Fedele al cielo e alla terra

FEDELE AL CIELO E ALLA TERRA

            "Dio e la sua eternità pretendono di essere amati dal profondo del cuore – scriveva Bonhoeffer ad un amico – senza però che l’amore terreno ne venga danneggiato o indebolito; qualcosa come un cantus firmus, in rapporto al quale le altre voci della vita formino il contrappunto".

            Le "altre voci della vita" siamo noi, le schiere dei suoi studenti di cui va fiero. Stando agli anni in cui padre Giulio ha insegnato (dal 1950 al 1984), ma anche a tutte le volte in cui l’abbiamo sentito ripetere con soddisfazione: "Questo è stato mio alunno!", siamo un popolo numerosissimo, la sua "polifonia dell’esistenza", che mai accetterebbe di smarrire: per padre Giulio le relazioni amicali sono fonte di vita, luogo di sintesi di umano e spirituale, di affettività e fede: quando si va a trovarlo per confidarsi, non è raro che anche lui si confidi condividendo pensieri, sentimenti e giocandosi fino in fondo nell’ascolto e nell’amore, in una forte e radicale amicizia in Cristo. Questo coinvolgimento così paolino – "Mi sono fatto tutto per tutti per salvare a ogni costo qualcuno" (1 Corinzi, 9, 22) – pone il nostro carissimo padre Giulio in profonda risonanza con la sensibilità che più amiamo nei Padri della Pace: con il loro sguardo attento, rispettoso, pieno d’attesa e di interesse sul mondo.

            In questo scambio di doni, che per me è iniziato negli anni del liceo all’"Arnaldo" ed è continuato nelle avventure della Fuci, delle settimane ecumeniche al Passo della Mendola, del Meic, della Ccdc… (quanti ricordi!), noi suoi alunni potevamo essere vivace melodia perché padre Giulio era cantus firmus. Allora, al tempo dell’adolescenza, come poi in tutti gli anni a seguire, fino ad oggi, ad ogni incontro.

            Allora, quando da ragazzini riuscivamo talvolta ad essere così impertinenti e indisciplinati da scappare via dall’aula (non appena avvistavamo in fondo al corridoio l’arrivo di padre Citta), per andare a prenderci quel po’ d’aria che ritenevamo legittimo concederci dopo la tensione di un’interrogazione in greco o in filosofia. Sempre, però, ritornavamo spontaneamente, e non per timore di punizioni quanto perché avvertivamo, forte, il suo pensiero su di noi; sapevamo che ci attendeva, che non si sarebbe scomposto né in un irritato rimprovero né in una ancora più fastidiosa (gli studenti sanno ben giudicare!) condiscendenza verso i nostri errori; avrebbe, invece, fatto un po’ finta di non essersi accorto, perché gli premeva altro: voleva regalarci anche solo qualche traccia di quella ricerca della verità di cui sapeva che avevamo sete, benché non fossimo capaci di riconoscerlo. Nella sua grande e paterna saggezza era certo che sarebbero bastati anche solo alcuni semi, purché di quelli buoni, per tenerci sulla pista; il resto l’avrebbe fatto lo Spirito Santo, al quale ci deve aver affidato un mare di volte. Semi umani e spirituali insieme: la riflessione di Dostoenskij sulla libertà nella "Leggenda del Grande Inquisitore", il dolore di Giobbe, il tema del male nella "Peste" di Camus, la realtà del dolore nelle pagine di Manzoni, il Dio dei filosofi a confronto con il Dio di Mosè e il Dio di Gesù; e, ancora, l’inquietante racconto "Sette piani" di Buzzati, la preghiera di Teresio Olivelli, il "Cristo di Velasquez" di Unamuno, la sacralità della coscienza in Newman, la miseria e grandezza dell’uomo secondo Pascal, la passione ecumenica dell’Apostolo delle Genti… e, poi, salutandoci alla fine dell’ora, un buffetto e un sorriso per darci appuntamento alla recita delle Lodi il venerdì, nella vicina Sant’Afra, alle 7,40, prima della scuola.

            Oggi è ancora così: il contrappunto della nostra vita, fatto di gioie, slanci, fragilità e miserie, con padre Giulio può dispiegarsi senza timore in quanto lui è, insieme, "cuore plurale" e orientamento sicuro, chiaro e distinto: perché la luce è una sola, Cristo Gesù.

            "Invitati a sperare" è il titolo dolce, affettuoso di uno dei suoi densi volumetti, pensato proprio per noi; testi tutti di piccole dimensioni, pane buono e necessario per un viaggio che si dipana tra sentieri anche molto faticosi, impervi, lungo i quali non sempre si riesce a vedere la vetta. Cominciamo dal poco, è la pedagogia di padre Giulio: cominciamo – rileggo qua e là alcune pagine – ad "accontentarci di noi stessi, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo", a "liberarci dalle paure, dai fantasmi, dalle ansie","a prendere nota dei nostri sbagli e a farne tesoro"; procediamo cercando di "muoverci nella bontà quotidiana, di essere cioè ogni giorno un po’ più buoni, un po’ più benevoli, più affabili"; "avviciniamoci in modo sincero e concreto ai più poveri"; impariamo, docili all’azione dello Spirito Santo, "le purificazioni della Croce"; respiriamo i profumi di quei fiori che rendono bello il sentiero: linearità, mitezza, signorilità, ospitalità, sobrietà, verecondia, riconoscenza: "aspetti e momenti del farsi dell’uomo", fino a imboccare, più decisi, la via delle virtù teologali.

            Se si farà buio, stiamo certi di essere nella preghiera di padre Giulio: è il dono più grande che egli continua a farci, insieme con la sua amicizia e profondità di pensiero, per il quale vogliamo dirgli, con un abbraccio affettuoso, il nostro grazie.

            "Il prete – leggiamo nel suo volumetto "La tenda e i paletti" – occupa due fronti. Fedele a Dio e all’uomo; fedele al cielo e alla terra, al presente e al futuro, alla storia e all’escatologia": parole che prendo subito a prestito perché sono il ritratto del suo sacerdozio così come l’abbiamo visto realmente vivere da lui in questi anni e di cui, con riconoscenza al Signore, continuiamo ad avere testimonianza: quando troviamo il suo cuore che batte per un goal del Brescia o vediamo la sua figura ricurva su complicatissimi rebus alla ricerca della soluzione; quando padre Giulio sbroglia gli ancor più complicati rebus della nostra esistenza; risponde con serenità e distacco alle nostre domande sulla sua salute; va al cuore delle situazioni (di oggi o di ieri, della teoria o della pratica, della cultura o della fede…) illuminandole con poche, essenziali parole.

            Quando la sera, al telefono, ci benedice augurandoci la buona notte con quelle rassicuranti parole, colme di pace e fiducia, che il Signore insegnò a Mosè e Mosè ad Aronne: perché risplenda sempre, su di noi, la luce del Suo volto. 

                                                                                 

"Oratorio della Pace", bollettino di informazione della Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri, n. 14, giugno 2010