Sono molto lieto di essere qui a Brescia, per il fatto che mi sento come fossi a casa mia. Ci sono stato tante volte e, circondato dall’affetto di molti amici, tra i quali il prof. Perrini, animatore di grandi iniziative per promuovere la cultura di libertà, di pace, di valori umani.
Le emergenze planetarie – dovrebbe essere chiaro a tutti – non sono nate oggi. Se ne incomincia a parlare seriamente adessoe la scienza ha il dovere di prenderle in mano. Ma le emergenze planetarie esistono da parecchio tempo, sicuramente da molti decenni. Questo secolo incomincia con un miliardo e mezzo di abitanti. Adesso siamo cinque miliardi e mezzo. Nel 2000 saremo sei miliardi. A questo fiorire di nuova vita che cosa ha fatto riscontro?
Un incredibile follia politica, che ha espresso due fra i più grandi criminali della storia di tutti i tempi: Hitler e Stalin, con milioni di morti, devastazioni, in cui l’Europa ha rischiato di autodistruggersi. Il pericolo che venga distrutta la fascia d’ozono, che continuando a immettere nell’atmosfera anidride carbonica e altre sostanze si aumenti l’effetto serra, il suolo, l’acqua, i problemi dell’energia, le emergenze sismiche, sono tutte cose che finora erano state messe in un cassetto, perché abbiamo vissuto gli ultimi quarantacinque anni con incubi. L’umanità ha dormito su una polveriera.
Io ricordo quando la CCDC mi invitò, tempo fa, in questo stesso posto, e parlai del numero di bombe pronte per esplodere: come chiaramente si deduceva dalle simulazioni di uno scontro nucleare USA – URSS, la fascia dell’ozono sarebbe stata distrutta al 50%, forse completamente. Che senso aveva preoccuparsi se c’era un piccolo effetto di deterioramento, un buco nel Polo Nord e nel Polo Sud, che senso aveva preoccuparsi dell’immissione anidride carbonica, quando in uno scontro nucleare USA – URSS sarebbero state sconvolte le stagioni: il famoso inverno nucleare nasce da queste simulazioni.
E’ da meno di un anno che noi possiamo dire: “Gli incubi sono finiti”. Con il crollo del muro di Berlino crolla anche una cultura fatta di menzogne, in cui dittature spietate venivano chiamate democrazie popolari. Adesso, con il crollo del muro di Berlino, noi sappiamo cose che prima non sapevamo: le aree più contaminate del pianeta sonno laddove la dignità dell’uomo veniva disprezzata, l’uomo e l’ambiente considerati oggetti di nessun valore. E’ da meno di un anno che possiamo dire: “Il pericolo che l’umanità salti tutta in aria si è allontanato”.
Ma quale era lo stato del pianeta fino allo scorso anno? Io ho il dovere di dirvi che è ancora così: le bombe sono tutte lì, chimiche e nucleari.
E’ cambiata la volontà politica, grazie a Gorbaciov: laddove prima c’era uno spietato dittatore, oggi c’è un premio Nobel per la Pace. Quindi abbiamo tutti il diritto e il dovere di essere ottimisti, pur sapendo che l’arsenale delle superpotenze è esattamente come era prima: per ciascun abitante del pianeta ci sono quattromila chilogrammi di tritolo pronti per esplodere, non quattro chili ma quattromila. Il numero di bombe chimiche oggi nel mondo potrebbe avvelenare, non cinque miliardi mezzo di abitanti, ma cinquanta miliardi.
Questo era lo stato del pianeta fino a meno di un anno fa.
Adesso è cambiata la volontà politica, e un clima di libertà e di pace si presenta per noi in modo credibile, anche se la totale credibilità di questo clima noi potremo confermarla come definitiva quando in quell’immensa area del pianeta che è l’Europa dell’Est e l’Unione Sovietica il sistema democratico e libero sarà veramente stabile.
Quindi, il fatto che la scienza non abbia mai preso in mano i problemi delle emergenze ha una motivazione logica.
Se il rischio era che si saltasse tutti in aria, con la distruzione della fascia d’ozono, con lo sconvolgimento delle stagioni, il compito prioritario era impegnarsi affinché questo pericolo venisse scongiurato. C’era il pericolo di avere un inquinamento planetario, perché l’uso delle armi nucleari avrebbe sicuramente portato all’uso delle armi chimiche, perché, in una guerra combattuta con metodi di distruzione totale, era ovvio che il pazzo criminale che avesse scatenato quella guerra, non si sarebbe certamente fermato dopo la parte nucleare, e avrebbe scatenato anche la guerra chimica. Perché la guerra nucleare, contrariamente a tutte le altre guerre, combattute dall’uomo, si gioca in poche ore. Non è come ai tempi di Napoleone o di Giulio Cesare, o dell’ultima guerra mondiale, in cui si conquista Brescia, poi si torna a Milano, poi si avanza verso Bergamo. No, la guerra nucleare si combatte subito, sparando tutto, perché se il nemico può rispondere gli bastano poche bombe per fare i milioni di morti. Una bomba vuol dire un milione di morti. Ecco perché la strategia nucleare cambia radicalmente qualunque precedente strategico di tutte le guerre mai combattute sul pianeta. Passate le ore di distruzione, veniva sicuramente l’ultima arma, quella chimica.
Conclusione, il rischio che questa forma di materia vivente detta uomo correva, quale era: che si saltasse tutti in aria e che i pochi rimasti morissero per avvelenamento da armi chimiche. Le emergenze planetarie erano quelle e l’impegno della comunità scientifica, riunitasi a Erice dall’80 in poi, era quello di scongiurare questo domani. Io non voglio dire che ciò che sta avvenendo è merito nostro – me ne guarderei bene. Indubbiamente, il Manifesto di Erice è finito sui tavoli dei capi di Stato delle superpotenze e la comunità scientifica aveva avuto la grande responsabilità, prima del 1982, di non parlare in modo chiaro. Basta un esempio: prima che cominciasse la serie dei segnali di Erice sulla guerra nucleare, sui giornali si parlava solamente degli effetti di una bomba a Milano, a New York, a Mosca, a Londra: una bomba da un megaton produce un milione di morti. Nessuno si era mai messo a tavolino per dire: Ma in caso di guerra nucleare, non si tira una bomba, si spara tutto e subito. E quante sono le bombe? Cinquemila? E qual è la potenza? Tale da distruggere qualsiasi centro di vita nel mondo, non una volta: le simulazioni al calcolatore dimostravano che si potevano distruggere dalle sette alle quaranta volte. Ma che significa ”distruggere Brescia sette volte”? Basta una volta. Il dibattito era sul numero di volte, che sicuramente era superiore a cinque.
Prima degli anni ’80, gli scienziati non avevano mai rese pubbliche queste riflessioni e io conosco in modo diretto persone di altissima responsabilità internazionale che mi hanno detto: “Ma perché non parlate pubblicamente e non soltanto in modo riservato, privato?”. Il Manifesto di Erice ha denunciato queste cose.
Adesso noi possiamo dire: il mondo è sì imbottito di bombe nucleari e chimiche, però la volontà politica è cambiata e io sono convinto che, tra pochi mesi le superpotenze firmeranno l’accordo per la distruzione del 50% degli arsenali nucleari e per la distruzione anche delle armi chimiche. E’ la prima volta nella storia del mondo che questo avviene: dall’alba della civiltà ad oggi. Da diecimila anni ad oggi l’uomo ha combattuto quindicimila guerre. Tutte le armi che ha costruito le ha sempre distrutte in periodi di guerra, mai in periodi di pace.
Noi siamo testimoni di due fatti clamorosi, che non hanno precedenti nella storia del mondo: la distruzione di armi potentissime in periodo di pace e il crollo di un impero in appena un anno senza morti e feriti. Questo è il capolavoro di Gorbaciov e se egli porterà a fondo questo progetto non c’è dubbio che passerà alla storia come uno dei più grandi statisti di tutti i tempi, perché non è mai avvenuto quello che noi stiamo toccando con mano e vedendo con gli occhi. Fra un paio di settimane andrò a Mosca a incontrarlo, perché Gorbaciov segue con attenzione gli sviluppi della scienza, dell’impegno scientifico. Il nuovo ruolo della scienza è quello di prendere in mano le emergenze planetarie, dicendo a molti finti scienziati di stare zitti. Devono smetterla di fare catastrofismo, perché con il catastrofísmo si crea esattamente il contrario delle condizioni per poter efficacemente intervenire di cui c’è assolutamente bisogno.
Vi do un esempio: è stato recentemente detto che la scienza saprebbe prevedere l’evoluzione del clima. Se fosse vero, non ci sarebbe più da studiare nulla, non ci sarebbe bisogno di un progetto planetario di controllo dello stato di salute del pianeta. Queste persone però dicono che si possono fare previsioni climatologiche e contemporaneamente chiedono finanziamenti. Giustamente il presidente degli Stati Uniti Bush ha detto: “Se voi sapete tutto, che cosa fate coi soldi?”.
La verità è che si sa poco o nulla. Noi abbiamo il dovere di dire con chiarezza che la scienza non ha nulla da dire nel campo delle previsioni climatologiche.
Siccome desidero essere capito, vi spiego perché: cosa vuol dire “clima”? Mediamente il clima è la media delle condizioni meteorologiche. Quindi se mediamente fa freddo, si dice “questo è clima invernale”. Se a Natale iniziasse a fare caldo, noi diremmo che il clima è cambiato. “Clima”: è la media delle condizioni meteorologiche. Questo si può fare per il passato. Infatti, cosa vuol dire clima estivo: significa che mediamente d’estate fa caldo, “clima invernale” che mediamente d’inverno fa freddo. Conclusione: clima vuol dire media sulle condizioni meteorologiche. Voi tutti sapete che la meteorologia non sa prevedere il tempo fra quindici giorni. Lo sa prevedere fra un paio di giorni. E’ già difficile fra una settimana, impossibile fra due settimane. Ed è un problema di grande interesse cercare di prevedere quale sarà il tempo a Brescia fra quindici giorni: ma nessuno lo sa.
Se i meteorologi non sanno prevedere che tempo farà fra quindici giorni, com’è possibile pretendere di conoscere il clima nell’anno 2030?
Ecco cosa vuol dire la previsione climatologica di cui si parla tanto. Si fanno modelli. Se io faccio un modello per prevedere come muovermi su rotaia, progetto un treno, non avrò mai l’aeroplano. I modelli non sono scienza. La scienza meteorologica esiste, l’equazione scientifica che permetterebbe le previsioni climatologiche, si chiama “attrattore meteorologico”: una cosa che ancora nessuno è riuscito ad acchiappare. L’equazione non c’è. E non è cosa da poco, perché quando la scienza pretende di fare previsioni, deve avere in mano un’equazione. Perché gli astronomi non sbagliano le previsioni su quando passa la cometa di Halley, o quando sorge il sole? Perché c’è l’equazione di Newton: luna e sole sono banali, ma altri oggetti celesti? Perché si è scoperto Nettuno? Perché un astronomo ha fatto dei calcoli e ha detto “Guardate che qui le cose non tornano. Se puntate i telescopi su quella zona del cielo troverete un satellite del sole, ossia un pianeta”.
Plutone venne scoperto allo stesso modo. Questo perché questa previsione astronomica aveva come fondamento l’equazione di Newton. Ma se essa non ci fosse stata, nessuno avrebbe potuto prevedere se c’era un satellite del Sole come Nettuno o un altro satellite come Plutone.
Noi scienziati abbiamo il dovere di far capire a tutti che le emergenze planetarie finora la scienza non le ha esaminate.
Dobbiamo avere il coraggio di dirlo, altrimenti la scienza viene screditata. Ecco un esempio.
Vent’anni fa, un personaggio che si autodefiniva scienziato ha fatto una grande campagna di informazione,affermando ”Fra vent’anni il Mediterraneo sarà un mare morto, senza un pesce”. I vent’anni sono passati, il Mediterraneo è inquinato, ma ci sono tanti pesci.
Quindi un uomo in buona fede potrebbe giungere alla conclusione che la scienza non vale nulla.
Come stanno le cose? La scienza non ha mai detto che il Mediterraneo sarebbe morto. La scienza ha una grande colpa: aver permesso a uno scienziato, che scienziato non era, di affermare cose che scientifiche non erano.
E’ stata fatta recentemente un’indagine in America sulla credibilità dei vari settori in cui si articola la vita moderna: agli scienziati spettail privilegio e la grossa responsabilità di essere i primi della lista, che vede all’ultimo livello i politici.
Questo non è necessariamente un bene: bisogna fare molta attenzione – lo dico ai miei colleghi -: non è più possibile permettere a finti scienziati di presentarsi come se fossero veri scienziati senza intervenire.
Chi realizza un modello in base a determinate ipotesi e ottiene un determinato risultato, deve esplicitarlo. Allora noi potremo fare un altro modello, altrettanto credibile, con ipotesi altrettanto giustificate, ottenendo risultati totalmente opposti.
La modellistica non è scienza.
Ma dal 1982 la comunità scientifica si è svegliata. Non era mai successo che una dichiarazione venisse firmata da diecimila scienziati – in verità il numero è molto superiore. Mai un pugno di scienziati aveva saputo redigere un documento e raccogliere migliaia di firme. Perché nel nostro lavoro è fondamentale essere critici: uno scienziato dev’essere rigorosamente critico e cercare sempre di distruggere tutto quello che gli viene proposto, nei termini logici.
A me fa piacere discutere un mio progetto con un collega di cui ho stima e sentirlo provocatorio, perché più critiche egli trova, più posso vedere se c’è qualche difetto, in quanto un progetto che sia veramente nuovo – mai fatto prima – comporta che si sappia da dove si parte ma non dove si arriva. Io, per esempio, ho dedicato parecchi anni della mia attività scientifica per cercare di spezzare il protone. Sapevo da dove partivo, ossia ero sicuro di avere in mano gli strumenti più potenti al mondo per cercare di spezzare il mattone dell’universo, ma non potevo dire: “sicuramente ce la farò”. Un progetto nuovo quindi vuol dire qualcosa che nessuno prima ha mai saputo fare. Però il grande valore di un nuovo progetto consiste nei risultati. Questi risultati sono indubbiamente una crescita intellettuale per tutti. Mentre è vero che il protone non si è rotto, è altrettanto vero che noi adesso conosciamo la struttura intrinseca del protone. Il fatto che il protone non si sia spezzato è uno dei problemi più grossi della fisica moderna. Noi dobbiamo introdurre nello studio delle emergenze planetarie lo stesso rigore, non permettendo più a nessuno di parlare in nome della scienza quando svolge un’attività che scientifica non è.
Qual è il modo più immediato?
Prendere in mano quella disciplina.
Ecco perché il professor Teller quest’estate ha accolto l’invito a dirigere un progetto sull’agricoltura marina: il “padre” della “bomba H” ha accettato di impegnarsi in questa nuova frontiera: non dobbiamo più lasciare in mano a finti scienziati le emergenze planetarie.
Il pericolo è che la scienza perda completamente la sua credibilità.
Vorrei adesso passare brevemente in rassegna le diverse emergenze planetarie.
Non se ne parla mai. Due terzi della superficie del pianeta è costituita d’acqua, di oceani e mari, un terzo da superficie solida. Di questo terzo, un quarto soltanto è il terreno coltivabile.
Facendo i calcoli risulta che per ciascun abitante del pianeta c’è mezzo ettaro di terreno coltivato. Entro il 2000, se nessuno fa nulla, si passerà a metà di questa quantità: quindi l’umanità perde la metà del suolo coltivabile. La desertificazione avanza per più motivi: l’agricoltura ha perso le sue battaglie sia nel mondo industrializzato sia nei paesi in via di sviluppo.
Sentite il paradosso: nel mondo industrializzato si distrugge il terreno per sovrapproduzione siccome si vuole produrre di più, si usano veleni – perché sono tali, detto in termini semplici – i quali uccidono il suolo. Si produce di più sino al punto di dover distruggere il prodotto. L’avete visto, non solo in Italia ma dappertutto. Nei paesi in via di sviluppo avanza il deserto per mancanza di produzione. Non si produce abbastanza cibo, quindi la gente muore di fame e attacca il terreno con tale violenza da distruggere il suolo. Questa emergenza planetaria non può essere risolta con previsioni catastrofiche, ma in modo rigorosamente scientifico. Studiando il terreno e chiedendosi che cosa va fatto e che cosa non va fatto a livello di pianeta e non solo a livello locale.
E’ un’emergenza planetaria. A Città del Messico la rete idrica per la distribuzione dell’acqua nella città (circa dieci milioni di abitanti, forse di più) è talmente mal fatta che ogni giorno si perde la stessa quantità di acqua che viene usata dalla città di Milano. Esiste nel mondo una grande riserva di acqua dolce. E’ come se il Padre Eterno avesse messo in un frigorifero il 20% di tutta l’acqua disponibile sul pianeta, ad una temperatura ideale di 40C. E’ nel cuore della Siberia, nel lago Baikal, un lago di una superficie più o meno pari a quella di tutta la Lombardia. Quell’acqua potrebbe bastare a dissetare tutti gli abitanti dal pianeta per diversi secoli.
Cosa dovrebbe fare l’uomo? Gelosamente conservarla. Il lago Baikal invece rischia di morire per inquinamento.
Ci sono diverse industrie, che appartengono alla classe delle industrie che io definisco “selvagge”. Questo è un altro concetto che deve essere divulgato, fatto comprendere e che deve divenire una componente della nostra cultura moderna: cosa significa produrre? Se io produco dieci e mangio cento, non ho prodotto nulla, ho solo distrutto.
Nel lago Baikal le industrie, facendo dei calcoli abbastanza semplici, perché non sono molte, distruggono cento volte più del reddito che producono. Questo è un lavoro fatto da scienziati del laboratorio Mondiale in Russia.
Ma non è soltanto lì che queste cose avvengono: se noi ci spostiamo in Florida, si vedrà che l’uomo vi sta distruggendo quelle creature marine che Colombo scambiò per sirene e scrisse nel suo libro di bordo: “Sto osservando delle sirene, anche se non sono così di belle sembianze come dicono i libri”: queste sirene del mare, in uno studio recente fatto in America, portavano quasi tutte segni e ferite dei fuoribordo. Sono creature da cinque tonnellate e l’inquinamento fa il resto.
Il lago d’Aral, che ha una superficie come quella del Piemonte e della Liguria insieme, in questi ultimi dieci anni, ha perso il 50% della sua acqua.
anche la stessa aria che noi respiriamo è una emergenza planetaria. Con il ritmo attuale non sarà più possibile, nemmeno in alta montagna, respirare aria pura.
L’aria che noi respiriamo è composta essenzialmente di azoto – circa il 70% -, il 29% di ossigeno circa e l’1% di argon. Arriviamo quasi al 100% quasi. Questo quasi corrisponde a quattrocento molecole su un milione di molecole. Se l’aria non è inquinata trecento molecole su un milione sono di anidride carbonica, il che dà l'”effetto serra”, che è necessario per la vita sulla terra.
Questo equilibrio va mantenuto, altrimenti l’aria diventa irrespirabile.
Noi proponiamo l’intervento diretto e queste proposte sono già in fase di avanzata discussione e saranno presentate come progetti del Laboratorio Mondiale.
Ci sono sostanze che hanno un fattore moltiplicativo di un milione di volte. Industrie che usano certe sostanze possono inquinare con un litro di sostanza un milione di litri d’acqua. La comunità scientifica ha però il dovere di dire che le tecnologie moderne permettono all’uomo di tirare un respiro di sollievo e di non avere paura.
Volendo, si possono affrontare le grandi emergenze planetarie. Non in modo allarmistico, perché quando si scrive e si urla per il buco dell’ozono e si dimentica di dire che nelle nostre fasce lo spessore dell’ozono è superiore ad altre zone, per questioni non completamente chiare, allora vuol dire che si vuole diffondere paura. I buchi sono al Polo Nord e al Polo Sud, e non sono proprio “buchi”, ma assottigliamenti della fascia: ancora non si è capito se è un fenomeno dinamico o chimico-dinamico, cioè dovuto alla circolazione dell’aria, come un vortice qualsiasi.
Sono convinto che ci siano due cose in gioco: una di natura dinamica, che spiega i buchi ai due poli Nord e Sud, e uno di natura chimica, che spiega l’assottigliamento della fascia.
Ma non s’è capito qual è il vero motivo che porta a questi effetti. Una cosa è sicura: si immettono nell’atmosfera, ogni anno, enormi quantità di cloro, ossia di sostanze che distruggono l’ozono. Allora bisogna smettere di produrre queste sostanze: alcune industrie già stanno riducendo l’immissione di queste sostanze nell’atmosfera. Ma io ho una proposta molte più radicale, e dico che non basta fare le leggi, bisogna diffondere queste conoscenze, in modo che tutti sappiano che se si compra un certo prodotto si distrugge una caratteristica vitale del pianeta. Questo vale molto più di una legge, specialmente per la mentalità italiana.
Una legge non può essere imposta, se non è sentita. Io applico questo criterio anche ai miei studenti: quando vengono bocciati devono essere consci di non essere stati in grado di superare l’esame.
Noi dobbiamo batterci affinché la cultura dell’uomo moderno sia adeguata all’enorme progresso scientifico e tecnologico che caratterizza la nostra era. Noi non ce ne rendiamo canto, ma quando mai l’uomo avrebbe potuto immaginare, appena cinquant’anni fa, di avere in mano una potenza di calcolo come quelle che abbiamo oggi. Se io dico due più due è uguale a quattro, ho già utilizzato un secondo, se debbo risolvere un problema che ha bisogno di calcolo devo fare una stima di quanto tempo ci vuole. Se mi ci vogliono 3.140.000.000 di calcoli, questo problema è insolubile, perché 3.140.000.000 di secondi sono cento anni. Nessuno di noi ha davanti a sè cento anni di vita per fare questi calcoli. Quando però spingo un bottone del mio supercalcolatore, è come se avessi un miliardo di persone che lavorano per me, perché il tempo di calcolo è un nanosecondo, ossia un miliardesimo di secondo.
Questa potenza di calcolo era semplicemente immaginabile appena cinquant’anni fa. La tecnologia che noi viviamo tutti i giorni, questa camera televisiva, la luce, il microfono, i satelliti, le macchine, il rasoio elettrico, i calcolatori tascabili sono una minima parte di quello che potremmo fare se noi dedicassimo la nostra attenzione a problemi di sviluppo pacifico dell’umanità. La tecnologia di pace farebbe salti enormi. Purtroppo nella storia di questo pianeta è successo che l’uomo ha dedicato la stragrande parte delle sue energie intellettuali e materiali nella ricerca disperata di distruggere, mai di costruire.
Tutta la tecnologia che noi consideriamo di pace è un sottoprodotto della tecnologia bellica. Ad esempio: come si può fare per vedere il nemico quando non c’è luce? Si usano i raggi infrarossi. Se i nostri bisnonni non avessero studiato le leggi dell’elettromagnetismo, non si saprebbe cosa sono i raggi infrarossi. Per questa ora ci sono camere televisive che riprendono persone a buio completo, perché sono sensibili all’emissione di calore e radiazione elettromagnetica. Questa applicazione non è stata fatta perché qualcuno ha pensato di scoprire, ad esempio, i rapitori di bambini o delinquenti che mettono bombe, ma per cercare di distruggere l’esercito nemico.
Le grandi applicazioni delle scoperte scientifiche sono state quasi tutte fatte per distruggere. Ecco per quale motivo oggi, che finalmente ci stiamo svegliando da un incubo durato cinquant’anni, l’uomo non è pronto per affrontare le emergenze planetarie. Questo è lo stato attuale del pianeta: non perché di queste emergenze non sapremmo trovare la soluzione ma perché non ce ne siamo mai occupati, lasciando parlare i finti scienziati, perché c’erano problemi di gran lunga più gravi da risolvere. La tecnologia moderna può seriamente affrontare queste nuove questioni, anche le più complesse. Tutto si può fare, perché il progresso della scienza è molto maggiore di quanto si possa immaginare. Le applicazioni tecnologiche si potrebbero indirizzare tutte a favore dell’uomo. Noi sappiamo che un progetto di monitoraggio planetario (ossia di indagine sulla temperatura, la pressione, la quantità di luce, la composizione chimica e radioattiva, l’umidità di tutta una rete, attorno al pianeta, che ci permetterebbe di sapere qual è il suo stato di salute) costa centomila miliardi di lire.
Se l’uomo non si impegna in questa direzione, non potrà mai dare una risposta seria a questi quesiti. Noi vogliamo che l’enorme sforzo finora rivolto alla distruzione del pianeta cambi completamente strada. Vi invito a riflettere, è incredibile ma è così: noi viviamo su una navicella spaziale che viaggia a centomila chilometri attorno al sole. E’ formidabile questa navicella, stiamo comodi. Immaginiamo di essere in una nave con riserve d’acqua e di cibo e zone in cui produrre il cibo, con zone in cui si ricambia l’aria per averla pulita. Una nave autosuffíciente. Ma chi in questa nave penserebbe di distruggere l’impianto di purificazione dell’aria? Nessuno, perché si morirebbe tutti. Chi penserebbe di distruggere il suolo che produce il cibo che poi mangiano? Chi immaginerebbe mai di buttar via dell’acqua? o energia? Nessuno.
Il pianeta terra è un’astronave in cui il suolo, l’acqua, l’aria, l’energia andrebbero considerati beni comuni da non distruggere. Chi in quella nave sparerebbe contro un altro, cercando di vincere una guerra impossibile. E’ chiaro infatti che l’astronave salterebbe in aria: esattamente quello che stava succedendo a noi. Sino all’anno scorso, nelle mie conferenze, dicevo: noi corriamo il rischio di passare per i barbari del duemila che imbottirono il pianeta di bombe dando credito a una cultura fatta di menzogne e distrussero caratteristiche vitali di questo pianeta.
La cultura del nostro tempo dev’essere non “prearistotelica”, dev’essere veramente moderna e l’uomo quindi deve sapere quali sono le sue forze, quali conquiste ha fatto la scienza, quali tecnologie può usare per difendere il pianeta.
Sessanta milioni di anni fa un asteroide finii sulla terra, nell’epoca in cui sparirono i dinosauri. Quell’asteroide era equivalente a un miliardo di bombe H da un megaton l’una. Oggi l’uomo si trova in condizioni tali da potersi difendere da tutto, malattie comprese. Volendolo. Se l’enorme quantità di investimenti utilizzati contro l’uomo per la guerra fossero dirottati verso progetti scientifici di pace, le emergenze planetarie sarebbero tutte risolte. Qualcuno potrebbe dire che sto esagerando o che sono un utopista. Sarebbe utopistico questo discorso se io non avessi dietro di me cinquantamila scienzati. Tutti coloro che hanno partecipato alle attività di Erice hanno sentito che quella era la strada giusta: scienza non vuol dire costruire bombe, scienza vuol dire studiare la logica di Colui che ha fatto il mondo. Alla scienza mancava un punto di riferimento valido. Gli scienziati sono come tutti gli altri uomini. La comunità scientifica aveva avuto diverse batoste nella storia della scienza e l’ultima era stata con Hitler. Quando Hitler scatenò la propaganda nazista contro Einstein, dicendo che era un imbroglione e non uno scienziato, i più grandi fisici di allora scrissero una lettera al Führer, con tono molto gentile, in cui dicevano che Einstein era invece un grande scienziato. Effetto zero. Einstein fu costretto a lasciare quella che era la gloriosa Università di Berlino e a nulla valse quella petizione.
Dopo la guerra, uno dei padri della fisica atomica, Neils Born, cercò di scrivere un documento per dire che le cose erano cambiate e che l’uomo aveva in mano una potenza incredibile e che la scienza doveva avvertire i capi di Stato che non potevano più costruire bombe, perché vi era già un quantitativo sufficiente per far saltare il mondo in aria. Non riuscì a far firmare quella lettera a nessuno. Ogni volta che la faceva leggere a un suo collega, quello voleva cambiare una frase e veniva cambiata. Quel documento divenne una complicazione incredibile e quindi, per disperazione la inviò al Segretario Generale delle Nazioni Unite di allora, firmata soltanto da lui, perché non ne poteva più, ma non successe assolutamente nulla.
Ecco perché ho detto che il Manifesto di Erice è un fatto unico: quando incominciammo a redigerlo, molti miei colleghi mi ricordavano quella lettera e mi dicevano che ero un pazzo, che non avrei raccolto nemmeno cento firme.
Invece non è accaduto così, perché la comunità scientifica ha avuto un punto di riferimento, ossia Giovanni Paolo II, che ha avuto il coraggio di dire che scienza e fede sono entrambi doni di Dio, ponendo la scienza su un piedistallo di valori come nessun altro uomo al mondo aveva mai osato fare.
Ed è sempre Giovanni Paolo II ad aver dato alla scienza un contributo straordinario nel distinguere tra scienza e tecnica. La cultura marxista ha voluto a tutti i costi imbrogliare le carte, facendo passare per scienza la tecnica, ossia le bombe. Scienza vuol dire: “studio della logica che c’è nelle cose materiali”,questa logica è l’insieme delle leggi fondamentali della natura. Lo studio di queste leggi è l’obiettivo della scienza. Applicare le scoperte scientifiche è tutta un’altra cosa, e questa si chiama tecnica. La tecnica può essere per il bene o per il male. L’età del ferro ha prodotto il bisturi – tecnica buona – e il pugnale – tecnica cattiva. Ma l’età del ferro è prescientifica. Non c’è bisogno di scomodare la fisica nucleare per capire che esiste la cultura dell’amore e la cultura dell’odio. Giovanni Paolo II afferma che l’uomo può perire della tecnica che lui stesso inventa, non della sua scienza. Questi contributi alla cultura moderna sono un fatto senza precedenti. Noi viviamo un’era della quale i posteri scriveranno e non ce ne accorgiamo. Finalmente un uomo che non ha carri armati, non ha bombe nucleari, non ha missili intercontinentali, non ha sommergibili atomici ma solamente la forza della sua fede riesce a sconvolgere la cultura moderna, dando alla scienza un insieme di valori che gli scienziati sapevano esistere, ma non riuscivano esprimere.
Doveva essere qualcuno al di sopra delle parti a dirlo. Noi, oggi, e mi riferisco alla cultura cristiana e cattolica, abbiamo un grande privilegio: quello di dover essere orgogliosi di un fatto essenziale, ossia che il mondo moderno ha bisogno dei nostri valori, in tutti i settori, nella scienza, nella tecnica, nell’economia. Possiamo essere orgogliosi di avere come punto di riferimento nel mondo quella che è la bandiera più luminosa che oggi abbia espresso la cultura moderna per i valori della pace, della libertà e la soluzione delle emergenze nucleari, delle emergenze planetarie, siano esse terra, suolo, aria, acqua, clima, oggetti cosmici.
Adesso che veniamo dalla fine di un incubo, dobbiamo tutti impegnarci – in prima persona – affinché la scienza faccia cultura e affinché le emergenze planetarie vengano affrontate con lo stesso rigore scientifico che ha portato la scienza verso le grandi conquiste che rappresentano una sfida incredibile ai valori dell’intelletto umano.
Perché la scienza diventi cultura, è necessario che tutti voi siate con noi, quindi partecipi del progresso scientifico e ciascuno nelle sue funzioni abbia il coraggio morale di difendere i valori in cui crede. Non dobbiamo più aspettare che siano gli altri a pronunciare le cose che a noi farebbe piacere ascoltare, dobbiamo essere noi in prima persona a dirle: ecco perché io sono tornato qui con piacere e desidero in questo ringraziare la CCDC per l’impegno che mette in questa promozione culturale.
NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 26.10.1990 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.