BEVILACQUA Giulio – (nato a Isola della Scala, Verona, il 14 settembre 1881 – morto a Brescia il 6 maggio 1965).
1. Nota biografica. A partire dal 1902 compie gli studi universitari a Lovanio, in Belgio. Si laurea nel 1905 con una tesi sulla legislazione operaia in Italia. A Lovanio incontra un autentico maestro, Désiré Mercier, di cui segue i corsi di Filosofia e assimila con entusiasmo la lezione sui rapporti tra intelligenza e fede, tra annuncio evangelico e libertà. Dopo la laurea, Giulio Bevilacqua entra nella Congregazione dei Filippini a Brescia dando inizio a un’intensa azione educativa tra i giovani.
L’invasione del Belgio neutrale da parte della Germania nel ‘14 e l’arresto del cardinal Mercier spingono Bevilacqua a superare gli indugi del neutralismo cattolico, convinto che si deve volere la pace sempre, ma che non c’è pace vera senza solidarietà con chi è aggredito. Escluso per volontà del vescovo di Brescia dalla nomina a cappellano, quando nel ‘16 è chiamato sotto le armi, chiede di recarsi al fronte tra gli alpini. La decisione suscita polemiche e perplessità, ma a Bevilacqua è consentito di conciliare in sé la duplice funzione di ufficiale di collegamento e di sacerdote. Nel dicembre ‘17 viene fatto prigioniero e rimane in Boemia per quasi un anno. Di contro al vilipendio socialista dei valori messi in gioco dal conflitto e ai tentativi di monopolizzazione di essi da parte nazionalista e fascista, contro le violenze rosse e nere si levò nel dopoguerra la voce coraggiosa del padre filippino. Nei giorni 1-2 novembre ‘26, le squadre fasciste irrompono nella chiesa della Pace per colpire Bevilacqua, «reo» di aver attaccato pubblicamente le violenze comandate dal regime. Il 6 giugno ‘28 Bevilacqua è costretto a lasciare Brescia, trovando asilo a Roma nella casa di un discepolo, mons. Giovan Battista Montini. Bevilacqua accoglie con amarezza i Patti Lateranensi (11.2.1929), temendo la confusione nelle coscienze e l’ampliamento dei consensi al regime fascista, divenuto totalitario a partire dal 3.1.1925. Negli anni dell’esilio romano, dal ‘28 al ‘32, Bevilacqua approfondisce il tema delle ideologie totalitarie, della idolatria del danaro e della riforma liturgica. Nel giugno ‘40, benché sessantenne, si arruola come cappellano militare nella marina. Dopo il ‘45 inizia sulla rivista «Humanitas», di cui è uno dei fondatori, una nuova e più feconda stagione del suo impegno culturale e religioso, a cui si accompagna la scelta del servizio ai più umili, assumendo nel ‘47 la parrocchia di periferia Sant’Antonio, che regge fino alla morte. Già collaboratore di Giovanni XXIII, Bevilacqua è costantemente sollecitato dall’amico-discepolo G.B. Montini, divenuto papa Paolo VI, a dare il contributo della sua intelligenza alle riforme della Chiesa conciliare e almeno su due punti, la riforma liturgica e il decreto sulla libertà religiosa, la sua «azione persuasiva» trova precisi riscontri. Il 25.1.1965 Bevilacqua accetta di essere nominato cardinale da Paolo VI a condizione di rimanere parroco. Si spegne pochi mesi dopo, nel maggio del ‘65.
2. Linee di una metodologia dell’annuncio cristiano. Giulio Bevilacqua avvertiva acutamente che la verità è sempre qualcosa di più profondo delle forme concettuali in cui si esprime; e se questo è vero in ogni forma di conoscenza, lo è a fortiori quando si tratta di vita morale e di visione cristiana della vita. Malgrado alcune espressioni drastiche, non vi era traccia di irrazionalismo nel suo pensiero, caratterizzato da uno sforzo incessante per vedere in profondità, per unire l’umano e il divino senza lasciarsi imprigionare da aride formule, da romanzi pseudo–metafisici, da false evidenze. Egli aveva un’intelligenza intuitiva e possedeva il dono raro di saperla destare negli altri. Il suo spirito si manteneva nel concreto. La sua era una mente libera dallo spirito di sistema e dalle sue illusioni. Tra le fonti del suo pensiero ci sono sant’Agostino, Filippo Neri, l’oratoriano inglese John Newman e, tra i contemporanei, Albert Camus; il primo posto però spetta al Bergson de Le due sorgenti della morale e della religione (1932), che affronta il problema della vita morale e religiosa indagando l’una e l’altra al punto più basso e al punto più alto del loro manifestarsi, secondo il suo tipico procedimento duale.
In Bevilacqua era costante e aperto il confronto con gli orientamenti che emergevano nella cultura del tempo e soprattutto negli spiriti. Egli nutriva una schietta ripugnanza per quei cristiani che si rifugiano nelle facili consolazioni e nel facile disprezzo di posizioni diverse dalla loro. Non si è cristiani, infatti, se non si condividono le ansie e le speranze dei propri simili, se non se ne ascoltano le voci, a cominciare da quelle discordanti, con il massimo di onestà e di apertura intellettuale. Il Bevilacqua ha insegnato a «cogliere le ragioni del sì e del no» negli orientamenti presenti nella cultura contemporanea; il libro che meglio attesta questo suo metodo è Equivoci – Mondo moderno e Cristo (1950). Avvertire le deformazioni, la forza disumanizzante di errori e unilateralità che teorie e movimenti si portano dentro si può e si deve, certamente, ma con l’avvertenza che una verità senza amore per gli uomini non è mai verità cristiana. Il «sì» e il «no» devono essere caldi, magnanimi, energici, tali da liberare gli interlocutori da schematismi e contrapposizioni manichee.
La passione per la giustizia sociale e l’eroica povertà di Bevilacqua erano lì a provare che per lui il cristianesimo non ha nulla da spartire con il conservatorismo di qualsiasi genere e che non ci dev’essere una cattura borghese del cristianesimo. Ma per Bevilacqua il messaggio evangelico va oltre tutte le ideologie e le realizzazioni politico-sociali di questo o quel momento storico. Il Vangelo proclama il metodo dell’incarnazione ed è fermento che suscita iniziative sempre nuove per meglio servire l’uomo, è ciò di cui han più bisogno la politica e l’economia per umanizzarsi; ma tutto ciò non autorizza la riduzione mondana del cristianesimo, sotto qualsiasi forma, perché essa è la negazione immanentistica più radicale della sfera religiosa e del destino immortale della persona. È sempre necessario distinguere fra le diverse forme di «cristianità» storicamente determinate e il «cristianesimo» che tutte le trascende. L’appello a un appassionato impegno sociale e politico del cristiano non può mai sfociare nel clericalismo diretto o indiretto, di sinistra o di destra.
A fondamento della metodologia dell’annuncio cristiano di Bevilacqua sta il richiamo alla discrezione di Dio. «Il vero Dio è discreto», egli amava ripetere. Di qui l’urgenza per la Chiesa di porsi in prima linea nella difesa della libertà di coscienza ovunque, e non solo dove i cristiani sono emarginati o perseguitati. L’eroe incredulo di un romanzo di Cronin, Le chiavi del regno, ringrazia il missionario perché non l’ha voluto convertire per forza. La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa apparve pertanto al Bevilacqua come la premessa inderogabile e assolutamente prioritaria per un dialogo a tutto campo tra la Chiesa cattolica e il mondo contemporaneo. In ultima analisi, per Bevilacqua la concretezza della Weltanschauung e della prassi cristiana può essere così sintetizzata: «Chi ama Cristo sa amare tanto gli uomini da comprenderli e da desiderare a ciascuno, in un mondo rinnovato da loro stessi, l’onore, la coscienza libera, la giustizia. Amare non è mai diminuire ed assorbire. Amare è rispettare la costituzione profonda di ciascun essere, fortificarla, portarla a pienezza».
EDIZ.: Saggio sulla legislazione operaia in Italia (è la tesi di laurea discussa a Lovanio), Bocca, Milano 1906; ristampa anastatica nelle Edizioni Sintesi, Brescia 1973, La luce nelle tenebre, Vita e Pensiero, Milano 1921, II ed. Studium, Roma 1945; L’uomo che conosce il soffrire, Studium, Roma 1937; II ed. 1947, Scritti tra le due guerre, La Scuola, Brescia 1968 (il volume è curato da E. Giammancheri, che vi ha premesso un’ampia, rigorosa introduzione); La parrocchia e i lontani, La Locusta, Vicenza 1957. L’opera più significativa di Giulio Bevilacqua rimane Equivoci – Mondo moderno e Cristo, Morcelliana, Brescia 1950; II ed. 1953. Ebbe larga risonanza l’articolo di Bevilacqua I Patti Lateranensi dopo trent’anni, in «Humanitas», marzo 1953.
BIBL.: AA.VV., Il Cardinale Giulio Bevilacqua, fascicolo speciale di «Humanitas», giugno-luglio 1965; AA.VV., Padre Giulio Bevilacqua cardinale – Scritti e testimonianze, La Scuola, Brescia 1965; AA.VV., L’impegno religioso e civile di Padre Bevilacqua, CE.DOC., Brescia 1983; AA.VV., Scritti e discorsi del cardinale Giulio Bevilacqua nel 25° della morte (1965-1990), CE.DOC., Brescia 1990; A. Fappani, Padre Giulio Bevilacqua il cardinale – parroco, Queriniana, Brescia 1979.
TEDESCHI Giuseppe – Sacerdote, educatore (nato a Iseo, Brescia, il 30 maggio 1883 – morto a Brescia il 18 novembre 1973).
Educatore di eccezionali doti di intelligenza e di cuore, sacerdote, pubblicista fecondo e geniale, concepì ogni attività umana e lo stesso messaggio cristiano come opera di risveglio delle coscienze e di elevazione. Fu in affettuosa sintonia con uomini come Giovanni Semeria, Primo Mazzolari, il pedagogista Giovanni Modugno; fu amico fraterno di Giulio Bevilacqua, e come lui contribuì a preparare il rinnovamento conciliare su più di un punto. Mente aperta a tutte le idee nuove, non guardò mai ai tempi nuovi con la diffidenza del clericale. Fu un uomo libero davanti a qualsiasi potere e di fronte al denaro. Riprese con vigore l’idea di Lambruschini di parlare direttamente ai genitori e la realizzò con successo. Educò alla libertà politica e alla democrazia, anche in tempo di dittatura, subendo sequestri di pubblicazioni e minacce. Dopo l’8 settembre 1943 partecipò attivamente alla Resistenza e alla redazione del giornale clandestino «Il ribelle».
Giuseppe Tedeschi fu un eminente educatore di maestri. Alla loro formazione dedicò innumerevoli incontri su tutto il territorio nazionale: per loro collaborò per moltissimi anni alle iniziative de La Scuola Editrice di Brescia, nonché alle associazioni professionali «Niccolò Tommaseo» e, nel secondo dopoguerra, all’AIMC. Ad essi dedicò per oltre quarant’anni la celebre rubrica Gli occhi sul mondo con lo pseudonimo manzoniano di Fra’ Galdino sulla rivista «Scuola Italiana Moderna», lavorando a slargare gli orizzonti e a irrobustire le capacità critiche dei lettori in un’età dominata dalla clausura ideologica e dal fanatismo.
Giuseppe Tedeschi avvertì con particolare intensità tre aspetti della questione educativa. Il primo era costituito dalla mancanza nella storia del nostro Paese di un’alta, consolidata tradizione di senso dello Stato e di autentico civismo. Di qui l’obbligo, ai suoi occhi prioritario per i cattolici la cui fede è punto di riferimento per tanta parte del popolo italiano, di farsi carico dei problemi del Paese e di contribuire a costruire lo Stato democratico, unendo all’impegno per la solidarietà fraterna l’esercizio rigoroso del metodo della libertà.
Il secondo aspetto della questione educativa consiste nell’urgente necessità per i cattolici di darsi un metodo di riscoperta e di riaffermazione del messaggio di Cristo, un metodo che parta dalla vita e dall’approfondimento dell’esperienza umana secondo la linea sant’Agostino – Pascal – Blondel – Foerster. È la «logica della vita» che prepara l’annuncio della fede.
Il terzo aspetto, a cui il Tedeschi dedicò tanta parte della sua intelligenza e del suo tempo, sta nell’aver intuito, come già Raffaello Lambruschini nel Risorgimento, che se l’educazione ha il suo nucleo centrale nella famiglia, bisogna stare accanto ai genitori e affiancarli nel loro difficile compito. Il Tedeschi, perciò, si impegnò pubblicare opere dirette ai genitori, scritte in un linguaggio chiaro ed essenziale, idoneo a coniugare pratica ed informazione, psicologia e cristiana saggezza di vita. Con questi intenti il Tedeschi fondò «La Madre», il più antico e diffuso «mensile per le spose e per le mamme», attento ai problemi della coppia non meno che all’educazione dei figli.
EDIZ.: Memorie di un prigioniero di guerra (1917-1919), La Scuola, Brescia 1947; Uomini e cose, introd. di G. Bevilacqua, ivi, 19 (è una scelta dei suoi interventi sulla rivista «Scuola Italiana Moderna»). Tra i suoi scritti per i genitori, oltre alla quarantennale collaborazione alla rivista «La Madre», si segnalano i volumetti Mio figlio egoista: perché?, La Scuola, Brescia 1958 (se ne vendettero oltre 100.000 copie) e Come parlerò a mio figlio?, ivi, 1965 (il volumetto raggiunse 10 edizioni). Ben documentata è la biografia Per amore di tutti (profilo e memorie di don Giuseppe Tedeschi), di A. Fappani, La Scuola – CE.DOC., Brescia, vol. I 1975 e vol. II 1976.
Città e Dintorni, n.80/2003.