Questo è un tema particolare, paradossale. Si può fare una storia molto drammatica, ma si può fare una storia anche meno drammatica ed io propenderei per questa seconda ipotesi. Da poco tempo è diventata una moda fare la ego-storia, ma fino a poco tempo fa non si sarebbe potuto. Adesso è entrata in uso la legittimazione della ego-storia: ma perché quello storico, quella storica, ha scelto quell’argomento? Come mai ha scelto quel percorso? E non lo si considera più solo come un atto di mera curiosità, come se la curiosità fosse una cosa negativa. Voglio quindi spendere qualche parola sul perché io sono arrivata a questo tema. Ho studiato a lungo la penitenza e mi sono occupata di moda, due temi molto diversi tra di loro. Io vengo da una scuola storica che voleva che noi studiassimo argomenti differenti. Io scelsi come tema particolare la predicazione e sono andata a vedere quali erano gli argomenti, oggetto di predicazione, che più mi parevano interessanti. Sono partita dall’etica economica e ho studiato a lungo i Monti di Pietà. I predicatori che iniziai a seguire, per gli studi dei Monti di Pietà, facevano molte prediche su lussi e vanità e mi piacevano molto. Dopo aver studiato a lungo la penitenza, i libri penitenziari, e molte cose relative all’etica economica; chiesi il permesso di studiare le predicazioni relative alla vanità e dato che già Gentile lo aveva fatto mi hanno dato il benestare. All’interno di queste predicazioni sulla vanità ricorreva molto spesso il tema della copertura del capo. Un tema che aveva delle accezioni particolari: un cardinale ricordò a tutte le donne di tagliarsi le code e tenere il capo coperto. In tutte le chiese e in tutti i luoghi dove si predicava bisognava ricordare alle donne di tenere il capo coperto e tagliare le code. Tagliare le code vuol dire che gli strascichi erano troppo lunghi. Dalla seconda metà del 200 il tema del contenimento dei lussi era diventato ricorrente non solo nelle prediche, ma dentro alle leggi. Fino al 700 erano previste norme relative al modo di vestire. Stiamo parlando di leggi e di prediche. Sul tagliare le code le donne rimasero molto male, non le volevano tagliare e anziché tagliarle le nascondevano, facevano finta che fosse scorciata, senza sacrificare il bel tessuto. Andare a capo coperto gli offrì maggiori possibilità, perché si coprirono il capo in modi differenti: queste non avevano veli in testa, ma delle cattedrali, delle strutture metalliche sulle quali venivano posati dei tessuti leggeri e volteggianti con effetti straordinari. Noi quando parliamo di capo coperto e di velo parliamo di una galassia, non soltanto fra oriente e occidente, ma anche una galassia dal punto di vista dell’interpretazione di questa indicazione. Abbiamo documenti nei quali si vede che l’incaricato della sorveglianza si avvicina con una canna in mano per andare dalle parti delle chiese a vedere com’erano vestite le donne. La famiglia non vuole che si vada a verificare l’abbigliamento delle donne e fanno scudo intorno a loro, perché altrimenti ci sarebbe stata una multa e bisognava rinunciare al gusto della famiglia. Qui finisco la strada che mi ha portato a questo tema.
Da qui ho studiato particolarmente due aspetti: le leggi suntuarie e in modo specifico il tema del velo. Il velo viene sempre collegato al mondo mussulmano, non lo si considera parte della nostra storia. Anche se, in realtà, io ho avuto una nonna che non è mai uscita a capo scoperto. È anche la nostra esperienza. Si metteva il cappello perché una signora per bene non usciva senza cappello. Non lo avevo mai collegato al tema della copertura del capo e all’hijab. Ho cominciato a cercare di capire come sia nata l’idea che questo sia un tema del mondo islamico. Come mai abbiamo l’idea del capo coperto come fenomeno dilagante, fino a non molto tempo fa, e non lo associamo al velo? Cercai di studiare diversi aspetti del tema del velo in occidente, quali erano gli aspetti economici della produzione di queste coperture, quali erano le conoscenze che si avevano di altri mondi; per costruire intorno al velo il maggior numero di elementi che desse senso a questo leggerissimo pezzo di stoffa, pieno di paradossi. Si dice velo per un oggetto che deve coprire, ma se c’è una cosa che un velo non fa è proprio coprire, perché se no è un drappo, eppure le più severe coperture del mondo islamico vengono comunemente chiamate velature. Un oggetto così leggero come il velo è stato subito caricato di significati molto pesanti. Un oggetto che reca grazia ha assunto un significato sinistro di nascondimento. Quando invece ha in sé, proprio per natura dell’oggetto, questa caratteristica di far intravedere, di decorare. Tutti questi paradossi aggiungevano interesse all’argomento. Ho cominciato dall’inizio, vediamo cosa dice San Paolo. Prima di San Paolo possiamo trovare delle cose bellissime sulla grazia del velo, quando arriviamo a San Paolo ci ritroviamo a leggere delle parole impegnative: Voglio che sappiate che di ogni uomo il capo è cristo e il capo della donna è l’uomo e il capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega e profetizza con il capo coperto manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega senza il velo sul capo manca di riguardo al proprio capo (Prima lettera ai Corinzi). Comincia qui una storia di un velo sul capo femminile come una dichiarazione di riguardo. La donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza. San Paolo è un grande personaggio, al quale dobbiamo tantissime cose. Fa questo ragionamento intorno a un uso che era già molto diffuso, sia nel mondo greco che romano, era diffusissima la copertura del capo. San Paolo ha interpretato questa tradizione e questo uso e ne ha fatto una forma di pubblicità del cristianesimo, ha attribuito un valore di modestia, di rispetto della gerarchia ad un oggetto che già le donne portavano, come anche gli uomini. Già lo portavano, ma lui carica questo sottile velo di un significato impegnativo. Tertulliano è ancora più severo, dice che la donna è un genere di seconda umanità e impone in maniera decisa, sulle indicazioni di San Paolo, che le donne devono manifestare tutto ciò. A questo velo si attribuisce un significato di sottolineatura dell’importanza e della bellezza della funzione materna, come la Vergine che con il bambino in bracco è quasi sempre a capo coperto, ci sono davvero poche immagini della Vergine a capello sciolto. Non sono immagini che diano l’idea della negatività, sono veli che aggiungono grazia, che danno bellezza. Non è una storia che possiamo liquidare come storia di marginalizzazione della donna, è una storia in cui questo tratto continua ad essere riproposto, anche con una interpretazione che assomiglia ad alcuni temi di oggi. Ci sono autori che dicono che se una donna è davvero brutta allora può anche stare senza velo, qui c’è qualcosa di interessante, il velo deve entrare in soccorso dell’uomo la cui capacità di resistere al desiderio è modesta. Questo ricorda certi argomenti che abbiamo sentito (una ragazza subisce violenza. La reazione è: sì ma com’era vestita?). Il tema è lo stesso. Si ritorna ad Eva nell’epoca (XII secolo) in cui si sta costruendo il culto di Maria, l’epoca di Notre Dame de Paris. Il culto di Maria ha una crescita esponenziale intorno al dodicesimo secolo, questo avrà conseguenze enormi. Come si collega questo ad Eva? Ho raccolto una serie di immagini di Adamo, Eva e la serpenta. Si vede Eva che si avvicina all’albero con i suoi frutti, c’è un gioco di sguardi tra Eva e il serpente, la donna tende la mano, prende il frutto (commette peccato) e lo passa a Adamo (il quale poteva anche dire no grazie). Bernardino da Siena diceva che Adamo è un asinazzo caduto nella botola lasciata aperta. Come fare per evitare che l’asinazzo cada? Copriamo Eva. La donna non deve essere riproposta non coperta. A tentare Eva non è un serpente, ma una serpenta, si vede che ha le trecce, ha il seno, ha le braccia. Se guardiamo il Giudizio universale di Michelangelo vedremo la serpenta. Mi sono sembrati elementi da mettere insieme, perché giustificano questo tema della copertura del capo su una base potente, primordiale. La donna non deve offrire elemento di tentazione. Nel Corano quello che è scritto è molto meno chiaro rispetto alle righe di San Paolo, che è il fondatore del cristianesimo istituzionalizzato. Nel Corano viene scritto di nascondere i propri seni con un velo e di mostrare le proprie grazie solo ai mariti e in un altro passo si fa rifermento al velo e si dice di dire alle proprie spose di indossare il velo (non si parla di comando), non si parla di inferiorità, ma di protezione, in questo modo evitano di subire offese. L’altro tema è distinguerle dalle altre, il velo dava l’idea di un’appartenenza ad un’élite religiosa. Non parla di sudditanza. I punti in cui si parla del velo, nel Corano, sono questi.
Se si vanno ad analizzare le corporazioni che producevano questi veli, si scopre che c’erano molte donne a commerciare questi veli. Questi veli rendono nota la capacità di alcune artigiane, che sono diventate famose in un’epoca di cui si sa poco degli artigiani. Queste cuffie rendevano molto belle le donne, servono a valorizzare le donne, servono a far vedere di cosa sono capaci queste artigiane. Mi è sembrato un elemento interessante. Quello che doveva servire a coprire, mostra in realtà altro, mostra una capacità economica e artigianale.
Cristina da Pizzano (Christine de Pizan), una donna intellettuale di professione, scriveva trattati sul pagamento, nella Parigi delle università. Questa donna rappresenta sé stessa nei manoscritti che fa e si rappresenta a capo coperto. Si distingueva come intellettuale. Aveva una struttura su cui erano posati dei veli e questa struttura si ritrova in tutti i suoi manoscritti. Nessuna si era sottratta a questo capo coperto, perché non lo vivevano come atto di subordinazione. C’è anche l’inserto della moda, che rende piacevole e commerciale queste cuffiette e questi veli e questo è presente già nel Medioevo. C’è un mondo di copertura del capo legato al mondo della moda. Oggi si è perso il significato ricco di senso e di collegamenti che ho cercato qui di ricostruire. Tutta l’attenzione si è spostata sul mondo islamico, dimenticando la presenza di questa usanza anche nel mondo cristiano.
NOTA. Trascrizione, non rivista dall’Autrice, della conferenza tenuta a Brescia il 12.10.2023 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.