Detti e Contraddetti 1998 – 2° semestre

DETTI E CONTRADDETTI – SECONDO SEMESTRE 1998

2 luglio 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Domande e risposte. A dar risposte sono – o sembrano – capaci tutti, ma per fare le vere domande ci vuole un genio (Oscar Wilde). Il coraggio di sognare. Solo quelli che hanno avuto il coraggio di sognare sono riusciti a cambiare il mondo (Margaret Ogola). La vera origine di ogni riduzionismo. Ogni tendenza riduttiva nasce dalla paura dell’Infinito (Iosif Brodskij). Avere dei buoni dubbi. Avere dei buoni dubbi è un modo per smettere di dubitare male di se stessi (Romana Caruso). Farfalle e zanzare. Le farfalle, ahimè, / ci ignorano, ma le zanzare / sfortunatamente no (Wystan Hugh Auden).

L’ESPERIENZA DI CHI SI SENTE LIBERO. Certo, il grande orientamento cosmico non tollera lacune e tutto sembra essere determinato. Eppure c’è qui un essere umano che si è sentito libero, nell’atto in cui, resistendo a se stesso o ad altri, opera una scelta che cambia l’esistenza. Provate pure a confutare la sua sensazione con i vostri concetti! Egli vi risponderà: «Io sono la faccia scura della luna; sapete della mia esistenza, ma ciò che voi stabilite sia la faccia chiara per me non ha valore. Io sono il resto irriducibile dell’equazione. Potete contrassegnarmi, ma non abolirmi». Se un essere umano si è sentito libero e nel proprio agire ha sperimentato la libertà, ebbene in quell’istante il suo spirito si è aperto al soffio vivificante dello Spirito.

LE «TENTAZIONI DI CREDERE» DI ELIO VITTORINI. 1. Da una lettera al critico letterario e amico Leone Piccioni: «Sono poco credente, ma sempre più mi persuado che quello che mi aiuta in ogni circostanza sia semplicemente cristianesimo». La lettera risale al 1954. 2. La seconda affermazione, che riportai a suo tempo su un mio taccuino, senza precisare purtroppo la data e la fonte, è la seguente e riguarda Gesù Cristo: «Credo che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui». Nel recente volume Il lungo viaggio di Vittorini (Venezia 1998, pp. 480) Raffaele Crovi ci offre una compiuta biografia e uno studio critico dello scrittore siciliano, ripercorrendo con grande rispetto le sue «tentazioni di credere».

ABBIAMO BISOGNO D’UN IDEALE SOCIALE. Un ideale sociale coincide con il disegno, i tratti, i lineamenti di una forma di vita collettiva che sia più degna di essere vissuta per uomini e donne che hanno una vita in comune da vivere. Un ideale sociale è una promessa di convivenza, degna di lode. Esso è generato da un nucleo di valori che fanno parte dei nostri vocabolari di politica, moralità e identità ereditati. In questo senso possiamo asserire che un ideale sociale è l’esito di una storia; di una catena di vicende, fatta di conflitti, interessi, bisogni, speranze: impronte e tracce dei progetti di esseri umani che si sono presi per mano e, impegnandosi nell’azione collettiva, hanno perseguito almeno due scopi tanto semplici e vaghi quanto preziosi e difficili: 1. la minimizzazione della sofferenza socialmente evitabile, e 2. la massimizzazione del rispetto per l’eguale dignità di chiunque e di ciascuno. Non vi è ideale sociale che non sia al tempo stesso un ricordo della società e una promessa di futuro, un’offerta di condivisione di un modo di vivere insieme, stabile nella durata (Salvatore Veca, Della lealtà civile, Milano 1998, p. 7).

PAROLA E SILENZIO. Quando la parola non sorge dal silenzio. Oggi la parola non sorge più dal silenzio per un atto dello spirito che dà senso alla parola e insieme al silenzio, ma sorge da un’altra parola, dal suono di un’altra parola, e non ritorna più al silenzio, non finisce più nel silenzio, ma in un altro suono verbale e si perde col proprio rumore… La parola non esiste più come spirito, ma soltanto come suono, acusticamente (Max Picard). Il sopravvento della chiacchiera e del rumore. Non abbiamo che da guardarci in giro nel mondo che ci circonda per vedere in quale terribile misura il silenzio sia scomparso e scompaia sempre più; quanto sopravvento abbiano le chiacchiere e come sempre più aumenti il rumore. Di fuori e, prima, dentro; giacché lo stato interiore anche di quelli che tacciono è spesso tutt’altro che silenzio (Romano Guardini).

9 luglio 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Sei capace di meraviglia? La meraviglia è un modo di pensare. Essa è sostanzialmente l’incapacità di adattarsi alle parole e ai luoghi comuni. Né idolatria, né rifiuto della ragione. L’idolatria della ragione è arroganza e tradisce una mancanza d’intelligenza. Il rifiuto della ragione è viltà e tradisce una mancanza di fede. (Abraham J. Heschel)

Chi ha interessi privati non può occuparsi della pubblica utilità. Chi assume il potere al più alto livello deve occuparsi degli affari pubblici, non dei propri interessi; deve pensare esclusivamente alla pubblica utilità; non deve scostarsi neppure di un pollice dalle leggi di cui è autore ed esecutore. Se non lo fa trae lo Stato all’estrema rovina. Ma chi credono di essere? Hanno un’alta opinione di sé e questa li rende felici perché li induce a guardare gli altri dall’alto in basso, con una sorta di commiserazione per tutti gli altri mortali. Altezzosi e litigiosi come sono, se osi discutere con loro non hai scampo. Trincerati dietro un esercito di definizioni magistrali, conclusioni, corollari, proposizioni implicate ed esplicate, hanno a loro disposizione qualsiasi scappatoia… Inesauribili nel coniare termini nuovi e parole rare, con le loro distinzioni recidono facilmente qualsiasi nodo… Usciresti prima da un labirinto che dalle loro oscure tortuosità. (Erasmo da Rotterdam)

SE LA SPECIALIZZAZIONE DIVENTA RISTRETTEZZA MENTALE… Anatole France nella sua autobiografia racconta che da ragazzo, in occasione di una visita al museo del Jardin des plantes di Parigi, rivoltosi ad un paleontologo per avere notizie su un dente di mammouth, si sentì rispondere che quel dente non faceva parte della sua vetrina: egli perciò nulla sapeva dire in proposito. Credo che sia invece importante cominciare a dare uno sguardo alle varie «vetrine», per vedere se è possibile conseguire una visione più articolata di quella fornita da ognuno dei singoli specialisti.

OLTRE L’INGRANAGGIO DELLA NOSTRA UMANA ESISTENZA. L’ingranaggio della nostra umana esistenza, che ingloba ogni cosa, tutta la luce e tutta la musica, tutte le stravaganze del pensiero e le varianti del dolore, la piena dei ricordi e quella delle attese, è refrattario a una cosa soltanto: all’unità. In ogni sguardo lampeggiano segretamente mille sguardi che non vogliono apparentarglisi; ogni stupore, per bello e puro che sia, è turbato da mille ricordi, e persino nel dolore più silenzioso si avverte il sussurro di mille quesiti. L’ingranaggio, nella sua estrema sovrabbondanza ma anche povertà, accatasta il superfluo e rinnega l’insieme, crea un vortice di oggetti e un vortice di sentimenti, vortici che si fronteggiano, si scontrano e si travolgono facendoci percorrere, senza unità, il nostro cammino. L’ingranaggio mi concede le cose e le idee che le concernono; solo, non mi concede l’unità… Ma questo è il senso divino della vita umana: che l’ingranaggio è soltanto l’esterno rispetto a un interno vividissimo e ignoto, e che questo interno non può negarsi all’anima che libera si leva verso l’esperienza vivente. È l’anima che riceve la grazia dell’unità, l’anima che si è tesa spasmodicamente per far saltare l’ingranaggio e sottrarsi ad esso. Oltre ogni lacerazione e sforzo, oltre il brulichio delle tenebre che non conoscono l’unità, esiste però un’esperienza, che dall’anima cresce in se stessa, senza scosse né intoppi, in pura singolarità. L’anima che in essa è immersa sta in se medesima, possiede se medesima, sperimenta se medesima – sconfinatamente. Essa altresì coincide col proprio fondo e con la propria sorgente. Questa esperienza, assolutamente interiore, è ciò che i greci chiamavano ékstasis, cioè andare fuori (Martin Buber, Confessioni estatiche, Milano 1987, pp. 23-25 passim).

POESIA EUROPEA DEL NOVECENTO. Aut-aut. L’uomo deve innamorarsi / di Qualcuno o di Qualcosa, / o altrimenti ammalarsi. Grazie a Dio, non sono uno spirito disincarnato. A niente posso pensare / che vorrei essere meno / di uno spirito disincarnato, / incapace di bere o masticare, / di aver contatto con le superfici / o respirare gli odori dell’estate / o di capire la parola e la musica / o di fissare quel che c’è di là. / No, Dio mi ha messo proprio dove avrei scelto di essere. (Wystan Hugh Auden)

16 luglio 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Oggi più che mai. La violazione del diritto in un punto della terra è avvertito in tutti i punti (Immanuel Kant). La priorità assoluta: lavorare al risveglio delle coscienze. Il vero progresso nasce dalla collaborazione degli spiriti nella ricerca della verità e nello sforzo di preparare un’umanità più fraterna. Occorre portare nella vita sociale, in cui gli uomini rischiano l’omologazione più degradante, la vita interiore e l’ascesi morale, non certo imponendo l’honestum per decreto legge, ma attraverso un’opera di instancabile risveglio delle coscienze (Levi Appulo). È il caso di Seneca. È una caratteristica proprio del classici accompagnare, con le domande che li attraversano, l’interpretazione che i contemporanei danno di se stessi. In fondo, non c’è epoca che non si sia autodefinita rileggendo i classici, quasi che l’identità si instauri solo attraverso quelle matrici di senso che sono diventati alcuni autori o particolari testi. È il caso di Seneca (Ilario Bertoletti). Le celebri domande del rabbino. Se io non sono per me [= se non mi prendo cura della mia anima], chi è per me [= chi lo farà al posto mio]? E se io non sono per gli altri, chi sono io? E se non ora, quando? (Rabbino Hillel).

TU VALI QUANTO VALE IL TUO TEMPO. Il tempo cosmico scorre senza posa, impersonale nella sua oggettività misurabile; e tuttavia i segni che lascia l’inarrestabile succedersi dei giorni sono ovunque e noi li percepiamo, soprattutto se ci accade di rivedere dopo un lungo intervallo luoghi e persone. La vita del mutamento di ciò che è altro da noi ci induce allora a pensare, almeno per qualche istante, a come noi stessi siamo cambiati e a chiederci dove ci mena quella rincorsa affannosa a cui abbiamo ridotto la nostra esistenza. Seneca scrive con grande verità: «ogni giorno, ogni ora ti cambia, ma negli altri la rapina appare più facilmente; in te, invece, si cela, non è allo scoperto» (Ad Lucilium ep. 104, 12).

Il tempo cosmico appare allora come lo scenario del tempo vissuto da colui che lo misura. È questa la dimensione più reale e individuale del tempo e fa tutt’uno con la coscienza che l’io ha di sé, con la sua stessa sostanza, con la sua vita. E ciò sta a significare che la vita d’un uomo vale quanto vale il suo tempo. Il tempo possiede, pertanto, un valore inestimabile per cui occorre seriamente contabilizzarlo, domandandosi per che cosa lo spendiamo e come ne entriamo in possesso. Il problema per l’uomo è, allora, come far presa sul tempo, come non lasciarsene travolgere; in una parola, come vincere l’angoscia e trasfigurarla in serenità d’animo e gioia. Molti sono i modi in cui la stoltezza si manifesta, ma il denominatore comune è e rimane sempre lo stesso: la dissipazione della propria esistenza attraverso la perdita di quel tempo di cui dovremmo, invece, assicurarci il possesso. Ed è unica anche la via per trasformare il tempo in un bene tangibile e fecondo: solo la riscoperta dell’interiorità e la socratica «cura dell’anima» possono farci uscire da uno stato di alienazione e restituirci finalmente a noi stessi.

NOI SIAMO CORRESPONSABILI. Noi siamo corresponsabili per quello che accade nel nostro tempo presente, per lo sviluppo positivo, per il progresso (non tutto ciò che va sotto questo nome è progresso); ma siamo corresponsabili allo stesso modo anche per le piccole e grandi ingiustizie, per gli atti di disumanità, le negazioni quotidiane dei valori sociali e umanistici, la distruzione della natura e l’impoverimento spirituale degli uomini. E ciò perché su tutto prevale la ricerca del profitto e l’opportunismo. Anche noi abbiamo in ciò la nostra parte di colpa. Ognuno la propria, se non guardiamo, se non vogliamo sapere, se non reagiamo al male con fermezza e costanza. E di questo anche noi dovremo rendere conto alle generazioni future (Michael Verhoeven, regista tedesco. Da Noi non taceremo – Le parole della Rosa Bianca, ed. cit., p. 16).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Scuotici, Signore! Scuotici, Signore, / chiamaci, / infiammaci e rapiscici, / facci sentire il tuo profumo, / sii per noi fuoco e dolcezza. / Insegnaci a correre nell’amore. / Forse che molti non ritornano a te / da un abisso di cecità? / Fa’ che anche noi ci avviciniamo a te / e che siamo illuminati da quella luce / mediante la quale si riceve il potere / di diventare tuoi figli (Agostino, Confessioni VIII, 4, 9).

23 luglio 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Perché si cammina? Non si cammina solo per arrivare, ma per vivere mentre si cammina (Johann W. Goethe). Quando si diventa una società chiusa. Una qualsiasi società, grande o piccola che sia, diventa chiusa quando alla libera discussione si sostituiscono l’«obbedir tacendo» e il mugugno (Levi Appulo). Ci vuole un’inquietudine magnanima. Finché si è inquieti, si può stare tranquilli (Julien Green). Libertà e carità. La libertà è l’aria della carità (Primo Mazzolari). Dio stesso ti vide brillare. Che bella sei, libertà. Dio stesso / ti vide brillare, davanti al primo abisso, / sul suo petto, solitaria stella. / Una scintilla del vulcano ardente / prese nella sua mano. E ti appuntò sulla mia fronte, / libera fiamma di Dio, libertà bella (Damaso Alonso, poeta spagnolo, 1896-1990). Formare alla libertà. Libero veramente è soltanto colui che è capace di donarsi totalmente. Educare alla libertà significa educare all’amore (Paolo VI). La filosofia sociale non regala profezie. Bisogna rifiutare quel dogma secondo il quale la filosofia sociale debba essere una profezia. Che tutto questo non funzioni e di quali catastrofi o pasticci questo modo di praticare la funzione intellettuale sia responsabile, lo sappiamo o dovremmo saperlo tutti molto bene (Salvatore Veca).

UN VIAGGIO NELLE PAGINE DEI DIARI SCOLASTICI. In tanti anni di insegnamento mi è capitato di vederne molti di diari scolastici, senza parlare di quelli dei miei figli e ora di mio nipote. Il linguaggio è iperbolico, la battuta talora è pesante, la voglia di ridere tende al ridanciano e alto è il prezzo pagato al gergo in voga al momento; ma da quelle pagine, prima o poi, ti viene incontro qualcosa di autentico che ha il sapore stesso della vita e che merita ascolto e rispetto. Così, ad esempio, in un recente opuscolo di Stampa Alternativa, che si propone un viaggio nelle pagine dei diari scolastici, le volgarità volutamente abbondano, ma anche qui i sentimenti e i pensieri genuini non mancano. Eccone alcuni.

– «I sogni non muoiono, siamo noi ad ucciderli».

– «Il primo bacio non viene mai dato con la bocca, ma con gli occhi».

– «Meglio essere analfabeti piuttosto di leggere negli occhi di chi ti tradisce».

– «In amore il silenzio dice più delle parole».

– «Per il mondo sei nessuno, ma per qualcuno sei il mondo».

– «Tanti si preoccupano di avere degli amici. Pochi si preoccupano di esserlo».

Le ignote autrici di queste altre due scritte meritano poi una segnalazione particolare:

– «Vorrei dirti che ti voglio bene, ma non ho il coraggio. Vorrei dirti che sei un cretino e te lo dirò».

– «Se un ragazzo ti lascia, va in giro con un cartello: “Cercasi cane di razza pura perché un bastardo l’ho già trovato”».

LE ORIGINI SONO NEI MONASTERI. È un fatto storico non molto noto: tutti i principi costituzionali sono di origine monastica. È lì, infatti, che sono stati formulati per la prima volta per essere poi trasferiti – poco a poco, parzialmente e solo in seguito a dure lotte – alla società civile e politica. Quei principi, infatti, pongono le premesse della rivoluzione liberale e di quella democratica, avviando il processo di trasformazione dei sudditi in cittadini soggetti di diritti-doveri. C’è, però, una ragione di tutto questo: i monasteri sono state le prime comunità organizzate con l’idea che tutti gli uomini hanno pari dignità. Idea che fa da regola ed insieme da postulato etico di ogni reale progresso nella storia.

L’ANGOLO DI ERASMO. Il vero senso della devozione. Vuoi piacere a San Pietro o a San Paolo? Imita la fede dell’uno o la carità dell’altro. Così farai di più che se corressi dieci volte a Roma (Erasmo da Rotterdam, Manuale del soldato cristiano – Questo piccolo, grande libro – autentico manifesto del cristianesimo interiore e della riforma cattolica – uscì nel 1504).

30 luglio 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Solo, però, se ci sono ragioni serie per farlo. Quando qualcuno non mi piace, la mia più forte preoccupazione è farglielo sapere (Raymond Aron). Il vero Anticristo. Combattiamo contro un persecutore insidioso, un nemico che lusinga. Egli non ferisce la schiena, ma accarezza il ventre; non confisca i beni per darci la vita, ma arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà imprigionandoci, ma verso la schiavitù onorandoci nel suo palazzo; non colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con l’oro; non minaccia il rogo, ma accende il fuoco della Geenna (Ilario di Poitiers). Un’esperienza al limite, eppure realissima: dire l’indicibile. L’estatico si può spiegare dal punto di vista psicologico, fisiologico, patologico; per noi, invece, è essenziale ciò che resta al di là della spiegazione: la sua esperienza vivente (Martin Buber).

No, non dire di aver amato troppo. Niente può essere amato troppo, / ma ogni cosa può essere amata / nel modo sbagliato. Non all’unisono, ma in armonia. Se veramente fratelli, / gli uomini non cantano all’unisono, / ma in armonia. (Wystan H. Auden)

LA SORGENTE DELLA NOSTRA LINGUA, NOSTRO VERO ESPERANTO. Il latino dell’Occidente cristiano non è una lingua morta, il latino della Chiesa è vivo, poiché, lungi dall’averlo semplicemente attinto dal popolo romano, essa stessa lo ha formato a suo uso e in vista dei suoi bisogni. Il latino della Chiesa non è più bello né meno bello del francese o dell’inglese; né lo si può paragonare ai modelli della lingua classica, perché è nato dallo sforzo degli scrittori cristiani per tradurre l’Antico e il Nuovo Testamento, intraducibili nel latino letterario, e dallo sforzo per creare una lingua teologica capace di esprimere le verità di fede nel loro rigore e nelle loro sottigliezze. Come il greco dei padri per le Chiese orientali, il latino è per la cristianità dell’Occidente la lingua madre. Lingua propria della Chiesa, esso è nello stesso tempo la radice comune delle lingue nazionali europee. Sarebbe un impoverimento incalcolabile per l’umanità se i nostri nipoti non fossero in grado di leggere le Confessioni nel testo originale, o inni come l’Ave maris stella e il Veni Creator Spiritus. Andrebbero perduti temi di verità, bellezza e vita spirituale di incalcolabile valore. Per noi europei, almeno per coloro che hanno avuto una certa dimestichezza con la lingua di Ambrogio e di Gregorio Magno, il latino può ben essere il nostro esperanto, e un esperanto che si è formato, non prodotto in modo artificiale. Ricordo che in un viaggio in Ungheria e in Cecoslovacchia nell’agosto del 1968, quando in quei Paesi c’era il socialismo reale, io e i giovani che mi accompagnavano abbiamo potuto conversare liberamente con gli amici di Budapest e di Praga, senza conoscere né il ceco né l’ungherese, perché loro e noi abbiamo capito che potevamo comunicare in una lingua comune: il latino dell’Occidente cristiano.

NON È VUOTA ILLUSIONE. Una poetessa tedesca, Marie Luise Kaschnitz, in una delle sue migliori composizioni ha espresso in modo sobrio ed efficace la continuità reale tra la vita quotidiana di chi cerca di redimere il tempo e la resurrezione nella vita ultraterrena. Ecco il testo nella traduzione di Giovanni Moretto.

Qualche volta ci alziamo / per una resurrezione / nel cuore del giorno / con i nostri capelli vivi / con la nostra pelle che respira. // Solo le cose familiari ci circondano. / Nessuna fata morgana… / gli orologi non cessano di fare tic tac / le loro lancette luminose non si spengono. // E tuttavia leggeri / e tuttavia invulnerabili / ordinati in un ordine misterioso / siamo accolti anticipatamente in una casa di luce.

L’ANGOLO DI ERASMO. Saggezza umanamente accessibile. Se non puoi fare ciò che vuoi, fa’ ciò che puoi. Se la fortuna non ti ha appagato, trai buon partito da ciò che hai. Se non puoi ottenere ciò che desideri, volgiti a ciò che è alla tua portata (Adagia, 1508).

Al servizio della teologia autentica. La teologia a cui dedico tutte le mie veglie è la teologia non macchiata, non fatta a brandelli come la si trova oggi nelle scuole dei sofisti, liberata da tutte le muffe (Opus epist. Allen ed. 1, p. 344 – Lettera ad Anna di Veere, 27 gennaio 1501).

6 agosto 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Le cose si fanno, facendole. I sentieri si formano camminando (Proverbio spagnolo). Sentenza lapidaria. La pena di morte è una soluzione di tipo militare a un problema sociale (Helen Prejean, la suora americana che conforta i condannati a morte). Quando il piccolo è grande. Non possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con animo grande (Maria Teresa di Calcutta). Un bel biglietto di presentazione. Sì, è vero, io sono noto per l’affetto paterno che porto ai miei fratelli (Orazio). Un dubbio. Il progresso è un gran dono, d’accordo; / ma è progresso avere più auto di quante ne potete parcheggiare? (Wystan H. Auden).

ITALIA SCOMBINATA. 1. Sconto per chi marina la scuola. Un bar di Verona distribuisce biglietti-invito negli istituti superiori. Recano la scritta «Speciale per studenti in fuga». Si offre musica, video, cabaret e giochi su Internet, più il 10 per cento di sconto sulle consumazioni (Corriere della Sera, 19 marzo 1998).

  1. L’Asl pagava le cure a 17 mila morti. Una dimenticanza di oltre cinque miliardi e mezzo. La Guardia di finanza di Catanzaro ha scoperto che l’Azienda sanitaria del capoluogo calabrese tra il ‘90 e il ‘97 non ha segnalato alla Regione il decesso di oltre 17 mila persone. Il risultato è che sono stati erogati i contributi ai medici di base per pazienti in realtà già morti. La scoperta è avvenuta da una richiesta di accertamenti avanzata dal procuratore generale della Corte dei Conti di Catanzaro che si era accorto di un’evidente anomalia (Avvenire, fine giugno 1998).
  2. Sotto il segno dell’oligopolio. Il settore delle comunicazioni è in pieno fermento e i rischi di concentrazione dietro l’angolo. Le dichiarazioni del presidente Rcs (=Rizzoli-Corriere della Sera), Cesare Romiti, sulla necessità industriale di accorpare grandi giornali e grandi Tv sotto un unico editore, sommate alle voci sul presunto incontro d’affari a Monaco di Baviera fra tre colossi dell’editoria internazionale come Murdoch, Kirch e Berlusconi fanno meditare (Avvenire del 23 giugno 1998).

Il problema dell’informazione è il più delicato per ogni democrazia, e puntare all’oligopolio in quel settore è fatto di estrema gravità, ma a nessuno può essere consentito farlo in nome del liberalismo. Il maggiore tra i grandi liberali che abbia avuto l’Italia, Luigi Einaudi, fu sempre implacabile critico di ogni privilegio e di ogni esclusiva monopolistica. Noi non ne abbiamo dimenticato l’insegnamento.

AMICI, CIOÈ REALMENTE DISINTERESSATI. Quel che sulle basi naturali sorge tra l’uomo e la donna come amore, sorge nelle altre parti della vita sociale come amicizia. Anche qui bilateralità, egualità, non protezione, non inferiorità; anche qui niente di utilitario, altrimenti è scambio economico; né di meramente affettivo, altrimenti si chiama simpatia; anche qui parità, ma solo nell’amicizia; anche qui, com’è noto, rarità del legame nella sua perfezione, forse anche maggiore che nell’amore coniugale. Come l’amore, l’amicizia non ha nulla da vedere col giudizio che si rechi sull’individuo nel suo complesso; non ha da vedere con l’ammirazione intellettuale o etica. Hanno torto del pari coloro che pretendono l’amico irreprensibile e coloro che per amicizia smarriscono o relegano in un canto il giudizio critico e morale. L’amicizia consiste tutta in quel reciproco legame delle anime. E per questo essa è un «istituto morale, il cui significato e valore sta nella realtà del disinteresse nell’uno o nell’altro, nel sentirsi sollevati sull’utilitarismo. Onde nell’amicizia, come nell’amore, si trova un rifugio: con l’amico ci si sfoga, ci si confida, si piange e si ride insieme. Solo tra amici si ride davvero, di riso sano» (Benedetto Croce, Etica e politica, Bari 1956, pp. 94-95).

POESIA DEI NOSTRI GIORNI. Pensieri carnefici di se stessi. Ci sono giorni in cui i pensieri, carnefici di se stessi, / stridono contro i pensieri / e un’intera esistenza può cambiar segno. / Ma io desidero andare / ove le fonti non vengono meno / e le cadenti altezza / pulsano d’azzurro. Necessaria separazione. Venga dispersa / senza indugio / la mia pula. / Resti solo il mio grano. (Levi Appulo)

13 agosto 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Esattamente l’opposto del famoso adagio di Andreotti. Il potere dà alla testa anche a chi non lo possiede. Come si rovina una persona. Non possiamo fare cosa peggiore a qualcuno che occuparci esclusivamente di lui. (Elias Canetti)

La metafora suggestiva e insostituibile. Solo la metafora può dare una specie di eternità allo stile (Marcel Proust). Il poeta dispone di uno e di uno solo strumento che è l’immagine, e fra tutti i tipi d’immagine la metafora (André Breton).

Il dolore più intenso. Il dolore più intenso non è l’infelicità, bensì l’incapacità di tendere alla felicità. Amore e ironia. Non c’è amore senza ironia, ma non c’è vera ironia senza amore. L’ispirazione. L’ispirazione non è la folgore di un istante che acceca, è la luce costante e tranquilla che avvolge l’esistenza (Claudio Magris).

ALL’INIZIO DELLA MODERNITÀ STA ERASMO. A distanza in quasi mezzo millennio la sua figura ci affascina e ci inquieta, le sue opere sono sempre più tradotte e commentate, gli uomini di cultura e i giovani che hanno la ventura di incontrarlo scoprono che il suo messaggio è profondo e attuale. Vissuto in un secolo di aspri contrasti e di avvenimenti decisivi per la storia dell’umanità, Erasmo fu un uomo europeo nel senso forte della parola e insieme uomo universale, cittadino del mondo, spirito interiormente libero da fanatismi e preclusioni. Editore instancabile di classici greci e latini e dei Padri della Chiesa, egli seppe coniugare il sorriso della ragione e la più esigente serietà, l’ironia graffiante e l’ammirazione commossa per la superiore follia della croce, la saggezza classica e il paradosso cristiano. Ponendosi alla scuola di Socrate e di Cristo, Erasmo fece emergere attraverso i suoi scritti le linee di forza di quell’umanesimo perenne, che va ben oltre gli splendori e i limiti dell’umanesimo rinascimentale. L’humanitas erasmiana anticipa in modo sorprendente e nei campi più diversi – dalla filosofia della cultura all’educazione, dall’esegesi biblica alla teologia, dalla politica all’etica – intuizioni e direttrici della più illuminata coscienza moderna. Contemporaneo di Machiavelli, egli non cessò mai di smascherare la disumanità strutturale di ogni politica vuota di valori e di animazione morale. La lotta senza tregua per la pace, la rinuncia consapevole alla guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, il sogno di un’Europa patria ideale di tutti gli uomini di buona volontà – perché civile nei suoi costumi, libera nelle sue istituzioni, affratellata dalla cultura e dalla fede: ecco, queste furono le cose in cui Erasmo credette appassionatamente al punto che esse divennero i tratti della sua personalità e gli scopi del suo impegno.

20 agosto 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. È così, ma talora sembra che non lo sappiamo. Il pudore conferisce alle donne un fascino indicibile (Anatole France). Perché è terribilmente grave il peccato nella sfera pubblica. Una sola ingiustizia, un solo delitto, una sola illegalità bastano a infrangere il patto sociale nella sua interezza: è un punto di cancrena che corrompe tutto il corpo (Charles Péguy). Che cos’è la gloria? La gloria è forse la somma dei malintesi che si accumulano su un nome (Rainer M. Rilke).

IL SORPASSO CHE CI FA ONORE. Per la prima volta nella storia c’è stato il sorpasso tra i Paesi che hanno abolito il patibolo, per legge o almeno di fatto, e quelli che lo mantengono: 99 i primi, 94 i secondi. Diciannove anni fa, quando Amnesty International inaugurò la campagna mondiale contro la pena di morte, erano solo 40 i Paesi che non l’avevano e ben 122 gli altri. Quella che Gianfranco Ravasi ha definito «l’oscena e demoniaca liturgia che accompagna l’esecuzione capitale» è stata messa finalmente in minoranza. Almeno su questo punto cala il tasso di barbarie e la coscienza universale registra un progresso. La strada da percorrere, però, è molto lunga perché se l’assassinio comandato per legge è pratica corrente nei regimi totalitari, esso resiste tuttora anche in alcune democrazie. Il caso degli Stati Uniti, il più clamoroso e sconcertante, è sotto gli occhi di tutti.

UNA VERITÀ CHE CONTI NON È DICHIARABILE COME SI FA CON IL CODICE FISCALE. In quarta ginnasio, quando avevamo quattordici anni, un mio compagno di scuola, che tra la fine del liceo e l’università si sarebbe distinto per l’abitudine di dividere imparzialmente i suoi risparmi fra l’acquisto sistematico delle opere complete di Kant e Hegel e metodici svaghi nei modesti night triestini, soleva chiedere a bruciapelo, quando il padre lo presentava a qualche suo conoscente: «Scusi, lei è teista, ateo o panteista?». L’inquisito, spesso un commerciante di caffè o un funzionario assicurativo di mezza età, abbozzava perplesso un gesto vago e autorevole, col quale cercava di esprimere i complimenti per la precoce profondità filosofica del ragazzo e di nascondere la riprovazione per la sua mala creanza. L’imbarazzo di quei rispettabili signori era legittimo, perché, a parte la giovane età del mio amico inquirente, quella domanda pressante e indiscreta difficilmente poteva avere una risposta precisa, e avrebbe probabilmente fatto esitare, sia pure per un attimo, anche un vescovo o un presidente della lega per il libero pensiero, in quanto non si risponde a simili interrogativi con la medesima sicurezza con la quale si dichiara la propria residenza o il numero del proprio codice fiscale. Ci sono delle verità che non si possono descrivere o dichiarare, come si fa con un teorema o con una professione ideologica, ma soltanto raccontare, così come i maestri chassidici, richiesti di spiegare una verità di fede, rispondono raccontando una parabola, una storia con personaggi e vicende specifiche (Claudio Magris, Itaca e oltre, Milano 1998).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Che sia perennemente Pentecoste. Signore, sappiamo che anche nello sconforto, nell’aridità, nell’impotenza dell’anima, dobbiamo e possiamo mantenerci fedeli a te. È per questo che dobbiamo implorare lo Spirito della consolazione e della forza, della gioia e della fiducia, della crescita nella fede, nella speranza e nell’amore, della tranquillità e della pace. Spirito Santo, bandisci dai nostri cuori la desolazione, l’oscurità, la confusione, la sfiducia senza speranza, la tiepidezza, la tristezza, il senso d’abbandono, il dissidio interiore, la sensazione soffocante di essere lontani da te… Signore, che sia perennemente Pentecoste! Fa’ che anche in noi sia Pentecoste! (Karl Rahner).

27 agosto 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Occorre prima consumare insieme il sale. Per diventare amici ci vuole tempo e consuetudine di rapporti; infatti, secondo il proverbio non è possibile conoscersi reciprocamente prima di avere consumato insieme il sale. La volontà di amicizia sorge in fretta, si sa, ma non l’amicizia (Aristotele). Per chi è piccino dentro non c’è nulla di grande. Due sono i segni di più sicura meschinità: il non aver occhi per riconoscere l’autentica grandezza e l’essere incapaci di dire «Grazie!» (Levi Appulo).

L’intenzione. Io voglio riuscir vigoroso, ma non aspro. La simpatia dei malvagi. La simpatia dei malvagi è tanto infida quanto lo sono essi stessi. (Plinio il Giovane)

Il mondo, l’uomo, Dio. Un solo pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo, perciò solo Dio è degno di lui. Il silenzio e l’operare. Al compimento perfettivo dell’uomo non mancano le parole e gli scritti, ma il silenzio e l’operare. (San Giovanni della Croce)

CHE TEMPO FA? Il tempo, a sentir noi, è sempre una disperazione. Il tempo è come un governo, non ne fa mai una dritta. D’estate diciamo che ci soffoca; d’inverno che ci gela; in primavera e in autunno gliene facciamo una colpa perché non è né carne né pesce, e ci auguriamo che si decida. Se fa bello diciamo che la campagna va in malora per mancanza di pioggia; se piove preghiamo per avere bel tempo. Se dicembre passa senza neve, chiediamo sdegnati che ne è stato dei nostri begli inverni all’antica, e parliamo come se fossimo stati truffati di qualcosa che avevamo comprato e pagato; e quando poi nevica, il nostro linguaggio è una vergogna per una nazione cristiana. Non saremo mai soddisfatti, finché ciascun uomo non si fabbricherà il suo tempo personale e non se lo terrà tutto per sé (Jerome K. Jerome, I pensieri oziosi di un ozioso, Milano 1955, p. 44).

3 settembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Qui si entra… di qui si esce. Qui si entra per adorare Dio, di qui si esce per amarlo nel prossimo (Scritta sulla porta d’ingresso del duomo di Cervia). Perfezione o perfettibilità? A chi mi chiede se credo nella perfezione della natura umana, rispondo no. Credo, invece, nella sua perfettibilità (Levi Appulo). L’invito di Gandhi ai giovani. Dissetatevi profondamente alla fonte del Discorso della Montagna. Quel discorso si rivolge a ciascuno di noi, senza eccezione, e ci ripropone sempre di nuovo la scelta di fondo: non si può servire nello stesso tempo Dio e Mammona, Dio che è la misericordia stessa e la tolleranza fatta persona e il Mammona, d’iniquità che genera distruzione e autodistruzione (Gandhi, 8 dicembre 1927).

VERDI, PROTAGONISTA E SIMBOLO DEL RISORGIMENTO. Chiunque abbia qualche conoscenza della vita di Verdi sa quanto questa sia intrecciata con quella del suo paese; che il suo nome divenne il vero simbolo del Risorgimento, che in Italia Viva Verdi (non soltanto per ragioni politiche o monarchiche) fu il più famoso grido rivoluzionario e patriottico; che egli ammirò tanto Mazzini quanto Cavour, tanto i democratici rivoluzionari quanto il Re, e in questo modo, riunì in sé le diverse tendenze che costituirono la nazione italiana. Visse sempre vicino al centro di gravità della sua nazione, e parlò ai suoi compatrioti e per loro, come non fece nessun altro, neppure Manzoni o Garibaldi, a cui era vicino. Le sue convinzioni, sebbene andassero da destra a sinistra, erano dalla parte del sentimento popolare; rispose profondamente e personalmente a ogni tendenza e mutamento nello sforzo italiano per l’unità e la libertà. Gli ebrei del Nabucco sono italiani in schiavitù: «Va’, pensiero» era la preghiera nazionale per la resurrezione. Lo spettacolo de La battaglia di Legnano evoca scene di indescrivibile esaltazione popolare nella Roma rivoluzionaria del 1849. Il Rigoletto era ispirato da odio verso l’oppressione, l’ineguaglianza, il fanatismo e il degrado umano, non meno del Don Carlo, della Forza del destino e dell’Aida. L’inno che Verdi scrisse per Mazzini è soltanto un episodio di un’unica grande campagna. Per mezzo secolo fu il simbolo vivente di tutto ciò che di più generoso e universale vi fosse nel sentimento nazionale italiano.

MA QUANDO SI VIVE? Se l’esistenza è solo un ininterrotto congedo da se stessa, sulla sua fuga s’innalza di continuo la domanda di Oblomov: quando si vive? L’età moderna non sembra conoscere il presente, ma soltanto un trascorrere, un divenire percepito non quale arricchimento, quale itinerario verso una meta che infonde significato e sostanza a ogni tappa del cammino, bensì quale dileguare, quale continuo non-essere, mancanza di ogni valore cui afferrarsi saldamente. La vita alienata è quella che è stata privata di fini che realmente la giustifichino e la rendano consistente nella dedizione a una meta superiore; in luogo di un fine ultimo è subentrata una miriade di obiettivi momentanei e parziali, che susseguono l’uno all’altro senza sosta e senza prender fiato, come nella catena di montaggio d’una immane produzione, sacrificando e bruciando ogni attimo a quello che gli succede, per raggiungere uno scopo meramente pratico e ignaro di valori, che non illumina perciò – né a ritroso, nella memoria, né in avanti, nell’attesa – la strada che è necessario percorrere per raggiungerlo. Il presente, per bastare a se stesso, deve poggiare su dei valori, ma il pulviscolo di scopi e obblighi convenzionali, con i quali l’organizzazione sociale bersaglia l’individuo, offusca e vela questi valori, quando non li distrugge; impedisce al pensiero di soffermarsi sull’essenziale e lo incalza in una corsa affannosa, che lo distoglie da ciò ch’esso ama o vorrebbe amare. La quotidianità martellata da un incessante sciame di cure, che assalgono e pungono da ogni parte, allontana l’individuo dalla sua verità (Claudio Magris, Itaca e oltre, Milano 1998, pp. 30-31).

POESIE DELLA NUOVA GENERAZIONE. La mappa del dolore. Dove mi porta il viaggio / verso la guarigione? / da me stessa o da che altro male? / E poi / come orientarla la mappa / del dolore umano, come leggerla? L’attesa e l’esilio. Io sono la muta mancanza di me, / l’attesa del non buio, / l’esilio che tutto spazza via. / Io sono il mio debito. (Paola Davite, Sine die, Ragusa 1998)

11 settembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Come comportarci. Da quegli amici che sono sfortunati si deve andare senza essere chiamati, e andarvi con sollecitudine; e anche se non pretendono nulla, beneficateli se si trovano in necessità. È questa, infatti, la cosa migliore per loro e per noi (Aristotele). Sono francamente troppe. Di Voltaire a noi sono giunte circa quindici milioni di parole (Thèodore Besterman). Salus ex inimicis. Gli amici si dicono sinceri, ma realmente sinceri sono i nemici. Si dovrebbe, quindi, utilizzare il loro biasimo come una medicina amara, utile, però, a conoscere noi stessi (Arthur Schopenhauer). Aspirazione e preghiera. A te, Signore, innalzerò il mio pensiero: / apri gli occhi miei allo splendore del bene (Niccolò Tommaseo 1802-1874).

IL RITORNO ALLA FONTI E L’ECUMENISMO. Critico, implacabile, insistente e persino caustico di ogni deformazione della coscienza cristiana, Erasmo volle riaccostare gli uomini direttamente alle fonti del Nuovo Testamento e a quella primavera dello spirito che fu la fioritura della Patristica greca e latina. Forse nessuno più di lui dedicò a quel compito tante energie. Egli era sinceramente convinto della validità di molti aspetti della protesta luterana, ma dissentì con vigore dai suoi sviluppi che gli parvero fuorvianti rispetto alla mirabile funzione storica che quel movimento avrebbe potuto assolvere a vantaggio di tutto il mondo cristiano. Ciò che più turbava l’umanista era il modo in cui il teologo di Wittenberg concepiva il rapporto tra l’uomo e Dio, il suo determinismo teologico. Alla visione pessimistica di Lutero, Erasmo contrappose la sua esegesi biblica e l’appassionata difesa della libertà; ma anche nell’infuriare della tempesta, egli fu apostolo di pace e di riconciliazione ecumenica. Nulla in ogni caso gli ripugnava di più, nell’uno e nell’altro campo, della mescolanza di religione e politica e della pretesa di mettere al servizio della fede l’intolleranza e la violenza. Il Vangelo di Cristo, infatti, è annuncio di pace e appello alla libertà interiore, esercizio eroico di fraternità. La cultura come educazione ai valori universalmente umani, la politica come ricerca del bene comune e tirocinio di libertà, la pace come indeclinabile dovere di tutti, la ricerca dell’unità tra i cristiani divisi, la celebrazione di tutto ciò che onora l’uomo e lo rende capace di giovare ai suoi simili: questi, a nostro avviso, sono i titoli per cui oggi Erasmo può farsi nostro compagno di viaggio e nostro maestro.

LE AMICIZIE DELLA SOLITUDINE. Come il rapporto dell’amore è ricco di amori traditi, così anche quello dell’amicizia, di amici ingannati e poi delusi. Ma non giova insistere su questi aspetti ovvi. Piuttosto, è da aggiungere che, anche quando la fortuna non concede gli amici o l’amico, quando ci si risolve a vivere «in solitudine», e s’intonano le lodi della «vita solitaria», della solitudo beatitudo, proprio allora non si fa altro che procurarsi altre amicizie o altra compagnia meno corporea ma più salda e più sicura, nel paese ideale in cui convengono gli spiriti di ogni luogo e tempo. E colà s’intende e si prosegue il pensiero e il sentire degli uomini del passato, e si conversa con loro, e si palpita coi loro cuori. Di tanto in tanto scopriamo (e con quanta gioia!) anime e intelletti che prima non conoscevamo o non avevamo intesi, e quella compagnia si allarga e si arricchisce. E se teniamo al nostro buon nome, e ad essere stimati quando non saremo più della terra, è per il desiderio e la speranza di convivere in quel mondo che amammo, e di là comunicare senza impedimenti con gli uomini che passano sulla terra (Benedetto Croce, Etica e politica, Bari 1956, pp. 95-96).

17 settembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il muro della vergogna. C’era una volta il muro di Berlino, ma è stato abbattuto. Ma chi abbatterà il muro della corruzione, che ripara di continuo le sue crepe e trova sempre chi ha interesse a riedificarlo? Questo è l’ostacolo vero su cui la nostra Repubblica rischia di andare a sbattere (Levi Appulo). La risposta a una grande sfida. Gli europei non sono in grado di vivere se non sono impegnati in una grande impresa che li unisca. Quando essa viene meno, la loro anima si avvilisce e si disgrega (Ortega y Gasset). Dire le cose in modo rigoroso. Come negli affari, anche nei discorsi il rigore ad alcuni sembra essere illiberale (Aristotele).

È peccato per chi scrive. Ogni vigliaccheria, ogni reticenza è peccato per chi scrive. La sua audacia sta nell’esprimere. Sebbene ne porti la responsabilità, egli è tenuto a dire. Attraverso il labirinto del proprio tempo. Trovare il cammino attraverso il labirinto del proprio tempo, senza soccombergli, ma anche senza saltarne fuori. Tolstoj e Dostoevskij. Bisogna dire che Tolstoj arrivò a 82 anni e Dostoevskij soltanto a 59. Sono un periodo molto lungo 23 anni. Tolstoj sarebbe Tolstoj se fosse morto già nel 1887? (Elias Canetti)

IL FONDAMENTO. È la nostra luce, non il nostro buio che ci spaventa di più. Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio dentro di noi. Essa non è solo in alcuni di noi, ma è in ognuno. E, non appena noi lasciamo brillare la nostra luce, inconsciamente spingiamo gli altri a fare lo stesso. Quanto più siamo liberati dalla nostra paura, automaticamente la nostra presenza libererà gli altri.

Chi ha pronunciato queste alte e nobilissime verità è stato il nero sudafricano Nelson Mandela. Lo ha fatto nel 1994, nel discorso di insediamento come capo dello Stato. Il fondamento della dignità di ogni creatura umana e la ragione del cammino verso il suo pieno riconoscimento sono qui indicate nel modo più semplice e profondo. Nelle parole di Mandela noi avveriamo l’eco e il prolungamento del Prologo di Giovanni: «La luce vera illumina ogni uomo che viene in questo mondo».

POESIA DELLA NUOVA GENERAZIONE. Se io trovassi la misura. Se io trovassi / la misura della disperazione, / coglierei l’oscura trasparenza / che mi confermi in una commozione. / Smetterei allora di bruciare / questo mio debole involucro (Paola Davite, Sine die, Ragusa 1998, p. 37).

24 settembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La più cara. La cosa più cara per gli innamorati è vedersi. Noi preferiamo questa sensazione ad ogni altra in quanto l’amore consiste soprattutto in essa e sorge da essa. La sensazione di esistere. Per ognuno è desiderabile sentire di esistere; ma si prova la stessa gioia anche per l’esistenza degli amici (Aristotele).

Non cercarla. La gloria deve essere conseguita, non cercata. Per un animo nobile, infatti, la ricompensa della virtù è riposta assai più nella propria coscienza che nell’opinione altrui (Plinio il Giovane) Seneca, Sant’Anselmo o Kant correggerebbero la frase così: «La ricompensa della buona coscienza è riposta nella propria coscienza e non nell’opinione altrui».

I sogni puliti dei giovani. Quando si insinua in noi l’irriverenza per i sogni puliti dei giovani, allora vuol dire che il gelo è sceso in noi e abbiamo in qualche modo ceduto moralmente. In realtà i «giorni pazzi» dell’onore, della dedizione generosa, della fede in un futuro degno sono sempre, in ogni epoca della vita, i soli nostri «giorni saggi» (Levi Appulo).

I FILM IN TELEVISIONE E I MINORI. 1. Il problema non è tanto quello di vietare, ma di calibrare i messaggi dello schermo, considerando la gradualità dello sviluppo psicologico dei minori. Un bambino o un adolescente può capire un messaggio, ma non essere ancora in grado di prendere le distanze da esso (Anna Oliviero Ferraris, psicologa). 2. Nella riforma della censura dovrebbe essere tenuta presente la diversità fra cinema e tv: in sala si accede solo grazie ad una volontà precisa, determinata dall’acquisto del biglietto, mentre la trasmissione televisiva arriva in casa senza preavviso (Fulvio Lucisano, presidente dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche e audiovisive). 3. Si può giudicare utile o inutile la censura, ma abolirla non autorizza nessuno a dire che con quella decisione «l’Italia si allinea finalmente agli altri Paesi d’Europa». Non è vero, visto che la censura è ancora oggi in vigore in Paesi democratici come la Francia, la Svezia e la Gran Bretagna (Paolo Basile, esperto di legislazione cinematografica).

CANTORE DELLE PASSIONI UMANE FONDAMENTALI. Per comprendere la musica di Verdi non abbiamo bisogno di sapere quali furono le opinioni personali del compositore, o le circostanze storiche della sua vita o quella della sua società. Lo ha detto molto bene Isaiah Berlin, in uno scritto, L’«ingenuità» di Verdi, che introduce il Catalogo Bruno Mondadori del 1998. Scrive Berlin: «Chiunque conosca le primarie passioni umane, amore paterno e orrore totale per l’umiliazione subita da uomini da parte di altri uomini in una società disumanizzata, può comprendere il Rigoletto, chiunque possiede la capacità di interpretazione di un eroe distrutto dalla gelosia può intendere l’Otello. La conoscenza delle emozioni umane di base diventa in sostanza l’equipaggiamento extramusicale necessario a interpretare l’opera di Verdi, iniziale o finale, grande o piccola: Suona la tromba così come La Traviata; l’Attila o la Luisa Miller non meno de La forza del destino o dell’Aida; Il corsaro o l’Ernani così come Il Trovatore, il Requiem o l’Otello, o anche il Falstaff, opera musicalmente e artisticamente unica».

GUARDARE AVANTI. Abbandoniamo i desideri e i rimpianti per i giorni che non saranno mai più nostri. Il nostro lavoro sta davanti, non dietro di noi: «Avanti!» è il nostro motto. Non stiamocene seduti con le mani in mano, contemplando i giorni passati come se fossero tutto l’edificio: essi non sono che le fondamenta. Non sciupiamo anima e vita pensando a ciò che potrebbe essere stato, e dimenticando il futuro che sta di fronte a noi (Jerome K. Jerome, I pensieri oziosi di un ozioso, Milano 1995).

LA POESIA DI UN CANDIDATO ALLA MATURITÀ. Lo scienziato viennese Erwin Ringel indica in questi versi di un candidato alla maturità le ragioni di fondo del disagio giovanile. Eccoli: Volevo dei genitori / e ho ricevuto giocattoli. / Volevo imparare / e ho ricevuto pagelle. / Volevo una visione del mondo / e ho ricevuto ideuzze. / Volevo amore / e ho ricevuto precetti. / Volevo una professione / e ho ricevuto un posto. / Volevo la felicità / e ho ricevuto denaro. / Volevo cambiare / e ho ricevuto compassione…

1 ottobre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La bocca e il cuore. Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola, / scavata è nella mia vita / come un abisso (Giuseppe Ungaretti). La bocca custodisce il silenzio per ascoltare il cuore che parla (Alfred de Musset).

C’è pazzia e pazzia. In un’epoca di pazzia credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia (Saul Bellow, Nobel 1976). Pazzi e intelligenti sono ugualmente innocui. I mezzi matti e i mezzi intelligenti, quelli sono i più pericolosi (Johann W. Goethe). La più grande invenzione, l’alfabeto e il libro. Sopra tutte le invenzioni stupende qual eminenza di mente fu quella di colui che s’immaginò di trovare modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsiasi altra persona benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con quelli che sono nell’India, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e diecimila anni? Con quale facilità? Con vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta (Galileo Galilei). La radice della corruzione. Da quando si è cominciato a onorare il denaro, che incatena tanti magistrati e giudici, le cose hanno perduto il loro vero valore, e noi, diventati ora mercanti, ora merce in vendita, non consideriamo più la qualità, ma il prezzo; per interesse siamo onesti, per interesse disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c’è una speranza di guadagno, pronti a voltafaccia se la scelleratezza promette di più (Seneca).

ZEMAN, SEI STATO GRANDE! L’estate televisiva è stata dominata dal «caso Zeman». L’allenatore della Roma aveva posto con chiarezza un problema: in che misura il doping è praticato nel calcio e come si spiegano i prodigiosi accrescimenti nella massa muscolare dell’uno o dell’altro giocatore? Per aver detto ad alta voce ciò che molti pensavano, o peggio sapevano essere vero, il boemo fu letteralmente sommerso da accuse indignate e da minacce di querela. Sulla Gazzetta dello Sport ancora in data 14 agosto si poteva leggere quanto segue: «Il presidente federale (della Lega Calcio) fa sapere dal Kenya, dov’è in vacanza, che apprezza l’intenzione di Zeman di evitare l’effetto Tour, ma che non vede pericoli per il calcio, all’avanguardia nella lotta al doping». Ed ecco, un mese dopo, in seguito agli accertamenti del magistrato di Torino e di altre Procure, tutti siamo ormai venuti a conoscenza del modo sistematicamente fraudolento con cui i medici del Coni eludevano i controlli anti-doping dei giocatori di calcio della massima serie. Il sasso gettato da Zeman nello stagno dell’omertà interessata – e si tratta, ovviamente, di interessi di migliaia di miliardi – ha avuto così un effetto magico: ha prodotto un vero e proprio terremoto e ha smascherato una monumentale ipocrisia. E questa volta, finalmente, non è venuta copertura alcuna né tanto meno dal governo.

DI DOVE NASCE L’ENORME MALE DEL MONDO? Non c’è voce che giunga senza conseguenze alle nostre orecchie: ci danneggiano coloro che ci fanno gli auguri non meno di quelli che ci lanciano improperi; le imprecazioni degli uni ci incutono timori vari, e l’effetto degli altri insegna male col bene che ci augura; perché ci indirizza verso beni lontani, incerti, vaghi, mentre la felicità potremmo trovarla a casa nostra. Non ci è permesso, insomma, di andare per la via diritta; tutti ci sviano, dai genitori ai servi. Nessuno sbaglia soltanto a suo danno, ma comunica la sua stoltezza a quanti gli stanno attorno, per ricevere a sua volta la loro. E per questo ritroviamo negli individui i difetti dell’ambiente, perché l’ambiente glieli ha contagiati. Ognuno di noi è reso peggiore al tempo stesso in cui rende gli altri peggiori; ha imparato cose cattive e poi le insegna, e dall’accumularsi di quanto ognuno di noi sa di peggio nasce l’enorme male del mondo. Vi è dunque bisogno di uno che vegli su di noi, che di tanto in tanto ci tiri le orecchie, allontani le dicerie, protesti dove il volgo applaude. Ti sbagli, infatti, se credi che i nostri vizi nascano con noi; sono sopraggiunti, ci sono stati inculcati… La natura non ci fa inclini ad alcun vizio. Ci ha generati puri e liberi. Non ha posto in evidenza nulla che potesse sollecitare la nostra avidità: l’oro e l’argento ce li ha messi sotto i piedi… La natura ha alzato verso il cielo il nostro viso e ha voluto che levando gli occhi noi vedessimo tutto quanto essa ha fatto di magnifico e mirabile: le aurore e i tramonti, e il volgere volubile di un mondo che ci illumina di giorno le cose della terra e di notte quelle del cielo, i mori degli astri (Seneca, Ad Luc. ep. 94, 53-56, Brescia 1979, p. 79)

8 ottobre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Un verso ammonitore. Ma nulla fa chi troppe cose pensa (Torquato Tasso). Imparare anche da loro. Uno dei segni di superiorità è quello di saper imparare anche dagli inferiori (Giovanni Papini). La fregatura è lì. Chi è disperato giudica e desidera tutto in generale, nulla in particolare (Albert Camus). Esattamente l’opposto di alcuni suoi presunti eredi. De Gasperi era un uomo che diceva quello che sentiva e non concepiva la politica come inganno (Emilio Colombo). Tempo e coscienza. Il tempo cancella i reati, ma non restituisce la verginità (Antonio Di Pietro).

Il saggio e lo stolto. Anche chi è saggio talora si inganna e cade in errore; a differenza di chi è stolto, però, egli non presume di essere infallibile e si interroga sulle cause dei suoi sbagli. Al posto di un altro. Chi non si sia messo almeno una volta nei panni di un altro non è un essere umano, ma un mostro o un demente. (Levi Appulo)

HANNAH ARENDT CI AIUTA A DISTINGUERE I «GIÀ COMUNISTI» E GLI «EX COMUNISTI». Nel 1953, in piena guerra fredda, colei che insieme a Simone Weil è la pensatrice più originale del XX secolo, Hannah Arendt, invitava a distinguere nettamente, e più propriamente a opporre, i «già comunisti» e gli «ex comunisti». I «già comunisti» sono coloro che in un punto o l’altro della loro vicenda personale, e più spesso in rapporto ai segni rivelatori immanenti all’una o all’altra situazione storica, hanno avvertito che il partito in cui militavano era totalitario e hanno cercato uno sbocco democratico al loro impegno politico. Il fatto decisivo è che il loro passato comunista sia rimasto un evento biografico importante, ma non sia divenuto il nucleo dei loro nuovi punti di vista, opinioni, Weltanschaungen. Essi non sono andati in cerca di un surrogato per la fede perduta, né hanno concentrato tutti i loro sforzi e talenti nella lotta contro la loro antica fede. Le ragioni del disinganno contano, eccome, e non autorizzano né autodifese né sterili rimpianti; ma il distacco dal proprio passato, doloroso e insieme doverosamente inevitabile, non li porta ad odiare i compagni di ieri, non li trasforma in anticomunisti d’assalto. Non sono più comunisti proprio perché il mondo appare finalmente ad essi com’è, ossia a più dimensioni, pluralista e problematico.

Gli «ex comunisti», invece, sono dei veri e propri «comunisti al contrario». Quale che sia il nuovo partito, o l’area di cui è entrato a far parte, dalla cosiddetta destra alla cosiddetta sinistra, egli rivolge contro i vecchi compagni – e soprattutto contro i «già comunisti» – l’aggressività e l’intolleranza inesorabile che prima dirigeva con orgogliosa sicurezza contro quelli che ora sono i nuovi compagni di strada. Gli ex comunisti, del resto, sono convinti che ad essi e ad essi soltanto spetti guidare i nuovi amici e alleati anticomunisti che, senza l’apporto della loro superiore conoscenza, sono esposti all’inganno e allo scacco. Gente del genere ha quindi un assoluto bisogno – e sennò che ci starebbero a fare – di avere perennemente di fronte e contro il drago rosso: e il drago, ci vien fatto osservare, non si può combattere senza diventare a nostra volta draghi, cioè animali politici capaci di usare qualsiasi mezzo, nessuno escluso, pur di battere gli avversari. Le obiezioni che l’Arendt muove a questo tipo di pretesa alla leadership e di lotta politica sono molte. Mi accontento di riportane una sola, ma decisiva: «Se diventassimo noi stessi draghi, non avrebbe molta importanza quale dei due draghi dovrebbe alla fine avere la meglio. Il significato della lotta andrebbe perduto».

Le riflessioni dell’Arendt, che apparvero in «The Commonwealth» il 20 marzo 1953 con il titolo Gli ex comunisti, sono incluse nel volume Essays in Understanding 1930-1954 pubblicato a New York nel 1994 nelle edizioni Harcourt Brace&Company. Il testo si può leggere anche in italiano nella rivista «Aut-aut» 1996, nn. 271-272, pp. 77-85.

LA VITA NUOVA. In luoghi abbandonati / noi costruiremo con mattoni nuovi / vi sono mani e macchine / e argilla per nuovi mattoni / e calce per nuova calcina / dove i mattoni sono caduti / costruiremo con pietra nuova / dove le travi sono marcite / costruiremo con nuovo legname / dove parole non sono pronunciate / costruiremo con nuovo linguaggio / c’è un lavoro comune / una Chiesa per tutti / e un impegno per ciascuno / ognuno al suo lavoro (Thomas Stearns Eliot, Cori, da «La Rocca»).

22 ottobre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La verità che noi occidentali abitualmente ignoriamo. Dio non è forza, ma giustizia (Proverbio russo). L’oroscopo. L’oroscopo soddisfa i desideri di persone convinte che altri sappiano su di loro, o su quello che devono fare, più di quanto esse non siano in grado di decidere da sé. (Theodor W. Adorno). Se mi va male, perché dovrei incolpare Urano o Venere? Ecco una cosa che non riesco proprio a pensare (Enzo Biagi). L’idea morale e la nascita di una nazione. Un’idea morale ha sempre presieduto alla nascita di una nazione e quando, nei secoli successivi, si deteriore l’idea spirituale che l’ha fatta nascere, perisce la stessa nazione con le sue istituzioni e le sue leggi (Fedor M. Dostoevskij). Dante e l’Italia. Che Dante non amasse l’Italia, chi vorrà dirlo? Anch’egli fu costretto, come qualunque altro l’ha mai amata o l’amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna (Carlo Cattaneo). Il solo che abbia diritto. Solo un amore sofferto dà diritto a insultare la propria nazione (Sergej Bulgakov).

IL DEFICIT D’UN GRANDE STORICO. Hubert Jedin, studioso di fama mondiale, autore della grande Storia del Concilio di Trento, pubblicata dalla Morcelliana di Brescia, poco prima di morire pose termine al manoscritto delle sue memorie, che s’intitolano appunto Storia della mia vita, anch’esse apparse presso la stessa editrice. Soggiornando come borsista a Roma intorno al 1930, egli racconta che «per reazione al nazionalismo degli altri, e in particolare di italiani e francesi», abbandonò il pacifismo radicale della giovinezza per rafforzare in sé il senso di appartenenza alla nazione tedesca. Scrive testualmente lo Jedin: «Consideravo la presa del potere da parte di Hitler come un esperimento pericoloso, ma provavo simpatia per le sue finalità nazionaliste, naturalmente senza aver letto Mein Kampf. Così fu per me, così sarà stato per molti tedeschi» (Brescia 1987, p. 121). Ma due mesi dopo le elezioni del 5 marzo 1933, favorevoli a Hitler, il docente alla facoltà di Teologia cattolica di Breslavia fu esonerato dall’incarico che gli era stato appena conferito perché figlio di un’ebrea (pp. 122-123). L’infame discriminazione gli aprì finalmente gli occhi sulla vera natura del nazismo, e tuttavia non senza intime concessioni sul versante dell’orgoglio nazionalistico. Un esempio. Il 14 giugno 1940, com’è noto, a Parigi Hitler celebrò il trionfo della potenza nazista e in quel giorno lo Jedin compiva quarant’anni. In data 17 giugno nel diario annotava: «La vittoria militare di Hitler ha distrutto ogni mia speranza di ritornare ancora nel pieno delle mie forze a un’attività accademica e di riottenere la parità dei diritti civili. Questa constatazione predomina sull’orgoglio per i successi del soldato tedesco, sulla soddisfazione di veder cancellata l’onta fatta al popolo tedesco nel 1918-19». Le affermazioni del diario sono così commentate nell’autobiografia: «Queste frasi si basavano sull’errata convinzione che Hitler avesse già in mano la vittoria finale; non è tuttavia il caso che mi vergogni di questo giudizio sbagliato…» (p. 176).

NON COSÌ LA PENSAVANO I TESTIMONI TEDESCHI DELLA FEDE. È sorprendente constatare che lo Jedin si poneva il problema se Hitler avrebbe o no vinto la guerra e non l’altro, ben più importante, se un cristiano, benché di nazionalità tedesca, non dovesse augurarsi nel profondo la sconfitta senz’appello di un’ideologia e di un regime che si proponevano di cancellare per sempre dalla storia l’eredità ebraico-cristiana. I grandi testimoni tedeschi della coscienza cristiana – i Lichtenberg, i Bonhoeffer, i Muckermann, i von Moltke, i meravigliosi giovani della Rosa Bianca e tanti altri – capirono perfettamente che quello era il solo interrogativo che bisognava porsi. Lo vide anche il nostro Benedetto Croce, che scrisse allora le pagine commosse di Perché non possiamo non dirci cristiani.

29 ottobre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Ognuno può ben dirlo in rapporto al suo tempo. In questo tempo non so che cosa si possa scrivere, che non offenda questo o quello (hoc seculo nescio quid scribi possit, quod non hunc aut illum offendat – Erasmo, Ep. n. 2.207, 7 agosto 1529). La radice di ogni vero ecumenismo. La prima delle grazie è l’umile riconoscimento dei nostri torti. Solo una lingua penitente può aprire il processo di riconciliazione reciproca (Erasmo da Rotterdam, Lingua, 1525, 750 c – A nessuno può sfuggire il valore eminentemente ecumenico dell’appassionata raccomandazione che il maggiore degli umanismi fa ai credenti in Cristo delle due chiese, la cattolica e la protestante, nel momento stesso della loro separazione).

Misteriosa complessità di ogni uomo. Chi non sa d’un uomo se non ciò che costui sa di se stesso, non va lontano (qui ne sait d’un homme que ce que celui-ci sait de lui-même ne va pas loin – Alexis de Tocqueville, Lettre à Corcelle, 11 marzo 1854 – Oeuvres t. 15, p. 100).

«IL SILENZIO DEI VIVI». Ecco un libro autobiografico che l’Autrice s’è portato dentro per mezzo secolo, prima di decidersi a scriverlo: Il silenzio dei vivi, pubblicato da Marsilio. «Sono nata a Vienna – così si presenta l’Autrice, Elisa Springer – il dodici febbraio 1918. Figlia unica di genitori ebrei, fui educata secondo le leggi di questa religione senza mai sentirne il peso. Mi consideravo una ragazza viennese di religione ebraica, non un’ebrea. Appartenevo a una famiglia di nobili origini ungheresi, molto benestante. Ricordo con grande nostalgia la mia infanzia, la fanciullezza e la gioventù, vissute in una Vienna da sempre città ricca di stimoli culturali, di tradizioni e di grande storia. Abitavo con i miei genitori, in un palazzo della Strozzigasse, ai numeri 32-34, nell’ottavo distretto chiamato Josefstädt… In quel piccolo regno nel centro di Vienna, vissi spensieratamente».

I sogni non finti e le ardenti aspettative della giovane viennese furono, però, distrutti di colpo quando il 10 aprile 1938 Hitler annesse l’Austria al Reich germanico e il plebiscito degli austriaci gli portò il 99,08 % dei consensi! Un mese e mezzo dopo il padre di Elisa, Richard, fu internato nel campo di Buchenwald e il 28 dicembre dello stesso anno ne fu dichiarata la morte. Iniziò allora per la giovane Elisa l’odissea degli spostamenti, in Ungheria, in Bulgaria, in Italia per sfuggire alla cattura, costretta ad apprendere rapidamente lingue diverse dalla sua, nuove abitudini e attività lavorative. Così fino al 23 giugno 1944, quando fu scovata a Milano da una spia tedesca e deportata subito ad Auschwitz. Di quell’inferno i ricordi sono nitidissimi, scarnificati da cinque lunghi, interminabili decenni di silenzio, e di un silenzio reso angoscioso dall’indifferenza di quanti – per i motivi più diversi, alcuni dei quali abietti – di Auschwitz non vogliono sentir parlare. Qualche breve annotazione sul «Viaggio verso Auschwitz». Durò cinque lunghi giorni, ma la durata dice poco se non si aggiunge che il trasporto avveniva su un vagone piombato, in cui erano pigiate trentasei persone. La sola provvista, un pezzo di pane nero, e nel chiuso del vagone, il caldo ben presto si fece sentire, sino a diventare soffocante. Tutti ebbero allora una gran sete, ma non c’era acqua per soddisfarla. Si alzava il lamento dei bambini e degli ammalati. «Nel vagone – scrive Elisa Springer – si respirava un’aria nauseabonda: urine e feci si erano mescolate con la paglia. Due uomini, però, riuscirono a rompere alcune assi al centro del carro bestiame, creando così un’apertura che ci consentì finalmente di fare i nostri bisogni nascondendoci, a turno, dietro una barriera di uomini o donne». Così, prima ancora di approdare ad Auschwitz, il progetto satanico di ridurre delle persone ad animali schiavizzati dalla fame, dalla sete, dal terrore aveva già cominciato a realizzarsi. E non era che il prologo.

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Congedo. Quando sarà il momento, Signore, / concedimi di portare con me / il fico grande del giardino di Montaldo, / l’aiuola con le rose e con l’ibisco, / uno spruzzo di mare / con le sue onde lucenti, / il Campanile Basso del Brenta / e l’allegro sorriso dei miei figli. / E lascia ancora che porti con me / il piccolo scrittoio in camera da letto / perché possa vedere per sempre / mia moglie che scrive / al lume della lampada (Giovanni Cristini, Poesie 1978-1995, Milano 1997. La composizione reca la data 9.10.1995).

5 novembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Tentazione e saggezza. Meglio non far entrare il diavolo che cercare poi di metterlo alla porta (Proverbio inglese). L’onestà del Cinico doc. Non uccidere ha detto. «Se un altro lo può fare al tuo posto», ha aggiunto (Stanislaw Jerzy Lec, Nuovi pensieri sfrenati, 1992).

L’arte autentica. Tutto passa: l’arte solida / sola ha l’eternità (Tout passe: l’art robuste / seul a l’éternité – Théophile Gautier). L’ultimo traguardo. Tutti noi attendiamo / l’avvento della luce / che ci unifica e ci assolve (Mario Luzi).

TRE RASSEMBLEMENTS DI GRANDI FOLLE: UN FENOMENO DA DECIFRARE. Storicamente i grandi rassemblements sono stati l’espressione dell’entusiasmo oppure della rabbia collettivi: in un caso, dell’esaltante soddisfazione delle più vitali aspettative come la vittoria sul nemico, la liberazione dall’occupante, la vittoria in un referendum decisivo; nell’altro caso, della delusione per i propri diritti calpestati o per le proprie aspettative tradite. Nella settimana dei fiori – che seguì alla morte di Lady Diana, i primi giorni di settembre 1997 – non v’è stato entusiasmo né rabbia. Si tratta evidentemente – scrive Paolo Ceri su «Il Mulino» (1997, n. 5) – di un caso anomalo, ma per certi aspetti non del tutto isolato. Altri casi di mobilitazione diversi da quelli tradizionali si sono verificati, infatti, negli ultimi tempi: in Belgio nell’ottobre 1966 la marche blanche contro la pedofilia; in Spagna nel luglio 1997 le manifestazioni in occasione dell’assassinio dell’assessore Miguel Blanco per mano dell’Eta. Luc Rosenzweig ha colto con sensibilità sociologica rilevanti assonanze tra queste due manifestazioni e quella per Lady Di. Sono «eventi inattesi» nei quali «la folla, la grande folla, è scesa in strada senza essere espressamente convocata, battendo tutti i record» (Le Mond, 11 settembre 1997).

I tratti comuni a tutte e tre le manifestazioni sono la spontaneità della mobilitazione, il suo carattere del tutto non violento e simbolico, l’appartenenza alle più diverse classi sociali dei partecipanti. Tratti distintivi: i sentimenti trascinanti sono stati in Belgio la vergogna, la rabbia e la compassione, in Spagna la rabbia e la compassione, in Gran Bretagna la compassione soltanto. La mobilitazione spagnola e quella inglese aggiungono in più la componente integrativa, cosicché se in Belgio la popolazione mette sotto accusa l’intera classe politica, negli altri due casi accetta che questa si associ alla sua iniziativa. Dei tre rassemblements, però, a nostro avviso è proprio il più debole e ambiguo – sia nelle motivazioni, sia nel messaggio di cui l’evento è caricato inconsciamente da chi vi prende parte – quello originato dalla tragica fine di Diana Spencer, che ha avuto una risonanza planetaria, se è vero che l’audience televisiva registrata il 6 settembre, in occasione dei funerali, fu la più alta che si conosca, avendo superato i due miliardi di spettatori. Il dato certo è che oggi, in virtù della capillare diffusione e uniformità della comunicazione televisiva, nel villaggio globale è possibile a centinaia di milioni di cuori pulsare all’unisono e abbandonarsi alla più intensa commozione collettiva; rimane, però, assai difficile per chiunque spiegare un fenomeno importante per la sua eccezionale vastità e nello stesso tempo così privo di lucidità da qualsiasi punto di vista lo si voglia considerare.

LA GUERRA COME FOLLIA CRIMINOSA. Nel mondo classico una della voci più alte che si levarono a condanna della follia criminosa della guerra fu quella di Seneca. Ascoltiamola attraverso una pagina di grande intensità e bellezza, tratta dalla Lettera 95, 30-33. «Soffriamo di una follia collettiva, oltre che privata. Gli omicidi e gli assassini, se compiuti singolarmente, vengono, sì, puniti; ma come giudicare le guerre, e il delitto glorioso di far strage di popoli? Avidità di possesso e crudeltà non hanno limiti. E finché colpe del genere sono commesse di nascosto e individualmente sono meno nocive e dannose; ma le vere atrocità vengono perpetrate in forza di senatoconsulti e deliberazioni popolari; ciò che ai privati viene proibito, è poi ordinato dallo Stato. Fatti che, commessi furtivamente, si sconterebbero con la vita, noi li lodiamo quando chi li commette porta una divisa. L’uomo, la più mite delle creature, non si vergogna di godere del sangue reciproco, di fare la guerra e di trasmettere il dovere ai figli, mentre persino gli animali e le bestie feroci vivono in pace fra loro. Contro una follia così violenta e dilagante la filosofia è diventata più solerte, ha raccolto tante più forze quanto più crescevano quelle del nemico da combattere»

12 novembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La forza dell’uomo libero. Egli spezza tutte le convenzioni, ma osserva i comandamenti. Naufragio provvido. Soltanto quando avete fatto naufragio sul serio, trovate sul serio ciò che vi occorre. (Gilbert Keith Chesterton)

Il surplus di notizie. Il bombardamento implacabile di notizie nella nostra psiche è come il sovrapporsi di più riflettori puntati negli occhi: la luce è tanta, ma si vede poco o nulla. Andate in libreria. Bisogna andare in libreria, e spesso, malgrado i best seller. Etimologia maligna. In ceri casi diventa naturale pensare che le parole manager e maneggione siano etimologicamente imparentate. (Levi Appulo).

Gli uccelli. Tutti quelli cui le piume accordano / l’illimitata libertà del cielo (Wystan H. Auden). Aristotele. Aristotele, il grande cartografo dei nostri paesaggi intellettuali ereditati… (Salvatore Veca).

TRE INTERROGATIVI SULLA PADANIA INDIPENDENTE. 1. Abolirà la Padania indipendente col tricolore anche la lingua italiana? Ma provate a far parlare insieme nei loro dialetti un genovese, un bergamasco, un lumezzanese, un cuneense e un udinese: l’uno non capirebbe una parola dell’altro. L’unico tramite possibile perché s’intendano tra loro rimane pur sempre la lingua nazionale.

  1. Le regioni attraversata dal Po nel corso della storia hanno avuto un destino comune e una qualche configurazione politica? No, non vi è nella loro storia politica traccia di unità, neppure la più labile. Il Lombardo-Veneto fu unito, e fino ad un certo punto, solo sotto la dominazione austriaca; ma la Serenissima e Milano si combatterono per secoli. E non parliamo del Piemonte e di Genova. Anche i tipi di economia che caratterizzano il Nord-Ovest e il Nord-Est sono fra loro non solo diversi, ma opposti.
  2. Quali sono le regioni italiane che ricevono più servizi di quante tasse paghino? Sono cinque: la Liguria, la Val d’Aosta, il Trentino, il Friuli – Venezia Giulia, la Toscana. Dunque ben quattro sono del Nord.

ALCUNE RIFLESSIONI DEL 1903, VERE ANCHE OGGI. La vita intima. Il mio progetto è di parlare della vita intima, dir come nasce, come si sviluppa, da cosa trae nutrimento e cosa la soffoca e la storce; dire dove si mostra con maggiore pienezza e quali simboli essa riveste, e sotto quali maschere si nasconde; del modo di tenerla segreta, e di portarla sì alta che nessuno la giunga; di farne l’elogio a dispetto dei mille suoi avversari: l’uomo mediocre, l’uomo comune, il goditore materiale, il letterato: contro tutti insomma coloro che sono schiavi diretti, o indiretti, coll’esserne i padroni, del mondo esterno.

Chi sono gli altri per noi? Noi non conosciamo degli individui che alcuni punti e brandelli di vita; e di alcuni individui soltanto quei punti che essi vogliono mostrarci; e la nostra immaginazione è in continuo lavoro per riunirli e farne un tutto che ci soddisfaccia e ci sia utile, in quella delle direzioni della nostra anima che è preponderante: l’estetica, la morale, la mercantile. Siccome poi quello che conosciamo è pochissimo di fronte a quello che noi non sappiamo degli altri, e che talora conosciamo il solo straordinario, o il solo aspetto esterno, così le altre persone sono su per giù nostre creazioni, o meglio nostre costruzioni ed integrazioni, e il loro esame ci potrà assai bene servire di base a un giudizio su noi stessi.

Possedere le cose interiormente. Problema della proprietà. Le cose non si danno a tutti; per possederle bisogna viverle; chi le possiede internamente ne è più padrone del possessore materiale. Vi sono delle antiche famiglie e dei parvenus che hanno nei loro palazzi molte cose di cui non sono padroni: dei libri, dei quadri, delle donne. Così l’amicizia dei grandi uomini consiste soprattutto nel modo con cui essi e noi ci compenetriamo idealmente, essi per mezzo delle loro opere, poi per mezzo dei nostri istanti di elevazione intellettuale; non già nel salutarli per strada o incontrarli nei salotti o riceverne le dediche. Senza di che, come contare fra i nostri amici tanti di coloro che sono morti, ma dei quali sopravvive l’opera o un frammento di essa o di nome soltanto? (Giuseppe Prezzolini, Vita intima, 1903; ripubblicata in Scrittori italiani di Aforismi, 2° vol., Milano 1996).

19 novembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Avere ed essere. Fate attenzione, tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. Chi accumula tesori per sé non arricchisce davanti a Dio. Non c’è nulla di nascosto che tenga. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto, ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunziato sui tetti. (Vangelo di Luca)

Lo vuoi un consiglio? Non datemi consigli, so sbagliare da solo (Leo Longanesi). I consigli di vera saggezza suonano sempre troppo semplici. Per questo non si seguono (Beniamino Placido).

Due battute di Hitchcock. Quando mi occupavo di cinema, ebbi la fortuna d’intervistare Hitchcock, l’insuperato mago del brivido, l’inventore della suspence: «Se girassi Biancaneve e i sette nani», mi disse, «la gente sarebbe inchiodata sulla poltrona a chiedersi quale nano ucciderà Biancaneve». Spiegò con un esempio la sua ricetta del terrore: «Maria Stuarda pose la testa regale sul ceppo dicendo al boia: Please; e dopo che il boia ha fatto il suo lavoro, la testa si volta e sussurra: Thank You» (Franca Zambonino).

È L’«INTENSITÀ» LO STILE DELL’ARTE DEL NOSTRO TEMPO? Ecco una frase sconcertante: «Il bello è sempre bizzarro». Ma poiché a scriverla è Baudelaire, che di arte e di bellezza se ne intendeva, ho il dovere di prenderla sul serio e di cercare il nocciolo di verità che essa di certo racchiude. Il procedimento da cui prendo le mosse è semplice: provo a rivoltare la frase nel suo contrario. Il risultato è semplicemente qualcosa di impensabile: «Il bello è sempre banale». È quanto basta a dare all’aggettivo che fa scandalo, «bizzarro», un primo significato: quel termine provocatorio sta a designare ciò che ha forza di urtare e semplificare le nostre percezioni e i nostri modi abituali di rappresentarle. Dunque il bello per l’artista non è immaginabile se non a partire da una rottura con l’usuale, il deja vu, il precostituito. L’animo si fa poetico e può muovere alla ricerca di un linguaggio poetico solo se riesce a liberarsi – con uno sforzo doloroso di ascesi – da un mondo ritagliato a misura dei nostri bisogni sociali di pratica utilità. È il momento che chiamerei «bergsoniano» della creazione artistica, ciò che ad essa conferisce senso e intensità. Hyppolite Taine – uno dei più chiusi pensatori positivisti del secondo Ottocento, che però era storico e critico letterario di notevole levatura – aveva intravisto qualcosa del genere quando individuava nell’intensità «la grande rivoluzione dello stile moderno». Mi chiedo se non sia proprio la ricerca dell’intensità a spingere gli artisti del nostro tempo a disfare – e con un accanimento prima del tutto sconosciuto – l’oggetto stesso della percezione nel tentativo di coglierlo, al di là di schemi di comodo e griglie pseudo-concettuali, come parte del loro io profondo e, dunque, del loro sentimento della vita. Ma se questa linea interpretativa ha una sua qualche plausibilità, la garanzia della propria autenticità l’arte contemporanea potrebbe ravvisarla nel farsi sempre più ricerca dell’essenziale, avviando un processo al limite di semplificazione delle stesse forme espressive.

ALLA RICERCA DELLA SAGGEZZA. Dieci consigli da non disattendere (Sir. 4, 23-33). 1. Esamina con prudenza la situazione in cui ti trovi e considera bene le ingiustizie che vi sono. 2. Non vergognarti di quello che sei. 3. Se fai dei favori, guarda di non danneggiare te stesso. 4. L’eccessivo rispetto degli altri non deve indurre te al male. 5. Quando è necessario farlo, non tacere. 6. Non metterti contro la verità e riconosci i tuoi limiti. 7. Non vergognarti di ammettere i tuoi torti, sarebbe come andare contro corrente. 8. Conserva la tua indipendenza di fronte agli stupidi. 9. Non lasciarti influenzare da chi ha il potere. 10. Lotta per la verità fino alla morte e il Signore Dio lotterà con te.

Queste raccomandazioni a chi vuol diventare una persona buona e saggia si rivelano di una sorprendente acutezza morale e psicologica. Furono scritte verso il 190-180 a. C. e il libro che le propone all’umanità è l’ultimo dell’Antico Testamento, il Siracide, che ha come autore appunto Ben il Siracide, rappresentante tipico degli «hasidim», gli uomini pii per eccellenza del giudaismo. La Chiesa cristiana include fin dalle origini tra i libri canonici della Bibbia quel testo designato per secoli col nome Ecclesiastico (dal latino «Liber ecclesiasticus»).

26 novembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Altro che Alessandro e Napoleone! Nella mente di sant’Agostino e di Kant sono state combattute battaglie più importanti e più grandiose di quelle di Alessandro e di Napoleone. Ciò che è comodo, ciò che nuoce. È sempre comodo imparare, massime dai nemici; è sempre nocivo insegnare, massime agli amici. Per mia fortuna. Io non sono sempre delle mie opinioni, né appartengo sempre alla mia scuola. Abbasso ed evviva. L’italiano non dice mai bene di quello che fa il governo, anche se ha fatto bene; però non c’è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il governo non pensa a tutto. Guardare indietro e guardare avanti. Chi guarda soltanto avanti, ha tanta ragione quanto quello che guarda soltanto indietro; e perciò fu messo lo specchietto a chi guida l’auto. Per guidare bene bisogna stare attento a chi s’incontra ma anche a chi ci segue o ci insegue. E chi scappa deve obbedire alla stessa regola di chi lo cerca. (Giuseppe Prezzolini)

L’ESPERIENZA-SHOCK DI UN RAGAZZO DI NOME MARTIN BUBER. Mi ha colpito profondamente una frase di Martin Buber: «Vorrei morire stringendo una mano». Buber, tra i filosofi del linguaggio, è quello che ha maggiormente sottolineato, e con convinzione, il carattere fondante della relazione interpersonale. Non a caso il titolo del capolavoro di Buber è Il principio dialogico, che si può leggere nella recente traduzione pubblicata dalla San Paolo nel 1993, già alla terza edizione nel ‘97. Solo di recente, però, sono venuto a conoscenza dell’esperienza-shock, che fu alla base dell’orientamento filosofico del pensatore ebreo e che egli stesso ebbe a confidare all’intervistatore. A tre anni Buber subì dolorosamente il divorzio dei genitori. In Meetings racconta: «Non mi ricordo di averle mai parlato di mia madre. Ma mi pare di sentire ancora quella baby-sitter dirmi: “No, lei non tornerà mai più”. So che rimasi in silenzio. Ricordo anche che non ebbi alcun dubbio sulla verità di quelle parole: essa si fissò in me, si impresse sempre più profondamente, anno dopo anno, nel mio cuore; ma è dopo più di dieci anni che cominciai a percepirlo come una realtà che non riguardava soltanto me ma ciascun essere umano. Coniai più tardi la parola “disincontro” (Vergegnung), per intendere il fallimento dell’incontro reale tra persone… Credo che quanto compresi successivamente, nel corso della mia vita, sull’incontro autentico abbia la sua genesi proprio in quell’ora, lassù, su quel balcone».

Buber comprese che sull’incontro o, in negativo, sul mancato incontro si gioca l’umanizzazione dell’uomo (Traggo la citazione dal volume: Giuseppe Milan, Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, Roma 1994, p. 8).

POETI DEL NOSTRO TEMPO. Inno alla gioia. Questa coscienza di sentirsi vivi / nei propri passi, nel gesto / o in un volto che non è un volto ma un sogno / che appare e che dispare / nel cerchio di un sorriso / – scoperta della mente, tumulto del cuore / prima che turbamento / peso vuoto languore / delle viscere, tormento / e potenziale energia / in sé chiusa e repressa come l’arco / teso e pronto allo scatto – / questo è l’inno alla gioia / alla piena d’amore / che in sé riassume il mondo / e che lo esprime (Giovanni Cristini, Poesie 1978-1995, Milano 1997).

3 dicembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Succede a tutti noi. Si dice che l’usignolo si trafigga il petto con una spina ogni volta che leva un canto d’amore. Succede a tutti noi (Gibran Khalil Gibran). Cercar di dire quello che non si può dire. Una grandissima parte dell’uomo non può essere detta. La poesia cerca di dire quello che non si può dire. È una scommessa rischiosa, che nessun sistema dell’informazione potrebbe accettare: se lo facesse, verrebbe subito messo in liquidazione. Così, la poesia, è mettere in parole quello che, a rigore, non può essere messo in parole, quello che non ha nemmeno «forma di parole» (Alberto Asor Rosa). Rimedio drastico, ma efficace. I grandi oratori che dominano le assemblee con lo splendore delle loro parole sono, generalmente, gli uomini politici più mediocri. Non vanno combattuti con le parole, ne hanno sempre di più roboanti delle vostre. Occorre opporre alla loro facondia un ragionamento stringato, logico. Poiché la loro forza consiste in ciò che è vago; occorre riportarli alla realtà dei fatti (Napoleone Bonaparte). Ingannevole la chiarezza che manchi di precisione. Io temo sempre che, parlando di chiarezza, non si pensi affatto a quello che ne è il requisito fondamentale: la precisione. Per essere precisi è necessaria una padronanza sicura della lingua, che si acquisisce soltanto cercando di conoscerne e saperne usare le diverse forme e sfumature. Un discorso può essere chiarissimo, perché semplice, ma incomprensibile, perché impreciso, o, peggio, ambiguo, tanto da offrire al lettore o all’ascoltatore il dubbio sulla vera interpretazione che è da darsi; in casi abbastanza frequenti si finisce col capire l’opposto di quel che l’autore vuole dire effettivamente (Giorgio Barberi Squarotti).

ERASMO E MORE, COSÌ DIVERSI, COSÌ INSEPARABILI. È difficile, se non addirittura impossibile, scindere il ricordo di Erasmo da quello di Thomas More. È vero che i biografi, più o meno avvertiti, lasciano spesso nell’ombra l’immagine di quello dei due amici che nuoce alla loro tesi: a chi fa di More un modello di ortodossia alquanto rigida, la vicinanza del malizioso umanista può sembrare compromettente; a chi vuol vedere in Erasmo uno scettico ed un incredulo, il ricordo del suo migliore amico, martire della fede cattolica, deve apparire ingombrante. Ciò non toglie che i due uomini, abbeverati alle medesime fonti, vissuti nelle stessa epoca, legati da una di quelle simpatie totali la cui delicatezza si rivela in mille tratti affascinanti, resteranno nella storia come una delle coppie predestinate, di cui restano incantati sia i giovani, nei loro entusiasmi, sia gli anziani, nelle loro riflessioni sulla vita.

UNO SLOGAN PER… CANCELLARE IL PENSIERO. Lo slogan è chiarissima, netta affermazione che non ammette replica. Aggredisce per persuadere, per convincere non solo a comprare una pessima grappa, ma anche a mutare sistema di governo. I dittatori l’hanno sempre saputo. Nel suo primo incontro ufficiale ad una conferenza stampa con un divo della politica (Benito Mussolini, eravamo nel 1921), una penna acuta come Ugo Ojetti scriveva – lo si legge in Cose viste – che la definizione dell’aspirante dittatore erano «niente nebbia, niente grigi, tutto il mondo ridotto a bianco e nero». Ojetti aggiungeva: «Lui i dubbi se li tiene per sé». Il bianco ed il nero del linguaggio, lo slogan allora, la parola propagandistica che genera il consenso, promuove concetti indubitabili, fa sembrare necessarie cose che non lo sono affatto (la propaganda nazista che convinse gli ebrei tedeschi a sentirsi colpevoli di essere tali ne è un classico esempio). Lo slogan è il massimo del parlar facile che non lascia pensare.

10 dicembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il valore primario, la Giustizia. Presta l’orecchio a Giustizia e dimentica completamente il Sopruso (Esiodo). Nella Giustizia sono già comprese tutte quante le virtù (Focilide). Andrò senza piegare di qua e di là, per la via diritta, perché io devo pensare solo cose giuste (Teognide).

Uno spiraglio. Le cose visibili sono uno spiraglio sull’invisibile (Anassagora). Il dono dell’intelligenza. È l’intelligenza che vede, è l’intelligenza che ode e tutto il resto è sordo e cieco (Epicarmo). Il punto di Archimede nella vita di uno Stato. Le finanze sono sempre state considerate il punto di forza dello Stato, perché, come quello di Archimede, una volta stabilito solidamente, permette di muovere tutto (Armand-Jean du Plessis Cardinal de Richelieu). Per contrasto o per adesione, tutto viene di lì. La Bibbia è il libro che, non solo per la cultura occidentale, definisce il concetto stesso di un testo: tutti gli altri, in un modo o nell’altro, da quello discendono, per contrasto o adesione, espliciti o impliciti, quasi variazione infinita (George Steiner).

BERGSON: CINQUE PROPOSTE PER LA SCUOLA SECONDARIA. Nel novembre del 1919, il filosofo Henri Bergson è eletto membro del Consiglio superiore dell’Istruzione pubblica in Francia e partecipa ai lavori con assiduità. Ne fa parte fino al 1925. Quali sono le idee e la proposta del grande filosofo per riorganizzare l’insegnamento superiore della sua nazione? Sono riducibili a cinque punti ben precisi.

  1. Occorre tener conto che vi sono tipi diversi di intelligenza da valorizzare e nello stesso tempo evitare ogni precoce specializzazione. Anche se tra loro differenziate, le scuole secondarie hanno come scopo primario l’educazione dell’intelligenza e del buon senso, del carattere morale e del senso civico.
  2. Si deve rafforzare l’insegnamento umanistico con un solido insegnamento scientifico, sì che il liceo classico risulti una scuola di alto livello che renda gli allievi, reclutati per merito da tutti i ceti sociali, realmente idonei agli studi superiori e a certe carriere. È un errore sia abolire il liceo classico, sia farne l’unico modello di scuola secondaria.
  3. È del pari urgente organizzare in modo diffuso ed efficiente un sistema di «insegnamento industriale, commerciale e agricolo», in stretto rapporto con le necessità produttive del Paese. Occorre, insomma, una scuola di cultura scientifica che sia, però, nettamente orientata verso la pratica e l’inserimento nel mondo produttivo.
  4. Il problema sociale esige un innalzamento del grado generale d’istruzione del popolo con un appropriato sistema scolastico di formazione umana e professionale, sì da poter disporre su tutto il territorio nazionale di un esercito di tecnici e operai altamente specializzati.
  5. La democrazia in campo scolastico non si salvaguarda con soluzioni demagogiche, quale è quella della «scuola secondaria unica», né abbassando il livello culturale dei licei e delle università. Occorre, invece, assicurare a tutti uguali punti di partenza nella gara della vita e ai migliori l’accesso agli studi più alti.

A veder bene, quel programma di riforme – serie, assolutamente necessarie e insieme possibili – rimane ancora valido, nella sua estrema concretezza e, a settant’anni di distanza, sarebbe una benedizione per l’Italia se i nostri addetti ai lavori lo facessero proprio. Ma la lucidità del buon senso e l’aderenza effettiva ai bisogni della nazione potranno mai averla vinta sulla demagogia insensata e sulle dotte, logorroiche insulsaggini dei sedicenti «specialisti»?

L’ANGOLO DI PAOLO. Sono un essere debole. Sono un essere debole, schiavo del peccato. Infatti non riesco nemmeno a capire quello che faccio: quello che voglio non lo faccio, faccio invece ciò che odio. Ma se io faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona. Allora non sono più io che agisco, ma il peccato che abita in me. So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio (Lettera ai Romani 7,15-19). La grande scelta. Offritevi come strumenti di bene al servizio di Dio (ibid. 6,13). Chi porta buone notizie. Come dice la Bibbia: «Quant’è bello vedere arrivare chi porta buone notizie!» (ibid. 10,15). Allo stesso tempo. Dio è allo stesso tempo buono e severo (ibid. 11,22).

17 dicembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il doppio sradicamento dell’uomo. Lo spirituale è anch’esso carnale. Il corpo e l’anima sono come due mani strette. Ogni anima che si salva, salva anche il suo corpo. Anche noi come lui. Io servo una sola Repubblica, la Repubblica dalle mani pulite. (Charles Péguy)

La gloria in questo mondo talora è… «La gloria è forse la somma dei malintesi che si accumulano su un nome (Rainer M. Rilke). Persona e personaggio. C’è chi diventa personaggio perché non sa essere persona (Gesualdo Bufalino). Lo sguardo interiore. L’intenzione è lo sguardo dell’anima (Jacques Bénigne Bossuet). Che cosa dovrebbe essere uno scritto? Un libro non è niente, se non è apertura, discorso introduttivo, prolegomeno a una verità essenziale (Levi Appulo).

CHI SI RIFIUTA ALL’ALTRO, ANNIENTA SE STESSO. Ogni attività umana autentica è dialogo: dialogo con il mondo che è poesia, dialogo con gli altri che è amore, dialogo con Dio che è preghiera. La tentazione propria del pensiero è il monologo: basta murarsi nel proprio sistema e rifiutare l’altro per annientare se stesso. Il vero pensiero, al contrario, è dialogo: è, come dice Platone, il dialogo dell’anima con se stessa. E l’anima non può dialogare con se stessa se non ha saputo accogliere l’altro, se l’altro non è già in essa. Il mondo moderno è pieno di individui monologanti che, senza mai accogliere l’altro, si oppongono e si urtano.

QUELLA CRUDELE PERVERSIONE NEL PUNIRE. La mattina all’alba, intorno alle cinque, venivamo svegliate dalla Blockowa (capobaracca): iniziava così la nostra giornata di miseria e di paura. La vita, ad Auschwitz, era segnata da rituali ben precisi. Ogni giorno, si veniva sottoposte allo Zühlappell (appello) che aveva luogo all’aperto. Ci obbligavano, in fila per cinque, a rimanere immobili con lo sguardo fisso avanti per lunghe interminabili ore. La durata dell’appello variava a seconda delle condizioni climatiche e così, se faceva freddo e pioveva, i tempi si allungavano, diversamente diminuivano. L’impossibilità di muoverci era assoluta e se qualcuna, cedendo alla stanchezza e agli stenti, crollava, le SS la sottoponevano alle più svariate punizioni, coinvolgendo anche chi, eventualmente, le avesse prestato aiuto. La tecnica delle punizioni variava a seconda dei casi e dei momenti: si passava dallo strappo delle unghie, ai calci con i pesanti stivali delle SS, alle bastonate inferte con rara crudeltà. Le capobaracche sembrava provassero un piacere indicibile nell’infliggere le punizioni. Fra tutte, una delle più frequenti consisteva nel farci inginocchiare, con le mani sollevate verso l’alto, reggendo dei mattoni pesantissimi: in questa posizione dovevamo rimanere ore, fino a quando non perdevamo i sensi, ormai sfinite. Il trattamento punitivo veniva riservato anche a chi non comprendeva, subito, gli ordini impartiti dai tedeschi. Una mattina, solo per aver aiutato durante l’appello una compagna che era sul punto di svenire, fui chiamata fuori dal gruppo da un ufficiale che, davanti a tutte, con un ferro rovente, mi bruciò l’interno della coscia destra (Da Il silenzio dei vivi di Elisa Springer, Venezia 1997, pp. 77-78).

IL FOLLE ESPERIMENTO. È famoso il folle esperimento compiuto da Federico II nel XIII secolo su un gruppo di bambini. Così lo descrive uno storico: «La sua idea era quella di scoprire che tipo di linguaggio e che modo di parlare avrebbero avuto i bambini se fossero cresciuti senza che alcuno parlasse mai con loro. Allora ordinò alle nutrici e alle balie di allattare i bambini, di far loro il bagno e lavarli, ma di non proferire sillaba, né di parlare con loro perché voleva sapere se avrebbero parlato ebraico, che è la lingua più antica, oppure il greco o il latino o l’arabo, o forse la lingua dei genitori che li avevano procreati. Ma si affannò invano perché tutti i bambini morirono. Non riuscirono a vivere senza le carezze, i visi lieti e le parole amorevoli delle loro nutrici» (Ian Robertson, Elementi di sociologia, Bologna 1996, p. 65).

L’ANGOLO DI PAOLO. Inno alla sapienza di Dio. Quanto è profonda, o Dio, la tua ricchezza, la tua sapienza, la tua scienza! / Quanto sono imperscrutabili i tuoi giudizi e superiori alle nostre vedute le tue vie! / Chi ha mai potuto conoscere il tuo pensiero, o Signore? / E chi ha mai saputo darti un consiglio? / Chi ti ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? / Tutto viene da te, esiste grazie a te e tutto tende a te. A te sale, Dio, il nostro inno di lode per sempre. Amen. (San Paolo, Lettera ai Romani 11, 33-36).

24 dicembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Di te si tratta. Vi parlo di me, ma parlo di voi (Victor Hugo). L’amore e la poesia. La condensazione espressiva e l’alta valenza simbolica della poesia sono fatte apposta per esprimere la complessa, inesauribile fenomenologia del sentimento amoroso (Guido Davico Bonino). Non cessa di preoccuparci. Che un avventuriero o un’avventuriera tessano intrighi, talora ne vengono travolti, talora ne traggono vantaggio, è normale. Ma che una persona presumibilmente di media intelligenza, con doveri politici e religiosi, da questi intrighi sia convinto, affascinato, obnubilato, e riesca a consacrarsi alla storia come monumento di imbecillità, questo non cessa di preoccuparci (Umberto Eco).

TOCCA IL MIO ANIMO COL SOFFIO DELLA TUA ETERNITÀ. Nel penultimo Natale del secolo mi è caro porgere un cordialissimo augurio ai lettori che, un giovedì dopo l’altro, mi seguono da ormai dieci anni, perché tanti ne sono passati dal gennaio 1988, quando ebbe inizio questa rubrica. Lo faccio con le parole di un pensatore che, nel corso degli anni, insieme abbiamo imparato a conoscere e ad amare: Romano Guardini.

Nella nostra vita, che è un andare verso la morte, noi presagiamo o Signore, la tua eternità. Di là sei venuto a noi, Gesù, e ci hai portato l’annuncio di “ciò che nessun occhio ha veduto e nessun orecchio ha udito e che non è penetrato in alcun cuore umano”. Quando il tempo sarà compiuto, là pure sarà la mia patria. Fammi certo di questo. Fa’ che nel mio cuore non muoia mai il desiderio, affinché nel mutare della vita io rimanga unito a ciò che solo dà misura e senso a ogni cosa. Tocca il mio animo col soffio della tua eternità, affinché io compia bene la mia opera nel tempo e possa un giorno portarla nel tuo regno eterno (Da Preghiere teologiche, Brescia, 1986).

IL DONO E L’ARTE DI ASCOLTARE. Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua parola, così l’inizio dell’amore per un altro essere umano sta nell’imparare ad ascoltarlo. È per amore che Dio non solo ci dà la sua parola, ma ci porge pure il suo orecchio. Altrettanto è opera di Dio se siamo capaci di ascoltare il fratello. I cristiani, e specialmente i predicatori, credono spesso di dover sempre «offrire» qualcosa all’altro, quando si trovano con lui: e lo ritengono, come loro unico compito. Ma, così facendo, dimenticano che ascoltare può essere un servizio ben più grande del parlare. Molti uomini cercano un orecchio che sia pronto ad ascoltarli ma non lo trovano tra i cristiani, perché questi parlano anche quando dovrebbero ascoltare. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non saprà neppure ascoltare Dio: anche di fronte a Dio, infatti, sarà sempre lui a parlare. Qui ha inizio la morte della vita spirituale, ed infine non restano altro che le chiacchiere spirituali, la condiscendenza fratesca che soffoca in tante parole pie. Chi non sa ascoltare a lungo e con pazienza, parlerà senza toccare mai veramente l’altro, senza avvertirne i bisogni e le domande. Chi crede che il suo tempo è troppo prezioso per essere perso ad ascoltare il prossimo, non avrà veramente tempo per Dio e per il fratello, ma sempre e solo per se stesso, per le sue parole e per i suoi progetti. Dobbiamo, invece, ascoltare con l’orecchio di Dio, affinché ci sia dato di parlare con la parola di Dio (Dietrich Bonhoeffer, La vita comune, Brescia 1978, pp. 123-125).

BENIGNI «BATTE» SPIELBERG. È quanto scrive Peter Alexander Meyers, su Le Monde (31.10.1998). «Benigni sa una cosa che registi come Spielberg rifiutano di riconoscere: per chi aspira a fare un grande film su un argomento importante in questa estrema fine secolo, il realismo è un’impasse. Benigni ci porta brillantemente in un’altra direzione, quella dell’allegoria visuale di cui sono protagonisti il Buffone, che rivela instancabilmente l’assurdità del mondo, e il Bambino, troppo innocente per vedere le cose come stanno veramente. Benigni, forte di una magia ereditata da Fellini, trova la finezza necessaria per allargare la nostra comprensione della Shoah. Nello stesso tempo, il suo approccio allegorico mette in luce dei problemi che restano impliciti nelle nostre rappresentazioni abituali dell’atroce».

L’ANGOLO DI PAOLO. Attenzione all’autostima. Dico a ciascuno di voi di non sopravvalutarvi, ma di valutarvi invece in modo giusto (Lettera ai Romani 12, 3). Non giudicare. Accogliete chi è debole nella fede, senza criticare le sue opinioni (ibid. 14, 1). Il regno di Dio e i tabù. Il regno di Dio non è fatto di questioni che riguardano il mangiare e il bere, ma esso è giustizia, pace e gioia che viene dallo Spirito Santo (ibid. 14, 17).

31 dicembre 1998.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Temperamento e formazione umana. L’insieme delle disposizioni congenite costituiscono la scaletta mentale di un uomo; ma lungo la sua esistenza storica, ciò che conta e che fa di lui una persona è la capacità di scorgere nel proprio temperamento l’ostacolo da superare e insieme il punto su cui far leva. Dunque si deve scegliere in primo luogo fra le nostre stesse tendenze per elevare a dignità di valore morale le ambizioni generose e il desiderio di bene che ci portiamo dentro. L’accettazione fraterna. L’amore reciproco delle persone nasce dall’accettazione fraterna delle legittime differenze. (Levi Appulo)

Disgrazia postuma inevitabile. Se muore un grande artista o intellettuale in tv si celebrano infiniti funerali con uso di spot dove gli amici dipingono la buonanima come un fesso qualsiasi, pieno di tic e hobby, amante della Nutella, e guai a chi parla del significato dell’opera. L’essenza, l’alto, l’oltre non esistono più (Curzio Maltese).

DISTINGUERE FRA SOCCORSO ALLE VITTIME E CACCIA AI CRIMINALI. Saettano con i gommoni fin sottocosta, buttano in mare il carico di mamme e bambini, virano in velocità e si dileguano nelle tenebre. Ormai è il bollettino fisso dei telegiornali che completano la notizia con l’elenco dei profughi soccorsi, a volte annegati, sempre assiderati, spesso depredati da chi già li aveva vessati con pedaggi di rapina. Benedetti carabinieri, poliziotti e finanzieri che salvano le vittime, avvolgono amorevolmente i bambini in coperte asciutte, accompagnano quei disgraziati nei centri di accoglienza. Ma, Domine Iddio, perché non alzano un mignolo contro gli scafisti sterminatori? Quante volte ci siamo ribellati a certe riprese televisive: si vede un gommone illuminato da un faro (di elicottero, di una motovedetta?) ma tutto finisce lì: come in una gara di offshore. Certo non dipende dai nostri militari. Ma dagli ordini che ricevono. Domandiamo allora ai nuovi ministri dell’Interno e della Difesa: perché in terraferma un criminale in fuga viene inseguito, la polizia spara alle gomme, e se viene catturato, finisce in galera? E diversamente questi fuorilegge di mare (spesso rei di omicidio, di rapina, di violazione delle acque territoriali) godono di una scandalosa immunità? Lo Stato italiano è in grado di allestire imbarcazioni più veloci dei famigerati gommoni albanesi? Di installarvi radar e congegni a infrarossi per localizzarli nelle notti senza luna? Lo Stato italiano, soprattutto, ritroverà la lucidità di mente per distinguere fra compiti umanitari (soccorso alle vittime) e doveri istituzionali (caccia ai criminali)? L’Italia è la sponda più esposta d’Europa ed è giusto chiedere ai nostri partner di assumersi oneri e responsabilità nell’affrontare un’immigrazione di proporzioni bibliche. Ma i nostri partner ci possono chiedere se abbiamo paura di cento scafisti e se ne incoraggiamo con la nostra inerzia la spavalderia di questi delinquenti (Luca Goldoni, Sette del 5 novembre 1998).

OBBEDIENZA E IRRESPONSABILITÀ: IL «CASO VICHY» (E GLI ALTRI). Gli orrori che abbiamo visto e quelli che vedremo non sono per nulla il segno che il numero dei rivoltosi, degli insorti, degli indomabili aumenta nel mondo, ma ben piuttosto che cresce di continuo, con una rapidità stupefacente, il numero degli obbedienti, dei docili, degli uomini che non cercano di capire e coniugano, come meglio possono, obbedienza e irresponsabilità. «Che volete? Non sono responsabile!». Ecco la scusa-tipo valida in qualunque caso! Migliaia di bravi uomini del mio paese l’hanno intesa dalla bocca del poliziotto e del gendarme di Vichy durante l’occupazione tedesca. Questi poliziotti, questi gendarmi erano loro compatrioti, spesso anche loro vecchi camerati. Ma che importava? Che Pétain fosse divenuto capo dello Stato con una vera truffa e nelle condizioni più disonoranti per un militare, vale a dire a causa della rotta, al poliziotto o al gendarme non interessava. «Non ti offendere, diceva il gendarme di Vichy al suo compatriota, se ti consegno alla polizia tedesca, che dopo averti torturato scientificamente ti fucilerà; che vuoi? Il Governo mi ha dato un posto e non posso naturalmente rischiare di perderlo». Ebbene nessuno, a guerra finita, ha pensato a dar noia a questo poliziotto o a quel gendarme, a questo bravo servitore dello Stato (Da: La Francia contro la civiltà degli automi di George Bernanos).

L’ANGOLO DI EDITH STEIN. Tre grazie. Signore, dammi / tutto ciò che mi conduce a te. / Signore, prendi / tutto ciò che mi distoglie da te. / Signore, strappa me da me stessa / e dammi tutta a te (Da La scelta di Dio, Roma 1973, Lettere 1917-1942).

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.