Diogneto, il mistero luminoso

Bresciaoggi, 19 maggio 2007

Lunedì 21 maggio alle ore 20.45, nella Sala Bevilacqua della Pace, si terrà la conferenza di Luigi Franco Pizzolato, docente di Letteratura cristiana antica all’Università Cattolica di Milano, su «A Diogneto», il libretto aureo del cristianesimo delle origini, tradotto da Matteo Perrini per la Scuola Editrice. La lettura integrale del testo sarà eseguita dall’attrice Viola Costa. L’incontro è organizzato dalla Cooperativa Cattolico democratica di cultura, insieme ai Padri della Pace e all’Università Cattolica di Brescia.

Costituisce uno dei testi fondamentali della letteratura cristiana in lingua greca, un piccolo libretto risalente al cristianesimo delle origini, che affronta in maniera fresca e originale i temi fondanti dell’essere credenti, eppure se ne era persa traccia.
Scritto non si sa da chi, fu ritrovato nel 1436 sul banchetto del pesce al mercato di Costantinopoli, insieme ad altra carta da imballaggio, acquistato per pochi soldi da un umanista italiano, Tommaso d’Arezzo, venuto nella capitale bizantina a studiare greco. Certamente quei fogli non erano gli originali, forse erano una copia di un manoscritto di due secoli precedenti, ma la sua stesura, a parere quasi unanime dei filologi, appartiene al secondo secolo dell’era cristiana. Stiamo parlando di «A Diogneto», un libro misterioso per quanto riguarda le sue origini e le peripezie editoriali, ma luminoso nei contenuti: in sostanza, esso è la messa in fila delle risposte che un Autore, un apologista di cui non si conosce l’identità (un altro mistero), dà alle domande, otto in tutto, di un certo Diogneto sul «paradosso del cristianesimo».
Ma anche di Diogneto non è che si sappia tanto: era un pagano colto che si interrogava su questa nuova religione che si andava diffondendo a Oriente e a Occidente, un intellettuale che voleva «rendersi conto della natura del messaggio cristiano», scriveva Matteo Perrini (scomparso lo scorso febbraio) nella sua traduzione del testo, da lui stesso curato per la Scuola Editrice nel 1997, ultima di una numerosa serie di ristampe.
Diogneto si chiede: in quale Dio i cristiani ripongono la loro fede? Quale culto gli rendono? Come si spiega il distacco dei cristiani dal mondo? Come si spiega il loro disprezzo della morte? Perché non tengono in nessun conto gli dèi venerati dalla Grecia? Perché condannano le prescrizioni degli ebrei? Quale sorte di amore hanno gli uni per gli altri? Infine, per quale ragione questo popolo nuovo è apparso nel nostro tempo e non prima?
L’ignoto apologista si rivolge a Diogneto chiamandolo «illustre», come si fa nelle corrispondenze epistolari, infatti qualcuno pensa che il testo sia in realtà una lettera, ma quello che conta è che questo testo breve, animato da una solida fede cristiana, e dotato anche di una straordinaria capacità comunicativa, apre squarci decisivi e chiarificatori dell’identità cristiana, proprio nella fase della sua nascita.
«Nell’”A Diogneto” – diceva Perrini in un’intervista concessa al nostro giornale – la critica del politeismo e dell’idolatria è senza appello. Il cristiano su questo tema fondamentale è l’erede diretto del grande messaggio di Israele, in cui il rifiuto dell’idolatria si accompagna sempre più nettamente all’affermazione della realtà spirituale, trascendente, personale di Dio».
«Dio – sosteva Perrini in quell’intervista – non si identifica con le forze naturali e neppure con le forze storiche che tendono a dominare, quali lo Stato, la nazione, la razza, la classe. Dio non è neppure la ricchezza, il sesso o il successo inseguito a ogni costo. L’idolatria in ogni tempo è una forma di feticismo, una forma di immaturità affettiva e intellettuale».
Riguardo alle prescrizioni della tradizione ebraica che riguardavano il cibo, il culto del sabato, il rito della circoncisione, l’apologista condanna il ritualismo e il formalismo legalistico che sono la degenerazione di quelle che lui definisce superstizioni.
Le parole che l’Autore rivolge a Diogneto si concentrano piuttosto sulla sfida che i cristiani portano alla morte, a quella che Matteo Perrini definisce «la morte della morte», riferendosi alla resurrezione di Gesù. Spesso ci si lascia prendere dalla tentazione di far coincidere il giudizio di Dio nei nostri confronti con la «riuscita» terrena. Mentre la condizione del cristiano sulla terra, secondo l’identikit che emerge da “A Diogneto”, è segnato dal paradosso del suo stare nel mondo, ma distaccato da esso. Scrive l’apologista che i cristiani «abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno… Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma col loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi… In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo». E questa nuova fede, chiosa Perrini, «è qualcosa di totalmente altro da una fuga nirvanica dal reale e non ha nulla da spartire con la mentalità alienata di chi scarica in Dio ciò che compete alle responsabilità degli uomini».