Detti e Contraddetti 2000 – 1° semestre

DETTI E CONTRADDETTI 2000 – PRIMO SEMESTRE

6 gennaio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La speranza, non le illusioni. Se il realismo ci impone di abbandonare le illusioni, perché dobbiamo pure negarci la speranza? (Stefano Rodotà). Ego dormio, sed cor meum vigilat. Che cosa significa «vigilare»? È un verbo bellissimo e non ha nulla a che fare con indovinare, calcolare, essere sul chi va là, difendersi o accusare, piazzarsi ai primi posti. Vigilare vuol dire semplicemente aver cura, e dunque amare, custodire nella gioia, saper aspettare, spendere le proprie forze senza attendersi ricompensa alcuna. La madre, quando ha messo al mondo un figlio, vigila su di lui anche quando dorme. L’autore dei Salmi ha scritto: «Io dormo, ma il mio cuore vigila» (Levi Appulo).

AUGURI PER L’ANNO INCOMINCIATO. 1. Avere il coraggio di sperare. Possa il Signore illuminare gli occhi del vostro cuore, per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati (Dalla lettera di Paolo agli Efesini). 2. Si aprano i nostri occhi all’invisibile. Signore Gesù, apri a noi quegli occhi che non scrutano le cose presenti ma quelle future, e svelaci quello sguardo del cuore mediante il quale Dio si vede in spirito (Origene, In genesim omelia 15, 7).

DE GASPERI FU «AUSTRIACANTE»? Nel maggio 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli Alleati, la sorte delle popolazioni trentine si fece molto difficile. Esse furono deportate nelle regioni interne dell’impero asburgico – in Moravia, in Boemia, in Ungheria e altrove – e molto spesso i membri di una stessa famiglia furono separati. Il deputato trentino Alcide De Gasperi consacrò quegli anni ad alleviare le sofferenze dei profughi e quando, nel 1917, si riaprì il Parlamento austriaco, ne prese apertamente le difese. Il suo ultimo discorso da quella tribuna lo tenne nell’ottobre 1918. Esso iniziava così: «Ogni volta che nel corso della guerra ho preso la parola in questa Camera come rappresentante del Trentino ho sentito nel mio interno la voce ammonitrice della coscienza che mi diceva: come puoi tu prendere la parola da questa tribuna parlamentare, dare l’illusione che tu sia un libero rappresentante di un libero popolo, mentre in effetti il tuo popolo vive in schiavitù politica e tu stesso a malapena godi dei più elementari diritti di cittadino? Non è possibile discutere di libertà politica e tirannia, mentre la tirannia tiene in catene la libertà».

A questa testimonianza va aggiunta quella che gli è resa da un amico in una lettera non certo destinata alla pubblicazione. Il 21 novembre 1928, quando ormai la battaglia per difendere le libertà politiche dell’Italia era definitivamente perduta da almeno tre anni, ecco che cosa scriveva a De Gasperi, ormai esule in patria, il vescovo di Trento, monsignor Celestino Endrici: «Ottimo Alcide, grazie dei saluti che volle inviarmi a mezzo del parroco di P. reduce da Roma. Egli mi ha anche informato sulle condizioni della sua vita presente, dopo l’uscita dal carcere. Permetta che io le invii un modesto aiuto per sopperire alle più necessarie esigenze della vita. Esso non deve essere un’elemosina, ma un segno di riconoscenza per il bene che ella, ancor da giovane studente ha fatto ed in particolare per i grandi servigi prestati durante la guerra mondiale al popolo trentino, esule in terre lontane ed al clero bersagliato. Tutti i trentini ricordano con quanta fierezza ha sostenuto nella Camera austriaca i diritti nostri nazionali ed umani abbattuti in tutti i modi». Questi era l’uomo che tra il 1943 e la fine degli anni Cinquanta gli eredi del fascismo e i conservatori di ogni risma hanno insultato spudoratamente come «venduto all’Austria». I brani riportati sono tratti dalla «Prefazione» di Maria Romana De Gasperi, Cara Francesca – lettere, Brescia 1999.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Signore dammi il senso dell’umorismo. Dammi Signore, la sanità del corpo insieme con l’intenzione di conservarla nel modo migliore. Dammi, Signore, un’anima che abbia occhi per la bellezza e la purezza, che non si lasci impaurire dal peccato e che sappia raddrizzare le situazioni. Dammi un’anima che non conosca noie, fastidi, mormorazioni, sospiri, lamenti. Non permettere che mi preoccupi eccessivamente di quella cosa invadente che chiamo «io». Dammi il dono di saper ridere di una facezia, di saper cavare qualche gioia dalla vita e anche di farne partecipi gli altri. Signore, dammi il senso dell’umorismo (Thomas More).

13 gennaio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’altra faccia della medaglia. Non c’è situazione, per quanto sembri disastrosa, che non abbia in sé la possibilità di accompagnarsi a qualcosa di buono. Chi dice tutto con la sua faccia. Io sono il tipo di persona a cui si continua a dire: «Non fare quella faccia!». (Levi Appulo)

L’età preziosa. Secondo me la maggior parte di coloro che sono inclini alla riflessione ne hanno preso l’abitudine nei loro primi quattordici anni (Clive Staples Lewis).

L’essenziale della saggezza. Comprendere e non accusare. Non ammirare mai la forza. Non odiare i nemici. Non disprezzare gl’infelici. Il metodo. Le interpretazioni sono in conflitto; però si possono confrontare e mediare col dialogo. (Paul Ricoeur)

ALL’INIZIO DEL TERZO MILLENNIO, LASCIATECI SOGNARE. 1. Cerco una verità che sia sorgiva come l’acqua, semplice come il pane, chiara come la luce, potente come la vita. 2. Abbiate un senso grande della vostra vita e non pensate di essere capaci di fare poco; rendetevi conto che maturità è fare molto con quell’apparentemente poco che ci pare di avere. 3. Sogno una città che sia luogo adatto al riconoscimento di sé come persona. Una città dove ciascuno avverta di «abitare» davvero e la cui storia sia visibile anche nelle sue case, nelle strade, nei suoi spazi. Una città capace di trarre dal suo tesoro cose nuove e antiche, per custodire ciò che il passato ha di prezioso e proiettarsi coraggiosamente verso il domani ormai alle porte (Carlo Maria Martini, Invito alla lettura, a cura di Giuliano Vigini, Cinisello Balsamo 1999).

«CITTADINI DI PASSAGGIO», MA RESPONSABILI VERSO IL PRESENTE. C’è una lettera di Seneca a Lucilio in cui si dice che l’uomo perfetto, una volta in possesso della virtù, non ebbe mai una parola di rivolta contro la fortuna e le avversità della vita. «Convinto di essere un cittadino dell’universo e un soldato al suo posto di combattimento, si sottopose ad ogni prova come se gli fosse stata comandata. La sua anima era giunta a quella vetta al di sopra della quale non c’è che Dio…». Ecco, qui sembra chiarissima, e davvero precorritrice, questa immagine di precarietà terrena. E qui ci sono sicuramente anche delle intuizioni teologiche. Seneca continua, infatti, dicendo: «Ti ripeto: questo tempo presto passerà, sta passando; anzi, gran parte di esso è già passato. È un errore temere solo l’ultimo giorno, quando ogni giorno contribuisce ugualmente alla morte. La morte arriva l’ultimo giorno, ma si avvicina ogni giorno. Perciò, un’anima grande, conscia della sua origine divina, s’impegna nel posto che le è stato assegnato a una condotta onesta e operosa, senza peraltro credere che nessuna delle cose che ha accanto le appartenga. Essa è una pellegrina che ha fretta e le cose che usa le ha avute solo in prestito».

Questa pagina di Seneca e quelle dell’A Diogneto, sulla tensione dinamica tra l’impegno nella società di cui facciamo parte e il distacco interiore da ogni clausura nel gioco delle passioni e degli interessi di questo mondo, fanno da sfondo alla riflessione svolta da Giovanni Filoramo in Civitas peregrina – Radici cristiane dell’idea di straniero, a cura di Gabriella Caramore, Brescia 1999.

L’ANGOLO DI ERASMO. Per capire meglio la storia. Meglio va uno Stato, meno chiede all’arte militare (Lettera 2750, verso la fine del 1532). C’è più felicità. C’è più felicità nell’evitare una guerra che nel combatterla coraggiosamente (ibid.). La riforma religiosa, non la confusione generale. Non vi è persona religiosa che non desideri la riforma dei costumi della Chiesa, ma nessun uomo saggio pensa che ciò comporti un sovvertimento generale (ibid.). Parlare di un amico. Piace parlare di un amico a un amico (ibid.).

Odio la discordia. Odio la discordia non solo per gl’insegnamenti di Cristo, ma anche per un certo impulso della mia natura. Io non posso essere diverso da quello che sono. Io non posso che esecrare odi e intolleranze. Io non posso non amare la pace e la concordia. So e vedo quanto è più facile suscitare un tumulto che placarlo (Lettera 1342, 1° febbraio 1523).

20 gennaio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Non chiamare bene il male. Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene e cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, l’amaro in dolce e il dolce in amaro (Libro di Isaia). La mancanza di rigore. Viviamo in un’epoca malvagia: lo si vede prima di tutto dal fatto che niente è più chiamato con il suo nome preciso (Franz Kafka). Un popolo comincia a corrompersi quando si corrompe la sua grammatica (Octavio Paz).

Infinità dell’anima umana. 1. L’anima non ce la fa a prender possesso di se stessa… Io stesso non posso cogliere tutto ciò che sono e divento a me stesso motivo di stupore (Agostino). 2. Ha una sua solitudine lo spazio / solitudine il mare / e solitudine la morte – eppure / tutte queste cose son folla / in confronto a quel punto più profondo, / segretezza polare e infinità, / che è un’anima al cospetto di se stessa (Emily Dickinson).

QUANDO NON PIANGO, RIDO. 1. La ridicola «gravità pomposa». Ogni tipo di informazione ha le sue trappole. Per lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton la trappola dell’informazione religiosa si chiama «frivolezza», cioè dire qualcosa con gravità pomposa che non ha il benché minimo senso per coloro che ascoltano. Ci sono, però, altre forme di frivolezza come il tentativo di indebita attualizzazione, il ricorso ad immagini prese in prestito dall’attualità televisiva o giornalistica e così via.

2. Siamo di nuovo a quel punto nel nostro Paese? L’ambasciatore di un Paese straniero aveva incaricato un segretario di fargli ogni giorno, a metà del mattino, un resoconto preciso sulla situazione politica italiana, desunta dai giornali. E poiché questa relazione andava per le lunghe, una mattina sbottò: «La prego, sia più sintetico, mi dica solo l’essenziale». «Ambasciatore – rispose il segretario – di essenziale non c’è nulla».

3. L’arma segreta dei grandi impuniti. Per quanto grave sia il reato di cui si possa essere accusati, c’è sempre una via d’uscita, se la causa è nelle mani di un team di avvocati di grande abilità. Essi provvederanno, infatti, a miracolare i loro clienti super-vip, evitando loro non solo la condanna, ma persino il processo. L’arma segreta si chiama «decadenza dei termini». Una prassi così scandalosamente consolidata accrescerà certamente la fama e gli emolumenti di chi riesce sempre ad ottenere un rinvio dopo l’altro, ma è cosa che offende il più elementare senso di giustizia, distrugge l’idea stessa dello Stato di diritto, rende impossibile la fiducia nelle istituzioni. Dinanzi a fatti del genere come si può parlare ai giovani di quella «educazione alla legalità», di cui essi hanno assoluto bisogno per entrare a far parte a pieno titolo di uno Stato democratico?

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. L’abisso invoca l’abisso. L’abisso della mia miseria / invoca l’abisso della tua misericordia, / l’abisso dei peccati / invoca l’abisso della tua grazia. / Ma l’abisso della misericordia / è più grande dell’abisso della miseria (Girolamo Savonarola, Preghiere dal carcere, Siena 1990).

27 gennaio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Certe forme di benevolenza. Una benevolenza inopportuna si rivela semplicemente odiosa. C’è più grandezza. La nobiltà ama richiamarsi al passato, ma c’è più grandezza nel meritare con le proprie opere un titolo di distinzione che nel riceverlo in eredità. (Erasmo da Rotterdam)

Un’osservazione ricorrente in Platone. Il bello è difficile. Occorre pure cominciare. Chi fa il primo tentativo merita indulgenza (Proverbio latino). La stupidità elevata a potenza. Il male del nostro tempo non è la stupidità, perché gli stupidi ci sono sempre stati; il male è che oggi la stupidità pensa (Jean Cocteau). Io sono una di queste. Ci sono cose che un uomo non può capire. Io sono una di queste (Raul Cremona). Borghesia illuminata. In Italia la borghesia è illuminata solo quando qualcun altro paga la luce (Valentino Parlato). Linea retta e linea curva. Una linea retta è la più breve distanza tra due punti. La linea curva è la più deliziosa distanza tra due punti (Mae West).

SE IL RESTO D’ITALIA FACESSE UN PO’ COME MOLFETTA! Vi è una città dove i ragazzi progettano le nuove piazze e il recupero ambientale della costa, dipingono i cassonetti e promuovono la raccolta differenziata dei rifiuti, organizzano giochi per le strade chiuse al traffico, partecipano al Consiglio comunale. Questa città è Molfetta, 65 mila abitanti, che è in provincia di Bari e che si è aggiudicata, unica città del Sud, uno dei riconoscimenti «Città sostenibile delle bambine e dei bambini» assegnati dal Ministero dell’ambiente. Il sindaco Guglielmo Minervini elenca con orgoglio le barriere verdi a tutela delle scuole, le oasi pedonali, le piste ciclabili, la partecipazione dei ragazzi alla vita istituzionale della città. Un esempio fra tanti: la scuola elementare della zona Lama Cupa, con l’assistenza di studenti molfettesi di architettura, ha presentato un progetto dettagliatissimo, corredato da fotografie e preventivi di spesa, al Consiglio comunale che lo ha condiviso, curandone poi la realizzazione e sono stati ancora i ragazzi a indicare parecchie delle soluzioni concrete per riconquistare le aree urbane e sistemare a verde quelle periferiche; e lo hanno fatto a volte anche in contrasto con le idee e gli interessi dei loro genitori. Non è cosa da poco che circa novemila ragazzi che frequentano le scuole dell’obbligo a Molfetta abbiano sperimentato in modi diversi percorsi di effettiva partecipazione alla vita democratica della loro città. Nella città che diede i natali a Gaetano Salvemini il senso della concretezza e la passione civica sono evidentemente ben vivi. Molfetta ci ha mostrato come una città possa diventare «Amica dell’infanzia». Il segreto sta nell’aver compreso – politici, amministratori, e insegnanti – che bisogna lavorare con i ragazzi e non solo per i ragazzi.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Solo per amore del tuo amore. Amare te dobbiamo, Signore, / solo d’un amore disinteressato, / dimentichi del cielo e dell’inferno. / Amare te dobbiamo, Signore, / semplicemente come tu ci hai amati (Francesco Saverio, 1506-1552).

3 febbraio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Guai se i nostri figli e nipoti rientrassero in quella categoria. Oggi gli esseri umani non hanno più passioni durature, solo sterili e temporanee eccitazioni (Saul Bellow). La pubblicità dell’American Express. Avete visto la pubblicità dell’American Express? «Salve, sono Valentino e sono felice con la mia carta di credito!» (Alessandro Di Carlo). L’ultima vettura da… eliminare. Da un’indagine risulta che nei treni l’ultima vettura è la più pericolosa. La Direzione Generale delle Ferrovie Statali ha deciso di eliminarla al più presto (Domenico Ippolito). Il guaio è. Il guaio è che te lo fanno vedere oggi (Pino Caruso).

L’AUTOBIOGRAFIA E LE SUE INSIDIE. L’autobiografia costituisce un territorio immenso, affascinante e in gran parte inesplorato, se lo si confronta con quelli della poesia, del romanzo o del teatro. Questo tipo di scrittura realizza l’identità tra l’autore, il narratore e il personaggio, anche se talora l’autore parla di sé in terza persona, quasi per assumere di fronte al personaggio che egli è, o ha rappresentato, la distanza e direi la trascendenza della storia, con la quale in definitiva crede di potersi identificare. È il caso dei Commentari di Giulio Cesare, ma anche di parecchi testi di Charles De Gaulle. C’è pure chi tace a lungo il suo nome nel testo e si cela dietro una specie di presenza allusiva: è quello che fa Julien Green nell’autobiografia Partir avant le jour, ma la sostanza non cambia. L’autobiografia ha, però, uno statuto inevitabilmente ambiguo. Essa tende programmaticamente alla trasparenza, presentandoci la versione soggettiva di un’esperienza vissuta e, tuttavia, proprio per questa ragione gli storici diffidano di essa, o comunque chiedono ad altri documenti le conferme necessarie a evitare le insidie delle cosiddette «memorie». Insomma l’autobiografia è sempre, quando c’è, qualcosa di prezioso da cui non si può prescindere, e tuttavia non può mai accreditarsi come opera storica.

Tale ambiguità è presente anche se dall’ambito storico ci portiamo in quello letterario. L’autobiografia figura a fatica, infatti, tra le opere letterarie: la riprova è che sono ben rare le opere autobiografiche di cui sia stata tentata finora l’analisi formale. Questo compito l’ha adempiuto per la Francia Philippe Lejeune con un’opera di grande respiro edita in italiano da Il Mulino: Il patto autobiografico; ma nulla di simile c’è, per quel che so io, negli studi letterari di altre nazioni.

Questione del tutto diversa, a mio avviso, è quella del ruolo che gioca all’interno di un’opera letteraria la dimensione autobiografica. Io non credo che si possa estendere, sia pure in forma indiretta, l’autobiografia dell’autore all’insieme della sua opera letteraria fino a identificarla con essa. Si cadrebbe allora nell’autobiografismo, che rimane un pericolo e una tentazione. Non bisogna prendere alla lettera le dichiarazioni fatte in tal senso da scrittori come Mauriac e Gide, quando ci dicono che i loro romanzi sono più vicini alla verità della loro vita che le loro memorie. Noi italiani poi faremmo bene a ricordare la protesta di Benedetto Croce contro la confusione tra personalità artistica e biografia personale. È fuorviante, infatti, ridurre un’opera d’arte agli antecedenti biografici, ed è invece una gran fortuna poter comprendere e amare il teatro di Shakespeare ignorando quasi totalmente i dati della biografia del suo autore.

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Quando penso a mia madre. Nulla ho scritto di te quando sei andata / e poco ho scritto dopo, il lungo dopo. / Ritorni solo nei sogni di ogni notte / o, il giorno, a caso, nell’aria di via B. / dopo che è nevicato e si respira; / o in una luce pomeridiana di persiane socchiuse / e vi è un fruscio di giornale di grande formato; / o in qualche nome di luogo che mi si ferma in gola. // Tutto qui? Non accetto la morte, mi si dice. / È vero, non riapro i tuoi cassetti, non rileggo / le tue lettere. Che io sia / nient’altro che una pietra / un Giovannino heartless? / Quanto tempo mi resterà ancora per imparare / a sorridere e amare come te? (Luciano Erba, Il cerchio aperto, Milano 1983).

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. Solo Dio mi conosce. In questa città ho paura, / nessuno mi conosce, solo Dio. Guido Ceronetti riporta queste parole sul quotidiano La Stampa l’8 aprile 1995, con l’annotazione: «Graffito nei pressi della Stazione di Roma Tiburtina».

10 febbraio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Alla fin fine il nulla. C’è chi tiene un linguaggio chiarissimo, che permette di render tutti dotti con lieve fatica, ma che non lascia alla fine, nell’anima, che una povertà estrema con un’immensa presunzione di sapere (Antonio Rosmini). Eliminare le parole enfatiche. Eliminare le parole enfatiche. Che il pensiero stesso sia forte e non lo slancio con il quale lo esprimi (Elias Canetti). L’umiltà e l’attenzione. La chiave della spiritualità nelle diverse occupazioni temporali è l’umiltà. L’umiltà è l’attenzione (Simone Weil). Ciò che ad orecchio mortale non può esser detto. Tutte le risposte deludono. Ma se stai cercando di capire / quale sarà lo stadio ultimo / di tutte le cose / quando non ci saranno più / ma resterà / solo il Reale, allora / chiederai ciò che non può / esser risposto ad orecchio / mortale (Clive Staples Lewis).

THOMAS MORE E LA QUESTIONE FEMMINILE. Nella multiforme personalità di Thomas More molti sono gli aspetti che suscitano l’ammirazione di Erasmo da Rotterdam, ma ve n’è uno che incanta addirittura un giudice così esigente come il maggiore degli umanisti europei: More marito e padre apre la via, con la realizzazione della sua ardita «utopia domestica», a un mutamento epocale: l’accesso delle donne alla cultura superiore – umanistica, scientifica e religiosa – e all’arte. Questa novità assoluta e esemplare è il tema della celebre Lettera 1233 che nel settembre del 1521 Erasmo indirizza al leader degli umanisti francesi, Guillaume Budé.

Le idee di More sull’educazione delle donne sono fortemente in anticipo sui tempi ed Erasmo, che aveva reputazioni di misogino, si converte ad esse con gioiosa adesione. In quel campo – scrive Erasmo – la netta superiorità dell’inglese rispetto a se stesso e a Budé va riconosciuta senza indugio alcuno. Il ritratto di More che Erasmo traccia per Budé rivela la simpatia di quell’uomo così pienamente virile nei confronti delle donne: una simpatia che non è solo comprensione e apertura al loro mondo, ma anche umiltà. Egli è, infatti, uno di quei rari uomini che nell’età moderna abbia avvertito una perdita di umanità, e quindi un danno per tutti, là dove le donne – spose, madri, figlie – non abbiano interamente il posto unico e insostituibile che loro spetta nella famiglia, nella cultura, nella società. Da tale convincimento nasce la necessità di quell’educazione che More sarà tra i primi a voler impartire alle donne: un’educazione uguale a quella degli uomini, ma non ricalcata su di essa e rispettosa della vera femminilità.

L’argomento, che era ben presente nella lettera a Ulrich von Hutten, trova qui uno sviluppo tematico; ciò fa della Lettera 1233 un documento di straordinaria importanza per cogliere un aspetto essenziale della personalità di More e del suo modo geniale di preparare un cammino di liberazione per l’altra metà del genere umano. Erasmo, del resto, parla qui per diretta conoscenza, perché quando era stato per mesi ospite nella casa di More, a Bucklersbury, era rimasto ammirato dell’atmosfera di gioia, della vivacità culturale, del gusto artistico e del fervore religioso di quella lieta brigata. Di tale esperienza egli serbava il più caro ricordo, avendo passato nella famiglia More le ore più belle della sua vita.

L’ANGOLO DELLA POESIA. La speranza. Sperare è dolce, più dolce che credere, / più dolce che sapere. // La certezza ti appaga, la fede ti illumina / ma la speranza ti incanta. // La speranza tiene sospesa l’anima / sopra un filo d’argento / che si perde nei segreti spazi del cielo. // La speranza è l’attesa trepidante / del buon seminatore, / è l’ansia di chi si candida all’eterno. // La speranza è infinità d’amore (Charles Péguy, Il portico del mistero della Seconda Virtù, Milano 1994).

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. Terra d’avvento, Vergine Maria. Terra d’avvento, Vergine Maria, / grembo Tu sei / del grembo d’ogni cosa, / donna, che tutto ricevi / e tutto dai. / Madre, in cui inizia / l’alba della Gloria. // Tu sei Colei / in cui la nostra storia / allora, come oggi, / a Dio si apre / e da Lui accoglie / in umiltà / il dono. // In Te dimora / la tenerezza del Dio / tre volte santo, / in Te ci è dato il segno / della speranza / più forte della morte, / in Te il riflesso dolce dell’amore / cui solo ognuno / può affidare il cuore (Bruno Forte, Di te ricordo quando…, Casale Monferrato 1995).

17 febbraio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Il sonno. Il sonno, che dei miseri mortali / è col suo dolce oblio posa e quiete, / sopì coi sensi i suoi dolori e l’ali / dispiegò sovra lei placide e chete. Il risveglio. Non si destò fin che garrir gli uccelli / non sentì lieti e salutar gli albori, / e mormorare il fiume e gli arboscelli, / e con l’onda scherzar l’aura e coi fiori. L’acqua chiara. Spengo la sete mia nell’acqua chiara. Cielo e terra. In terra nuda e sotto aperto cielo. La mente e la parola. Uom di libera mente e di sermone / veracissimo e schietto. Per adempiere degnamente un compito. Pronta man, pensier fermo, animo audace. Anche la fierezza si può insegnare. Fieri li farà la tua fierezza. La cattiva politica e la cattiva educazione. Occultando i rischi, i rischi accresce. (Torquato Tasso)

L’incrinatura nell’esistente. Il nulla che l’angoscia ci rivela non è il nulla dell’esistente, ma l’incrinatura nell’esistente: il male, la sincope della libertà (Benjamin Constant alla vigilia della morte in un lager nazista). La parola sia presenza. La parola deve venire in certi momenti, ma ciò che la rende efficace è la presenza di colui che la pronuncia. E molto spesso la presenza agisce di più col silenzio (Christian Bobin).

ANCHE NELLA VITA DELLA CHIESA. Nel colloquio Abbatis et eruditae («L’abate e la donna colta»), pubblicato nel marzo 1524, Erasmo scrive che «la scena del mondo sta per cambiare» e in essa anche la donna avrà finalmente una sua parte. E potrà averla grazie alla cultura che, slargando i suoi orizzonti, le consente di scegliere a suoi consiglieri «autori eloquenti, illuminati, saggi» che onorano l’umanità. La possibilità per la donna di essere partecipe a pieno titolo dei valori della cultura, dell’arte, della vita spirituale comporterà, in prospettiva, un mutamento del suo ruolo anche nella vita della Chiesa. Secondo la protagonista femminile del dialogo – che presumibilmente ha il suo modello in Margaret Roper, la dotta figlia primogenita di More – verrà un giorno in cui il posto della donna sarà pienamente riconosciuto. Il colloquio termina con una battuta per metà scherzosa e per metà seria: «O ciascuno recita la sua parte, o ci si ritira (…). State in guardia, voi uomini, che, se venite meno ai vostri compiti, saremo noi donne a salire le cattedre di teologia e a predicare nelle Chiese. Saremo noi donne a togliervi, infine, le vostre stesse dignità sacerdotali. Le giovani oggi un po’ dappertutto cominciano a saperne molto di più dei nostri monaci e anche di voi… In Inghilterra ci sono le figlie di More».

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. Tu mi dilaterai il cuore. Signore, aiutami a cercare di rinunciare / a me stessa per far posto agli altri. / Tu mi dilaterai il cuore / e sarà sempre più facile amarli (Dal Diario di Anna Maria Marchisio, riportato nel volume di Luigi Accattoli Cerco fatti di Vangelo, Torino 1995).

24 febbraio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Débâcle et débauche. Malgrado le apparenze, alla fin fine, almeno nella vita dei corpi sociali, il nesso causale tra corruzione e sconfitta appare con evidenza. È la débauche che prepara la débâcle. L’ospite regale. Libera mente ospita il vero. (Levi Appulo)

Quanti come lui? Ecco la storia. Un uomo cade da un palazzo di cinquanta piani e ad ogni piano, man mano che cade, ripete a se stesso: «Fin qui tutto va bene» (Mathieu Kassovitz). Se fossimo altrove. Quanto staremmo bene qui, se fossimo altrove (Giorgio Manganelli). Il vero problema politico. Il problema è che il 90% dei politici rovinano il buon nome di tutto l’altro 10% (Henry Kissinger).

ERASMO E MORE DI FRONTE ALL’UTOPIA POLITICA DI PLATONE. Nel primo dei suoi quattro ritratti di Thomas More, nella Lettera 999, Erasmo raffigura «tutto intero» l’amico di gran lunga più caro: nel suo aspetto fisico, nei suoi affetti, nelle sue occupazioni e nei suoi hobby; ma ci parla anche della sua formazione e dei suoi scritti. Ad un certo punto scrive: «Da ragazzo coltivò principalmente la poesia; ma ben presto provvide a rendere più scorrevole la sua prosa, esercitando il suo stile in ogni genere letterario. La declamazione è la forma espressiva che preferisce, provando gusto a discutere argomenti fuori dal comune perché in essi l’intelligenza meglio affina il suo acume. È per questo che, quand’era adolescente, pensava di scrivere un dialogo in difesa della società comunitaria di Platone, compresa la comunanza delle donne».

Erasmo sembra darci in questo passaggio una chiave di lettura sia della Repubblica di Platone, sia del ruolo che quell’opera aveva avuto nella formazione mentale dell’autore di Utopia. Erasmo scrive che More, volendo mettere alla prova la sottigliezza del suo ingegno e la sua capacità dialettica, difendeva tesi che sono proposizioni volutamente espresse in modo estremo e provocatorio. Gli Adoxos, gli argomenti fuori dal comune, che More sceglie come test sono quelli che più colpiscono i lettori dell’opera platonica: la proibizione per le sole classi superiori di ogni proprietà e quella, ancor più decisa, di una vita familiare. Occorre quindi chiedersi quali verità profonde Platone voleva affermare per loro tramite. Il discepolo di Socrate voleva tener lontano nel modo più radicale dalla politica il potere economico-finanziario ed eliminare la confusione tra interesse pubblico e interessi privati, o familiari. Insomma, è nella plutocrazia e nel primato esclusivo del «particulare» a spese del bene comune che Platone individua la causa principale della corruzione e dell’ingiustizia che portano tutte le società, e in particolare le democratiche, alla rovina. In questo duplice imperativo, che è etico e politico a un tempo, More ed Erasmo concordano in pieno col filosofo ateniese.

Ben diverso è il discorso riguardante la configurazione mitologica che Platone dette al suo Stato ideale: essa non è solo cosa del tutto secondaria e discutibile, ma spesso contraddice apertamente alla vigorosa affermazione di quei valori che nella Repubblica e in altre opere sono riconosciuti come il fondamento di ogni giusta comunità politica. I due umanisti cristiani sanno che lo spontaneo mettere in comune i propri beni nelle prime comunità della Chiesa nascente non può tradursi in obbligo giuridico; ma essi pensano che da quella esperienza eccezionale, che è religione e non politica, giunge un appello a cercare le vie della fratellanza. Nel primo degli Adagi Erasmo giudica negativamente il modo in cui «i cristiani lapidano Platone» invece di sforzarsi di cogliere ciò che c’è di profondo nei suoi paradossi.

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Gli amici scomparsi. Scomparsi. Distrutti da febbri spietate, / consunti da un male ignoto, lontani, non so. / Né so se torneranno, né quando, né come / gli amici, i giorni, la più chiara stagione, / se tornerà la vita / perduta per disattenzione (Luciano Erba, Il male minore, Milano 1960).

2 marzo 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. In pace con i morti. Non dée guerra co’ morti aver chi vive. Il tirocinio dell’azione. Prenderà maggior forza a nova impresa. Anche le civiltà sono mortali. Muoiono le città, muoiono i regni, / copre i fasti e le pompe arena ed erba, / e l’uom d’esser mortal par che si sdegni. (Torquato Tasso)

Senza il diverso non c’è dialettica e senza dialettica non c’è democrazia. Già il «diverso» in democrazia è «migliore», perché «diverso» significa opposizione, l’anima stessa della democrazia, che deve essere dialettica per definizione. La tirannia non è mai dialettica, proprio perché elimina il contrario senza assorbirlo. Spesso, molto spesso è così. I politici di professione sono molto spesso una vera iattura, perché per conservare se stessi sono i più incalliti conservatori del sistema che li ha generati. (Pietro Bonazza)

NON SOLO «CONSERVARE» LE OPERE BELLE… Nel campo dell’arte il passato ha lasciato all’Italia un patrimonio artistico che è forse il più ricco del mondo, ma il presente – e più precisamente gli ultimi quarant’anni – quanta bellezza riuscirà a consegnare alle generazioni future? Francesco Alberoni si è posto il problema nel numero di Dicembre 1999 del mensile Qui Touring e la sua risposta, radicalmente pessimista, può essere riassunta in questi termini: il nostro tempo non consegnerà al futuro nessuna autentica creazione artistica perché «niente di bello stiamo facendo, né ci stiamo curando di fare». La tesi non può non fare discutere, ma induce a riflettere. In Italia, secondo il sociologo, l’intento di costruire con il gusto di accrescere la bellezza è durato fino agli Anni Cinquanta; poi c’è stato un progressivo declino di creatività, una sorta di entropia dello spirito. Certamente è un bene aver finalmente capito, per altro non molto tardi, che occorre conservare il passato e mantenere in vita ciò che già esiste, ciò che nacque in altre epoche; tuttavia se una civiltà, o anche una città, non continua a cercare nuove forme di bellezza e a produrle, essa è destinata a morire lentamente. Venezia insegna. In ultima analisi, è lo slancio verso il futuro che ci porta a valorizzare anche il passato, mentre «l’accanimento conservativo», il voler mantenere tutto com’è, o addirittura il volerlo riportare ad uno stato primordiale, è un misconoscere la vita e il divenire della civiltà. La civiltà, infatti, è la vita che viene da lontano, che continua e che sa trovare le vie nuove per un futuro che non sia la ripetizione del passato, la sua brutta copia; l’immobilismo e la paura di creare sono invece «una specie di sonno» che non promette nulla di buono.

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. 1. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto. A te e a tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno. Vorrei capire con i miei occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Così Aldo Moro saluta la moglie in una delle lettere dal carcere delle Brigate Rosse. Nel carcere rimase cinquanta giorni. Fu ucciso barbaramente l’8 maggio 1978.

2. Liberami dalle offese che ho provocato. Fammi grazia, Dio, secondo la tua costante tenerezza: nella tua capacità d’immedesimarti nella mia situazione, nel tuo grande amore cancella la mia ribellione al tuo ordine. Lavami dalla mia disarmonia, tirami fuori dal mio smarrimento. Fammi accettare gli altri come tu accetti me, dammi la forza di fare ciò che posso per il loro bene e per cambiarli in bene. Io ascolto il tuo rimprovero e tu mi guardi per interrogarmi. Il mio peccato mi sta sempre davanti. Com’è stato possibile fare quello che è male ai tuoi occhi? Eppure l’ho fatto. Ogni giorno mi chiedo se per me c’è scampo. Ma tu non sei solo giudice. Tu sei colui che io ho ferito, ma il tuo giudizio è il perdono. Liberami dalle offese che ho provocato e io esalterò la tua giustizia. Arrigo Cavallina scrive questa parafrasi del Miserere. Si può leggerla nel volume Eravamo terroristi – Lettera dal carcere, Cinisello Balsamo 1989.

9 marzo 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Chi segue Cristo. Di grazia e di perdono apre le porte. L’onore val più della vita. Ho cuore anch’io che morte sprezza e crede / che ben si cambi con l’onor la vita. La notte. La notte, quando / tutte in alto silenzio eran le cose. L’impossibile fuga. Temerà me medesimo; e da me stesso / sempre fuggendo, avrò me sempre appresso. (Torquato Tasso)

Per questo sono diverso. Come ha detto Frost: «Due strade trovai nel bosco e scelsi la meno battuta. Ed è per questo che sono diverso» (Robin Williams in «L’attimo fuggente»). Come «comprare» l’amore. Credo che l’amore non si possa comprare che con l’amore (Marlon Brando in «Viva Zapata»). Fascino a caro prezzo. Non sempre le donne sono premiate per il loro fascino; di solito sono punite per questo (Paulette Goddard in «Un marito ideale»). Queste citazioni sono tratte dal volume di Roberto Casalini, Suonala ancora Sam – Le più belle battute del grande cinema, Milano 1999.

LASCIAR INTUIRE L’INDICIBILE. L’intimo legame tra religione e arte deriva dal fatto che ambedue si collocano nel movimento dello spirito umano, che va oltre la dimensione sensibile delle cose e si muove verso le realtà spirituali e, in definitiva, verso il mistero ultimo di Dio. Su questo dinamismo si fonda il linguaggio dei simboli, capace di lasciar intuire l’indicibile. Al confronto appare assai più povero, anche se più preciso ed esplicito, il linguaggio concettuale, proprio della conoscenza razionale e riflessa, quale si attua nella scienza, nella filosofia e nella teologia scientifica. Il linguaggio simbolico non solo è pieno di senso, ma è anche coinvolgente, carico di risonanze affettive. È il linguaggio della vita, che nasce spontaneo dall’esperienza, non fa semplicemente conoscere la realtà spirituale e trascendente, ma mette in moto verso di essa, la fa in qualche modo incontrare e percepire presente attraverso i segni sensibili. L’arte non si ferma semplicemente a registrare sensazioni, descrivere oggetti, documentare avvenimenti, spiegare e illustrare idee; ma rielabora creativamente i dati; cerca una comprensione vitale e profonda della realtà; porta a consapevolezza l’inquietudine esistenziale e l’apertura infinita dello spirito umano; evoca il mistero ineffabile di Dio, trascendente e vicino nello stesso tempo.

NON DIMENTICATE: «VI DOVETE METTERE IN GINOCCHIO». Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato, chiedo innanzi tutto che venga fatta giustizia. Adesso, rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, e non, ma certamente non cristiani: sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono. Io vi perdono, però vi vi dovete mettere in ginocchio, però. Se avete il coraggio di cambiare… di cambiare; loro non vogliono cambiare, loro non cambiano, non cambiano… Se avete il coraggio di cambiare radicalmente i vostri progetti, i progetti mortali che avete… Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore, che ha detto sulla croce: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Pertanto vi chiediamo per la vostra città di Palermo che avete reso… che dolore, che dolore… una città di sangue. Vi chiediamo per la città di Palermo che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia e la speranza. E l’amore per tutti… perché non c’è amore qui, non c’è amore qui, non c’è amore per niente!

(Così prega e impreca Rosaria Costa alla Messa di commiato per il marito che faceva parte della scorta di Giovanni Falcone. Siamo a Palermo il 24 maggio 1992. Le frasi in corsivo sono quelle che la moglie dell’agente ucciso aggiunse a un testo scritto. Vedila in Cento preghiere italiane di fine millennio di Luigi Accattoli, Vicenza 1996, pp. 102 – 103).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Il parto della discordia. A che serve la lettura / se la vita non cambia? Questo hai detto. / E io di rimando: a che serve, compagno, / la scrittura? / È mai possibile che oltre tutte le vite / immaginate e la presente, non ci sia nient’altro? (Renzo Paris, Album di famiglia, Parma 1990).

16 marzo 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Filosofia e musica. La filosofia è la musica più grande (Platone). Tutto parte dalla nostra interiorità. Solo la luce che uno accende per se stesso risplende in seguito anche per gli altri (Arthur Schopenhauer). La frivolezza, ma solo come maschera del suo contrario. La frivolezza va bene purché sia una valigia a doppio fondo (Valentino Zeichen, poeta italiano del ‘900). Che cosa è mai un’amicizia? Che mai è un’amicizia? Quell’incontro miracoloso e quanto mai raro nel quale una persona può offrire, o socraticamente trova, il meglio di sé (Alessandro Spina). Se vuoi scrivere… Vorrei scrivere in una lingua talmente antiaulica da risultare un segno di raffinata eleganza. Quando scrivi, qualsiasi cosa tu scriva, non cedere al gergo, alla rozzezza, alle trappole del sarcasmo. Non lasciarti sfiorare nemmeno dalla banalità velenosa del quotidiano. Unisci alla purezza del lessico la passione della verità (Levi Appulo).

«TUTTA LA TERRA È DISEGNATA IN MODO CHE…». In tanti modi è possibile tentare di definire l’homo sapiens, ma forse uno esprime più di altri la ricchezza di possibilità che questa specie ha nel suo esistere e nel suo vivere da protagonista l’esistenza: l’uomo è un essere simbolico, ossia rimanda continuamente oltre se stesso. Lo dice la sua struttura fisica, che esprime nella carne la tensione verso la completezza; lo dice il bisogno di amare e di essere amato; lo dice l’irrefrenabile desiderio di conoscere e di manipolare l’ambiente in cui vive. Tra i molti gesti simbolici che indicano la sua vera natura, uno ci sembra particolarmente significativo: l’alzare gli occhi al cielo per conoscere ma ancor più per capire. L’atto di levare la testa in alto e di puntare gli occhi in alto non dice tanto lo smarrimento quanto piuttosto una sorta di consapevolezza innata, per cui l’uomo non trova il proprio significato solo in se stesso, ma anche fuori di sé, in qualcosa o in qualcuno che è diverso da lui. Le mitologie antiche, le antiche cosmologie e cosmogonie testimoniano questo sforzo immane che da sempre spinge l’uomo sui sentieri della ricerca, così come ce lo testimonia la scienza moderna. Ma tutto ciò indica che l’uomo ha sempre cercato questo qualcosa in un essere con il quale fosse possibile dialogare, qualcuno che condividesse la sua capacità e volontà di capire, di fare, di amare. La scena iniziale del film 2001 Odissea nello spazio è a tal proposito significativa: nel momento in cui la scimmia antropomorfa scaglia in alto l’osso preso al rivale appena ucciso e comincia ad osservarne il moto, in quel momento diventa uomo. Il significato è evidente: l’uccisione di ciò che è pura animalità apre all’uomo uno sguardo nuovo, che egli punta istintivamente in alto, verso il cielo. Lo stesso concetto che troviamo in una frase di Camus: «Tutta la terra è disegnata in modo che il viso si sollevi e lo sguardo domandi».

Con questa riflessione si apre il libro Viandanti nell’universo. Astronomia e senso della vita di Georges Coyne e Alessandro Omizzolo, da poco pubblicato da Mondadori (Milano 1999). Buona lettura!

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Dove i miei versi… Dove i miei versi mi porterebbero / accarezzandoli come voialtri, / non so, fratelli. / Toccate i limiti del mio valore, / forse io stesso mi ingannerei, / crederei sacra l’arte, e la gloria, / più dell’onore. // Forse allora capirei / meglio di oggi, più dentro in me, / quel che i versi non possono mai dare. / Pur non sapendo essere un santo, / a testa bassa di fronte ai santi, / io pregherei per la mia anima, / non più ascoltandomi nel mio pregare (Giacomo Noventa, Versi e poesie, Milano 1956. Grande poeta che scelse come strumento espressivo il dialetto veneto. Cattolico e socialista eterodosso, fu perseguitato dal fascismo. La sua poesia nasce da una necessità profonda, da istanze etiche e civili).

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. Iddio mi accompagni. Oggi ho prestato giuramento: / da oggi sono in magistratura. / Che Iddio mi accompagni / e mi aiuti a rispettare il giuramento.

Rosario Livatino, magistrato di Agrigento, scrive queste parole in un’agenda alla data 18 luglio 1978. Tenne fede al giuramento e non si piegò ad alcuna minaccia. Fu ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, a trentotto anni. L’editrice Ila Palma di Palermo ha pubblicato nel 1992 il volume di Ida Abate, Il piccolo giudice – Profilo di Rosario Livatino.

23 marzo 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Ogni verità in Dio s’aduna. Dio… / vuol ogni raggio ricoprir del vero. Chiare, fresche e dolci acque. Scendono giù dalle montagne i rivi / con acque dolci e mormorio soave. Come la rosa, la donna. La rosa… / che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa, / quanto si mostra men, tanto è più bella. (Torquato Tasso)

Chi è cittadino? Cittadino è chi condivide dei beni. Ciò che si richiede al cittadino. Il cittadino non è necessario che contribuisca con ogni suo bene al bene comune; basta che non anteponga alcun interesse privato al bene comune. (Tommaso Campanella)

RESPONSABILITÀ SOLIDALE E PARTECIPAZIONE. Due riflessioni sulla «via cooperativa». 1. Se è vero, com’è vero, che l’uomo è un essere socievole, intelligente e libero, è chiaro che la sua esigenza naturale è quella di aggregarsi ad altri uomini per «cooperare» in ordine a determinati obiettivi. La cooperazione con i propri simili è per l’uomo soprattutto e anzitutto un modo di essere e di operare consono alla propria dignità, prima che l’intendimento di conseguire un risultato o un traguardo, sia pure interessante e vantaggioso. Ecco perché, fin dai suoi primordi, la cooperativa ebbe finalità di mutuo soccorso e non di speculazione. Era un cooperare tra soggetti che avevano uno stesso sentire prima ancora che un associarsi di uomini accomunati dalla ricerca di un obiettivo di onesta utilità. 2. Il processo di imbarbarimento sociale e di rassegnato, o avvilito, isolamento individuale è irreversibile fino al momento in cui non si prenda coscienza, da parte dei più avvertiti, che l’uomo deve tornare fratello all’altro uomo se vuole salvarsi e salvarlo. Ci sono uomini che vogliono servire i loro simili, anziché servirsi di essi, che avvertono la necessità di integrarsi e completarsi con altri uomini che abbiano il loro stesso sentire, per realizzare la loro dignità e offrire un servizio efficiente e duraturo. Ci sono persone che aspirano ad una pienezza di responsabilità solidale, perché volontariamente e autenticamente partecipata. Ebbene ad essi manca solo il sigillo di un riconoscimento giuridico per trovare nel metodo e nelle formula della cooperativa una risposta valida alle loro esigenze.

L’autore di queste riflessioni, il bresciano Giuseppe Filippini, ha speso generosamente la sua vita per i valori che qui richiama con limpida determinazione. Noi ci permettiamo solo di aggiungere che – dinanzi ai pericoli inquietanti di una sempre crescente concentrazione di capitali e alla spietata messa fuori gioco, in breve volgere di tempo, d’intere categorie di lavoratori – la cooperazione, l’impresa cooperativa s’impone oggi come la sola via, antica e sempre nuova, per ripensare e riorganizzare il modo di produrre e distribuire lavoro, ricchezza, servizi.

I MARTIRI CRISTIANI DEL 1999. «Una notizia mi ha particolarmente colpito in questi giorni. La leggo sul settimanale evangelico Riforma. L’Alleanza evangelica mondiale ha calcolato che i cristiani uccisi nel 1999, a causa della fede professata, sono 164.000. È una cifra enorme, davanti alla quale non possiamo che constatare quanto siano delittuose l’intolleranza, da una parte e dall’altra la nostra indifferenza. Noi pensiamo che i martiri cristiani siano un evento, doloroso e insieme glorioso, dei primi secoli cristiani, ed invece anche oggi, dopo venti secoli, quel fenomeno storico è tutt’altro che finito e anzi si è accentuato di molto. Vorrei, inoltre, far notare il lessico in cui tale notizia è stata espressa. Nel settimanale evangelico si dice infatti “164.000 cristiani” senza ulteriori specificazioni. In questo termine sono compresi i cristiani cattolici, i cristiani protestanti e i cristiani ortodossi, ormai del tutto uniti, al di là delle differenze che li tenevano in certo modo distanti gli uni dagli altri, nella stessa testimonianza» (Giulio Cittadini).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Udire il piccolo universo. Non udite nei boschi / lo stormire diverso / d’arie leggere? E tra il silenzio mite / i primi trilli delle cincie uscite / di nuovo dall’eternità nel tempo? // Non denari, non lotte con gli uomini / vincenti o che si struggono per vincere. / Lasciamoli. / Soltanto importa nella quiete udire / il piccolo universo (Agostino Richelmy, La lettrice di Isasca, Milano 1986).

30 marzo 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Sarai sempre nel mio cuore. Fra le care memorie ed onorate / tu sarai nelle gioie e negli affanni. I miei Detti e contraddetti. Or odi i detti miei, contrari al canto / delle sirene, e non ti sian molesti. Lì è il nostro bene. In cima all’erto e faticoso colle / delle virtù riposto è il nostro bene. / Chi non gela e non suda e non si toglie / dalle vie del piacer, là non perviene. (Torquato Tasso)

La differenza. L’Equità guarda il bene pubblico, la Ragion di Stato il proprio di chi domina. Leggi istruttive e leggi punitive. Dove sono più di numero le leggi punitive che istruttive, è segno di mal governo. (Tommaso Campanella)

CI SONO DUE «ANTICHI TESTAMENTI» E NON UNO SOLO. Gli apostoli e i Padri della Chiesa affrontano il tema del rapporto tra fede e storia in una visione grandiosa e con approfondimenti geniali nella individuazione del ruolo di Israele, delle tappe progressive nel cammino della salvezza, dei concetti stessi di pedagogia divina e di educazione progressiva dell’umanità. Essi affrontano anche il problema del rapporto tra il pensiero greco e la rivelazione cristiana con una grandezza d’animo tanto più straordinaria se si pensa che la nuova fede iniziava allora il suo cammino e la rivendicazione della propria originalità poteva indurre i cristiani ad atteggiamenti di incomprensione e di rifiuto nei confronti di ciò che l’aveva preceduta. E invece già il primo Apologista cristiano, Giustino, e il primo dei Padri della Chiesa, Clemente Alessandrino, insisteranno con estrema decisione nell’associare al disegno della salvezza la mirabile funzione svolta dalla filosofia greca nella praeparatio evangelica: accanto a una storia ebraica della rivelazione procede una storia sacra dei pagani, una grandiosa ricerca di Dio che avanza nell’oscurità. Clemente Alessandrino giungerà a scrivere che vi sono due Antichi Testamenti, la Bibbia e la filosofia (Stromata VI, 42, 44, 106), e uno Nuovo, che come un fiume trascina nel suo corso acque che vengono da lontano (ibid. I, 5). Accanto ai Profeti c’è, infatti, Socrate che sotto tanti aspetti prelude a Cristo e dispone gli animi ad accoglierne il messaggio. Condividendo in pieno questa concezione, Erasmo da Rotterdam proponeva di inserire nella litania – con cui i cristiani invocano i Patriarchi, i Profeti e i Santi – l’invocazione a quel «santo della ragione» che fu Socrate.

«LA PACE, UNA CAUSA PERFETTAMENTE GIUSTA». All’alba dell’età moderna si levò, instancabile e coraggiosa, la voce di Erasmo in difesa della pace. Il rifiuto della guerra è in Erasmo un postulato e un imperativo della sua fede in Cristo, il principe della pace. Ecco un brano della lettera ad Antonio di Bruges, in cui dà voce alla sua lucida convinzione pacifista. Scrive Erasmo: «Mi sono stupito che, non dico dei cristiani, ma semplicemente degli uomini arrivino a tal punto di follia da dedicare tanti sforzi, tanto denaro e tanto coraggio ad assicurarsi la mutua perdita. Che facciamo durante tutta la nostra vita se non la guerra? Non tutti gli animali si battono; solo le fiere. E non si battono nell’ambito di una medesima specie. Si battono con le loro armi naturali, e non, come noi, con macchine nate da un’arte diabolica. Non si battono senza ragione, ma per i loro piccoli e per il cibo. La maggior parte delle nostre guerre nasce dall’ambizione, dalla collera, dalla lussuria o altra malattia dell’anima. Infine gli animali non vanno a morte per ranghi serrati, come noi. Può esserci al mondo una cosa di tal pregio da spingere a fare la guerra noi che portiamo il nome del Cristo, che sempre ci ha insegnato solo la bontà col suo proprio esempio; noi che siamo le membra di un solo corpo, di una sola carne, che ci nutriamo del medesimo spirito, dei medesimi sacramenti; noi che siamo chiamati alla medesima immortalità; noi che aspiriamo alla comunione suprema di essere uniti al Cristo come il Cristo è unito al Padre? La guerra è sì nefasta, sì spaventosa, che non può essere approvata da un uomo dabbene nemmeno con la scusa di una causa perfettamente giusta. Se si tratta di gloria, è fonte di molta maggior gloria fondare della città che distruggerne. È il popolo che costruisce e mantiene le città: è la follia dei principi che le distrugge» (Erasmo, Opus epist. Allen ed. 1, pp. 552-3).

6 aprile 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’inevitabile punto di arrivo. Ben si può dire: «Noi fummo». / Per tutti giunge l’ultimo dì / l’inevitabil punto. Profondità misteriosa dello sguardo. Mille affetti in un guardo appaion misti. Più luce! Nella più aperta luce, in loco aperto. (Torquato Tasso)

Perché le leggi? Frutto delle leggi è l’uguaglianza tra i cittadini. Poche leggi e brevi. Poche leggi e brevi: ampiezza del campo di applicazione, utilità pubblica. Molte leggi: ambiguità, insulsaggini e utilità privata. (Tommaso Campanella)

CINQUE FINESTRE SUL NOSTRO PAESE. 1. L’arrivo della rivoluzione tecnologica. Nel corso del 1999 circa 5 milioni di persone hanno imparato a navigare in internet. Quelli che leggono quotidiani, libri, vanno al cinema e a teatro, guardano la tv e navigano in internet – i cosiddetti «multimediali» – sono però solo il 35% della popolazione. Siamo quindi in ritardo rispetto alla Francia, alla Germania e alla Gran Bretagna. 2. Il lavoro e lo sviluppo. L’occupazione italiana è aumentata tra il 1997 e il ‘98 di 228 mila unità. Nello stesso periodo le professioni intellettuali e scientifiche sono passate dal 6,5% all’8%, mentre è calata del 7% la richiesta dei lavoratori non qualificati. Il part time è passato dal 5,4% del 1992 al 7,9% del 1998. 3. Le donne. Per le donne vi sono segnali contraddittori di modernità e arretratezza. Negli ultimi quattro anni le donne imprenditrici sono cresciute del 56,6% e nelle libere professioni del 51,4%; abbiamo, però, ancora il tasso di attività femminile più basso d’Europa, il 43,3% a fronte del 58,1% della media europea. 4. L’invecchiamento e la denatalità. Al 1° gennaio ‘99 in Italia gli ultrasessantacinquenni sono 10 milioni (17,7% della popolazione) e, unico caso al mondo, superano il numero dei minori di 15 anni (14,5%). 5. I disagi sociali più avvertiti. I bisogni di sicurezza sociale poggiano in modo pesante sui singoli e sulle famiglie: il 75% delle famiglie si fa carico di anziani non autosufficienti e disabili. La diffusione di malattie croniche, dovute all’invecchiamento, necessita di un grosso lavoro di assistenza. La spesa per la sanità ha raggiunto il 4,3% moltiplicandosi così del 200 per 100; l’85,4% degli intervistati si è, però, lamentato della lunghezza delle liste di attesa negli ospedali. Cresce inoltre la domanda di sicurezza personale, sia per l’aumento dei reati che colpiscono più direttamente le persone, sia perché non si ha più fiducia nel sistema giudiziario. Solo il 21% dei procedimenti penali giunge alla sentenza di primo grado entro un anno. (Questi dati sono desunti da un documento ufficiale, il trentatreesimo «Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1999» presentato dal Censis).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Il rivale. «Non ti voglio più bene non ti regalerò / la bella cosa. La porto / a quel bambino di Spezia che lui sì se la merita, / non te brutto e cattivo». Ma per quale / motivo non avevo nemmeno / il fiato di domandare – e che altro se non / chinare il capo e basta, spuntare lucciconi, / promettere di farlo / mai più… Che cosa? E chi fu / il senza volto rivale nella città lontanissima / e prossima? Di quali / calzoncini e lindissima / maglietta a righe vestito? Lui là / nel suo cielo in agguato / a leccare un gelato sicuro del suo momento, / o esibendo quaderni dal perfetto dettato ed io / col cuore che mi trema a colpi di parole, / guitto che scappo di scena / pauroso del non amore (Giovanni Giudici, Il male dei creditori, Milano 1977).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Come un lago prosciugato. Signore, / in un tempo lontano / anch’io tenni nel cuore / tutto un lago, un gran lago, / specchio di Te. / Ma tutta l’acqua mi fu bevuta, / o Dio, / ed ora dentro il cuore / ho una caverna vuota, / cieca di Te. Signore, / ridammi una stilla di Te, / ch’io riviva (Antonia Pozzi, Parole, Milano 1998).

13 aprile 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Con semplicità. Il genio si legittima come tale solo in quanto trionfa con semplicità sopra l’intricato artificio (Friedrich Schiller). L’oscuro e il luminoso. Conviene in certe epoche dare piena vita e parola all’oscuro, perché di esso possa nutrirsi il luminoso. Nelle radici si specchia con esattezza la chioma alta dell’albero (Cristina Campo). I testi che aiutano a vivere. Diceva Leopardi che la lettura non ci rivela mai nulla che già non avessimo in noi stessi, ma accelera il cammino. I testi che aiutano a vivere sono quelli in cui ci si riconosce anticipando quel che ancora non è tutto formato in noi (Margherita Pieracci Harwell).

Sulla vita mistica Musil la pensava come Bergson. Si crede che il misticismo sia un segreto per poter entrare in un altro mondo. Invece è soltanto, o è addirittura, il segreto di vivere altrimenti nel nostro mondo. Lo stile. Lo stile è l’espressione esatta di un pensiero. (Robert Musil)

L’attualità. L’attualità è volatile. Il ronzio della vita. Quando il «ronzio della vita» arriva sulla pagina, allora il libro pare sconvolgere gli schemi di tradizionalisti e avanguardie. (Alessandro Spina).

Queste citazioni mi sono state offerte dal saggio intenso e luminoso di Alessandro Spina, Il romanzo «ingenuo» di Cristina Campo, apparso in «Studi Cattolici» nel febbraio 2000.

LA LEZIONE DEL SUDAFRICA: VERITÀ SENZA VENDETTA. Nel 1995 si costituì in Sudafrica una commissione per ricostruire, nel modo più completo possibile, il quadro delle cause delle gravissime violazioni dei diritti umani compiute tra il 1960 e la fine del 1993. Gli obiettivi esplicitamente perseguiti erano due: accertare sino in fondo la verità e promuovere la riconciliazione. Il carattere di maggiore novità di questa indagine, che aveva anche valore giuridico, risiedeva nel mettere al centro il racconto delle vittime. Occorreva ridare ad esse la loro dignità e far sì che tutti raccontassero la verità: solo la trasparenza può, infatti, aprire gli animi al perdono. Le vittime si aspettavano il riconoscimento della loro sofferenza e non invocavano la vendetta; in esse il bisogno di dignità superava la rabbia per la sofferenza subita. Va da sé che la vera riconciliazione avverrà solo quando le ingiustizie prodotte da decenni di apartheid saranno davvero smantellate e la discriminazione sarà scomparsa sia nella mentalità, sia nei rapporti sociali. La via imboccata, però, per chiudere coraggiosamente col passato e per costruire insieme, bianchi e neri, il futuro della propria nazione onora altamente il Paese di Nelson Mandela e di Desmond Tutu.

DA CHI VORREMMO ESSERE INTERPELLATI. Presto ascolto ad ogni grande voce, a chiunque appartenga. Se delle mie poesie mi parla un vecchio rabbino reso saggio dal sangue, dall’età e dai profeti, io sto ad ascoltarlo. Ama la poesia? Non lo so. Ma sa tutto da dove viene la poesia, le fonti della vita e dell’essere. Quando recito una poesia sul mare e un marinaio che non capisce nulla di poesia mi corregge io gli sono riconoscente. Lo stesso con il guardiaboschi, il fabbro, il muratore. Ogni cosa che mi viene donata dal mondo esterno mi è preziosa, poiché in quel mondo io sono una nullità. Ma quel mondo mi è necessario ogni ora, ogni minuto (Marina Cvetaeva, Il poeta e il tempo, «Un poeta a proposito della critica», a cura di Serena Vitale, Milano 1984).

PREGHIERE ITALIANE DI FINE MILLENNIO. Il Signore, ecco, viene. Vieni, Signore. Il Signore, ecco, viene. / Non conosco una musica più bella, / più dolce e trionfante. // Vieni, mio Dio / come soccorritore, ed io esulto. / Come consolatore, ed io giubilo. / Ma vieni anche come giudice, / come fuoco di catarsi e castigo. // Io, che pure tremo a questo pensiero, / in fondo all’anima ti aspetto e accetto / con gioia.

Così Italo Alighiero Chiusano invoca «La venuta» (questo è il titolo della poesia) in Preghiere selvatiche, Casale Monferrato 1994. Chiusano muore il 15 febbraio 1995.

20 aprile 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La nostra condizione. Chiuso tra cose mortali / – anche il cielo stellato finirà – / perché bramo Dio? (Giuseppe Ungaretti). Più d’ogni cosa. Forse più d’ogni cosa prediligo / l’esile croce e la sua via segreta (Osip Mandel’stam). Il dolore di Dio. Vivi di noi. / Sei… / un Dio che pena / nel cuore dell’uomo (David Maria Turoldo). Il mistero di ciò che vive. Buttate pure via / ogni opera in versi e in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è nella sua essenza una rosa (Giorgio Caproni). Siamo qui. Forse ci basta tentare. / Dire ci basta: siamo qui. / Tu vedi: non sappiamo. / Umili a te diciamo: / pensaci tu, Signore. / A te il nostro niente, / affidiamo alla carne stanca, / l’anima, la mente (Giovanni Testori). La parola. Sei tutto, parola: dolore dell’uomo, amore di Dio (Donata Doni). Là inizia la storia e la bellezza. Eppure, chissà, là dove qualcuno / resiste senza speranza, è forse là che inizia la storia umana, / come la chiamiamo, / e la bellezza dell’uomo (Jannis Ritsos).

IL «FATTO» DEL CRISTO. Gesù ha rivendicato a sé con estrema chiarezza un’autorità divina e si deve dire che è morto perché a lui fu contestato questo diritto. Fu messo a morte in base alla testimonianza di uno che l’accusava di essersi dichiarato uguale al Tempio, che per ogni ebreo è il luogo per eccellenza di Dio. Il sommo sacerdote, nell’udire ciò, si strappò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato perché si è fatto uguale a Dio». E il Sinedrio confermò: «Merita la morte». Gesù si è detto Dio e non ha mai cessato di assumere atteggiamenti che implicavano un’autorità, una dignità divina. Le testimonianze sono evidentissime. Egli si è riservato, ad esempio, il diritto di rimettere i peccati. Quando rimette i peccati al paralitico, i farisei dicono: «Quest’uomo bestemmia perché solo Dio può rimettere i peccati». I farisei, dunque, hanno perfettamente compreso che quando Gesù dice: «I tuoi peccati ti sono rimessi», egli rivendica una proprietà che appartiene solo a Dio. E così, quando afferma: «Il figlio dell’uomo è padrone anche del sabato», i farisei concludono: «Quest’uomo bestemmia» e dal loro punto di vista hanno ragione, perché il sabato è stabilito dalla Legge di Dio e quindi solo Dio è padrone del sabato. È dunque indubbiamente incontestabile che Gesù ha rivendicato per sé una natura e una dignità che sono quelle stesse di Dio e lo ha fatto con le parole e mediante la sua condotta.

Ci si deve chiedere allora, e la domanda esige una risposta netta: Gesù è un impostore, un visionario o il Verbo che si è fatto carne? Impostore è chi gioca un certo ruolo sapendo di non essere quello che dice. Il visionario è colui che confonde realtà e illusione. Ma è mai possibile chiamare Gesù impostore o visionario? I cristiani sono semplicemente coloro che, esaminando le parole e la condotta di Gesù in modo onesto e severo, giudicano, in piena coerenza intellettuale, di aver il diritto, e quindi il dovere, di riconoscere il «fatto» che Gesù è stato un uomo che è vissuto su questa terra e che, nello stesso tempo, ha portato Dio in mezzo a noi. Il mistero rimane e tuttavia s’impone a me come luce di vita, come «il fatto» più grande che abbia attraversato la storia umana.

L’ANGOLO DELLA POESIA. Accendi tutte le luci. Accendi tutte le luci, / prepara tutte le fiaccole, / illumina la casa / della tua anima. / È notte, ma l’alba / è certa, vicina. // Potrebbe giungere / il tuo Signore / e chiamarti con la voce / che hai ascoltato fin da bambina. // Non si spenga / la tua lucerna, / alimentala con la lunga / pazienza del soffrire.

L’ora degli olivi. Giunge sempre l’ora della solitudine / dell’inquieta veglia / con pensieri di angoscia. / Non c’è Angelo che ti conforti, / non c’è cuore che lo senta. I fratelli, gli amici, le persone / che ti vogliono bene / sprofondano in abissi remoti. // Tu sola col tuo dolore / che non osi confessare, / che non osi confidare. / È l’ora degli olivi che vedono / gemere il Figlio di Dio, / l’ora in cui gli altri / dormono ignari. / Non formuli neppure una preghiera. // Se tu dicessi «Padre», forse / il cuore di pietra si scioglierebbe. (Donata Doni, 1913 – 1972)

27 aprile 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Fedele alla meraviglia. Sono sempre rimasta fedele / alla mia meraviglia: / mi meraviglio / di un peccato impunito / e della grazia inattesa (Alda Merini). Il solo che possa dire quello che vuole. Chi viene da lontano può raccontare quello che vuole (Proverbio ungherese).

DALLA «GIUSTIFICAZIONE STORICISTICA» ALLA «MEMORIA CRITICA»: LA CHIESA E LE COLPE DEL PASSATO. Alla contro-testimonianza della divisione fra i cristiani bisogna aggiungere quella delle varie occasioni in cui nel millennio trascorso sono stati impiegati mezzi dubbi per conseguire fini giusti, quali la predicazione del Vangelo e la difesa dell’unità della fede. Un altro capitolo doloroso sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento è costituito dall’acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità. Ci si riferisce alle forme di evangelizzazione che hanno impiegato strumenti impropri per annunciare la verità rivelata, o non hanno operato un discernimento evangelico adeguato dei valori culturali dei popoli, o non hanno rispettato le coscienze delle persone a cui la fede veniva presentata, come pure alle forme di violenza esercitate nella repressione e correzioni degli errori. Analoga attenzione va riservata alle possibili omissioni di cui i figli della Chiesa si fossero resi responsabili, nelle più diverse situazioni della storia, riguardo alla denuncia di ingiustizie e di violenze. Non pochi cristiani hanno mancato di discernimento rispetto a situazioni in cui erano violati i diritti umani fondamentali. La richiesta di perdono vale dunque anche per quanto è stato omesso o taciuto per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo indeciso o poco idoneo. Come sempre, è decisivo stabilire mediante la ricerca storico-critica la verità storica. Stabiliti i fatti, sarà necessario valutare il loro valore spirituale e morale e il loro significato obiettivo. Solo così sarà possibile evitare ogni sorta di memoria mitica e accedere a un’adeguata memoria critica, capace di produrre, alla luce della fede, frutti di conversione e di rinnovamento. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo al principio d’oro formulato dal Concilio: «La verità non s’impone che in forza della verità stessa, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore».

Il brano qui riportato integralmente è tratto dal documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, paragrafo 3 del capitolo 5. La dichiarazione conclusiva è il frutto di un’ampia discussione, svoltasi nel ‘98-’99, da parte della Commissione Teologica Internazionale, che l’ha approvata con voto scritto. Giovanni Paolo II ne ha reso pubblico solennemente il contenuto in un giorno che onorerà per sempre la Chiesa e la storia del cammino umano: domenica 12 marzo 2000, anno del Giubileo.

«RECIDO LE FUNI CHE MI TENGONO ANCORA LEGATA…» Martedì pomeriggio, le due. Anche oggi il mio cuore è morto più volte, ma ogni volta ha ripreso a vivere. Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve per intraprendere il viaggio. Ora sono seduta sulla sponda di un canale silenzioso, le gambe penzolanti dal muro di pietra, e mi chiedo se il mio cuore non diventerà così sfinito e consunto da non poter più volare liberamente come un uccello.

Questa nota non datata, scritta probabilmente ad Amsterdam nel luglio del 1942, fa da premessa alle Lettere 1942-1943 di Etty Hillesum (Milano 1998). Etty Hillesum con queste lettere, scritte in gran parte nel campo di smistamento di Westerbork, ultima stazione prima di Auschwitz, ci ha lasciato una delle testimonianze più alte delle vittime della persecuzione nazista. La vocazione eroica e mistica di Etty si manifesta nel suo rifiuto di ogni possibilità di salvarsi e nella ricerca testarda di tutto ciò che potesse aiutare i fratelli perseguitati. Essa è la sorella maggiore di Anna Frank. Morì ad Auschwitz il 15 settembre 1943.

4 maggio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’incanto dell’amore umano. 1. Cantava come fosse innamorata (Guido Cavalcanti, l’amico di Dante). 2. Come può esser ch’io non sia più mio? / Chi m’ha tolto a me stesso, / ch’a me fusse più presso / o più di me potesse, che poss’io? (Michelangelo Buonarroti). 3. Dillo tu se ancora lo sai / che sempre sono il tuo canto, / il vivo alito, il tuo / verde perenne, la voce che amò e cantò (Vittorio Sereni, 1913 – 1983).

L’AMORE UMANO, QUESTA SPECIE DI SACRAMENTO. Tutto ciò che incontriamo e ci rapisce suscita in noi un appello. Quando ascolto una suonata di Mozart o di Beethoven, avverto una nostalgia immensa: vuol dire che quella musica ha destato nella mia anima il senso della bellezza, cioè di un valore assoluto anche se nessuno mai potrà esaurirne il contenuto. Allo stesso modo ogni creatura, per poco che si penetri nella sua realtà, diventa un segno: risveglia cioè la nostalgia, il presentimento di qualcosa che essa non può darmi nella sua pienezza e infinità. In questo senso le grandi emozioni ci convertono: attraverso un esistente intensamente amato, esse ci destano a ciò che da ogni lato ci supera. Al livello più profondo, il valore della creatura è pertanto correlativo alla loro capacità di sconvolgerci interiormente per aprirci all’infinito. Claudel lo ha visto benissimo ne La scarpetta di raso. Un essere senza lo sconvolgimento interiore rischia di adagiarsi nella mediocrità e nella routine. Sotto questo aspetto, anche il tanto criticato e mal compreso «amore romantico» ha una sua giustificazione: c’è un valore nell’amore in quanto tale, perché è avvertito come riflesso dell’amore assoluto. L’amore ha, dunque, due sensi: è ciò che unisce l’uomo e la donna, ma è anche ciò per cui il cuore dell’uno e dell’altra scopre che cosa è l’amore. Ed è per questo che spesso, molto spesso, l’amore è l’occasione per «dire grazie» a Dio e per riscoprire Dio.

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Gli addii. Potrebbe essere l’ultima volta che li vedo / mi dici dei tuoi compagni di classe / che ti hanno fatto far tardi / oggi che è finita la scuola / dover sgridarti e sto invece ad ammirare / i tuoi quaderni bene ordinati / (con qualche sbavatura d’inchiostro / di dita sudate di giochi di giugno) / in autunno andrai alle superiori / e questa tua bella scrittura un po’ tonda / potrebbe essere l’ultima volta che la vedo (Luciano Erba, Il prato più verde, Parma 1977).

11 maggio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Come l’otre, la mente vuota. L’otre è gonfio di vento, una mente vuota è gonfia di opinioni fallaci (Socrate). Spacconi, ma prima di scorgere il pericolo. La schiera degli spacconi è fatta di codardi: esibiscono grande sfrontatezza, ma solo prima di scorgere il pericolo (Tacito). Scivola nella menzogna. Il troppo parlare nuoce, perché scivola nella menzogna (Aimeric de Peguilhan, inizio del sec. XIII). È impossibile. Non è proprio della stessa persona parlare molto e dire cose giuste. / Non est eiusdem multa et opportuna dicere (Proverbio latino).

LO SPIRITO CHE PENSA, LA COSCIENZA CHE SCEGLIE. Verso la fine del quinto secolo avanti Cristo, divenne possibile per certuni tra i greci parlare della loro anima come se possedesse identità e personalità autonoma, non semplice frammento di una forza cosmico-vitale, o dell’atmosfera. In principio questa concezione fu alla portata soltanto degli spiriti più elevati. Si può documentare che ancora nell’ultimo quarto del secolo quinto questo concetto non era stato assimilato dalla maggioranza, e che i termini in cui esso era espresso suonavano bizzarri all’orecchio dei più. Prima della fine del quarto secolo questa concezione cominciava però a far parte della lingua greca e andava trasformandosi in uno dei postulati più comuni di quella civiltà. Gli studiosi sono inclini a connettere questa scoperta con la vita e la dottrina di Socrate, e a identificarla col radicale mutamento da lui introdotto nell’accezione della parola Psyche. Invece di significare l’ombra o il fantasma dell’uomo, il suo respiro o il suo sangue, un oggetto privo di sensibilità e di coscienza, l’anima venne a significare «lo spirito che pensa», capace di decisioni morali e di conoscenza scientifica, ed è la sede della responsabilità morale, qualcosa di infinitamente prezioso, essenza unica nell’intero regno della natura (Eric Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura da Omero a Platone, Roma-Bari 1983, p. 161).

I DESIDERI E IL LORO ADEMPIMENTO. Mi accade sovente di domandarmi se esista un vero rapporto tra adempimento e desideri. Certo, fintanto che il desiderio è debole, esso è simile a una metà che per diventare autonoma ha bisogno del proprio adempimento come di un’altra metà. Ma i desideri possono germinare in modo così meraviglioso da diventare un tutto, pieno e intero, che non si lascia più completare e ormai si accresce, si forma e si riempie solo dall’interno. A volte si potrebbe credere che alla radice di una vita grande e intensa ci sia proprio stato un coinvolgimento in desideri eccessivi che, come una molla interiore, hanno riversato nella vita azione su azione, effetto su effetto; e quasi non rammentando il proprio fine originario, diventati ormai elementari come un’impetuosa cascata, si sono trasformati in azione e cordialità, presenza e immediatezza, lieto coraggio, a seconda degli eventi e delle circostanze che li avevano provocati (Da una lettera di Rainer Maria Rilke).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. All’Eterno. Come onde la tua riva tocchiamo. / Ogni istante è confine tra l’incontro e l’addio. / Dal nostro mare in te fuggire nel nostro mare fuggirti. / Non altro è di noi labili il destino. // Né tregua mai ci è data, anche se amore / od altra arcana ansia più lontano ci spinse / sulle tue sabbie… Ché ancora / indietro ci trascina il nostro peso / nel mutevole abisso. // Siamo di nuovo desiderio e lamento.

Questa lirica, di straordinaria intensità e bellezza, è una poesia inedita di Margherita Guidacci (1921-1992). La pubblicò Valerio Volpini nel suo bel volume La preghiera nella poesia italiana, Caltanissetta-Roma 1969. Io ho avuto il privilegio di conoscere personalmente Margherita Guidacci, che stimavo molto anche come fine traduttrice di Eliot e Newman.

18 maggio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Sparisce veloce. Nessuna cosa sparisce più presto all’uomo che il tempo. Molte volte quel che piace nuoce. Non giovano tutte le cose che dilettano, perché molte volte quel che nuoce è dolce, e quel che giova è amaro. Come il lupo al cane. Si come il lupo è simile al cane, così l’adulatore è simile all’amico. Gli avari. Gli avari sono tutori non padroni delle loro ricchezze (Salvator Rosa. Napoletano per nascita, fu pittore, poeta, attore, musicista e scrittore satirico).

Nel nuovo mattino. Nel nuovo mattino / scende un silenzio solenne / sulla spiaggia deserta, / su ogni barca lasciata alla fonda / che lenta si culla e riposa. Fanciullo al plenilunio / sogni tessevo / con fili di luce / rubati alla luna (Santo Parisi).

L’UOMO DI OGGI È ANCH’EGLI ALLA RICERCA DI CERTEZZE? Malgrado la retorica che i mass media fanno di continuo sul pensiero debole e sull’esito inevitabilmente scettico a cui porterebbe ogni dibattito, certi dati di fatto sembrano autorizzare conclusioni ben diverse. Oggi, ad esempio, i best sellers più venduti sono proprio i testi classici: tra quelli greci, di gran lunga Platone e, tra i latini, Seneca. Questo vuol dire moltissimo. L’uomo cerca in quegli autori quello che i moderni non gli danno più, cioè un riferimento esplicito a verità essenziali, a idee forti, a un pensiero che non sia sconclusionato. Nello scorso autunno parlando a Brescia, uno dei maggiori conoscitori del pensiero classico, Giovanni Reale, portava a tal proposito due esempi che aiutano a capire.

Primo esempio. Al traduttore polacco della mia Storia della filosofia antica ho chiesto: «Quella che lei affronta è una fatica enorme, sono cinque volumi! Come mai ha accettato un tale compito?». Egli mi ha risposto in questo modo: «Da noi c’è un bisogno assoluto di amore per la saggezza: dal nichilismo del marxismo siamo infatti passati al nichilismo del consumismo, per cui molti ragazzi sono vuoti di tutto. Quelli che hanno fede, riescono ancora ad orientarsi, ma quelli che non hanno fede hanno dentro di sé il niente. Come riempiremo il vuoto delle loro anime?». E ha aggiunto: «Qui in Polonia non era proibito parlare di Platone e di Aristotele, ma era obbligatorio dire che non avevano alcun significato per l’uomo d’oggi. Nella sua Storia della filosofia antica io trovo, invece, uno che crede nelle idee di quegli uomini e le fa capire, perché la verità può ben venirci incontro anche da epoche diverse dalla nostra».

Secondo esempio. Due anni fa in Russia è uscito il quarto volume della Storia della filosofia scritto con Dario Antiseri. Ne sono state stampate ventitremila copie ed è accaduto un fatto stupefacente: le librerie hanno esaurito l’edizione in un solo giorno «Come mai?», ho chiesto alla traduttrice. La risposta è stata del tutto analoga: «C’è una forte richiesta di idee per ricostruire un pensiero che nella cultura marxista è stato completamente distrutto».

GIUDIZIO VUOL FORSE DIRE EGOISMO? Ho una lieta notizia, specialmente per te: il mio dente del giudizio è spuntato non senza forti dolori, ma alla fine c’era per davvero. Quindi puoi avere buone speranze che io diventi ancora una persona ragionevole. Ma tu che intendi per ragionevole? Egoista? Quest’egoismo diventa così noioso! Già da molti secoli ci si racconta che l’uomo è fondamentalmente egoista; così alla fine si comincia a crederlo e a quel punto è così. Ci sono molti aspetti in una persona, e allora perché non si dovrebbe provare a cambiare, a considerare un aspetto diverso da questo noioso e sterile egoismo? (Etty Hillesum, Lettere 1942 – 1943, 8 aprile ‘43, Milano 1998).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. A passo di strada. Il ciuco cammina nel vetro / dell’aria, fanghiglia lo stampa / nel piede, lontano / quel canto di gallo e la croce. // Ma liuto non ho / per quanto mi s’agita in petto / la volta che senso mi prende / del chiaro e del buio. E canto / con note comuni e stonate / al passo di strada la voce. // E tu che m’ascolti, perdona, / buon uomo affacciato al balcone / che dà sulla strada, su me / cantante con povera chitarra (Umberto Bellintani, E tu che m’ascolti, Milano 1963).

25 maggio 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’ambizione. L’onore è il più grande tra i beni esteriori. L’ambizione è brama smodata di onore. Le cause prime di tante ingiustizie. La maggior parte delle ingiustizie commesse dagli uomini deriva dall’ambizione e dall’avidità di ricchezze. (Aristotele)

No, non è amore. Sfuggono all’amante cieco i vizi più turpi, e anzi son questi stessi che piacciono (Orazio). È cosa infame. Il peggior effetto della povertà è rendere gli uomini oggetti di scherno (Severino Boezio).

Al faro. Riflesso nel mare, / nel silenzio della marina / ritrovo / la semplicità dell’esistere. Cielo e mare. Il mare / veste il cielo / di continuità. (Vladimiro Valeri)

CHE COSA SIGNIFICA OGGI LA CULTURA UMANISTICA?

Sono i latini che ce lo hanno spiegato molto bene. Cultura umanistica vuol dire cultura formatrice dell’uomo. La cultura classica è formatrice dell’uomo come uomo, non di aspetti tecnici o di capacità professionali specifiche, settoriali; essa riguarda tutti i problemi dell’uomo in quanto tale: chi sono io, da dove vengo, dove vado, qual è la mia natura. Ma chiedersi «qual è la mia natura?» significa pormi inevitabilmente l’altra domanda: «Che cosa devo fare per attuare me stesso, per realizzarmi, come dicevano i greci, nella mia areté?». Noi traduciamo questo termine con virtù, ma in greco esso vuol dire qualche cosa di ancora più forte, che riguarda l’essenza stessa dell’uomo. L’attività che l’uomo deve mettere in atto è quella subordinata alla realizzazione completa della sua essenza ossia di ciò che lo differenzia da qualunque altra cosa. (Dall’intervista a Giovanni Reale in Communio, numero 162 dedicato a «La classicità nella scuola del 2000»).

«DAL MIO CUORE S’INNALZA SEMPRE UNA VOCE…». Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. La miseria che c’è nel campo di smistamento è veramente terribile – eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce. Non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine e orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa, vorrei dire anch’io una piccola parolina. La strada principale della mia vita arriva già in un altro mondo. Proverò a descrivervi come mi sento, ma non so se la metafora a cui ricorro è quella giusta. Quando un ragno tesse la sua tela, non lancia forse i fili principali davanti a sé e poi ci si arrampica sopra? La strada principale della mia vita è tracciata per un lungo tratto davanti a me e arriva già in un altro mondo. È proprio come se tutte le cose che succedono e che succederanno qui siano già, in qualche modo, date per scontate dentro di me: quasi che io le abbia già vissute e assorbite, partecipando già alla costruzione di una società futura (Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, 3 luglio 1943, Milano 1998).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Dal mondo impara. Dal mondo impara / tutto l’arco del sole / e lo splendore, / la grandezza dei gesti / in che consiste crescere, / finire. // Impara dalle madri / il silenzio provvido / gentile, dalle tombe la morte, / e dal morire d’ogni giorno / l’esame impara a svolgere. // Medita quando l’ombra / ti cade d’ogni sera / sulla fronte: è passato, mio amore, / un altro giorno (Giovanni Testori, Per sempre, Milano 1970).

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Per un atto d’amore. In cosa possiamo dirci tua immagine, / se per questa infinita inquietudine / o per l’illusione di essere noi «onnipotenti» / ora che tu, per creazione, più non lo sei. / Né puoi esserlo / a causa del pauroso dono: / Tu libertà non puoi più negare / se da noi quanto attendi e brami / è solo un atto di amore (David Maria Turoldo, Canti ultimi, Milano 1991).

1 giugno 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Non è questo essere liberi? Non volere che il bene: quale semplificazione della vita, quale unità nel nostro intimo, quale fonte di pace! Non è questo essere liberi nel senso più alto della parola? Oltre la libertà di scelta c’è la libertà di fare il bene. Non il «romanzo», ma la «reale trasfigurazione». Odio lo strano, deviante miscuglio delle vite romanzate; m’interessa molto e mi commuove, invece, la biografia di chiunque tenda con tutta l’anima a trasfigurare la propria esistenza, con la dedizione e l’approfondimento. Grandezza dell’anima umana. L’essere che abbiamo ricevuto nascendo ha sue precise coordinate individuali; tuttavia ognuno di noi è sommamente plasmabile, segnato dalla strutturale possibilità di scelta. Ebbene, far nostra la scelta che eleva il nostro io profondo a potenza, e a una potenza infinita, significa aprirci alla verità su noi stessi. (Levi Appulo)

IL PASSATO E IL PRESENTE SONO LEGATI TRA LORO NEL BENE, MA ANCHE NEL MALE. Per la fede il legame tra passato e presente non è motivato solo dall’interesse attuale e dalla comune appartenenza di ogni essere umano alla storia e alle sue mediazioni espressive, ma si fonda anche sull’azione unificante dello Spirito di Dio e sull’identità permanente del principio costitutivo della comunione dei credenti, che è la rivelazione. La Chiesa – in forza della comunione prodotta in essa dallo Spirito di Cristo nel tempo e nello spazio – non può non riconoscersi nel suo principio soprannaturale presente e operante in tutti i tempi… La comunione dell’unico Spirito Santo fonda anche diacronicamente la comunione dei santi, in forza della quale i battezzati di oggi si sentono legati ai battezzati di ieri. Essi beneficiano dei loro meriti e si nutrono della loro testimonianza di santità, ma si sentono in dovere allo stesso modo di assumere il peso delle loro colpe, dopo attento discernimento (Memoria e riconciliazione 4, 2).

NON AVER PAURA DELLA RIVOLUZIONE DEL 12 MARZO 2000. La rivoluzione operata il 12 marzo 2000 – con la richiesta di perdono fatta dal Papa per le colpe passate della Chiesa – apre le porte a una visione più realistica e insieme più spirituale della Chiesa e rende finalmente possibile un dialogo sincero, a tutto campo, tra Cristo e il mondo d’oggi. Giovanni Paolo II chiede perdono a Dio e all’umanità per le colpe della Chiesa, e lo fa pubblicamente, nel modo più solenne, annullando una prassi che si era fatta costume negli ultimi secoli, una condotta in cui trovavano largo posto escamotage, calcolati silenzi, minimizzazione di ciò che imbarazza e persino tortuose giustificazioni di fatti che francamente dovevano ripugnare ai seguaci del Vangelo. L’aver compiuto nella Chiesa un atto così netto e radicale costituisce un motivo di autentica grandezza spirituale di Giovanni Paolo II. Occorre tener tra le mani, leggere e rileggere il testo Memoria e riconciliazione – La Chiesa e le colpe del passato per coglierne la ragione profonda. A coloro che ne sono rimasti sconcertati, e tra essi ci sono anche cristiani esemplari e maestri di fede, mi permetto di ricordare che quello che è avvenuto il 12 marzo 2000 non è una stranezza, o un cedimento senile del Papa, ma semplicemente la verifica dell’adagio di sant’Agostino: veritas magna et praevalet. La verità è grande e finisce col prevalere.

«CON TE È UN’ALTRA COSA». Ho tanti amici. Alcuni vengono da me con le loro difficoltà spirituali e così dobbiamo parlare a lungo. Ce ne sono parecchi altri a cui scrivo regolarmente e per esteso, perché sento che ne hanno bisogno e li voglio aiutare. Con te è un’altra cosa: tu esisti nella mia vita e sarebbe inconcepibile il contrario. Io discorro spesso con te, ma non sento mai la necessità di fissare questi discorsi sulla carta; penso sempre che te n’accorga anche senza le mie lettere. Se non ricevi mie notizie per un po’ non devi mai sentirti deluso o triste: io continuo a pensarti con il forte e buon sentimento di sempre. Questa mattina, mentre me ne stavo coricata e pensavo a qualcosa che ti riguardava, ho sentito l’irresistibile bisogno di ribadirtelo con altrettante parole. Quanto mi dispiacerebbe se tu pensassi che ora di te m’importi meno! Le cose buone e umane che abbiamo condiviso sono vive nei miei sentimenti e sono sempre reali. Ti mando un bel sorriso da lontano, sempre che la cosa sia permessa (Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, 16 gennaio 1943, Milano 1998).

8 giugno 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. La prova del più grande amore. Essere amati senza merito è la prova del vero amore (Milan Kundera). La penombra necessaria. Lo spirito umano è debole, non sopporta la verità nella sua purezza (Romain Rolland). Ciò che rende nuove le antiche idee. Ciò che rende nuove le antiche idee è prenderle sul serio (Levi Appulo). Il perfetto anagramma. «Tenero» è il perfetto anagramma di «eterno» (Dino Basili).

L’INCOMPARABILE NOVITÀ. Tentativi, precorrimenti, preparazioni si sono notati del cristianesimo, ma la luce che quei fatti sembrano tramandare la ricevono di riflesso, dall’opera che si è poi attuata, e non l’avevano in sé, perché nessun’opera mai nasce per aggregazione o concorso di altre che non sono lei, ma sempre e soltanto per un atto originale e creativo: nessun’opera preesiste nei suoi antecedenti. La coscienza morale, all’apparire del cristianesimo, si avvivò, esultò e si travagliò in modi nuovi, tutt’insieme fervida e fiduciosa, col senso del peccato che sempre insidia e col possesso della forza che sempre gli si oppone e sempre lo vince, umile e alta, e nell’umiltà ritrovando la sua esaltazione e nel servire al Signore la letizia. E si tenne incontaminata e pura, intransigente verso ogni allettamento che la traesse fuori di sé o la mettesse in contrasto con se stessa, guardinga persino contro la stima e la lode e il luccicore sociale; e la sua legge attinse unicamente dalla voce interiore, non da comandi e precetti esterni, che tutti si provano insufficienti al nodo che di volta in volta si deve sciogliere, al fine morale da raggiungere, e tutti, per una via o per un’altra, risospingono nella bassura sensuale e utilitaria. E il suo affetto fu di amore, amore verso tutti gli uomini, senza distinzione di genti e di classi, di liberi e schiavi, verso tutte le creature, verso il mondo che è opera di Dio e Dio che è Dio d’amore, e non sta distaccato dall’uomo, e verso l’uomo discende, e nel quale tutti siamo, viviamo e ci moviamo. Da siffatta esperienza, che era in un sol atto sentimento, azione e pensiero, una nuova visione e una nuova interpretazione sorgeva della realtà.

Anche queste riflessioni sono tratte dal saggio, più volte citato, Perché non possiamo non dirci «cristiani», di Benedetto Croce, apparso nel 1942. Un decennio prima, nel 1932, un altro grande pensatore, Henri Bergson, aveva affrontato nell’ultimo suo capolavoro – Le due fonti della morale e della religione – il tema del significato profondo della rivoluzione cristiana e delle sue proiezioni, per quanto parziali, nel cammino umano della storia. È molto significativo che i due illustri filosofi, pur avendo affrontato lo stesso argomento da prospettive diverse, siano giunti alle medesime conclusioni. Nel brano che qui riportiamo Croce rende omaggio, con accento commosso, alla novità incomparabile che il messaggio cristiano ha immesso nella vita morale dell’umanità, nella visione del mondo, nel modo di concepire Dio Spirito eterno creatore di tutte le cose e unico principio di spiegazione, uno e distinto insieme.

CHI HA IL DIRITTO DI AFFERMARLO? Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori. Spesso penso che dovremmo caricarci il nostro zaino sulle spalle e salire su un treno di deportati (Etty Hillesum, Lettere 1942 -1943, 4 novembre 1942, Milano 1998).

Quelle che potremmo chiamare le materie prime della vita sono dappertutto le stesse: in ogni luogo di questa terra si può vivere la propria vita in modo ricco di significato o altrimenti morire, e l’Orsa Maggiore brilla altrettanto veritiera sopra un paesino sperduto che sopra una grande città nel cuore di uno Stato, o anche sopra una miniera di carbone della Slesia (ibid., dicembre 1942).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Voce di morituro. Addio, bei monti della giovinezza, / forti compagni di avventure, addio, / domani all’alba mi fucileranno. / Poi che alla morte mi sarò congiunto, / sovra gli spalti del ventoso marzo / apparirà la casta primavera / e nel suo grido folle di dolore / zampillerà per l’acre sete umana / il fiume grande della Libertà (Giannetto Valzelli, partigiano Mirko, Fiamma Verde).

15 giugno 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. L’innocenza di un bambino. L’innocenza di un bambino può mobilitare un’intera nazione (Cintio Vitier, poeta cubano). Con buona pace di Marx. Se si è cristiani, non si può scegliere tra Dio e il prossimo. Si deve prenderli tutti e due (Frère Roger Schultz, fondatore della comunità di Taizé). «È perché mi sentivo inadeguato». Se ho reso credibili in televisione figure come padre Pio e don Milani è perché mi sentivo inadeguato (Sergio Castellitto). Una grazia e una destinazione ignota. Deve esserci nella libertà, nella giustizia, nella verità una forza segreta, un vigore unico, un’esplosione, una speranza e, in ultima analisi, una grazia e una destinazione ignota (Charles Péguy). Il cantiere è sempre aperto. L’uomo costruisce sulle rovine dei suoi «io anteriori» (Henry Miller). «Approfitti del fatto che si sente a pezzi». E io le dico: approfitti del fatto che si sente a pezzi e con il morale a terra per mettersi a cercare la verità sul serio, uscendo dalla condizione infantile (Jacques Maritain).

AMATO, LAICO PENTITO. Un altro eloquente segnale del declino delle vecchie etichette politiche? Lo ha offerto il presidente del Consiglio, il «laico» Giuseppe Amato, quando, presentando a Roma il libro Dialoghi sulla fede di Arrigo Levi, ha affermato, con autocritico rammarico, che «i laici sono meno capaci di amare dei credenti». Si tratta di un altro strappo di Amato con il suo mondo d’appartenenza. Prima vennero i dubbi sull’aborto. Poi l’esaltazione del ruolo del Papa. Adesso Amato confessa d’invidiare «i credenti come Teresa d’Avila che sanno dare una mano più dei laici, perché il motore che li muove è qualcosa di più potente della ragione». Amato riscontra tra gli amici laici minore disponibilità a darsi: «Chi crede in Dio ha una marcia in più; e chi non ce l’ha, ha meno capacità di amare» (Pierluigi Battista, La Stampa, 16 maggio 2000).

MA PERCHÉ SCEGLIERE SEMPRE LA STRADA PIÙ CORTA E A BUON MERCATO? La ribellione che nasce solo quando la miseria comincia a toccarci personalmente non è vera ribellione… Assenza di odio non significa di per sé assenza di un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Laggiù [nel campo di Westerbork] ho potuto toccare con mano che ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale (Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, dicembre 1942, Milano 1998).

22 giugno 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Si legge in Omero. C’è un tempo per ogni cosa (Odissea XIX, 592-593). Ciò che ci supera. Nel cuore umano Dio ha posto anche il senso dell’eterno, senza però che l’uomo riesca ad afferrare l’inizio e la fine della creazione divina (Libro del Qohelet). Uno pseudonimo della vita. Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa (Antonio Gramsci a Tatiana Schucht, 2 luglio 1933). Parecchio, ma non abbastanza. Bisogna aver fatto parecchio per capire di non aver fatto abbastanza (Raul Follerau). La parola del poeta. Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detto (Giovanni Pascoli). Quando ascoltiamo Bach. Quando ascoltate Bach vedete nascere Dio. Dopo un oratorio, una cantata o una «Passione» Dio deve esistere (Emil Cioran).

Quello che ti dà il danaro. Tutto quello che ti dà il danaro è un certo lusso nell’infelicità (Dal film Tutta una vita di Claude Lelouch). L’amico. Lo sai cos’è un amico? È un uomo che ti conosce a fondo e, nonostante ciò, ti vuole bene (dal film Profumo di donna di Dino Risi). La professione di fede dei Signori Corrotti. La corruzione è l’unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative. Possiamo arrivare a dire paradossalmente che la corruzione è essa stessa progresso (Dal film In nome del popolo italiano di Dino Risi). Al leader Massimo. D’Alema, di’ una cosa di sinistra! (Dal film Aprile di Nanni Moretti).

SOLO LA VERITÀ, PURIFICANDO LA MEMORIA, RENDE LIBERI. 1. Il corretto giudizio storico non può prescindere da un’attenda considerazione dei condizionamenti culturali del momento in cui certi fatti si verificarono. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di dolersi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli. 2. La Chiesa non teme la verità che emerge dalla storia ed è pronta a riconoscere gli sbagli, là dove sono accertati, soprattutto quando è in gioco il rispetto dovuto alle persone e alle comunità. Essa è propensa a diffidare delle sentenze generalizzate di assoluzione o di condanna rispetto alle varie epoche storiche, affidando l’indagine sul passato alla paziente e onesta ricostruzione scientifica, libera da pregiudizi di tipo confessionale o ideologico, sia per quanto riguarda gli addebiti che le vengono fatti, sia per i torti da essa subiti.

Ho voluto qui riportare due brani di Giovanni Paolo II. Il primo è tratto dalla lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, paragrafo 2. Il secondo brano è tratto dal discorso tenuto il 1° settembre 1999 e riportato il giorno seguente da L’Osservatore Romano.

L’ANGOLO DELLA PREGHIERA. Preghiera della sposo. Dateci, o Dio, gioie pure, dolori sopportabili, amore paziente, lieta e forte concordia nel bene. Datemi un pane per la mia donna. Se destinato ad esser padre, donatemi vita e virtù per educare i miei figli. Se i giorni a me numerati son brevi, nelle vostre mani raccomando, Signore, questa ch’è ormai tanta parte dell’anima mia. Con l’esempio e con la parola dateci di consolare e nobilitare l’anime dei fratelli. Insegnatemi ad espiare le mie colpe che non ricadano sulla mia famiglia. Perdonatemi. Benediteci (Niccolò Tommaseo, «Fede e bellezza», in Opere, Milano-Napoli 1958).

POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO. Campo di Marte. Finalmente, anche in me la guerra è finita / i ricordi rispettano l’armistizio / ma continua il dopoguerra (Valentino Zeichen, Pagine di gloria, Parma 1983).

29 giugno 2000.

LINEA RECTA BREVISSIMA. Lo stadio etico come forma di vita. Per chi entra nella sfera morale il problema non verte mai sull’esterno, quanto sull’interno (Søren Kierkegaard). Ci sono anche le convalescenze spirituali. Le grandi malattie dell’anima come quelle del corpo rinnovellano l’uomo e le convalescenze spirituali non sono meno soavi e meno miracolose di quelle fisiche (Gabriele D’Annunzio). La profondità, dimensione interiore. Il più grande esploratore non compie viaggi così lunghi come chi discende nel profondo del proprio cuore (Julien Green). I confini, ossia i paletti. I confini della moralità e dell’amore di sé sono segnati con tanta chiarezza e rigore che anche l’occhio più volgare non può fare a meno di distinguerli (Immanuel Kant).

LE POCHE COSE GRANDI CHE CONTANO. La gente si smarrisce dietro ai mille piccoli dettagli che ti vengono quotidianamente addosso, e in questi dettagli si perde e annega. Così non tiene più d’occhio le grandi linee, smarrisce la rotta e trova assurda la vita. Le poche cose grandi che contano devono essere tenute d’occhio, il resto si può tranquillamente lasciar cadere. E quelle poche cose grandi si trovano dappertutto e dobbiamo riscoprirle ogni volta in noi stessi per poterci rinnovare alla loro sorgente. Malgrado tutto, si approda sempre alla stessa conclusione: la vita è pur buona… Questa è la mia convinzione anche ora, anche se sarò spedita in Polonia con tutta la famiglia (Etty Hillesum, Lettere 1942 – 1943, 26 giugno 1943, Milano 1998).

ULTIMO BIGLIETTO DI ETTY HILLESUM. A Christine van Nooten. Christien, apro a caso la Bibbia: «Il Signore è il mio rifugio». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per te giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora ad Amsterdam; forse avrai notizie. Hai ricevuto la mia ultima lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty. Questa cartolina postale, che Etty buttò fuori dal treno il 7 settembre 1943, fu ritrovata lungo la linea ferroviaria e spedita una settimana dopo. Etty Hillesum morì ad Auschwitz il 30 novembre di quello stesso anno.

CARISSIMO SILONE. Ciò che sfugge soprattutto ai professionisti della politica. Si può, per il successo della lotta, dimenticare i motivi per cui siamo scesi in lotta? Per giudicare un regime. È molto importante, per giudicare un regime, sapere di che cosa ride. Sarà l’esperienza del comunismo a uccidere il comunismo. «La lotta finale – ho detto un giorno a Togliatti – sarà tra i comunisti e gli ex comunisti». Questa affermazione è stata in seguito variamente discussa. Eppure il senso che vi attribuivo era semplice. Sarà l’esperienza del comunismo, intendevo dire, a uccidere il comunismo. Teorie e valori. Quanto più le «teorie» socialiste pretendono di essere «scientifiche», tanto più sono transitorie; ma i «valori» sociali sono permanenti. La distinzione fra teorie e valori non è ancora abbastanza chiara nelle menti di quelli che riflettono su questi problemi, eppure mi sembra fondamentale. Sopra un insieme di teorie si può costruire una scola di pensiero e una propaganda; ma soltanto sopra un insieme di valori si può fondare una cultura, una civiltà, un nuovo tipo di convivenza tra gli uomini. (Ignazio Silone, Uscita di sicurezza, 1949 in edizione inglese e americana).

La rubrica “Detti e contraddetti” è stata pubblicata sul Giornale di Brescia con cadenza settimanale dal 5 gennaio 1988 al 25 gennaio 2007.