Madre, 1 dicembre 1979.
Per i cristiani la cosa più urgente da fare è riguadagnare per se stessi e per gli altri il senso evangelico del fanciullo. Al di fuori di questo caposaldo, ogni conquista non potrà situarsi nel punto giusto e non sarà veramente feconda.
L’Anno Internazionale del Fanciullo, ormai in chiusura, sta a ricordarci che i fanciulli sono al tempo stesso la prima responsabilità degli adulti e il loro miglior investimento. Al loro sviluppo perfettivo è legato indissolubilmente l’avvenire del mondo. Con essi è già in mezzo a noi, per tanta parte, il futuro dell’umanità. Ma noi, esattamente, che cosa sappiamo di loro? Proponiamo qualche rapida considerazione.
Qual è oggi la situazione di indigenza e di ignoranza dei fanciulli nei paesi poveri? Quale indicibile tragedia hanno vissuto in questi ultimi anni e vivono i fanciulli nei paesi dilaniati dai conflitti armati, dalla guerra civile, dagli esodi forzati, dalle discriminazioni imposte dai regimi totalitari? A quale inquinamento dell’anima sono esposti i fanciulli nelle nostre società industriali?
Sono interrogativi a cui non si può evidentemente dare una risposta esaustiva. Ma su di essi bisogna tornare di continuo per conoscere sempre meglio la realtà effettuale e soprattutto per suscitare in noi stessi, nei nostri ragazzi, nei giovani che tanto spesso non sanno che cosa meriti davvero la loro appassionata dedizione, nelle comunità di cui facciamo parte (da quelle professionali a quelle religiose) quella ospitalità del cuore che sola ci rende creativamente capaci di vivere la legge più autentica dello sviluppo perfettivo della persona. Quella legge che potremmo formulare in linguaggio agostiniano nel modo più semplice in questi termini: «quanto più discendi in te stesso, tanto più trovi gli altri e quanto più ti poni al servizio degli altri tanto più realizzi te stesso».
Le cifre, i dati, hanno una loro terribile eloquenza. Contro 250 milioni di fanciulli per lo meno ben nutriti, alfabetizzati, alloggiati e curati, l’Organizzazione Mondiale della Sanità giudica che ve ne siano 800 milioni che soffrono di cattiva nutrizione e di miseria. Per 90 degli 800 milioni, si deve parlare più propriamente di fame e più della metà della enorme massa dei malnutriti soffre di malattie derivanti da avitaminosi. Ancora forte è l’incidenza della tubercolosi (in India specialmente) e ancora ci si ammala e si muore di paludismo, tracoma, lebbra. Nei 91 paesi classificati come “poveri” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo il 10% dei fanciulli dispongono di servizi sanitari accessibili entro il raggio di 10 chilometri. L’85% dei fanciulli non possono fruire di acqua potabile. E come calcolare il numero dei fanciulli che non godono di un habitat sano e degno di questo nome?
Per quanto riguarda il punto 7 della Dichiarazione dei diritti dei fanciulli («il fanciullo ha diritto ad un’educazione, che, almeno a livello elementare, deve essere gratuita e obbligatoria») i progressi realizzati a partire dal dopoguerra sono stati grandi e tuttavia il numero dei fanciulli non scolarizzati (269 milioni) supera ancora nettamente quello dei fanciulli scolarizzati (210 milioni). È doveroso non far calare il sipario della dimenticanza sui fanciulli vittime in forme diverse della guerra nel Vietnam, nel Biafra, nell’Angola, in Libano, in Cambogia, in Eritrea. Chi potrà misurare la loro angoscia e la loro sofferenza? L’odio e il terrore – da cui sono stati brutalmente travolti, senza colpa – quali ripercussioni avranno nei loro animi? Quali frutti daranno i semi di violenza deposti nell’intimo dei loro cuori?
Né tutto è sereno e accettabile per il fanciullo nelle nostre società industrializzate. Da noi coesistono e concrescono più apertamente il meglio e il peggio, ovunque, in campo educativo, come sul piano morale e culturale. I nostri paesi hanno alzato efficacemente e in maniera permanente il livello dei servizi per i bambini. Strutture igieniche e sportive, alimentazione, servizi sanitari migliorano dappertutto. Ma sotto altri aspetti si deve registrare una perdita secca in umanità e in efficacia educativa: e la perdita è di incalcolabili conseguenze. Quali che siano le cause (organizzazione del lavoro, stress, vita familiare scombinata, incertezza sul futuro, assenza di significato e insopportabilità dell’esistenza, ricerca del comodo e del lusso, fuga dalle responsabilità) e comunque le si vogliono giudicare, nella nostra società troppo spesso il bambino non è desiderato, concepito non vede la luce, quando nasce non è sempre accolto col rispetto e con l’amore di cui ha bisogno e a cui ha diritto. Nelle nostre città lo spazio per i giochi infantili si restringe sempre più e tanti fanciulli ignorano la gioiosa comunione con la natura e con i propri coetanei. Malati di angina temporis, non abbiamo mai tempo a disposizione per i nostri figli. Eppure Erasmo ci aveva messo in guardia formulando nei Colloqui un criterio ben concreto: «Ti ama veramente chi sa farti dono del suo tempo». Ma il crimine più grande che il nostro tempo commette nei confronti dei fanciulli, soprattutto nella cosiddetta area del benessere, è la violentazione delle loro anime, l’assenza di qualsiasi ritegno a immergerle nelle peggiori sozzure di cui possono macchiarsi gli adulti. Tutto ciò rileva uno stordimento che sbalordisce e angoscia.
L’Anno Internazionale del Fanciullo voleva e doveva essere l’anno non delle chiacchiere demagogiche e degli ottimismi prognostici, ma (e c’è ancora spazio!) il tempo forte della denuncia appassionata di ogni violenza compiuta nei confronti dell’umanità inerme e indifesa del bambino. I ragazzi oggi stanno crescendo in una realtà assai difficile.
Dobbiamo offrire ad essi qualcosa d’altro che non la bufera delle prevaricazioni, l’aridità intollerante delle ideologie, la paura dell’abbandono e dell’indifferenza, le gabbie dei riflessi condizionati dei regimi totalitari, le mutilazioni disumanizzanti a cui li condannano le concezioni dell’univisualità. Dobbiamo lavorare con ogni mezzo a far riscoprire agli adulti, e in particolare ai giovani, l’incomparabile bellezza dell’infanzia, la dignità in cui Cristo colloca il fanciullo nel Vangelo. Occorre il più possibile allargare, motivare sempre meglio e strutturare didatticamente un’autentica educazione alla “mondialità”, perché i nostri ragazzi diano al loro amore del prossimo l’efficacia intuitiva delle azioni concrete e insieme il respiro dell’universale. È estremamente necessario collegare con le iniziative più opportune i giovani, sospingendoli alla scoperta operosa dei bisogni dell’infanzia. «Il nostro anno internazionale è stato quello del gemellaggio tra la giovinezza e l’infanzia? Era il sogno di Roberto Schumann, convinto che c’è una giovinezza avida di scavare pozzi, piantare alberi, costruire muri per accogliere l’alba di una nuova speranza».
È quello che ha voluto farci intendere, ricorrendo all’apologo, Schumann in un passo del suo appello.
«C’era una volta una scuola materna in una cittadina con meno di diecimila abitanti. Un’educatrice fece vedere ai suoi bambini delle immagini. Spiegò loro che le donne del villaggio africano che si vedevano nella foto dovevano camminare molto a lungo sotto il sole per raggiungere un pozzo da cui attingere l’acqua per i propri figli che, altrimenti sarebbero morti di sete. Disse anche che sarebbe bastato un asino per alleggerire questa fatica. Poi chiese loro se sarebbero stati disposti a mettere ogni giorno qualcosa nel salvadanaio per acquistare l’animale a cui sarebbe stato dato il nome della loro città. Tre mesi dopo nel cortile della scuola si festeggiava l’acquisto dell’asino, sei mesi dopo le pareti dell’aula erano ornate di foto dell’asino carico di secchi e circondato da volti sorridenti. È una storia ridicola? Ridiamone pure, se vogliamo. Esemplare? Credo di sì. Occorre infatti che moltiplichiamo a milioni le avventure simili, che ne promuoviamo centomila di dimensione più vaste, diecimila che parlino più all’immaginazione che al cuore. E ricordiamo che anche per il futuro non siamo esonerati dal pensare a organizzazioni, organigrammi, piani di carette dietetico e tecnologico. Infatti, è proprio vero il contrario. La definizione e il coordinamento di singole azioni concrete postula, esige, il confronto, la messa in comune di programmi di sanità infantile e materna e programmi alimentari per tutti, bene o mal nutriti. Vi pare dunque che io abbia ambizioni modeste? Se l’anno avesse permesso di contare uno per uno tutti i fanciulli che hanno bisogno di un aiuto o di una carezza, perché vittime di handicap fisici o morali, perché figli di prigionieri, o reduci essi stessi da tribunali, perché sottoposti a lavori troppo duri o perché destinati a vivere in terre dilaniate, non meriterebbe di essere valutato come un inizio, un “egira”, da parte di tutti quelli che restano turbati da questa lista a prima vista incompleta, ma in realtà carica di un peso universale?».
Molte evidentemente sono le cose da fare e da continuare a fare al meglio. Ma la più urgente per i cristiani è riguadagnare per noi e per gli altri il senso evangelico del fanciullo. Se non lo faremo, ogni altra conquista non si situerà al punto giusto e non sarà veramente feconda. Dostoevskij lo aveva capito e svolge questo motivo in tutti i suoi più grandi romanzi. Nei Fratelli Karamazov, giunto ormai alle soglie dell’eternità, il maestro spirituale di Alioscia, il monaco Zosima riassume il senso cristiano della vita nel dovere di «coltivare in noi l’amore vigile, l’amore attivo per i fanciulli», nell’attenzione all’infanzia, a ciò che il bambino ha e che noi non abbiamo più, al dono alto e prezioso che, nel campo dello spirito, l’infanzia rappresenta per gli adulti. Le ultime parole di Zosima sono: «Amate specialmente i bambini perché essi vivono per purificare e commuovere i nostri cuori». Il genio cristiano di Dostoevskij aveva ben compreso che dietro l’essere inerme del bambino vi è un mistero divino. Riattivare sempre di nuovo la vista interiore per scorgere quel mistero delicato e sacro è la condizione prima perché gli uomini giungano a dare nel loro cuore al fanciullo il posto che Cristo gli ha serbato nel suo.