Ci sono pensatori profondi ed originali, di cui si avverte la grandezza e che tuttavia, proprio a causa della loro totale estraneità ai giochi del potere e dell’industria culturale, sono quasi condannati ad essere misconosciuti ed emarginati. Essendo uomini di cultura e di meditazione, non possono certamente essere loro gli idoli di turno delle mode imperanti. È un fenomeno che si è verificato più volte nel campo del pensiero filosofico – un esempio clamoroso per tutti, il destino di Giovan Battista Vico – e anche nell’arte.
Questi pensieri sorgevano spontanei in me, leggendo l’ultimo breve scritto di un filosofo di razza, qual è stato Nicola Petruzzellis. Il volumetto si intitola “Materialismo edonismo consumismo” (D’Auria Editore, Napoli). Sono i tre «ismi» che stanno svuotando di senso le coscienze e la vita di tanti giovani, perché hanno prima avvelenato coloro che dovevano essere i loro educatori.
Quando si è prossimi al traguardo, anche chi domina il campo della ricerca teoretica come il Petruzzellis – autore di opere rigorose e geniali come “Il valore della storia, Sistema e problema” – tende a dare al suo discorrere il carattere della veduta d’insieme e un andamento sapienziale, da cui emerga tutta l’ansia per l’uomo e per il futuro dell’umanità. Questo è il tono dello scritto che abbiamo tra le mani ed è ciò che lo rende più prezioso, dominato com’è da cima a fondo da un’autentica passione educativa. Petruzzellis vede l’edonismo e il consumismo come conseguenze logiche del materialismo; ma egli mette altresì in evidenza l’intreccio psicologico di questi atteggiamenti della coscienza e della prassi. «Se in linea logica il materialismo precede l’edonismo e il consumismo, spesso sul piano psichico un deciso atteggiamento edonistico è la latente matrice delle teorie materialistiche».
Ci sono materialisti che hanno idee e ideali morali elevati, perché gli uomini sono spesso migliori delle dottrine che professano; ma «il problema è di dimostrare la compossibilità di ideali morali con le premesse materialistiche che li rendono semplicemente impensabili». Il nesso tra produttivismo febbrile, consumismo ed edonismo è evidente, sì che l’uno diventa concausa dell’altro.
«Posto nel piacere il fine e il valore della vita – scrive con limpida efficacia Petruzzellis – poiché la ricerca del piacere è indefinita, insaziabile, multiforme, crea una domanda di cose, di oggetti, di strumenti, di macchine che possono stimolare, variare, moltiplicare, prolungare, rendere meno labile la fruizione».
Giornale di Brescia, 19 agosto 1989.