Qualcosa è mutato, ed è in meglio, in questi ultimi anni nel clima culturale del nostro Paese per quanto riguarda la filosofia. Abituati a vedere la filosofia asservita alle ideologie di turno, e quindi ridotta a pseudo-filosofia, la ragion d’essere di una ricerca specificamente teoretica andava inevitabilmente smarrendosi. Nei manuali di filosofia di maggior diffusione fino a pochi anni fa, ad esempio, l’arbitrio censorio si estendeva a intere epoche e non risparmiava neppure i grandi maestri del pensiero – da Platone a Kant, da Agostino a Pascal, da Aristotele a Rosmini, da Plotino a Bergson – spesso del tutto assenti, oppure orrendamente mutilati, ridotti a caricature odiose, non solo in certe facoltà universitarie, ma anche nell’insegnamento liceale. Tra gli stessi docenti di filosofia – molti dei quali meritavano stima per la preparazione culturale e per gli intenti educativi – stava affiorando un tipo nuovo ed eccentrico: quello del professore di filosofia che sparlava dei filosofi e della filosofia, senza peraltro mai giungere alle dimissioni, che tuttavia sarebbero state rigorosamente consequenziali, giacché non vi è cosa più insensata che insegnare cose che si ritengono prive di senso e addirittura fuorvianti.
Di qui non dimentichiamolo, la proposta avanzata agl’inizi degli Anni Settanta di far scomparire la filosofia dall’insegnamento nei licei; comunque, nell’intitolazione dei concorsi il termine stesso di filosofia scomparì, o per lo meno venne assorbito dentro la generica ed equivoca dicitura delle “scienze umane”. Con la caduta verticale del pregiudizio ideologico, in virtù della quale si è rotto il meccanismo atroce di autocensura negli adepti, e con il ridimensionamento critico delle pretese assolutistiche del sociologismo, la filosofia tende a riappropriarsi del suo spazio, dei suoi metodi, dei suoi problemi e torna, finalmente, dopo tanta sbornia di “concezioni totalizzanti”, a riscoprire l’umiltà socratica, la pluralità delle vie di accesso al vero di contro ai monismi metodologici (freudismo, marxismo, strutturalismo per citare i più influenti), che hanno contribuito non poco a rendere speculativamente sterile il pensiero degli ultimi quarant’anni.
Uno dei segni del mutato clima culturale in Italia è indubbiamente costituito dal fatto che uno degli impegni più avvertiti nel progetto della nuova secondaria superiore elaborato dalla Commissione Brocca è quello di qualificare in senso fortemente culturale il grado più alto della scuola dell’adolescenza anche attraverso l’introduzione dell’insegnamento della filosofia in tutti gli indirizzi del triennio. Con una formula sbrigativa, ma non troppo lontana dagl’intenti della Commissione Brocca, ci si muove, dunque, verso la licealizzazione degli istituti tecnici; e lo strumento esplicito di tale innovazione è costituito dall’insegnamento della filosofia, cioè di quella disciplina che ha consentito ai tre tipi di liceo – classico, scientifico e magistrale – di vedersi riconosciuta una valenza culturale spiccata rispetto alle altre istituzioni scolastiche. Di qui una serie di interrogativi su come la filosofia possa caratterizzare i saperi disciplinari ed essere nello stesso tempo “filosofia” e “filosofie di…”. Argomento, come si vede, di grande interesse a cui la rivista “Nuova Secondaria”, della Scuola Editrice di Brescia, dedica opportunamente un convegno al più alto livello nella nostra città allo scopo di chiarire “ruolo e funzioni della filosofia nella nuova scuola secondaria superiore”.
La ricerca di uno “statuto epistemologico e formativo” della filosofia diventa, pertanto, introduttiva ad ogni altra ricerca e bene ha fatto il direttore della rivista “Nuova Secondaria”, Evandro Agazzi, a parlarne esplicitamente nella relazione con cui ha aperto i lavori. La filosofia non è separata dalla vita e dal travaglio degli uomini, ma è il tentativo di impostare correttamente – cioè criticamente – i problemi che l’esistenza concreta delle persone e il corso della vicenda storica pongono alla nostra attenzione. “La filosofia non ha per nulla cessato di essere presente, in modo assai vario ed impegnato, nella cultura dei nostri giorni e un gran numero dei problemi globali oggi in discussione, non meno che una vasta gamma di dibatti etici e valoriali che stanno attraversando la nostra civiltà, sono di natura schiettamente filosofica”.
Di qui il diffondersi, talora in modi discutibili e inadeguati, di una domanda di filosofia ed è sorprendente il dato secondo cui, nei sondaggi d’opinione effettuati tra i giovani, la filosofia risulta una delle discipline più richieste. Il giovane è interessato alla filosofia nella misura in cui viene portato alla consapevolezza delle ragioni profonde, implicite nell’uno o nell’altro orientamento culturale o politico, e delle verità parziali, per così dire, prigioniere delle parti in gioco. Lo studente dell’ultimo triennio delle superiori ha bisogno di essere abilitato ad una riflessione attenta sulla complessità delle valutazioni e dei presupposti che sottostanno alle varie proposte che gli vengono da ogni parte. Riflessione necessaria per collocarsi criticamente di fronte alla realtà sociale e culturale, al mondo della scienza e della tecnologia, e ai suoi stessi interrogativi esistenziali. Non c’è dubbio che tutte le discipline scolastiche rechieno il loro contributo al soddisfacimento di tali esigenze; ma esse non possono incaricarsi di sviluppare tematicamente una riflessione critica approfondita sugli stessi dati che pure forniscono e sul significato che possono ricevere in un più ampio contesto. Di qui la domanda di filosofia di cui si diceva.
Portiamo qualche esempio. “Un insegnamento scientifico – osserva giustamente Evandro Agazzi – non può ridursi a promuovere un puro apprendimento di dati, formule, leggi, teoremi, definizioni, procedure di sperimentazioni e algoritmi di calcolo: esso non può sottrarsi a una qualche riflessione metodologica, a una qualche riflessione critica. Tuttavia è anche chiaro che questa riflessione critica di tipo epistemologico non fa parte esplicitamente di quanto si è in diritto di richiedere, in forma estesa e approfondita, da parte dell’insegnante di discipline scientifiche: si tratta, invece, di un compito che spetta istituzionalmente alla filosofia”. La quale non si propone affatto di aumentare la quantità di conoscenze offerta da questa o quest’ altra scienza, bensì di promuovere una più profonda valutazione di tali conoscenze all’interno di una matura presa di coscienza del proprio sapere e del ruolo che esso può svolgere in un progetto di vita personale e collettiva.
Non diversamente gli insegnamenti linguistico-letterari offrono una grande messe di rappresentazioni del sentimento della vita e di concezioni della vita; ma non è loro compito avviare una riflessione di merito sui contenuti di tali visioni del mondo. È compito, invece, della filosofia assumere le ispirazioni valoriali che hanno contrassegnato culture, civiltà, grandi figure di ogni epoca e rivelarne le dinamiche intellettuali sottostanti, saggiarne il grado di consistenza, la loro attualità o meno e, come direbbe Kant, non dal punto di vista della “fisica del costumi”, ma de jure in quanto giustificata dalla ragione e commendata dalla ragione. È proprio della filosofia, infatti, penetrare i significati più riposti ed in tal modo accertare il contributo che essi possono recare ad una più piena comprensione di noi stessi e del nostro tempo. In conclusione: la filosofia, ponendosi al servizio della formazione del giovane, si pone al servizio delle varie discipline, favorendo l’esplicitazione dei loro fondamenti e la ricognizione dei loro limiti. Sì che la filosofia, colta ed esercitata nella sua specificità, mentre è filosofia senza aggettivi, non può fare a meno nello stesso tempo di articolarsi in filosofie del genitivo, o di filosofie di…, come suggerisce il tema stesso del convegno: “filosofia delle scienze sociali”, “filosofia dell’arte”, “filosofia della scienza”, “filosofia della ragione”, “filosofia dell’educazione”, “filosofia del diritto”, “filosofia della politica”.
Giornale di Brescia, 29.10.1991.