ricordo più commovente del pianista è racchiuso, per me, in una «partecipazione» pubblicata sul nostro giornale il giorno dopo l’annuncio del decesso del pianista: «Una comune famiglia bresciana benedice Dio per i grandi doni elargiti ad Arturo Benedetti Michelangeli e ringrazia il maestro per averli saputo accogliere, esaltare e comunicare in pienezza agli uomini».
MI E PERMESSO CITARE «PREGHIERE DELL’UMANITÀ»? Un lettore mi segnala, con molta discrezione, qualcosa che può apparire non opportuno: chi scrive le noterelle di questa rubrica cita spesso un libro di cui è… coautore, Preghiere dell’umanità.
Certamente lo faccio perché quel libro nacque da un appassionato desiderio, di cui non mi vergogno affatto: affidare a coloro che entreranno nel Terzo Millennio uno strumento per far memoria di straordinari tesori di poesia e di mistica, scelti in un arco di cinquemila anni. Tesori su cui incombe, minaccioso, l’oblio. Quei testi mi commuovevano quando li sceglievo e li traducevo, mi commuovono nel rileggerli; soprattutto quelli dell’Occidente latino e di questo nostro secolo, tormentatissimo e quanto mai affascinante.
A ben vedere, però, vi è pure un’altra ragione per cui mi sono sentito del tutto innocente nel citare Preghiere dell’umanità ed è questa: una sua ipotetica maggior diffusione a me non recherebbe assolutamente alcun vantaggio economico neppure di una lira. Ringrazio, dunque, chi ha voluto mettermi sull’avviso, offrendomi così l’opportunità di un chiarimento che, quando è franco, giova e può perfino farci intravedere uno sprazzo d’azzurro.
20 luglio 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Dono gratuito di reciproca fiducia. Non si può estorcere l’amore con la forza; / l’amore è un dono gratuito di reciproca fiducia (Claudiano). Quando chi parla è beato. Beato chi parla in un orecchio che ascolta (proverbio di cui si ignora la fonte, citato da Giovanni di Salisbury nel libro V del Policraticus). La svalutazione della parola. Ciò che abbonda perde valore; perciò le poche parole di chi apre la bocca a ragion veduta sono preziose, mentre la logorrea è un peccato (G. di Salisbury).
Non si possiede un quadro solo perché lo si ha. Solo con il pensiero si posseggono le cose e non si possiede un quadro perché lo si ha nella sala da pranzo, se non lo si sa comprendere. Se non siamo uniti ai nostri morti. Il nostro affetto per coloro che sono morti non si indebolisce perché sono morti, ma perché siamo morti noi. Affrontare la sofferenza al momento giusto. La paura di soffrire nell’immediato destina a sofferenze perpetue. Vi può essere bellezza. Vi può essere bellezza tanto nelle cose umili quanto nelle più preziose. (Marcel Proust)
L’ITALIA IN CUI NON MI RICONOSCO. 1) Ovunque e innanzi tutto il telefonino. Incredibile episodio segnalato in una parrocchia della Riviera ligure. Messa sospesa, dal cellulare. Squilla il telefonino sotto la tonaca e il prete risponde (13 maggio 1995). 2) Centoquindici «mal di testa» tra i piloti dell’Alitalia. Darsi ammalati permette nello stesso tempo di scioperare e di non rimetterci neppure una lira. I centoquindici piloti che si ammalano tutti nello stesso giorno, 15 giugno u.s., fanno il loro gioco; ma dietro la loro irresponsabilità non c’è quella, ben più grave, dei medici che si prestano a «certificare» lo stato di malattia? 3) Anche nel trasformismo occorre senso del limite. Il Secolo d’Italia, quotidiano di Alleanza nazionale, il 16 giugno u.s. dedica due pagine a Piero Gobetti in occasione della ristampa di Rivoluzione liberale. Gli eredi storici di coloro che Gobetti combatté con tutta l’anima trasformano una delle vittime più illustri del fascismo in un loro maestro. Addirittura, gli ex fascisti o post-fascisti che siano pretendono di essere loro i più idonei a capirne la lezione. Umile, aperto riconoscimento dell’errore commesso, essendo rimasti per cinque decenni abbracciati a una ideologia che pure aveva portato il Paese alla rovina? Omaggio tardivo a uno di quegli eroi irriducibili che sacrificarono la loro vita per difendere contro il fascismo la libertà politica e culturale del popolo italiano? Oppure appropriazione indebita e trasformismo?
SUL SENSO DELLA VITA… Su un tema così impegnativo le parole più alte di solito sono quelle più radicalmente semplici, pronunciate quando non c’è più tempo per disporre l’animo di chi legge e si è costretti ad andare dritti al nocciolo delle questioni. Eccone un esempio. «Ciò che è stato non tornerà più». Occorre guardare in alto, spingersi in avanti… «Fa ‘sempre ciò che ritieni giusto, non ti lasciar persuadere contro la convinzione del tuo io profondo, non compiere mai atti che ritieni sbagliati. Fa’ sempre subito ciò che ritieni necessario, senza esitazione. Ogni esitazione si sconta. Sì, mia cara, il senso della vita è vivere, vivere il meglio possibile. L’ulteriore significato devi darlo tu stessa alla tua vita. Credi a me: chi vive solo per sé, chi solo per sé cerca la felicità, non vive bene e non può essere felice. L’uomo ha bisogno di qualcosa che sia superiore alla cornice del proprio io. Dico di più: ha bisogno di qualcosa che sia sopra il suo stesso io».
Ho riportato il brano centrale che l’operaio viennese Rudolf Fischer scrisse alla figlia Erika prima di essere decapitato dalla Gestapo il 28 gennaio 1943. Aveva 37 anni e sapeva che la figlia di lì a pochi giorni sarebbe stata anche orfana di madre. La moglie Marie, infatti, fu associata al suo stesso destino.
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Che io non abbia paura dei peccati degli uomini. Signore, / che io non abbia paura dei peccati degli uomini, / ma che ami l’uomo anche col suo peccato: / Che nessuno dica: «Il male è grande e noi siamo deboli e soli. / Il mondo è cattivo e ci impedirà ogni opera di bene», / perché tu ci insegni ad amare non casualmente, /e per brevi istanti, ma per sempre e sino alla fine, / la tua creazione nel suo insieme e in ogni granello di sabbia. / Non permetterci di scaricare addosso agli altri / la nostra debolezza e la nostra pigrizia. (Fëdor Michajlovič Dostoevskij).
27 luglio 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La legge e l’essere eletti. A chi esercita il potere nulla è concesso di volere se non ciò che la legge e l’equità consigliano, ciò che è richiesto dalla comune utilità (Giovanni di Salisbury). L’imperativo disatteso dai politici irresponsabili. Nessuno cerchi il suo vantaggio, ma quello degli altri (San Paolo). Il buon politico. Epimenide rese la città docile alla giustizia e maggiormente incline alla concordia (Plutarco).
Il consenso dato a quelli che sanno mentire meglio. Le reputazioni ingiustificate sono quelle più solide agli occhi del pubblico. L’ignoto. L’ignoto nella vita delle persone è come quello della natura, che ogni scoperta scientifica fa indietreggiare, ma non annulla. Si potrà mai definire l’amore? L’amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore. Il rimedio. Il rimedio specifico per guarire un evento infelice, e i tre quarti degli eventi lo sono, è prendere una decisione. (Marcel Proust)
LA VITA MORALE E IL SACRIFICIO. L’atteggiamento pratico e il criterio di condotta oggi dominanti si ispirano all’utilitarismo. La morale dell’utile non è altro che la morale dell’interesse e il massimo teorico dell’utilitarismo, Bentham, definisce l’interesse «ogni piacere e ogni causa di piacere», per cui il bene è un piacere ben calcolato ed è sempre piacevole. Insomma, l’utilitarismo dichiara l’identità presupposta tra bene e piacere e giunge a questa incredibile conclusione: «Nessuno perde e tutti hanno sempre da guadagnare, non si richiede all’uomo alcun sacrificio definitivo». Si direbbe che la morale utilitaristica non solo sia incapace di dare una ragione di quegli aspetti della vita che comportano gravi sacrifici, ma che la sua principale intenzione sia di rendere superflua l’idea stessa di sacrificio. Nulla di più allettante, dunque, ma anche nulla di più falso. Prendiamo il «caso Socrate»: accuse infamanti portano il più grande educatore di Atene a difendersi in tribunale e i suoi squallidi accusatori hanno partita vinta. Il filosofo beve la cicuta. Ma chi potrà mai scambiare la serenità di Socrate, di fronte alla tragica fine a cui non intende sottrarsi, con la felicità? Può trarre godimento un uomo giusto dall’ingiusta sofferenza, che è costretto a subire per non aver tradito quei valori che hanno reso retta e buona la sua vita?
IL DISINTERESSE ATTIVO. Il fine della morale non è di condurre al sacrificio, né il sacrificio può essere cercato per sé. Ma bisogna pure allenarsi al dominio di sé, al rischio e dunque al sacrificio, se si vuol diventare liberi ed essere pronti a testimoniare concretamente nella vita il valore che vivifica la coscienza. Si vorrebbe poter agire in un’atmosfera di diritto e di amore, tale che il sacrificio sia il più possibile economizzato; ma la situazione in cui siamo chiamati ad agire è data a noi e non siamo noi a sceglierla, e da noi dipende solo il tipo di risposta che ad essa siamo capaci di dare. Anche nella situazione la più lontana dal diritto, e ancor più dall’amore, noi dobbiamo volere e fare ciò che è giusto e degno, costi quello che costi. È pertanto escluso che il sacrificio possa sparire dalla nostra vita e, comunque, non sarebbe neppure auspicabile, pena la scomparsa dell’uomo come essere intelligente e libero. L’eroismo morale è la testimonianza più alta che un uomo possa dare del suo disinteresse attivo e della sua dedizione agli altri fino al più completo sacrificio di sé.
QUATTRO LIRICHE DI UNA POETESSA AUTENTICA. Vorrei… «Vorrei dentro una vita, / che mi parlasse di me, / una lenta pazienza in fuga a cui / potermi arrendere. / Un coraggio immemore che mi facesse / abbracciare dolcemente questo rugoso dolore, / che mi serbasse, infine, un’estrema salvezza».
Raccolto di spine. «Impietosamente, / celando un incolmabile / pianto, / mostrare infine vorrei / a tutti voi, gelidi, / questo mio / raccolto di spine».
Flecta quod est rigidum. «Stasera, / chi sempre ha avuto non abbia, / chi si sente plausibile dubiti. / Si sbricioli il loro certo formulario, / che siano inghiottiti da certezze e regole. / Così che si sciolgano coloro che si sono induriti, / la loro follia torni passione. / Stasera per loro un dono soltanto. / Io non sono / quella larva accartocciata a se stessa / desta solo al solitario e subdolo / confronto con il proprio dolore. / Io, in frondoso letargo dal mondo, / tiro le improbabili estremità / di eventi incollimabili / per comprenderne la sequenza / e, in caso, unirmi ad essa».
E l’anima? «Senza dubbio preferiamo / matrimoni felici / bambini grassi e ingordi / sogni da mettere in cornice. / Vogliamo un quadro immobile e fermo. / Perché allora ci dibattiamo / nel continuo mutare, / in un coagulo di incertezze, / perché sempre noi perpetuamente andiamo? / E l’anima?». (Paola Davite, Scogli, Firenze 1995).
4 agosto 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Quattro regole di vita. 1. Scegli il danno piuttosto che un guadagno turpe. 2. Non irridere mai a chi è sventurato. 3. La tua lingua non corra avanti al pensiero. 4. Non desiderare l’impossibile (Chilone di Sparta). Lo dice anche Aristotele. Esibire troppa umiltà è il più alto grado di superbia (Aristotele). La forza dell’innocenza. L’innocenza non è facile a sconfiggersi. Non basta non fare il male. L’essenza della giustizia consiste nel non fare il male e nell’ostacolare, per dovere di umanità, coloro che lo fanno (Giovanni di Salisbury). L’innocenza simulata. Un’innocenza simulata non è affatto innocenza, ma una doppia malvagità: la malvagità in sé e la sua dissimulazione (Sant’Agostino).
Perché vogliamo essere capiti. Desideriamo essere capiti perché desideriamo essere amati, e desideriamo essere amati perché amiamo. Non c’è vera ripetizione del vissuto. Nulla si ripete mai esattamente e le esistenze più simili, quelle che per l’affinità dei caratteri e la somiglianza delle circostanze possono essere indicate come esempio di simmetria reciproca, restano invece opposte. (Marcel Proust)
STAZIONI SULLA VIA DELLA LIBERTÀ. Disciplina. Se tu parti alla ricerca della verità, impara soprattutto / la disciplina dei sensi e dell’anima, affinché i desideri / e le tue membra non ti portino ora qui ora là. / Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te pienamente sottomessi / ed ubbidienti, nel cercare la meta che è loro assegnata. / Nessuno apprende il segreto della libertà se non attraverso la disciplina.
Azione. Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto / non ondeggiare nelle possibilità ma afferrare coraggiosamente il reale: / non nella fuga dei pensieri, solo nell’azione è la libertà.
Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi / sostenuto solo dal comandamento di Dio e dalla tua fede / e la libertà accoglierà giubilando il tuo spirito.
Sofferenza. Straordinaria trasformazione. Le tue forti, attive mani / sono legate. Impotente, solo, vedi la fine / della tua azione. Ma tu prendi fiato, e ciò che è giusto poni, / silenzioso e consolato, in mani più forti, e sei contento. / Solo un istante attingi beato la felicità / e poi la consegni a Dio, che le offra splendido compimento.
Morte. Vieni, ora, festa suprema sulla via verso la libertà, / morte, rompi le gravose catene e le mura / del nostro effimero corpo e della nostra anima accecata, / perché finalmente vediamo, ciò che qui non è dato vedere. / Libertà, a lungo ti cercammo nella disciplina, nell’azione e nella sofferenza. / Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio.
Prego i lettori, soprattutto i più giovani, di custodire gelosamente questa pagina e di tornare spesso a meditarla. Fu scritta, quasi a condensare l’eccezionale esperienza religiosa del suo autore, Dietrich Bonhoeffer, nel carcere berlinese di Tegel. Essa è tratta dalla celebre raccolta di scritti bonhoefferiani, Resistenza e Resa, Milano 1988, pp. 448 – 449). Bonhoeffer fu l’eroico animatore della resistenza cristiana al neo-paganismo totalitario e razzista di Hitler. Fu ucciso nel lager di Flossenburg il 9 aprile 1945, un mese prima del crollo della Germania nazista.
DA DOVE VIENE L’INCANTO DELL’ARTE. Ci si chiede se in qualche modo l’arte non preceda la natura e se la natura non ci appaia bella grazie anche alla trasfigurazione che di essa opera l’arte. In ogni caso pare giusto studiare prima il bello nelle opere in cui è stato prodotto da uno sforzo cosciente, da una creazione artistica, e scendere poi, per passaggi insensibili, alla natura, che è artista a modo suo. Così, ad esempio, perché i suoni musicali agiscono con maggior potenza su di noi che non quelli della natura? Perché le note della Pastorale di Beethoven saranno sempre incomparabilmente più belle della musica che pure percepiamo nello scorrere delle acque e nel canto degli uccelli? Il fatto è che la natura si limita a offrirci occasioni per mettere in moto un sentimento, mentre l’arte, quel sentimento ce lo suggerisce e creandolo, lo potenzia all’infinito. La musica e la poesia non si limitano a darci un equivalente emotivo di ciò che la natura mette in noi, ma attraverso il ritmo innalzano la nostra anima all’idea suggerita dall’artista, al suo sentimento della vita, sprofondandola in un sogno lucidissimo.
10 agosto 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Spie della sensibilità di un’epoca. Quando scrittori diversi affrontano lo stesso tema o un tema analogo, ciò indica la rilevanza assunta da quest’ultimo nella sensibilità di un’epoca e la necessità di fare i conti con esso (Claudio Magris). Le vie per cui si perde la libertà. La libertà si perde quando le folle si inginocchiano dinanzi alla prepotenza del danaro e, così facendo, annodano le proprie catene (Levi Appulo).
Aspirazione all’interno. Si ama solo quel che non si possiede per intero. Se fosse vero, sarebbe umiliante. Gran parte di quel che diciamo non è altro che recitazione. Le conseguenze dell’incertezza morale. L’incertezza morale costituisce una causa maggiore di difficoltà per un’esatta percezione visiva di quanto non lo sarebbe un difetto materiale dell’occhio. L’irresponsabilità come aggravante. L’irresponsabilità aggrava le colpe e persino i crimini, checché se ne dica. (Marcel Proust)
COME LA METTIAMO CON «L’OSPITE FISSO»? Se uno vi dicesse: Ho seri motivi per diffidare di Tizio, ma è entrato ormai in casa mia ed è con lui che io e i miei finiamo col trascorrere la maggior parte del tempo libero, voi che cosa sareste autorizzato a pensare di lui? Ebbene, è proprio questo l’atteggiamento pratico della famiglia italiana nei confronti della televisione. Lo documenta il «rapporto Cisf» (Centro internazionale studi famiglia), appena pubblicato dalla San Paolo con il titolo quanto mai azzeccato: L’ospite fisso. Una contraddizione così palese attesta e insieme genera senso di disagio, a cui si cerca di rimediare in qualche modo con una menzogna che diciamo in primo luogo a noi stessi: ci difendiamo, infatti, e ci assolviamo, cercando di… sottovalutare l’influenza che la televisione esercita su di noi, consciamente e a livello inconscio. Un’«auto-assoluzione» che vale tanto quanto l’«auto-inganno» su cui si fonda.
PER UN’ALTRA POLITICA.
1) Se economicistica, la prospettiva è materialistica. «Perché non vedere nei desideri e nelle esigenze di solidarietà, di comunione, di fraternità, di uguaglianza, di giustizia, nel bisogno di una superiore qualità della vita e perfino nel bisogno di assoluto, di ordine spirituale e religioso, che sono presenti nel cuore dell’uomo della città secolare, il germe di un futuro migliore in cui si possa riconoscere finalmente la verità dell’uomo, in una visione globale della sua dignità e, quindi, si possa far uscire la costruzione della città dell’uomo dalla sua attuale prospettiva materialistica, economicistica con la riaffermazione del primato dell’essere sull’avere, della persona sulle strutture, del servizio in luce di solidarietà sul potere in luce di orgoglio?» (Giuseppe Lazzati).
2) Quando i cattolici torneranno a rendersene conto? «L’aspirazione di un partito onesto non dovrebbe essere quella di diventare maggioranza a qualunque costo e al più presto. Mantener fede ai propri principi, riuscire a farli penetrare negli avversari, vale molto di più del governare con compromessi ignobili onde suddividere gli utili del condominio» (Don Primo Mazzolari).
3) Di dove proviene il pericolo. «Il potere rappresenta indifferentemente la possibilità di ciò che è buono e positivo e il pericolo di ciò che è cattivo e distruttore. Tale pericolo cresce in diretto rapporto con la misura del potere e degli strumenti di cui esso dispone. Il pericolo può divenire minaccioso se del potere dispone una volontà che ha un orientamento morale falso, o che non sente più alcuna obbligazione morale» (Romano Guardini).
PERCHÉ L’IDEA DELL’AVVENIRE È PIÙ FECONDA DELL’AVVENIRE STESSO? La speranza è un piacere così intenso perché l’avvenire, del quale disponiamo a nostra volontà, ci appare sotto una molteplicità di forme, tutte sorridenti, o per lo meno ugualmente possibili. E se anche di tali forme si realizza quella più desiderata, il suo attuarsi comporterà inevitabilmente il sacrificio delle altre possibilità, e pertanto avremo comunque perso molto. Insomma l’idea dell’avvenire, recando nel suo seno molteplici possibilità, è più feconda dell’avvenire stesso. Per questo la speranza è più seducente del possesso e il sogno della realtà.
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Avanti nel futuro. «Accetta noi in Cristo Gesù, / tuo eterno Figlio, / in lui guidaci / avanti nel futuro / che tu stesso desideri: / Dio dell’amore, / Dio della verità, / Dio della vita» (Giovanni Paolo II).
Ti ringrazio di esistere. «Dio, con semplicità / ti ringrazio di esistere! / Ti ringrazio / che sei più grande delle nostre teste / così logiche, / più sottile dei nostri cuori / così nervosi. / Ti ringrazio che sei silenzioso. / Soltanto noi, / eruditi analfabeti, / chiacchieriamo senza posa» (Jan Twardowski, poeta polacco contemporaneo).
17 agosto 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Non basta per nulla scambiarsi impressioni ed opinioni. Noi parliamo facilmente sulle cose, invece che a partire dalle cose. C’è una grande differenza. Nel primo caso le nostre conversazioni rimangono alla superficie dei problemi» (Willi Graf). Libertà e verità. La democrazia ama la libertà. Sarebbe, però, un tradimento verso l’umanità se lo facesse non per rispettare la dignità della persona, ma per indifferenza nei confronti della verità (Levi Appulo). La vergogna più grande per un popolo. Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi governare da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti (è l’incipit del primo volantino della «Rosa Bianca», vero oggi come nel giugno del 1942, quando fu scritto e diffuso). Quanti la pensano oggi come Hitler su questo punto? È incredibile fino a qual punto si debba ingannare un popolo per poterlo governare (Adolf Hitler nelle prime edizioni di Mein Kampf).
L’AMAI PIÙ DELLA SALUTE E DELLA BELLEZZA. «Pregai e mi fu elargita la prudenza; / implorai e venne in me lo spirito della sapienza. / La preferii a scettri e a troni, / stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; / non la paragonai neppure ad una gemma inestimabile, / perché tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia / e come fango sarà valutato di fronte ad essa l’argento. / L’amai più della salute e della bellezza, /preferii il suo possesso alla stessa luce, / perché non tramonta lo splendore che ne promana. / Mi conceda Dio di parlare secondo conoscenza / e di pensare in modo degno dei doni ricevuti, / perché egli è guida della sapienza / ed i saggi ricevono da lui orientamento».
Questo mirabile testo è tratto dall’Antico Testamento e precisamente dal Libro della Sapienza (7, 7 – 10, 15) scritto originariamente in greco, anche se il suo Autore è un ebreo pieno di fede nel «Dio dei padri» (9, l) e fiero di appartenere alla «stirpe senza macchia» (10, 5). La Sapienza è in ordine di tempo l’ultimo dei libri dell’Antico Testamento e la sua stesura può essere fatta risalire tra il 100 ed il 50 a.C.
DUE «EROI», DEL NOSTRO TEMPO. Primo personaggio. È un vulcano in quotidiana eruzione. Vomita accuse infamanti su persone assenti, che perciò non possono difendersi, perché non gli vanno a genio o perché non condividono i suoi umori politici o quelli del leader della sua parte. I servigi resi non sono gratuiti, essendo lautamente pagati. Del suo maestro ebbe a dire che lo voleva veder morto. Estroverso, deve, però, celare pure lui una qualche inconfessabile propensione. Si sa, infatti, che fu cacciato da una prestigiosa Fondazione perché sospettato di aver rubato un prezioso orologio e fu anche pizzicato dal trillo dell’allarme con un prezioso volume in tasca, durante un convegno-mostra a Londra. Si accompagna spesso a porno-divette e professa senza ritegno il suo amoralismo in questo campo. È tuttavia l’idolo delle «signore perbene» della nostra borghesia media, piccola e piccolissima.
Secondo personaggio. Ha respirato fin da piccolo aria marxista-leninista. Togliatti se lo coccolava sulle ginocchia all’ambasciata italiana a Mosca. Folgorato da Craxi nei giorni dell’onnipotenza, fu deputato europeo del Psi. Portavoce berlusconiano di Craxi a Canale5, poi portavoce craxiano di Berlusconi nel governo. Presentimento o segno di vocazione che sia, quando era cronista parlamentare al Corriere della Sera amava farsi autografare da Spadolini il giuramento a ministro.
L’IRRESISTIBILE ATTRAZIONE DELLA GRAZIA. All’inizio, il sentimento della grazia non è che la percezione di una certa scioltezza, di una certa facilità e simpatia. Una simpatia che spesso suggerisce un libero tendere al bene morale. Tuttavia l’attrazione della grazia sta in qualcosa d’altro che non sia solo risparmio di sforzo e spontaneità. In tutto quello che spira grazia, infatti, noi crediamo di scorgere un invito, un movimento virtuale verso di noi e le nostre attese. Qualcosa, insomma, che è sempre sul punto di darsi, una virtualità che affascina e libera in noi sentimenti di un ordine superiore.
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Se ci tieni che io creda in te. Se ci tieni che io creda in te, / dammi la fede. / Se ci tieni che ti ami, / dammi l’amore. / Io ho solo da darti la mia debolezza / e il mio dolore, / questa tenerezza che mi tormenta / e che tu vedi, questa vergogna sbigottita. / È tutto. / Ed è la mia speranza! (Marie Noël)
24 agosto 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Quello che ci vuole, al giusto momento. Nulla di troppo, tutto ciò che è bello è proprio di ciò che è opportuno (Chilone di Sparta). Consigli preziosi. Suggella i discorsi con il silenzio. Non mentire. Non far da maestro ai genitori. Non ti vantare. Ciò che non sai, non dirlo. Testimonia le cose invisibili con quelle visibili (Solone di Atene). La virtù non è zelo maniacale. Non essere troppo giusto (Libro del Qoèlet). Ogni eccesso conduce al peccato: non vi è nulla di peggio di una spropositata pratica delle buone opere (Giovanni di Salisbury).
Che cosa è veramente importante per noi? Nel nostro animo ci sono cose che non sappiamo quanto siano importanti per noi. Il dolore non meno che l’arte. L’arte non è sola a infondere fascino e mistero alle cose: quello stesso potere di metterle in intimo rapporto con noi è devoluto anche al dolore. La vera arte. La vera arte non sa che farsene di tanti proclami e si compie in silenzio (Marcel Proust).
MA DOVE SI TROVA LA SAPIENZA? Quando Alessandro Magno iniziò le sue campagne portava con sé dei filosofi, cioè non dei sapienti, ma «amici della sapienza». E quando, verso il 320, si attestò lungo il litoraneo della Fenicia e della Palestina per andare in Egitto, incontrò il mondo ebraico. Ma anche gli ebrei – come ricordava Pietro Rossano in una sua lucida conferenza, tenuta a Milano il 6 novembre 1989 – vennero allora a contatto con la filosofia greca e nacque in essi il grande interrogativo: «Dov’è la sapienza? Noi ebrei abbiamo la hokmà, ed ecco vengono i greci e ci parlano della sophia. Allora dov’è la sapienza? Ce l’hanno i greci o l’abbiamo noi?».
Le risposte a questa domanda furono di due tipi. Qualcuno disse: «La sapienza ce l’ha solo Dio e l’unica sapienza per l’uomo sta nel temere il Signore». Nel Qoèlet – il libro che mette a nudo l’insufficienza e il vuoto di tutte le cose umane – si legge: «Temi Iddio e osserva la sua Legge. Questo è tutto». Insomma, chi non ha la Legge, non ha la sapienza e la Legge l’abbiamo solo noi ebrei. Il libro di Baruch lo dice senza mezzi termini, anche se si deve tener conto che il segretario di Geremia scriveva per incoraggiare i suoi connazionali, esiliati in Babilonia, a non disperdere la loro identità, a ritrovarsi uniti nella fede.
L’altra tendenza che rappresenta il filone centrale della Bibbia, è documentato nel Siracide, nel Libro della Sapienza e nei Proverbi. Essa afferma che la sapienza c’è in tutto il mondo perché Dio l’ha data ad ogni popolo. La delizia di Dio è stare con i figli degli uomini. La sapienza fa nascere santi, profeti e amici di Dio in tutto il mondo. Essa ha fatto nascere anche le virtù, che noi conosciamo come il patrimonio morale elaborato da Socrate e Platone, da Aristotele e dagli Stoici. La prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza sono anch’esse frutto della sapienza, la quale quindi c’è dappertutto, anche se mescolata ad errori spesso gravi e a gravi omissioni. Ma la sapienza ha posto in primo luogo la sua dimora in Israele, si è rivelata nella Legge e ha fatto sì che un popolo divenisse strumento del disegno di salvezza che Dio ha concepito per tutto il genere umano.
LA PROSPETTIVA UNIVERSALISTICA. Il Nuovo Testamento continuerà questo discorso. Nel prologo del Vangelo di Giovanni, sintesi stupenda di tutto il quarto Vangelo e di tanta parte del pensiero di San Paolo, si dice che il Verbo di Dio, la Parola di Dio, la Sapienza eterna, «il Logos, per il quale e nel quale sono state fatte tutte le cose», si è incarnato nella persona di Gesù Cristo, «si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi». Ma quello stesso Verbo, fonte di tutta la creazione, «illumina ogni uomo che viene in questo mondo». Dunque tutte le sapienze del mondo riflettono un raggio di quella luce e sono vie per risalire alla loro sorgente.
La tendenza del libro di Baruch, o almeno quella espressa all’inizio del capitolo quarto, 1 – 4, fa della verità prima che si rivela un’esclusiva di Israele (ma, paradossalmente, quel libro Israele non l’ha mai inserito nella sua Bibbia!); l’altra, che attraversa l’Antico Testamento ed è il cuore del Nuovo, concepisce la verità più alta come inclusiva di tutto ciò che nel cammino umano la prepara e in qualche modo, almeno parzialmente, l’anticipa. I lettori vedono, quindi, che le ragioni del nostro tenace contendere nei confronti della mentalità fondamentalistica hanno salde radici e lontane premesse.
31 agosto 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Tre frasi brevi, degne di ricordo. 1. Più che nel tuo aspetto, sii bello in ciò che fai. 2. Difficile è conoscere se stessi. 3. Impara e fa tuo ciò che è meglio (Talete di Mileto). La risposta di Socrate. Socrate, a chi gli chiedeva come si potesse raggiungere una reputazione degna della sua, rispose: Agendo nel modo migliore e parlando poco (Giovanni di Salisbury). A proposito del ridere. Il riso, quanto più è sfacciato, tanto più diventa il marchio della leggerezza, spesso della volgarità. Si legge che Gesù pianse, mai che rise. Certamente sorrise (Levi Appulo).
Anche se piccolo, rivelatore. Ogni nostro più piccolo desiderio, benché unico come un accordo, accoglie in sé note fondamentali su cui tutta la nostra vita è costruita. Anche gli immorali hanno le loro indignazioni. Nelle persone cosiddette immorali le indignazioni morali sono forti come nelle altre, cambia solo un po’ l’oggetto. Il libro. La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita, valore che non abbiamo saputo apprezzare e della cui grandezza solo grazie al libro ci rendiamo conto. (Marcel Proust)
IL LIBRO SOTTOLINEATO. Un libro non sottolineato è un volume di una biblioteca pubblica, o qualcosa che si può regalare, ma io non lo sento entrato a far parte di me stesso. Occorre, invece, incoraggiare vivamente il bisogno di evidenziare in un modo o nell’altro ciò che, leggendo, colpisce perché vero, e comunque è giudicato degno di riflessione, o perché falso, sofistico, truffaldino. Un libro sottolineato lo si può rileggere in un batter d’occhi e ci rende subito, visivamente, i passaggi essenziali, le sfumature, le frasi che mordono o che sono stilisticamente perfette. Si comprende, allora, perché, unitamente ai diari e alle lettere, è prezioso poter vedere come l’uno o l’altro Autore si rapportava a un’opera, in che modo per il suo tramite entrava in colloquio con un altro spirito. Manzoni, ad esempio, era un lettore estremamente reattivo e le sue esclamazioni di consenso o dissenso erano frequenti, colorite. Non poche erano scritte in lingua… meneghina!
La prima lettura, anche – e direi soprattutto – di un classico, dovrebbe prescindere da inquadramenti e note. Bisogna andare incontro a un Autore con innocenza. Noi dovremmo dire ai giovani «Leggete e sottolineate quello che vi sembra degno di entrare a far parte della vostra vita interiore. Le cose più belle in assoluto trascrivetele su di una vostra agenda. I chiarimenti e l’analisi critica del testo sono necessari e fecondi, ma solo se vengono dopo».
CINQUE GIUDIZI SU GESÙ.
1. Come un’opera d’arte. «Il fascino di Cristo consiste nel fatto che egli è del tutto simile a un’opera d’arte. Egli non insegna precisamente nulla a nessuno, ma nel giungere alla sua presenza si diventa qualche cosa. Ed ognuno è predestinato a trovarsi alla sua presenza. Una volta almeno nella sua vita ognuno di noi cammina insieme a Cristo verso Emmaus» (Oscar Wilde, De Profundis).
2. L’avversario. «Voglio restare col nulla che mi sono creato, con questa secchezza interna, con la mia lussuria sfrenata. È troppo tardi per tornare indietro: non ne ho più l’età. Come posso rinnegare tutto per la fede?» (Gabriele d’Annunzio a Emilia Mazoyer).
3. L’Amore che dona l’Amore. «Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra. / Speravo nel tempo: ma passa, trapassa; / in cosa creata: non basta, e ci lascia. / Speravo nel ben che verrà, sulla terra: / ma tutto finisce, travolto, in ambascia. / Ho peccato, ho sofferto, cercato, ascoltato. / Ho trovato Chi prima mi ha amato, / Gesù, l’Ognibene, l’Amore infinito, / l’Amore che dona l’Amore, / l’Amore che vive ben dentro nel cuore […]» (Clemente Rebora, La speranza).
4. Fratello che t’immoli. «Cristo, pensoso palpito, / astro incarnato nell’umane tenebre, / fratello che t’immoli / perennemente / per riedificare / umanamente l’uomo […]. / D’un pianto solo mio non piango più» (Giuseppe Ungaretti, Mio fiume anche tu).
5. Il modello insuperabile anche per chi non ha fede. «In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente – almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità» (Pier Paolo Pasolini, Lettere a Lucio S. Caruso).
Ferdinando Castelli, uno dei critici letterari più acuti in campo cattolico, presenta in tre volumi I volti di Gesù nella letteratura moderna. L’ultimo della trilogia è appena stato pubblicato nelle Edizioni Paoline e presenta una quarantina di scrittori e poeti del Novecento nel loro modo di rapportarsi a Cristo.
7 settembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. I segni. L’amore fa battere il cuore, accelerare la respirazione, arrossire il viso (Charles Darwin). Falsa pietà. Per un animo gretto la pietà è una pretesa simpatia. Si può arrivare anche a far cadere qualche lacrima dai propri occhi, ma è ancora il calcolo che sta dietro quelle lacrime: il calcolo che prevede nel nostro avvenire un male analogo a quello che ci addolora. Il piacere più grande. Non abbiamo i mezzi per paragonare tra loro i piaceri. E allora che cos’è un piacere più grande, se non il piacere che preferiamo? (Levi Appulo) Terribilmente vero. Piuttosto che pensare, parliamo. Le note fuse in una frase musicale. Se rompiamo la misura insistendo più del ragionevole su una nota della melodia, non è la sua lunghezza esagerata, in quanto lunghezza, che ci avvertirà del nostro sbaglio, ma il cambiamento qualitativo che così si è apportato all’insieme della frase musicale. (Henri Bergson)
PREVISIONI PROBABILI NEL CAMPO UMANO, NON INFALLIBILI. Occorre fare una distinzione tra quelli che pensano che la conoscenza degli antecedenti permetterebbe di formulare una previsione probabile, e quelli che parlano di una previsione infallibile. Dire che un certo amico, in certe circostanze, agirebbe molto probabilmente in un certo modo, non è tanto predire il comportamento futuro del nostro amico quanto portare un giudizio sul suo carattere presente, cioè, in definitiva, sul suo passato. Anche se i nostri sentimenti, le nostre idee, il nostro carattere, in una parola, si modificano di continuo, è raro che si osservi un cambiamento subitaneo; ancora più di rado accade che non si possa dire di una persona conosciuta che certe azioni sembrano abbastanza conformi alla sua natura, e che certe altre non lo sono assolutamente. Tutti i filosofi saranno d’accordo su questo punto, perché stabilire un rapporto di convenienza o di sconvenienza tra un comportamento dato e il carattere presente di una persona che si conosce, non è legare l’avvenire al presente.
COME UNA NUOVA INFANZIA. Un sentimento ci sembrava isolato e come estraneo a tutto il resto della nostra vita. Ma a poco a poco esso penetra la maggior parte dei nostri stati d’animo, tingendoli col suo proprio colore. Uno scuro desiderio si è così trasformato in una passione profonda. Noi ce ne accorgiamo dal fatto che il nostro punto di vista sulle vicende della vita sembra ora mutato e gli stessi oggetti non producono più su di noi le stesse impressioni. Tutte le nostre sensazioni, tutte le nostre idee ci sembrano nuove, e comunque dotate di una vitalità fino a quel momento insospettata. È come una nuova infanzia. Come non guardare con rispetto e tenerezza a chi vive l’aprile della sua esistenza? Come non sperare con tutta l’anima che le persone, o la causa, a cui un giovane collega ardentemente questa sorta di risveglio dal profondo, siano degne della sua dedizione? E non è questa la trepidazione più grande per ogni genitore normale, che cioè non sia né pilatesco né possessivo, e di ogni autentico educatore?
SORA NOSTRA MORTE CORPORALE.
1. Ciò che davvero è morboso non è parlare della morte, ma tacerne come oggi si fa. Nessuno è più nevrotico di chi giudica nevrotico affrontare il discorso della sua fine (Philippe Ariès).
2. Dimenticare la morte e i morti significa rendere un pessimo servizio alla vita ed ai vivi (Philippe Ariès).
3. Un uomo che non si ponga il problema della morte e non ne avverte il dramma, ha urgente bisogno di essere curato (Carl Gustav Jung).
4. C’era un tempo in cui la morte mi avvicinava di soppiatto. Poiché ne avevo paura, era sempre in agguato. La morte è la paura della morte. Essa insegue coloro che fuggono. Dare il benvenuto alla morte prima che essa ti raggiunga è vincerla (Osho Rajneesh).
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Risveglia la coscienza nel nostro petto. Padre celeste! Risveglia la coscienza nel nostro petto, insegnaci tu ad aprire le orecchie dello spirito alla tua voce per custodire la tua parola.
Che la tua volontà possa risuonare pura e chiara per noi come è nei cieli, non falsificata dalla nostra prudenza umana, non coperta dalla voce delle passioni.
Mantienici vigilanti con timore e tremore a lavorare per la nostra salvezza.
Però, anche quando la legge parla nel modo più alto, quando la sua serietà ci spaventa, quando essa tuona dal Sinai, fa’ che anche allora ci sia una voce che ci sussurra che noi siamo tuoi figli, così che possiamo gridare con gioia: «Abba, Padre» (Søren Kierkegaard).
14 settembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Anche loro si lavano le mani. Anche i carnefici, prima di andare a cena, si lavano le mani. Quando la ruota gira. Occorre non essere sordi alle preghiere di un uomo caduto in disgrazia. Spesso arriva a supplicare pietà, chi ebbe il potere di elargirne. Scritta di una vecchia meridiana. È più tardi di quanto voi non crediate (Seneca il Vecchio). La bellezza e il significato della vita. Chiudere le finestre alla bellezza è contro la ragione, e distrugge il vero significato della vita (Claude Debussy). La vanità. La vanità rende brutti, perciò dovrebbe logicamente mortificarsi; invece si limita a ferirsi, diventando vanità ferita (Franz Kafka). Sfortuna e sventura. Non essere amati è solo sfortuna; non amare è sventura (Albert Camus).
CHE COSA È L’IO? Ognuno di noi è un corpo, sottomesso alle stesse leggi di tutte le altre parti di materia. Se lo spingiamo va avanti, se lo tiriamo, indietreggia, se lo solleviamo e poi lo abbandoniamo, cade. Ma, oltre a questi movimenti che sono provocati meccanicamente da una causa esterna, ce ne sono altri che sembrano venire dall’interno e che si distinguono dai precedenti per il loro carattere imprevisto: li chiamiamo volontari. Qual è la loro causa? È ciò che ognuno di noi definisce con la parola io. Che cosa è l’io? Qualcosa che sembra, a torto o a ragione, oltrepassare da tutte le parti il corpo che vi è congiunto, superarlo tanto nello spazio, quanto nel tempo.
In primo luogo nello spazio, poiché il corpo di ognuno di noi si ferma ai contorni precisi che lo limitano, mentre, con la nostra facoltà di percepire, e, più in particolare, di vedere, noi irraggiamo molto oltre il nostro corpo: giungiamo fino alle stelle. In secondo luogo nel tempo, poiché il corpo è materia, la materia è nel presente, e, se è vero che il passato vi lascia delle tracce, esse sono tracce del passato soltanto per una coscienza che le scorge e che interpreta quello che scorge alla luce di quello che rammenta: la coscienza trattiene questo passato, lo avvolge su se stesso via via che il tempo si svolge, e prepara con esso un futuro che contribuirà a creare. Sì, essa crea del nuovo fuori di sé, poiché disegna nello spazio dei movimenti imprevisti, imprevedibili. La coscienza crea del nuovo anche all’interno di sé, poiché l’azione volontaria si ripercuote su colui che la decide, modifica in una certa misura il carattere della persona da cui emana, e compie, con una specie di miracolo, questa creazione di sé da parte di sé.
POESIE DEI NOSTRI GIORNI. L’incontro che decide. Poco più che fanciullo / passavo le mie domeniche / ad infilare, / una perla dopo l’altra, / corone di perché. / Null’altro m’acquietava. // Dunque ti cercai per tempo / e da solo, Signore, / prima che a scola, / quindicenne, / incontrassi il tuo Profeta laico, / Socrate. Nella tua parola. In mille luoghi e forme / all’improvviso e no, / vieni, Signore, / tu sempre atteso. // Vederti non posso né toccarti, / ma interamente lo sguardo tuo / m’abbraccia. / Nella tua Parola / vivo del tuo Respiro. // Più presente a me di me stesso, / oltre ogni desiderio / tu sei. (Levi Appulo)
21 settembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La verità. Appena una crosta è la solidità: / la verità è il fuoco sottostante (Herman Melville). La belva umana è ancora in noi. Ancora si uccideva, in ogni angolo si distruggeva: il bruto scatenato, la collera imbecille, la folla furiosa dell’uomo che sta mangiando l’uomo (Èmile Zola). Il nome di uomo occorre meritarselo. Pochi bipedi hanno meritato il nome di uomo (Marguerite Yourcenar). Il criterio dell’umanità. Chi possiede l’umanità rende autonomi gli altri in quanto desidera egli stesso essere autonomo; fa progredire gli altri in quanto desidera progredire egli stesso. La capacità di valutare gli altri partendo da se stessi si può definire il criterio dell’umanità. Se la si desidera. È lontana la virtù dall’umanità? Essa c’è già se la si desidera. Non si lascia adoperare. L’uomo superiore non è un utensile. (Confucio)
IL LUOGO IN CUI VIVIAMO SI PRENDE QUALCOSA DELLA MIA ANIMA. Quando passeggio per la prima volta in una città in cui dovrò soggiornare, le cose che mi circondano producono contemporaneamente su di me un’impressione destinata a durare e un’impressione che si modificherà di continuo. Tutti i giorni vedo le stesse case, e siccome so che sono gli stessi oggetti, li indico sempre con lo stesso nome, e immagino che mi appariranno sempre nello stesso modo. Tuttavia, se trascorso un tempo abbastanza lungo, mi riporto all’impressione da me provata nei primi anni, mi stupisco del cambiamento singolare, inesplicabile, che in essa si è compiuto. Sembra che questi oggetti da me continuamente percepiti e che sempre si disegnano nel mio spirito, abbiano finito per prendermi qualcosa della mia esistenza cosciente; con me sono vissuti e come me sono invecchiati. Non si tratta di una semplice illusione; infatti, se l’impressione di oggi fosse assolutamente identica a quella di ieri, quale differenza ci sarebbe tra percepire e riconoscere, tra apprendere e ricordarsi?
28 settembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Li detesta, ma dopo. La folla, anche se si è lasciata ingannare, ha l’abitudine di detestare in seguito quelli che l’hanno indotta a fare qualcosa di brutto (Aristotele). Così sta la nostra Italia tribolata. Gli iniqui cittadini, ostinati a malfare, tutto hanno corrotto e viziato di mali costumi e falsi guadagni… Il male, però, per legge non si punisce. Come il malfattore ha degli amici, e può moneta spendere, così è liberato dal maleficio fatto (Dino Compagni,). Cervello e cuore. Pensa col cervello, ma giudica col cuore (Alessandro Manzoni). Definire e applicare. È più facile definire un metodo che applicarlo (Henri Bergson).
L’operazione a cui ci si rifiuta. Se la lettura dei giornali fosse veramente attenta, basterebbe da sola a documentare l’arroganza e la straordinaria propensione alla menzogna di alcuni personaggi che pure la fanno da primi attori. Ci vuol poco, infatti, a mettere in ordine cronologico le loro dichiarazioni, giorno dopo giorno, e a confrontarle tra loro. L’impressione che se ne ricava non potrà mai essere eguagliata neppure dalla più feroce caricatura. Ex ore tuo damnatio tua! Ma quanti italiani pensano quando leggono? E quanti esercitano la capacità di ricordare? (Levi Appulo)
ALLORA, FACCIAMO COME NELL’ANTICA ATENE? Nell’antica Atene i ricchi non venivano espropriati, né tanto meno scoraggiati dal divenire ancora più ricchi, ma erano tenuti a sostenere larga parte della spesa sociale. Erano, insomma, la «mucca» a cui la comunità poteva attingere. Non è che anche allora non ci fosse qualcuno che «evadeva il fisco», come si dice oggi. C’era, però, un metodo infallibile per stanarlo: gli si intentava un processo per lo scambio dei patrimoni. Un contribuente poteva fare questo ragionamento e conferirgli valore giuridico: «Se davvero il tuo patrimonio è così scarso, per cui tu paghi tasse molto inferiori alle mie, allora facciamo cambio tra il tuo e il mio».
La proposta è molto affascinante e funzionava nella «Città-Stato» di Atene, che contava alcune decine di migliaia di abitanti; ma potrebbe funzionare in una società come la nostra, con uno Stato in tilt e sessanta milioni di abitanti? Provate, tuttavia, per vostro intimo diletto, a immaginare quanti processi per scambio potrebbero essere celebrati nel nostro Paese e quanti di essi risulterebbero molto, ma molto esilaranti! Spero che nessuno, nemmeno tra i nuovi leader della cosiddetta Seconda Repubblica, arrivi a pensare che gli ateniesi fossero…comunisti.
IDEE PRESE «A NOLEGGIO» E IDEE VERAMENTE NOSTRE. Ci sono «idee che si noleggiano», perché circolano già belle e fatte, pre-confezionate. Purtroppo sono quelle che usiamo di più, o professiamo con più sicumera. Sono gli stereotipi della mentalità prevalente in un dato momento, le idee-simbolo, i luoghi comuni, gli slogan della propaganda politica o della pubblicità. Altre idee, però, sono state concepite dentro di noi e le abbiamo viste crescere con noi. «Ci sono idee che ci appartengono – notava Sant’Agostino – quasi fossero nostre figlie (quasi pariuntur)».
Qui, però, si verifica un paradosso: e proprio perché profondamente, è molto difficile per noi scomporre quelle idee, analizzarle, ricostruire le esperienze significative che hanno reso possibile la loro germinazione nella nostra mente e nel nostro cuore. Insomma, le idee alle quali teniamo di più sono quelle di cui potremmo più difficilmente rendere conto, e le ragioni stesse con le quali le giustifichiamo sono di rado quelle che ci hanno determinato ad adottarle. In un certo senso le abbiamo adottate senza ragione, perché quello che ne costituisce il valore ai nostri occhi è che in esse abbiamo visto, fin dal primo momento, qualche cosa di noi. Perciò, benché in altre menti quelle idee portino lo stesso nome, non sono affatto la stessa cosa. A dire la verità, ognuna di esse vive in noi come una cellula in un organismo, sì che tutto quello che modifica lo stato generale dell’io modifica anch’essa. Ma, mentre la cellula occupa un punto determinato dell’organismo, un’idea veramente nostra riempie completamente il nostro io.
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Come un bambino che si desta. Padre celeste! Quando il pensiero di te si sveglia nell’anima nostra, fa’ che non si svegli come un uccello sbigottito e disorientato che svolazza qua e là, ma come un bambino che si desta col suo sorriso celeste. Tu, immutabile nell’amore. Tu immutabile nell’amore, che per il nostro bene non ti lasci mutare, fa’ che anche noi vogliamo saldamente il nostro bene. Portaci, in obbedienza incondizionata, a trovar pace immutabilmente in te. (Søren Kierkegaard).
5 ottobre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La fine di una storia è sempre ricca di interesse. Nel giudicare della vita altrui, io guardo sempre come è avvenuta la fine (Michel de Montaigne). Per capire veramente. Bisogna che io subisca la sua influenza, che io divenga in un primo tempo la carne e l’anima di colui che accolgo, al fine di capirlo, al fine dl possederlo (Jacques Rivière-Alain Fournier). L’adolescenza. Ad ogni generazione cambia qualcosa nella miscela, ma la carica esplosiva è la stessa. La sua è l’età della coesistenza degli opposti tra i quali non si sa che cosa scegliere veramente. Età di tormento doloroso e di apparente spensieratezza, di infinita paura e di attesa infinita (Levi Appulo). La nostra specie. Il destino condanna / molte specie: una sola / si insidia da sé. Ognuno pensa. Ognuno pensa: / «Io sono la Persona più importante che esista». / I savi si ricordano di aggiungere: «importante, intendo, per me stesso». Il vero amore. Il vero amore ha tutte / le diottrie a posto, / ma parla come un miope (Wystan Hugh Auden).
HOPKINS, UNO DEI PIÙ GRANDI POETI EUROPEI L’inglese Gerard Manley Hopkins (1844 – 1889) fu scoperto trent’anni dopo la sua morte, quando nel 1928 apparve finalmente la prima edizione completa delle sue poesie. Si vide allora che la sua arte anticipava nettamente il Novecento. Convertito al Cattolicesimo nel 1866, entrò nell’ordine dei Gesuiti. Emarginato, a causa di alcuni aspetti della sua vita personale ma soprattutto per i suoi eccelsi doni, si trovava a suo agio solo nella contemplazione della natura, nella preghiera e con i poveri, di cui condivideva le sofferenze e la volontà di riscatto. Malgrado le differenze con il Santo di Assisi, Hopkins è lo spirito più francescano del XIX secolo, in cui poesia e preghiera si fondono perfettamente senza residuo e la coscienza del dubbioso errare dell’uomo moderno si fa solidarietà col suo soffrire ed interrogazione religiosa, supremo atto di offerta a Dio, quel Dio vivente cercato ed amato sia nel volto di Cristo, sia in ogni traccia di bellezza profusa nell’universo e paradossalmente soprattutto nella bellezza selvaggia (brute beauty) che può essere cantata solo in versi di ruvida nudità e forza indomabile. Per questo Hopkins sceglie il ritmo del salto per attingere il fascino dell’aspro, di ciò che è rotto, di ciò che appare (e non è) renitente a lodare il Creatore. E il ritmo impresso da Hopkins ai suoi versi è tale da spazzar via tutta la allisciata bellezza dell’età vittoriana.
Chiudo con un breve «saggio» della poesia sorprendente e profonda di quel grande. «Sia gloria a Dio per le cose screziate, / per i cieli di vario colore come le mucche chiazzate, / per le macchie rosa punteggiate sulla trota che nuota; / per le castagne fresche cadute come brace accesa, per le ali dei fringuelli; / per i paesaggi divisi pezzati, chiuso, maggese e campo arato; / e tutte le arti e gli arnesi e gli strumenti e gli ordini. / Tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane; / tutto ciò che è mutevole e – chi sa come – maculato; / veloce, lento; dolce, aspro; vivido, opaco: / genera senza tregua Colui, la cui bellezza è immutabile: / lode a Lui». Né meno forte e bella è l’altra preghiera: «Sii adorato tra gli uomini, Dio Trinità, / matrice dell’essere in me, mio cuore! / Il tuo ribelle che si rintana / tormenta / con naufragio e tempesta. / Ineffabile, / oltre ogni tua consolante parola / tu sei / lampo e amore, / inverno e calore, / Padre amoroso, sì, / ma del cuore che hai torturato».
EPIGRAMMA PER BUTTIGLIONE «Herr Professor / non scherza davvero. / Mai un’incertezza / un attimo di debolezza. / Lui sa tutto. / Quando / perentorio alza il dito, / risponde, alto un nitrito». L’Autore è il caro amico Valerio Volpini, finissimo letterato e saggista, che Paolo VI chiamò a dirigere L’Osservatore Romano. L’epigramma è apparso il 2 agosto u.s. nella rubrica Pubblico & Privato, che egli tiene da anni su Famiglia Cristiana.
12 ottobre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. I demoni di Dostoevskij. I demoni di Dostoevskij, considerati una fantasia provinciale del secolo scorso, si diffondono su tutta la terra davanti ai nostri occhi (Aleksandr Solzenicyn). Il potere occulto e quello pubblico. La coscienza segreta del potere piace inesprimibilmente di più del dominio aperto (Fëdor Michajlovič Dostoevskij). Leggere Giobbe e Geremia e tener duro. Le cose dello spirito sono irreversibili, vanno avanti per la loro strada, fino al termine della notte. Con le spalle al muro, nel grigio e nel vuoto, leggere Giobbe e Geremia e tener duro (Gottfried Benn). Da che cosa viene tutto il male. Tutto il male sta nel fatto che gli uomini credono si diano casi in cui si possa fare a meno dell’amore verso il proprio simile, mentre tali situazioni non esistono. Verso le cose si può agire senza amore: si può, per esempio, tagliare senza amore la legna, battere il ferro, cuocere i mattoni, ma nei rapporti tra esseri umani l’amore è altrettanto indispensabile che la precauzione nei rapporti tra l’uomo e le api (Lev Tolstoj).
TALE E QUALE. Il leader su misura della società dei consumi. Egli, per poter rendere plausibili gli illusionismi più fiabeschi deve essere il Venditore-imbonitore per antonomasia (Levi Appulo). Perché dovrei aver fiducia in lui? Io non l’ho ancora visto riconoscere i propri errori pubblicamente e temo che non se ne accusi nemmeno nel proprio intimo (Confucio). La mentalità giusta per rovinare uno Stato. Il duca Ding chiese al Maestro una frase che compendiasse in che modo si manda in rovina uno Stato. Confucio rispose che era difficile dirlo con una frase, tuttavia esisteva un proverbio: Non provo alcun piacere a governare, se non nel fatto che nessuno può contraddire le mie parole (Confucio). Quando ci si crede l’ombelico del mondo. Considerando nell’universo soltanto se stesso, si sforza di far prevalere a ogni istante il proprio interesse personale sull’interesse generale (Alexis De Tocqueville).
SUL PRIMATO DI PIETRO SI GIOCA IL FUTURO DELL’ECUMENISMO. Una recente dichiarazione dottrinale di Giovanni Paolo II ha fatto registrare quest’anno un altro passo avanti nella ricerca dell’unità tra le Chiese cristiane. Nell’enciclica Ut unum sint («Che siano una sola cosa») il Papa riaccende la speranza che l’unità visibile di tutti i cristiani possa realizzarsi in coincidenza con il terzo millennio. L’unità dei cristiani, infatti, non è un atto facoltativo o di opportunità, ma «un’esigenza che scaturisce dall’essere stesso della comunità cristiana» (n. 49).
Bisogna dire con estrema franchezza che la difficoltà di fondo è rappresentata dal primato e dall’infallibilità del Sommo Pontefice, quest’ultima sancita dal Concilio Vaticano I nel 1870. «Il paradosso – osserva con acume uno dei più lucidi apostoli dell’ecumenismo, il filippino Giulio Cittadini – sta nel fatto che tale primato è da una parte servizio di unità reso al popolo dei credenti, dall’altra costituisce nella situazione attuale un ostacolo al realizzarsi dell’unità visibile di tutti i cristiani. Come uscire dal dilemma?». Ed ecco che proprio su questo punto l’Ut unum sint apre uno spiraglio di grande importanza. Nel paragrafo 95 si leggono, infatti, le seguenti parole: «Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato, che, pur non rinunciando in alcun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede e la disciplina».
Il nuovo modo di esercitare il primato sarà forse un ritorno alle origini? Un risultato comunque accompagna sempre il cammino dell’ecumenismo: più la Chiesa cattolica si apre al dialogo e alla corresponsabilità con le altre Chiese cristiane, più serena e fraterna diventa la dialettica dei rapporti interni ad essa, meglio accolto è il suo servizio all’umanità.
POESIA D’OGGI. Parlando con qualcuno. Parlando con qualcuno / è bello quando le frasi / vengono senza sforzo e vanno a mettersi / proprio dove dovevano / come su un muro i rami / di un rampicante. Belle come un saluto. La vetrata si apre / sul chiasso della strada. Tre case / stanno là, sopra il ponte, / belle come un saluto. (Umberto Fiori)
19 ottobre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Per la legge. Per la legge, come per le mura della città, siano pronti a combattere i cittadini (Eraclito di Efeso). La peste. Non v’è peste, né maggiore né più certa a qualsivoglia stato pubblico che la corruzione (Giacomo Leopardi). Non posso crederlo. Io non voglio e non posso credere che il male sia lo stato normale degli uomini (Fëdor Michajlovič Dostoevskij). Questo è terribile. Questo era terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario (Elio Vittorini). La domanda ineludibile. A che cosa serve lottare per la liberazione degli uomini, quando li si disprezza al punto di imbottirgli il cranio? (Jean-Paul Sartre).
L’EVENTO CRISTIANO E LA DONNA. «Il cristianesimo dispone di validissimi argomenti di ordine strettamente teologico e interno, che potrebbero farne il grande promotore della dignità e dell’elevazione della donna.
Il primo argomento afferma: solamente insieme, uomo e donna, sono la rivelazione di Dio nel mondo. Nella prima pagina della Bibbia, Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; facciamolo uomo e donna” (Genesi 1, 27). In Dio c’è qualcosa del genere femminile e del genere maschile, che si rispecchia nell’uomo e nella donna. Perciò si potrà avere una esperienza globale di Dio solo se includiamo i due, l’uomo e la donna, nel nostro percorso verso l’assoluto. Se escludiamo uno dei due, otteniamo solo un’immagine ridotta e distorta di Dio. Senza la donna non c’è un’adeguata conoscenza di Dio.
Il secondo argomento sostiene che Dio si è rivelato al mondo attraverso la donna. Comunemente i cristiani pensano all’incarnazione del figlio di Dio nell’uomo Gesù di Nazaret senza rendersi conto che il primo dono di Dio è stato lo Spirito Santo a una donna, a Maria di Nazaret. Il testo del Vangelo di san Luca è chiaro: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la virtù dell’Altissimo dimorerà in te. Colui che nascerà sarà Santo e sarà chiamato figlio di Dio” (1, 35). Soltanto Dio o chi è elevato all’altezza di Dio può generare un figlio di Dio. Questo significa che nel donarsi al mondo Dio scelse la donna per dimorare in lei ed è da lei che si irradia verso tutta l’umanità.
Il terzo argomento si può riassumere così: il fatto decisivo del cristianesimo, la resurrezione, la definitiva vittoria della vita sulla morte, quando per la prima volta si verificò nella storia, fu testimoniata da una donna, da Maria Maddalena. La resurrezione per i cristiani è la piena realizzazione di tutte le potenzialità dell’essere umano: è l’essere umano portato al compimento e al culmine del processo evolutivo. Ebbene, Maddalena, secondo le parole di san Bernardo, fu “apostolo tra gli apostoli”, poiché annunciò ai discepoli di Cristo la resurrezione del Maestro» (Leonardo Boff, L’Unità, 11 settembre 1995).
Ci sono, dunque, tutte le ragioni per valorizzare la donna alla pari dell’uomo: la parità tra i sessi, la giustizia nei rapporti tra le persone e gli insegnamenti della teologia. Insieme con l’uomo, la donna è custode della scintilla del Sacro.
POETI ITALIANI DEL NOVECENTO. Autunno. Autunno. Già lo sentimmo venire / nel vento d’agosto / nelle piogge di settembre / torrenziali e piangenti, / e un brivido percorse la terra / che ora, nuda e triste, / accoglie un sole smarrito. / Ora passa e declina, / in quest’autunno che incede, / con lentezza indicibile, / il miglior tempo della nostra vita / e lungamente ci dice addio.
Sole d’autunno. Un tempo, era d’estate, / era a quel fuoco, a quegli ardori, / che si destava la mia fantasia. / Inclino adesso all’autunno / dal colore che inebria, / amo la stanca stagione / che ha già vendemmiato. / Niente più mi somiglia, / nulla più mi consola, / di quest’aria che odora / di mosto e di vino,/ di questo vecchio sole ottobrino / che splende sulle vigne saccheggiate. Sole d’autunno inatteso, / che splendi come in un di là, / con tenera perdizione / e vagabonda felicità, ci piaci vago sole superstite / che non sai dirci addio, / tornando ogni mattina / come un nuovo miracolo, / tanto più bello quanto più t’inoltri / e sei lì per spirare. (Vincenzo Cardarelli, 1887 – 1959)
26 ottobre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. La verità soffocata. Soffocando la verità, gli uomini commettono ogni specie di ingiustizie. Ciò che si può conoscere di Dio. Ciò che si può conoscere di Dio è visibile a tutti, a tutti lo ha rivelato Dio stesso. Da quando Egli ha creato l’universo, gli uomini con la loro intelligenza possono vedere nelle cose che Dio ha fatto le sue qualità invisibili. La legge morale e la coscienza universale. Dinanzi a Dio sono giusti non quelli che ascoltano la legge, ma quelli che la mettono in pratica. I pagani non conoscono la legge data da Dio, ma quando essi compiono ugualmente ciò che la legge comanda, è come se l’avessero in se stessi. La loro condotta dimostra che nei loro cuori è scritto ciò che la legge prescrive. Lo dimostrano la loro coscienza e i loro ragionamenti. La contro-testimonianza. La Bibbia ha davvero ragione quando afferma: per colpa vostra i non credenti parlano male di Dio. (San Paolo)
«A NOI È ACCADUTO DI VIVERE UN’ESPERIENZA FONDAMENTALE». «Non siamo mai stati molti: eravamo qualche centinaio, su troppe migliaia di deportati, quando abbiamo riportato in Italia, ed esposto allo stupore attonito dei nostri cari (chi ancora li aveva), il numero azzurrino di Auschwitz tatuato sul braccio sinistro. Dunque era vero quello che raccontava Radio Londra; era vero alla lettera quello che aveva scritto Aragon: “Marchiato come una bestia, e come una bestia mandato al macello”. Ora siamo ridotti a qualche decina: forse siamo troppo pochi per essere ascoltati, e inoltre abbiamo spesso l’impressione di essere dei narratori molesti; talvolta, addirittura si avvera davanti a noi un sogno curiosamente simbolico che frequentava le notti di prigionia: l’interlocutore non ci ascolta, non comprende, si distrae, se ne va e ci lascia soli. Eppure, raccontare dobbiamo: è un dovere verso i compagni che non sono tornati, ed è un compito che conferisce un senso alla nostra sopravvivenza. A noi è accaduto di vivere un’esperienza fondamentale, e di apprendere alcune cose sull’Uomo che sentiamo necessario divulgare».
IL DOVERE DI ESSERE… MOLESTI. Ho voluto proporre ai lettori l’impressionante incipit dell’articolo che Primo Levi scrisse su La Stampa per ricordare i trent’anni della liberazione da Auschwitz, perché mi pare di avvertire che oggi chi si ostina a far memoria del più orrendo crimine che abbia disonorato l’umanità, riesca ancor più molesto che nel 1945 o nel 1975. Tutte le dittature del ventesimo secolo hanno istituito, sia pure in forme diverse, strumenti di oppressione per i dissidenti e il primato in questo campo spetta al comunismo e al nazismo. Tuttavia, a causa dell’ideologia razzista da cui era ossessionato, solo Hitler trasformò i lager in macchine di sterminio scientifico, in «mulini da ossa» per milioni e milioni di europei.
A coloro che accettarono le leggi razziali nel nostro Paese e che continuarono, anche dopo il 1945, per decenni a negare l’esistenza stessa dei campi di annientamento, auguriamo di cuore la più sincera, e dunque la meno strumentale, delle conversioni alla democrazia e all’antirazzismo. Ai cosiddetti «ben pensanti», che in nome del perdono vorrebbero il silenzio ai fatti di così straordinaria importanza, noi rispondiamo con le stesse parole con cui zittivamo coloro che ci rimproveravano di mettere in serio imbarazzo i comunisti italiani perché, a viso aperto e in modo sistematico, facevano conoscere gli orrori dei lager sovietici e difendevano i dissidenti dell’Est. Adesso come allora diciamo: 1) la mancanza di onestà intellettuale è l’ostacolo più grave alla liberazione dal male, al superamento del passato; 2) là dove è in gioco un fatto di coscienza non c’è calcolo alcuno che possa costringerci a tacere.
L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Per conservare il segreto del cuore. Padre celeste! Noi sappiamo bene che tu abiti in una luce inaccessibile (I Tim 6, 16) e che tutto il tuo essere è chiarezza. Ma proprio per questo tu sei per noi anche oscuro e perfino nella tua rivelazione sei come un segreto che noi non possiamo esprimere. Ecco! Proprio questa è la nostra consolazione che tu veda nel segreto e che tu comprenda da lontano. Prova tu allora anche il cuore e mentre il cuore di ognuno nasconde il suo segreto che tu comprendi, concedigli anche ch’esso conservi il segreto e ami te (Søren Kierkegaard dal Diario 1844, IV C I).
2 novembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Impariamo. Impariamo a non bruciarci ogni giorno / e a non morire per l’affanno di essere al mondo (Jules Supervielle). Libertà, non lasciarmi. Libertà, non lasciarmi. Torna da me, dura e dolce, / come fresca fanciulla cresciuta nella pena (Rafael Alberti). No, non così. L’anima altrui non ode / l’avidità del tuo silenzio: / ognuno ha il suo tormento e t’abbandona (Guglielmo Petroni). L’esempio di chi governa. Governare significa correggere. Se tu dai l’esempio con la rettitudine, chi oserà non essere corretto? I giovani possono farcela. I giovani devono essere rispettati. Come possiamo sapere noi se le nuove generazioni non saranno all’altezza di quelle presenti? Non so che farmene. Di uno che non dubita mai sul da farsi, io non so proprio che farmene. Gli ipocriti. Quelli che si credono i primi del villaggio sono soltanto dei ladroni di virtù. (Confucio)
CASA, DOLCE CASA (a basso costo). Gli ipocriti sono sempre numerosi ed è vero, purtroppo, che ogni italiano dice che i suoi connazionali sono tutti ladri e profittatori, tranne se stesso. Nel sistema Italia, dopo il terremoto di Tangentopoli, ora si susseguono altre scosse sismiche, sempre pericolose benché di minore entità. Una di esse è la rivelazione della generosa distribuzione di appartamenti a basso costo a uomini dell’establishment: in particolare a politici, sindacalisti, magistrati. Il caso più clamoroso di Affittopoli pare sia quello di Ciriaco De Mita. L’interessato non nega le «condizioni di favore» che gli sono state fatte ma, agli inizi di ottobre, in una nota, precisa: «L’importante è che il privilegio non sia l’unica finalità del potere».
No, signor De Mita, non possiamo essere d’accordo: la pretesa al privilegio è di per sé, per propria natura, sempre una finalità sommamente ingiusta e, dunque, impolitica. Si deve avere il coraggio di condannare certe cose e di pentirsi pubblicamente di averle fatte, non giustificarsi. La ricerca del bene di tutti esclude, infatti, che le regole stabilite siano violate a favore di se stessi o del proprio clan proprio da parte di chi esercita il potere e quelle regole ha concorso a formare. Il fatto è che l’uno o l’altro personaggio possono anche «contare» molto, talora moltissimo, ma rimane pur sempre da chiedersi quanto possano «valere» come uomini, che cosa mai abbiano significato per loro o significhino espressioni quale dignità morale e dedizione alla res pubblica.
QUEI TALI VOGLIONO PROPRIO TUTTO. Luciano De Crescenzo nei giorni scorsi ha confessato di desiderare più di ogni altra cosa al mondo una recensione a uno dei suoi libri. Ma come? Uno che da un mestiere tradizionalmente ingrato come quello di scrivere ha avuto tutto, dalla ricchezza al successo personale, dalla popolarità stracittadina a quella internazionale, serba ancora dentro di sé tanta innocenza da volersi sottoporre al giudizio dei «letterati»?
«Impossibile non commuoversi – commenta Giovanni Raboni -. Poi, però, ripensandoci, mi sono venute in mente due cose. La prima è che quando, anni fa, mi è capitato di recensire in questa stessa rubrica un suo libro, mi risulta che De Crescenzo non ne sia stato affatto contento. Forse perché ciò a cui aspira non è tanto una recensione quanto, più specificamente, una recensione favorevole? La seconda cosa è più seria, e trascende il toccante episodio da cui sono partito. La verità d’ordine generale che traspare dal desiderio di De Crescenzo è, molto semplicemente, questa: gli autori di best seller, i beniamini del pubblico, i re del mercato librario non tollerano che ci sia, accanto a quello che li esalta, un altro sistema di valori. Vogliono tutto; pretendono l’unificazione di tutte le glorie, da quella delle classifiche a quella della critica, e sognano un consenso plebiscitario nel quale le già flebili voci delle cosiddette élites vengano messe a tacere». (Corriere della Sera, 24 settembre 1995).
9 novembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il dolore non eguagliabile da alcun altro. L’educazione dei figli è cosa rischiosa; se ti riesce ti sarà costata lotte e pene infinite; se non ti riesce ti è causa di un dolore a cui nessun altro può essere paragonato (Democrito di Abdera). Ti ricordi quell’albero bianco, chiamato betulla? Conversazione su un altro pianeta, fra mille anni, a proposito della Terra: «Ti ricordi quell’albero bianco, chiamato betulla?» (Anton Pavlovič Čechov). Dove abita Dio? Quando Rabbi Isacco Meir era bambino, sua madre lo condusse una volta dal Magghid di Kosnitz. Qui qualcuno gli disse: «Isacco Meir ti do un fiorino se mi dici dove abita Dio». Rispose Isacco: «E io ti do due fiorini se mi sai dire dove non abita» (Martin Buber).
LA TELEVISIONE CAMBIA IL NOSTRO MODO DI FARE ESPERIENZA. I mezzi di comunicazione digitali, indipendentemente dall’uso che se ne fa, ci portano gli avvenimenti in casa dispensandoci dall’andare verso di loro. Ciò trasforma il nostro modo di fare esperienza, se non altro perché chi vuol sapere cosa avviene fuori casa deve andare a casa, e solo allora, quando ciascuno di noi è ridotto a una monade leibniziana senza porte e senza finestre che si aprono sul pianerottolo del vicino o sulla strada sotto casa, solo allora l’universo si riflette per noi e si offre a portata di mano. Non più il viandante che esplora il mondo, ma il mondo che si offre al sedentario che mondo proprio perché non lo percorre, e al limite neppure lo abita. In tal modo risultano capovolti i termini con cui, dal giorno in cui è comparso sulla Terra, l’uomo ha fatto esperienza. Le conseguenze non sono da poco. Le ha sintetizzate magistralmente Umberto Galimberti in un suo recente scritto. Scrive il filosofo: «Se il mondo viene a noi, noi non siamo-nel-mondo, come vuole la famosa espressione di Heidegger, ma semplici consumatori del mondo. Se poi viene a noi solo in forma di immagine, ciò che consumiamo è solo il fantasma. Se questo fantasma lo possiamo evocare in qualsiasi momento, ci pare di essere onnipotenti come Dio. Ma poi questa onnipotenza si riduce perché se possiamo vedere il mondo senza potergli parlare, siamo dei voyeurs condannati all’afasia. Tutto questo dal nostro punto di vista. Se poi ci mettiamo dal punto di vista del mondo, allora assistiamo ad un’altra serie di strane trasformazioni. Se un fatto accade in un luogo determinato e può essere trasmesso in qualsiasi altro luogo della Terra, quel fatto perde la sua individuazione, il suo proprio tratto caratteristico. Se per vederlo bisogna pagarlo, allora quel fatto diventa merce. Se la sua importanza dipende dalla sua diffusione attraverso i media, allora l’essere dovrà misurarsi sull’apparire».
ITALIA MIA SCOMBINATA. Miracolo italiano: i miliardari sono… nullatenenti. La situazione – che appare incredibile, tanto è profondamente assurda e iniqua – è proprio quella descritta da un cittadino di Genova in una lettera a un quotidiano nazionale. «Le imposte che gravano sulla casa si moltiplicano, ma riguardano solo i piccoli proprietari. I miliardari abitano ville, tenute ed attici lussuosi intestati a società. Non sono proprietari di nulla e pertanto non pagano niente. I politici e sindacalisti hanno case di proprietà di enti previdenziali con canoni spesso irrisori e non devono preoccuparsi se variano le rendite catastali o se aumenta l’Ici. In Italia chi inventa le tasse, non le paga. Le tasse sono come le casse da morto: chi le fa, le fa per gli altri».
POETI ITALIANI DEL NOVECENTO. Alla morte. Morire sì / non essere aggrediti dalla morte. / Morire persuasi / che un siffatto viaggio sia il migliore. / E in quell’ultimo istante essere allegri / come quando si contano i minuti / dell’orologio della stazione / e ognuno vale un secolo. / Poi che la morte è la sposa fedele / che subentra all’amante traditrice, / non vogliamo riceverla da intrusa… / Morte, non mi ghermire, ma da lontano annunciati / e da amica mi prendi (Vincenzo Cardarelli).
16 novembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Andreotti come il duca Shao. Il maestro disse: «Per politica s’intende l’arte di conservare in vita lo Stato. L’abilità del duca Shao di restare al Governo mentre lo Stato precipita non può essere chiamata politica» (Confucio). Il dittatore scientifico del futuro. Il dittatore scientifico del futuro collocherà le sue macchine mormoranti ed i suoi proiettori sublimali nelle scuole e negli ospedali, perché bambini e malati sono suggestionabilissimi, ed in tutti i luoghi pubblici dove sia possibile assoggettare la gente ad un processo preliminare di rammollimento, mediante oratoria o qualche rituale (Aldous Huxley).
Equivalente emozionale dei… numeri. I numeri di uso quotidiano hanno ognuno il loro equivalente emozionale. Lo sanno bene i commercianti che invece di segnare il prezzo di un oggetto con una cifra tonda di franchi, segnano la cifra immediatamente inferiore. Ognuno in modo diverso. Respiro il profumo di una rosa, e subito ricordi confusi di infanzia mi tornano alla memoria. A dire la verità, questi ricordi non sono stati evocati dal profumo della rosa: io li respiro nel profumo stesso; esso è tutto questo per me. Altri lo sentiranno diversamente. (Henri Bergson)
GIÙ LE MANI DA DE GASPERI. «Nel suo libro sul padre, Maria Romana De Gasperi scrive ch’egli non fu soltanto un uomo di Stato e di Governo. Fu anche, dice, un uomo della Democrazia cristiana. Ed è quell’anche che salva il suo discorso. Certo, alla Democrazia cristiana De Gasperi diede molto, a cominciare dal nome. Ma sempre la concepì soltanto come fonte di ispirazione della politica. Come strumento di potere, non la ebbe mai nel sangue. E lo dimostra il fatto che non volle governare soltanto con essa nemmeno quando, nel ‘48, gli elettori gliene offrirono la possibilità dandole la maggioranza assoluta. Volle sempre accanto a sé dei laici purché di accertata estrazione liberaldemocratica, e ce li avrebbe voluti anche se, invece del 51, le urne gli avessero dato l’80 per cento. Del partito si fidava poco, poco si curava, raramente metteva piede nella sua sede. E fu così che non si accorse dello stravolgimento che vi stava maturando. Quando se ne avvide e cercò di correre ai ripari riprendendone la guida, era troppo tardi. La segreteria gli fu attribuita, ma frammiste alle quarantanove schede col suo nome, ce n’erano ben ventidue bianche. La sera qualcuno gli portò la lista con i nominativi degli astenuti. Invece di passarla a lui, una mano gentile (credo di Maria Romana) la gettò, senza leggerla né fargliela leggere, nel caminetto. Il giorno del suo funerale lassù tra i monti un italiano qualunque si staccò dalla piccola folla che faceva ala al feretro, e ai notabili del partito che ne tenevano i cordoni gridò: Giù le mani da quella bara. De Gasperi appartiene a noi italiani. A distanza di quarantun anni ci permettiamo di fare nostro quel grido» (Indro Montanelli, Corriere della Sera, 23 agosto 1995)
LE TRE QUESTIONI INEVITABILI. «Da dove veniamo? Che cosa facciamo in questo mondo? Dove andiamo? Se davvero la filosofia non avesse nulla da rispondere a queste domande che sono di interesse vitale, o se essa fosse incapace di chiarirle progressivamente come si chiarisce un problema di biologia o di storia, se essa non potesse volgere a loro vantaggio un’esperienza sempre più approfondita, una visione sempre più acuta della realtà, se essa dovesse limitarsi indefinitamente a seminare zizzania fra quelli che affermano e quelli che negano l’immortalità per delle ragioni tratte dall’essenza ipotetica dell’anima o del corpo, allora sarebbe quasi il caso di dire, dando un altro senso alle parole di Pascal, che tutta la filosofia non vale un’ora di fatica».
Queste parole sono così limpide e profonde da raggiungere immediatamente il cuore del nostro essere. Se l’uno cessasse di farsi «problema a se stesso», sarebbe solo un animale di natura, non avendo più una dimensione interiore, non potendo più essere il soggetto di un’intenzione, una coscienza. A Platone che ebbe a scrivere: «L’uomo è l’unico animale che ha lo stupore di esistere» (Teeteto 155 d), fa eco Bergson, individuando le tre domande fondamentali che alimentano quello stupore. Il passo di Bergson è tratto dalla conferenza «L’anima ed il corpo», compresa nel volume L’energia spirituale. Quest’opera densa di pensiero, è di affascinante lettura. È stata tradotta integralmente in italiano da Marinella Acerra col titolo Il cervello e il pensiero (Roma 1990).
23 novembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Il riso come allarme sociale. Il riso può essere visto anche come una sorta di allarme sociale. Il riso nasce per lo più da rigidità di comportamenti, che risultano perciò stesso goffi, ed è pertanto come l’indizio di una vita umana che, trasformandosi in automatismo, sta per degradarsi. Viva l’arte e muoia l’estetismo. L’estetismo, volendo celebrare il primato assoluto dell’arte, finisce con lo svuotare l’arte del suo altissimo valore. Infatti, se l’arte non si accompagna alle altre attività dello spirito, ma tutte le annulla dissolvendole in sé, allora non ha più nulla da dirci. L’estetismo esalta la coincidenza dell’arte con la vita, ma la vita per l’esteta puro non è che brivido o, peggio, solletico. (Levi Appulo)
La scissione interiore. Io non riesco nemmeno a capire quello che faccio: quello che voglio non lo faccio, faccio invece ciò che odio. Insomma in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di compierlo (San Paolo). Rinnovare la testimonianza alla verità. Non pretendo di aver ideato alcuna nuova teoria o dottrina, ho semplicemente cercato di applicare a modo mio le eterne verità alla nostra vita, e ai nostri problemi quotidiani… Ebbene, tutta la mia filosofia, se la si può chiamare con tale pretenzioso nome, sta in ciò che ho detto. Non chiamatela «Gandhismo»; non vale la pena di scomodare alcun ismo. Né occorrono complicate esegesi o propaganda (Mohandas Karamchand Gandhi).
DUE COLPI DI SPILLO. Primo. Il miracolo dell’illusionista. Il segreto dell’illusionista, soprattutto dell’illusionista che fa politica, sta in ciò: nel momento di essere preso sul serio per gli impegni solennemente assunti, egli si trova già altrove; nel momento in cui gli altri evidenziano la falsità o l’assurdo di una sua dichiarazione, egli dice semplicemente di non averla mai pronunciata. E i tre quarti del popolo televisivo, che pure hanno visto con i loro occhi e sentito con le loro orecchie, sono convinti anch’essi di aver visto e sentito male.
Secondo. Vera e falsa semplicità. C’è la semplicità ingenua e la semplicità luminosa, che è punto d’arrivo, vetta della vita morale o intellettuale. C’è però, la falsa semplicità dei saccenti e delle menti astratte, che cancellano distinzioni o sfumature, mutilando la realtà pur di rendere credibili le loro tesi riduttive o, se fanno politica, i loro slogan. Questi «semplificati» costituiscono un pericolo, una minaccia per la sanità mentale delle persone non allenate – e sono la stragrande maggioranza – nel lavoro di smascheramento delle evidenze fasulle. Un lavoro particolarmente congeniale a questa rubrica.
I LIBRI COME ESSERI VIVENTI. L’amore per il libro è proprio di colui che se ne sta seduto alla sera nella sua stanza, mentre intorno è silenzio – presupposto, ovviamente che intorno a lui, al fortunato, sia veramente silenzio – ed ecco che, improvvisamente, i libri presenti nella stanza diventano per lui come esseri viventi. Singolarmente viventi. Oggetti piccoli, eppure pieni di mondo. Che stanno lì senza far rumore, e tuttavia pronti in ogni momento ad aprire le proprie pagine e a cominciare un dialogo che racconta del passato, che rimanda al futuro o che invoca l’eternità, e tanto più inesauribile, quanto più ne sa attingere colui che ad essi si avvicina (Romano Guardini, Elogio del libro, Brescia 1993).
30 novembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Tra due anime. È l’anima mia / che combatte per farsi anima tua (Ghiorgos Seferis). Che cosa decide un conflitto. Alla fine della seconda guerra mondiale, gli psichiatri militari alleati avevano avuto modo di constatare che il 10% di una forza combattente viene messo fuori uso già nelle primissime ore di scontro. Così la decisione non sarebbe frutto tanto delle perdite inflitte all’avversario, quanto del fatto che uno dei due eserciti venga a trovarsi in una situazione psicologicamente insopportabile (John Keegan). In modo più infame di prima. La civiltà ha reso l’uomo, se non più sanguinario, certamente sanguinario in modo peggiore, più infame di prima. Se prima vedeva nello spargimento di sangue un atto di giustizia e con tranquilla coscienza sterminava chi occorresse, ora, invece, pur considerando infamia lo spargimento di sangue, più che mai infamemente lo sparge (Fëdor Michajlovič Dostoevskij). Chi cerca la verità. Chi cerca la verità non può permettersi di essere un egoista. Chi è disposto a sacrificare la propria vita per gli altri difficilmente ha tempo di pensare ai suoi propri interessi. Il primo requisito della spiritualità. L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità. I codardi non possono mai essere morali. (Mohandas Karamchand Gandhi)
I LINEAMENTI DI DIO. «Abbiamo perduto quei lineamenti come si può perdere un numero magico, fatto di cifre abituali, come si perde per sempre un’immagine nel caleidoscopio. Possiamo scorgerli e non riconoscerli. Il profilo di un ebreo nella ferrovia sotterranea è forse quello del Cristo… Forse un tratto del volto crocifisso si cela in ogni specchio, forse il volto morì, si cancellò, affinché Dio sia tutto in tutti».
A scrivere questo straordinario ritratto del Cristo presente in ogni creatura umana è lo scrittore argentino agnostico Jorge Borges (1899-1986). Un desiderio antico dell’umanità – commenta Gianfranco Ravasi – è quello di conoscere il volto fisico di Gesù di Nazaret, desiderio impossibile perché i Vangeli al riguardo tacciono. Sarà la fantasia degli apocrifi a inventare quei ritratti oleografici che hanno comandato tanta arte popolare. Da un lato, c’è stato chi ha pensato il Cristo deforme, brutto, macerato, sulla scia della profezia messianica di Isaia riguardante il Servo del Signore: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per trovare in lui piacere… Era come uno davanti al quale ci si copre la faccia…» (52, 2-3). D’altro lato, c’è stato chi lo ha voluto bellissimo e affascinante, sulla scia del Salmo 45, un carme nuziale regale, riletto in chiave messianica: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia» (v. 3). In realtà, come scrive Borges, quei lineamenti concreti sono scomparsi; l’umanità non ha fatto che ricomporli liberamente come in un caleidoscopio. C’è, però, una via per riscoprirne qualche tratto genuino. Basterebbe guardarci allo specchio: in ogni creatura c’è un lineamento di Dio, perché essa è stata creata a «immagine e somiglianza» divina; in ogni creatura c’è un profilo di Dio perché Dio vuole essere «tutto in tutti» (1 Corinzi 15, 28). Dietro i lembi spesso miseri e persino infami dell’uomo si cela sempre un bagliore di quel volto supremo e apparentemente scomparso.
Lasciamo ancora la parola a Borges, questa volta a una sua lirica intitolata Cristo in croce: «La nera barba pende sopra il petto. / Il volto non è il volto dei pittori. / È un volto duro, ebreo. / Non lo vedo e insisterò a cercarlo fino al giorno / dei miei ultimi passi sulla terra».
SE CI ARRENDIAMO, È FINITA. Lo scoramento è una tentazione. La tentazione di lasciarsi andare, di cedere al sonno, di arrendersi all’arroganza altrui. Ma vivere significa superare le paure, i risentimenti dell’orgoglio ferito, le sconfitte. È come in una competizione sportiva: anche la squadra migliore può perdere, a volte, ma guai se si abbandona alla depressione. Se ci arrendiamo, perdiamo insieme il senso della nostra dignità personale e la libertà. Dire: «Cedo, non voglio più saperne» è fin troppo facile, ma le conseguenze sono dolorose. La dignità e la libertà sono, infatti, i valori più alti della vita. Non ci verranno mai regalati, possiamo solo conquistarli ogni giorno, ma non salvi né l’uno né l’altro se ti crogioli nella tua impotenza. Li acquisti, invece, e li fai crescere in te e intorno a te con l’entusiasmo, la testardaggine, la passione che bisogna mettere in tutto ciò che riguarda l’essenziale. Il Vangelo è lì a ricordatelo: se perdi la tua anima, tutto il resto non ha più alcun valore.
7 dicembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Padri e figli. Per un verso siamo i padri, ma per un altro siamo i figli delle nostre azioni (Aristotele). Se la probabilità cresce infinitamente. Una probabilità infinitamente crescente supplisce l’evidenza, e vi tende come al proprio limite (Henri Bergson).
La vera simpatia. Solo l’alterità acuta dei sentimenti e degli individui rende possibile la vera simpatia. Questa è troppo intensa per nascere da comunione affettuosa e unisono di coscienze. Essa è slancio, evasione coraggiosa dalla prigione in cui l’io tende a rinchiudersi, sforzo di aprirsi realmente a ciò che, rispetto a noi, è divergente e insieme complementare. La sua anima, il suo segreto. Nel ritratto di Monna Lisa ciò che traspare non è la materialità delle sue forme, per quanto affascinanti esse possano essere, ma la sua anima. Di essa noi non finiremo mai di leggere il segreto, frase dopo frase, nella sua enigmatica fisionomia. (Levi Appulo)
ITALIANO E UOMO DI DIO, EROE SENZA MEDAGLIE. Ho conosciuto nell’anno scolastico 1940-41, a Bari, Giuseppe Lanave, quand’era mio professore di religione, prima che fosse inviato al fronte greco come cappellano. Egli era perfettamente consapevole, e non ne faceva mistero, almeno con i giovani di cui si fidava, della radicale contrapposizione fra nazifascismo, totalitario e razzista, e fede cristiana. Incapace di sopportare angherie ed abusi, soprattutto se esercitati su chi non poteva difendersi, fu più volte minacciato dai suoi stessi superiori. L’8 settembre 1942 fu preso dai nazisti, rinchiuso per mesi in un sotterraneo a Salonicco e infime condannato a morte; riuscì, però, a fuggire dal treno che lo portava in Germania durante un bombardamento aereo da parte degli alleati. Da quel momento visse alla macchia in terra jugoslava, braccato sia dalla Gestapo sia dai comunisti di Tito. Malgrado i rischi gravissimi a cui era esposto, si fermò anche dopo la fine della guerra in Jugoslavia per adempiere a una difficile missione: organizzare la fuga in Italia dei nostri soldati, soprattutto degli ufficiali, medici e ingegneri in primo luogo, tentati dall’offerta di folgoranti carriere e di privilegi da parte del nuovo regime. E per meglio riuscire nella difficile impresa, non dette mai notizia di sé neppure ai familiari che lo piangevano ormai morto.
Al ritorno portò nella Gioventù di Azione Cattolica, la Giac, e nelle parrocchie il suo stile di essenzialità, il suo amore per la libertà. Erano, però, in molti ad apprezzare le sue doti e la sua generosità, sì che non fu una sorpresa vederlo vescovo di diocesi popolose e vaste come Minervino, Canosa e Andria. E una volta divenuto, per raggiunti limiti di età, «vescovo emerito», monsignor Lanave chiese e ottenne il posto di vice-parroco in una delle chiese della sua Andria.
DUE DOCUMENTI TELEGRAFICI. Primo documento. Luglio 1914. L’Avanti titola l’articolo del suo direttore: «Abbasso la guerra!». In calce, la firma: Benito Mussolini. Aprile 1915. Il Popolo d’Italia titola l’articolo del suo direttore: «Abbasso la pace!». In calce, la stessa firma: Benito Mussolini.
Secondo documento. «Lo Stato sociale in Italia, per quanto riguarda la spesa previdenziale e assistenziale, incide sul bilancio dello Stato per il 17% del prodotto interno lordo». I lettori penseranno: gli altri Stati europei spendono sicuramente di meno. Ebbene, no: «La Germania spende il 19% e la Francia il 20%». Non è, dunque, abnorme la spesa del nostro Stato sociale, ma la gestione corrotta e fallimentare.
14 dicembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. È solo questione di tempo, ma arriva. Vi è un termine, una scadenza che non mente. Se indugia attendila, ma sii certo che verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà par la sua fede (Libro del profeta Abacuc). La libertà del cristiano. Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti, dunque, della testimonianza da rendere (San Paolo).
C’È PERÒ UN ALTRO CHIRAC. In questi mesi Jacques Chirac si è trovato al centro di contestazioni molto forti in Francia, in Europa e nel mondo, a causa della ripresa degli esperimenti nucleari. La reazione, poi, verso il nostro Governo, annullando per ripicca un vertice già programmato, è parsa anche agli amici della Francia teatrale ed eccessiva.
Sarei, però, disonesto se non ricordassi a me stesso e ai lettori, soprattutto in questo momento un grande merito e un lucido atto di coraggio del presidente neo-gollista. Nel luglio scorso egli volle che la Francia commemorasse finalmente e nella forma più solenne il 53° anniversario della «retata del Vel d’Hiv», una delle pagine più vergognose della sua storia. Il 16 luglio 1942 la polizia di Vichy – il regime collaborazionista guidato dal maresciallo Pétain – rastrellò più di tredicimila ebrei, di cui quattromila erano bambini, e li concentrò nel Velodromo d’Inverno (Vel d’Hiv) di Parigi per consegnarli alle Ss, che li deportarono nei lager nazisti. Di essi sopravvissero solo poche decine di persone. I francesi avevano concordemente rimosso la memoria di quell’orrendo crimine, ma Chirac ha avuto il merito di volerlo ricordare pubblicamente. Sollecitato ancora nel settembre dello scorso anno, Mitterrand aveva dichiarato: «Non chiederò scusa a chicchessia a nome della Francia». Chirac, invece, ha detto che «lo Stato francese conserva un debito imprescrittibile nei confronti degli ebrei per aver assecondato la follia criminale dell’occupante nazista». E ancora: «Quel giorno la Francia, patria dei Lumi e dei Diritti umani, terra d’asilo e d’ospitalità, compì l’irreparabile: mancando alla parola data, consegnò i suoi protetti al boia». Le nobili parole di Chirac hanno avuto un’eco straordinaria in Francia. L’ex premier socialista Michel Rocard ha reso omaggio sulla prima pagina del quotidiano Le Monde al coraggio del presidente neo-gollista, suo avversario politico. «Finalmente sono state dette le parole giuste», ha scritto Rocard.
LA GIUSTIZIA LIBERA DALLA MORTE. Nel mondo sono state create dieci cose dure. / La montagna è dura. Ma il ferro può spaccarla. / Il ferro è duro. Ma il fuoco può piegarlo. / L’acqua è dura. Ma le nuvole la portano. / Le nuvole sono dure. Ma il vento può cacciarle. / Il vento è duro. Ma il corpo può resistergli. / Il corpo umano è duro. Ma la paura può spezzarlo. / La paura è dura. Ma il vino può bandirla. / Il vino è duro. Ma il sonno può vincerlo. / Ma la morte è più forte di ogni cosa. / Tuttavia la giustizia libera dalla morte (Talmud Babilonese, Bava Bathra, da I nostri maestri insegnano, Brescia 1983).
21 dicembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. Più che opere, ponti. Assistiamo a trasformazioni impensabili di anime, di popoli, di religioni. Bisogna che noi cristiani prepariamo ponti più che opere, più che prediche dialoghi (Don Giovanni Rossi). Alla radice. Egli è colui che è: noi siamo coloro che non siamo e n’abbiamo bisogno (Caterina da Siena). Tutti figli di Machiavelli? Noi, in questo Paese e soprattutto in quest’ora, siamo discepoli non certo di Cristo, ma neppure di Platone o di Kant. Siamo tutti piuttosto figli di Machiavelli (Giuseppe Dossetti). Il primo verso e gli altri. Il primo verso ce lo regalano gli Dei, mentre gli altri dobbiamo trovarceli da soli. Scienza e arte. Scienza e arte sono quasi indistinguibili nel processo di osservazione e di meditazione; si separano nell’espressione, si riavvicinano nell’ordinamento per poi separarsi definitivamente nei risultati. (Paul Valéry)
LE DIECI PAROLE DI LUCA E LE NOSTRE. «Vi trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino giacente nella mangiatoia». È tutto. Questo presepio di dieci parole è dell’evangelista Luca che nemmeno lui lo vide, come non lo vide il suo maestro Paolo di Tarso: soltanto quei pastori notturni polverizzati nel nulla. Tre nomi, un arnese. Facciamolo anche noi così piccolo e vero il presepio. Leggiamo e rileggiamo queste dieci parole, come ci si curva su un diamante fino ad appannarlo col fiato. Sono tutto il nostro Natale.
Ma noi diremo di più. Balleremo con le nostre parole matte intorno al Bambino. Saremo intorno a lui una folla d’impiccati slegati dalla forca all’ultimo istante. Ognuno dirà quelle venti o trenta parole in cui si riassume la sua vita – nomi di vivi e di morti, paure atroci e speranze caparbie – ognuno partorirà se stesso. Sarà un immenso farci nudi dinanzi a lui. L’omicida e il santo, il vecchio e il ragazzo, e il ricco e il povero, chi si credeva sventurato e chi si diceva felice misureranno sbigottiti la brevità del passo che li separa: la paura di morire, la fame della salvezza che li faceva uguali. La salvezza che è nata stanotte. (Da Una vita di Cristo di Luigi Santucci. Il volume è stato riproposto in questi giorni dalle Paoline, con prefazione di Gianfranco Ravasi).
TRE VOCI PER CAPIRE BETLEMME.
1. La preghiera commovente di André Gide, l’immoralista. Signore, vengo a te come un bambino: come il bambino che tu vuoi che io diventi, come quel bambino che diventa chi a te si abbandona. Rinuncio a tutto ciò che rappresenta il mio orgoglio e che, davanti a te, costituirebbe la mia vergogna (Testo riportato sia nel Journal, sia in Numquid et tu).
2. Dio e più ancora. Aspetto / ciò che non ha origine in me. / Aspetto te, / genio e più che genio, / Dio, e più ancora, / Dio e uomo, / Cristo Gesù (Max Jacob, Dio del muro, Vicenza 1983).
3. La gioia di farti sorridere. O piccolo bambino, / mio unico tesoro! / Io non voglio altra gioia / che quella di farti sorridere (Teresa di Lisieux, Preghiere, Brescia 1991).
IL TESTAMENTO DI YITZHAK RABIN. Il 4 novembre 1995 Yitzhak Rabin veniva assassinato per mano di un fondamentalista ebreo. Il 28 settembre, poco più di un mese prima, a Washington, alla firma dell’accordo israelo-palestinese il primo ministro aveva pronunciato parole che, lette oggi, ci sembrano essere il suo vero testamento. «Ciò che stiamo facendo oggi – disse Rabin – era del tutto impensabile anche solo due anni fa. Era un sogno di poeti. Ebbene, ora siamo qui per porre veramente fine una volta per tutte a cento anni di spargimento di sangue. Ai miei fratelli ebrei voglio dire che migliaia di anni di esilio e il sogno di intere generazioni ci hanno riportati nella nostra terra, la terra d’Israele, la terra dei Profeti. Ogni vigna, ogni campo, ogni albero d’olivo, ogni fiore portano impresso il segno della storia ebraica, del Libro dei Libri che abbiamo dato al mondo intero, dei valori di moralità e di giustizia. Ogni luogo della terra dei profeti, ogni suo nome fa parte integrante del nostro patrimonio da migliaia di anni. Qui siamo nati, qui abbiamo creato una nazione, qui abbiamo costruito un rifugio per i perseguitati e abbiamo edificato un modello di democrazia. Ma noi non siamo soli, su questo suolo. E perciò oggi noi condividiamo questa buona terra con il popolo palestinese. E una scelta di vita».
Gesù dice nel Discorso della Montagna: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt. 5, 9).
28 dicembre 1995.
LINEA RECTA BREVISSIMA. L’universalismo cristiano. Il mio compito è di rivolgermi a tutti: ai popoli di civiltà greca e agli altri, alla gente istruita e agli ignoranti. La fede. Dio, mediante la fede, riabilita gli uomini davanti a sé. Se l’ipocrita sale in cattedra. Mentre giudichi gli altri, condanni te stesso, se tu fai proprio le cose che condanni. O credi forse di sfuggire al giudizio di Dio per il solo fatto che condanni gli altri per quelle colpe che anche tu commetti? (San Paolo)
Le grandi verità. Tutte le grandi verità all’inizio sono blasfeme. Quando si dice: È brillante! L’aggettivo brillante non mi piace, perché dà l’idea di scintillante superficialità. Le cinque domande. Le prime domande di un bambino sono: Che cosa? Dove? Quando? Come? Perché? Lo scienziato può rispondere alle prime tre e parzialmente alla quarta: ma la quinta gli dà scacco matto. (George Bernard Shaw)
Studiare e riflettere. Studiare senza riflettere è inutile. Riflettere senza studiare è pericoloso. Cultura e temperamento. Quando il temperamento originario prevale sulla cultura si è rozzi; quando la cultura prevale sul temperamento si è pedanti. Quando cultura e temperamento si equilibrano, allora si è persone superiori. (Confucio)
DIRE A DIO «PAPÀ». «Un giorno uno dei discepoli disse a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha fatto con i suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione”» (Vangelo di Luca 11, l – 4). Luca è attento a ricalcare nel greco pater il vocabolo aramaico usato da Gesù abba. Orbene, quel termine evocava il modo affettuoso, più propriamente infantile, con cui il figlio interpella suo padre. Potrebbe essere riportato al nostro papà, oppure babbo. Gesù usa questo appellativo di grande intimità per esprimere il rapporto che intercorreva tra lui e Dio e che, da quel momento, doveva intercorrere tra i suoi discepoli e Dio. L’evangelista Matteo riprende il più solenne abinu, cioè padre nostro, in uso anche nelle preghiere giudaiche; Luca, invece, ricorda l’originalità di Gesù in questo suo riferirsi a Dio come a persona affettuosa. Il termine abba divenne così specifico del mondo cristiano da essere subito adottato anche dalle comunità cristiane di lingua greca, come è attestato dal Vangelo di Marco, che pone in bocca a Gesù sofferente nel Getsemani questa invocazione: «Abba, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» (14, 36). San Paolo ricorderà ai Romani che essi hanno ricevuto «uno spirito dei figli adottivi, in virtù del quale gridiamo: Abba, Padre!» (8, 15).
FILOSOFIA E POLITICA. Bisogna tener presente che far politica non è solo esercitare il potere, partecipare a missioni diplomatiche, sbraitare in assemblea e imperversare sul palco dei comizi con discorsi o proposte di legge; questa è l’opinione della gente comune che, con ragionamento analogo, pensa che facciano filosofia soltanto i professori che discutono dalla cattedra e svolgono lezioni col libro sotto il naso. Esiste, però, un tipo di politica e di filosofia di cui nessuno si accorge perché, pur nell’assiduità di opere e azioni, rifugge dal mettersi quotidianamente in mostra. Ebbene, fare politica è come fare filosofia. Socrate, ad esempio, non si curava certo di sistemare banchi di scuola né di salire in cattedra né di osservare un’ora stabilita per la discussione o la passeggiata con i discepoli; eppure egli filosofava e le occasioni erano gli scherzi, le bevute, il servizio militare e i giri per la piazza che gli capitava di fare con quelli del suo gruppo; e continuò a far filosofia anche alla fine, quando lo chiusero in carcere e lo costrinsero a bere la cicuta: egli fu il primo a dimostrare che la vita ospita la filosofia in ogni suo aspetto, in ogni tempo, situazione e, per dirla in breve, in ogni attività. In modo analogo bisogna ragionare anche riguardo alla politica: gli stolti non si possono considerare uomini di Stato neppure quando svolgono le funzioni di generale o di segretario o di oratore: si tratterà piuttosto di demagoghi, di arringatori da strada, di sediziosi… Al contrario, il cittadino socievole, animato da spirito umanitario e da amor patrio, il cittadino sollecito e politico nel vero senso della parola sarà sempre un uomo di Stato anche se non ne indossa la divisa; la sua missione consiste nello stimolare i potenti, guidare i deboli, assistere chi deve decidere, correggere chi si mette su cattiva strada, incoraggiare chi procede sulla strada giusta. (Plutarco, Lettera ad Eufante, 100 d.C.).
La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.