E chi è mai un cardinale?

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Il 6 maggio ’65 moriva a Brescia il Cardinale padre Giulio Bevilacqua. Moriva con totale consentimento di fede nella sua stanzetta disadorna e poverissima della parrocchia di S. Antonio. Aveva accettato la porpora a patto di poter restare parroco, tra la sua gente di periferia, in buona parte immigrati. Era lì da più di 15 anni. Uomo di cultura, di studio, di libri, aveva capito che la cultura vera si fa tra la gente, in colloquio con i piccoli, con i semplici, e che i poveri hanno bisogno di tante cose, ma soprattutto di Cristo, di speranza.
J. Guitton, che l’aveva incontrato, l’aveva definito “un uomo assolutamente straordinario”.
Aveva un prestigioso passato alle spalle. Studi a Lovanio con Mercier, laurea in scienze sociali, accostamento al pensiero francese e alla liturgia dei benedettini di Maredons. Padre della “Pace” (l’oratorio filippino di Brescia) partecipa alla guerra ‘15-18, guadagnandosi due medaglie di bronzo al valor militare.
Prigioniero di guerra in Boemia, tiene delle conferenze sul Vangelo di Giovanni che stanno alla base del suo libro “Luce nelle tenebre” (1921).
Organizza la prima Settimana liturgica nazionale, destinata ad esercitare un duraturo influsso sul movimento di riforma liturgica. Entra in duro scontro col fascismo locale. Del fascismo, visto come arroganza, offesa alla dignità dell’uomo libero e neopaganesimo, sarà sempre un irriducibile oppositore. Questo lo costringerà, soprattutto in seguito all’invasione della “Pace” da parte delle squadre fasciste furenti contro di lui, ad abbandonare Brescia per Roma. A Roma, dove sarà ospite del suo discepolo più attento G.B. Montini, lavora per l’Opera della preservazione della fede e per le chiese di periferia. Anima la rivista “Fides”, scrive articoli molto vivi e attuali che ispireranno il suo nuovo libro: “L’uomo che conosce il soffrire” (1937).
Tornato a Brescia, allo scoppio della seconda guerra mondiale, chiede e ottiene di essere cappellano di Marina. E’ sulla nave Arno che si guadagna una terza medaglia di bronzo. A Brindisi, tiene davanti al Re Vittorio Emanuele un’omelia che a sua maestà non piace, facendo essa riferimento alla “corona di spine” come all’unica autentica corona.
Al ritorno fonda con altri amici la rivista “Humanitas” della Morcelliana sulla quale scrive una serie di articoli miranti alla ricostruzione morale e religiosa del Paese devastato dalla guerra, articoli raccolti nel volume “Equivoci fra mondo moderno e Cristo”.
Il 21 giugno del 1963 Montini viene eletto Papa e il giorno stesso gli manda un telegramma benedicente.
Padre Bevilacqua è con lui nel viaggio a Gerusalemme ed è testimone del suo abbraccio con Atenagora. Nel febbraio del ’65 il cardinalato. Nel conferirglielo, il Papa nota con arguzia tutta filippina che questa volta si tratta di un nepotismo al contrario in quanto è il nipote che premia lo zio.
Nel solenne pontificale che il neo-cardinale tiene nel Duomo di Brescia, i fedeli non sentono da lui parole trionfalistiche: Chi è mai un cardinale, si chiede Bevilacqua: “Un cieco – risponde – un cieco come tutti, alla ricerca della luce”. Poi, dopo breve tempo, la morte, affrontata con esemplare serenità e celebrata come un rito liturgico, come un sacramento pasquale.
Il venticinquesimo della sua dipartita è stato celebrato a Brescia, dalla diocesi e dai Padri con la partecipazione del Vescovo mons. Foresti e dal card. Silvestrini, in modo da mettere soprattutto in rilievo l’attualità del suo messaggio. P. Bevilacqua fu un uomo di fede. “Credere – aveva scritto – è lasciarsi trasformare dal Cristo, le cui rivendicazioni sono decisamente totalitarie, è nascere di nuovo nell’acqua e nel sangue, è capovolgere non le strutture esteriori ma i fondamenti e le radici della vita stessa". E cita Kierkegaard: “Arrischiandosi a credere l’uomo diventa un altro”.
La sua fede era cristocentrica. “Sì, caro Padre – scrisse nel 1961 su Humanitas il Card. Montini in occasione dell’ottantesimo compleanno del suo maestro – abbiamo capito: Cristo solo, Cristo vivo”.
Sarebbe da studiare più attentamente l’influsso che Bevilacqua esercita sul giovane Montini e sulla sua formazione culturale. Probabilmente fu decisivo per il futuro Paolo VI, se è vero che le idee diventate convinzioni costituiscono il fondo segreto dell’uomo nel suo essere e nel suo agire. Tra i due vi era una distanza di 16 anni. Alla Pace, certamente Bevilacqua aprì la mente del suo promettente discepolo al gusto e alle problematiche degli autori francesi, in testa a tutti il Bergson, e gli comunicò il suo grande amore per il Cristo.
Paolo VI, il Papa dell’Ecclesiam suam, della Chiesa in dialogo col mondo, il Papa che nell’Evangelii nuntiandi denuncia con dolore la frattura fra la fede e la cultura come dramma del nostro tempo, il Papa che pensa, parla e vive per ricondurre il mondo alla Chiesa, a una Chiesa maggiormente concentrata nell’essenzialità del Cristo, questo Papa si spiega più facilmente se si tiene conto del pensiero di Bevilacqua a lui trasmesso nell’età in cui siamo tutti più ricettivi.

Segnosette, 29.5.1990.